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Breve biografia di Nguyen Van Troi

Phan Thi Quyen, Vivere come lui, Zambon editore, 2014, pag.257
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare a 50 anni dal suo assassinio.

Nguyen Van Troi nasce il 1 febbraio 1940 nel paese di Thanh Quyt, distretto di Dien Ban, provincia di Quang Nam (Viet Nam del Sud).
Figlio di contadini poveri, rimane orfano di madre da bambino e viene cresciuto da suo padre Nguyen Van Hoa, che lavora duramente per coprire le spese familiari.
Quando Troi ha cinque anni, la sua famiglia riceve una risaia, assegnatale dal Governo Popolare creato dopo il trionfo della Rivoluzione nell'agosto 1945. La vita si rende meno difficile e Nguyen Van Troi ha l'op­portunità di frequentare la scuola elementare, termina­re il terzo anno e far parte dell'organizzazione giovani­le dei "Pionieri".

In seguito al nuovo intervento francese, si costituisce un governo fantoccio nel Sud e suo padre viene arrestato per le attività patriottiche che svolge. Rimane in carcere fino al 1952. Nel 1954 la sua famiglia deve fuggire dalle persecuzioni perpetrate dal governo fascista di Ngo Dinh Diem e Nguyen Van Troi emigra a Saigon.

A quattordici anni Troi inizia a lavorare, apprendendo il mestiere di elettricista.
Impara cosa siano lo sfruttamento, l'oppressione e la repressione del regime diemista, divenuto una pedina degli interessi nordamericani.
Troi non accetta di rimanere passivo. A Saigon riesce a stabilire un contatto con il Fronte Nazionale di Libera­zione del Viet Nam del Sud e ben presto diventa uno dei suoi militanti più impegnati.

Entra a far parte dell'organizzazione clandestina Gio­ventù Popolare Rivoluzionaria, appartenente al FNL. Il 17 febbraio del 1964 si presenta volontario per far parte di un'unità speciale di azione armata. Nella sua autobiografia scrive:
Sono cresciuto e mi sono formato con la Rivoluzione. Mio padre è stato un combattente della Resistenza anti-francese e venne torturato dal nemico fino a rimanere invalido. Porto nel mio cuore un odio incontenibile nei confronti dei nemici della Patria. Sono arrivato a Saigon con la ferma decisione di conti­nuare l'opera rivoluzionaria di mio padre...

Quando viene a sapere che McNamara sarebbe arri­vato a Saigon nel maggio del 1964 per mettere in atto il piano di estensione della guerra di aggressione contro il popolo, Nguyen Van Troi incomincia a lavorare ad un'a­zione finalizzata a colpire l'alto quadro del Pentagono. Il piano di Troi viene approvato dallo Stato Maggiore a cui fa capo la sua unità. Ma, in considerazione del fatto che avrebbe dovuto sposarsi in quei giorni, i suoi compagni manifestano contrarietà alla sua partecipazione diretta. Troi insiste: "Lasciatemi contribuire all'esecuzione dell'o­perazione, anche solo in parte".

Viene catturato alle 10 di sera del 9 maggio 1964, mentre svolge la sua missione di minare il ponte Cong-Ly, sulla strada che conduce all'aeroporto Tan Son Nhut di Saigon, per la quale sarebbe passato McNamara.

Il nemico lo sottopone a ogni tipo di tortura, impie­gando le più raffinate tecniche per farlo parlare, ma ot­tiene sempre la stessa risposta: "Volevo uccidere McNa­mara perché è un nemico della Patria. Mi assumo tutta la responsabilità della mia azione".
Nguyen Van Troi passa quattro mesi nella Prigione Centrale di Saigon, quattro mesi di torture, di minacce e tentativi di corruzione da parte degli aguzzini. Invano. Troi risponde sempre: "Compio il mio dovere di patriota. Non ho altro da aggiungere".

Cerca diverse volte di fuggire dalla prigione per tor­nare all'attività rivoluzionaria. Una volta salta dalla fine­stra del secondo piano del comando di polizia di Saigon, ma cade sul tetto di un'autovettura in marcia. Si frattura una gamba e il nemico moltiplica le torture. Troi rimane quasi paralizzato.

Il 10 agosto 1964 il tribunale fascista del regime con­danna Troi alla pena di morte. Come ultime parole da­vanti al tribunale Troi dichiara:
"Voglio essere breve. Mi spiace di non aver potuto am­mazzare McNamara".

Nella cella dei condannati a morte dice ai suoi com­pagni: "Il nemico mi vuole uccidere. Non mi fa paura la morte. Mi dispiace solo di essere stato catturato prima di aver potuto concludere la mia missione. Mi dispiace di non poter continuare la lotta di liberazione del mio po­polo, della mia classe e realizzare l'ideale della mia vita. Voglio vivere e lottare come un comunista, nonostante non abbia avuto l'onore di essere membro del Partito dei Lavoratori del Viet Nam, partito della classe operaia".

In prigione riceve le visite di sua moglie, Quyen, con la quale ha convissuto solo pochi giorni dopo il matrimo­nio. Con lei parla del passato, si informa sulle lotte in cor­so, le raccomanda di unirsi al movimento di liberazione. In nessun momento si mostra triste e depresso.
Ai primi di ottobre del 1964 gli aguzzini decidono di fucilarlo come misura intimidatoria nei confronti del po­polo, per cercare di contenere il movimento anti-yankee che cresce nelle città.

L'eroismo di Troi suscita la solidarietà dei guerriglieri venezuelani, agli antipodi del globo. Le FALN cattura­no in pieno centro a Caracas il colonnello nordamericano Michael Smolen, vice capo del contingente delle forze ae­ree statunitensi e dichiarano:
Se i nordamericani e i loro servi del Viet Nam del Sud assassineranno Nguyen Van Troi, un'ora più tardi il co­lonnello statunitense sarà giustiziato dalle FALN in Vene­zuela.

Temendo per la vita del colonnello, da Washington or­dinano ai fantocci di Saigon di sospendere a tempo inde­terminato l'esecuzione di Nguyen Van Troi.
Il 13 ottobre le FALN liberano il colonnello nordame­ricano.
Il 15 ottobre del 1964, violando la propria parola, alle 9,50 della mattina, gli yankee fanno portare Troi nel cor­tile della prigione di Chi Hoa e alle 9,59 Troi cade sotto i colpi del plotone d'esecuzione.

Nel breve lasso di tempo rappresentato dai suoi ultimi nove minuti di vita, Troi rimane sereno, tranquillo come sempre, non perdendo alcuna opportunità per attaccare il nemico. Dalla porta della sua cella fino al luogo dell'e­secuzione vi è una distanza di soli 50 metri. Troi cammi­na con difficoltà a causa della sua gamba fratturata ma non si lamenta. Si muove, tra due file di soldati armati con fucile e baionetta. Lo aspettano i corrispondenti della stampa vietnamita ed estera.

Troi dice: "Ho lottato con­tro l'imperialismo nordamericano perché non potevo sopportare la morte del mio popolo e l'umiliazione della mia Patria. Non sono colpevole agli occhi del mio popolo e dei miei compatrioti. Ho lottato contro l'imperialismo statunitense e non contro il mio popolo. Amo profonda­mente il mio caro Viet Nam. Ho lottato contro gli yankee che hanno aggredito il Viet Nam del Sud e sono venuti a portare tante sventure, dolore e morte ai miei compa­trioti".

Un sacerdote cattolico e un monaco buddista, inviati dal governo, chiedono a Troi di confessarsi, di pentirsi e di pregare. Troi risponde con calma:
"Ci manca solo di partecipare a una farsa del genere. Non ho nulla di cui pentirmi".

I  boia, intimoriti, non lo lasciano parlare di più e cer­cano di bendargli gli occhi. Con un gesto Troi li allontana:
"Non mi serve. Lasciatemi guardare la mia amata ter­ra fino alla fine".

Tremando, gli aguzzini legano il corpo di Troi, con­tro la sua volontà gli sistemano la benda sugli occhi e lo trascinano davanti al plotone d'esecuzione. Nguyen Van Troi si pone in posizione eretta e grida con tutta la voce:
"Ricordate le mie parole! Abbasso gli yankee! Abbasso Nguyen Khanh!"
E per tre volte urla: "Viva Ho Chi Minh!"

L'ufficiale ordina: "Fuoco!"
La voce di Troi si confonde con gli spari: "Viva Viet Nam! Viva Viet Nam!"

Nguyen Van Troi muore alle 9,59 del 15 ottobre 1964 nel cortile della prigione di Chi Hoa.

II   Presidium del Comitato Centrale del Fronte Nazionale di Liberazione, in nome di 14 milioni di sudvietnamiti, assegna al martire Nguyen Van Troi il titolo di "Eroe" e la medaglia "Muraglia di Bronzo della Patria" di prim'ordine.

Il Partito dei Lavoratori del Viet Nam prende la deci­sione di considerare Nguyen Van Troi come membro del Partito.


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