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Friedrich Engels: Anti-Dühring – [ Indice ]

 

Prima Sezione: Filosofia

 

XII. Dialettica. Quantità e qualità

 

"Il primo e il più importante principio sulle proprietà logiche fondamentali dell'essere verte sull'esclusione della contraddizione. La contraddizione è una categoria che può appartenere solo alla combinazione delle idee e non alla realtà. Nelle cose non ci sono contraddizioni o, in altri termini, la contraddizione, posta come reale, è essa stessa il colmo del controsenso (...) L'antagonismo di forze che, in opposte direzioni, si misurano a vicenda, è proprio la forma fondamentale di tutte le azioni nell'esistenza del mondo e dei suoi esseri. Ma questo contrasto delle direzioni delle forze degli elementi e degli individui non coincide minimamente con l'idea di assurdità contraddittorie (...) Qui noi possiamo esser paghi di aver dissipato, mediante una chiara rappresentazione della verace assurdità della contraddizione reale, le nebbie che sorgono abitualmente dai pretesi misteri della logica, e di aver messo in evidenza l'inutilità dell'incenso che qua e là si è prodigato al fantoccio di legno della dialettica della contraddizione, goffamente scolpito e sostituito alla schematizzazione antagonistica del mondo."

 

È questo pressappoco tutto ciò che si dice della dialettica nel "corso di filosofia". Nella "Storia critica", per contro, la dialettica della contraddizione, e con essa specialmente Hegel, viene trattata in un modo completamente diverso.

 

"La contraddizione, in effetti, secondo la logica hegeliana, o piuttosto la dottrina del logos, può cogliersi obiettivamente e, per così dire, toccare con mano, non già nel pensiero che, per sua natura, si deve rappresentare non altrimenti che come soggettivo e consapevole, ma nelle cose e nei fenomeni stessi, cosicché il controsenso non resta una combinazione impossibile del pensiero, ma diventa una potenza effettiva. La realtà dell'assurdo è il primo articolo di fede dell'unità hegeliana di logico e alogico (...) Quanto più contraddittorio, tanto più vero o, con altre parole, quanto più assurdo, tanto più credibile: questa massima, che non è affatto una nuova invenzione, ma che è tratta dalla teologia della rivelazione e delle mistica, è la cruda espressione del cosiddetto principio dialettico."

 

Il pensiero contenuto nei due luoghi citati si compendia nella proposizione la quale dice che contraddizione = controsenso e perciò non può esserci nel mondo reale. Questa proposizione, per gente che altrimenti è di sufficiente buon senso, può avere lo stesso valore di evidenza della stessa proposizione la quale dice che diritto non può essere curvo e curvo non può essere dritto. Ma il calcolo differenziale, malgrado tutte le proteste del buon senso, pone tuttavia, sotto certe condizioni, l'identità di diritto e curvo e ottiene così dei risultati che il buon senso, il quale si ostina a dire assurda l'identità di diritto e curvo, non potrà mai raggiungere. E, data la parte importante che la cosiddetta dialettica della contraddizione ha rappresentato nella filosofia dagli antichissimi greci fino ad oggi, persino un avversario più forte di Dühring si sarebbe sentito in dovere di confutarla con ben altri argomenti che un'unica asserzione e molte ingiurie.

 

Sino a quando consideriamo le cose in stato di riposo e prive di vita, ciascuna per sé, l'una accanto all'altra, l'una dopo l'altra, è certo che in esse non incontreremo nessuna contraddizione. Vi troviamo certe proprietà che in parte sono comuni, in parte sono diverse, anzi persino in contraddizione l'una con l'altra, ma in questo caso esse sono ripartite in cose diverse e quindi non recano in sé nessuna contraddizione. Nella misura in cui questo campo di indagine è sufficiente, ce la caviamo con l'abituale modo di pensare metafisico. Ma è invece tutt'altra cosa allorché consideriamo le cose nel loro movimento, nel loro cambiamento, nella loro vita, nella loro azione reciproca. Qui cadiamo subito in contraddizioni. Lo stesso movimento è una contraddizione; già perfino il semplice movimento meccanico locale si può compiere solamente perché un corpo in un solo e medesimo istante è in un luogo e nello stesso tempo in un altro luogo, è in un solo e medesimo luogo e non è in esso. E il continuo porre e nello stesso tempo risolvere questa contraddizione è precisamente il movimento.

 

Qui abbiamo dunque una contraddizione che "può cogliersi obiettivamente e, per così dire, toccare con mano, nelle cose e nei fenomeni stessi". E che cosa ne dice Dühring? Afferma che sino ad oggi non c'è "nella meccanica razionale nessun ponte di passaggio tra ciò che è rigorosamente statico e ciò che è dinamico". Ora finalmente il lettore si accorgerà di quello che si nasconde dietro a questa frase prediletta di Dühring; nient'altro che questo: l'intelletto che pensa metafisicamente non può assolutamente passare dall'idea della quiete a quella del movimento, perché qui la contraddizione che abbiamo vista sopra gli sbarra il cammino. Per lui il movimento, poiché è una contraddizione, è puramente inconcepibile. E poiché afferma l'inconcepibilità del movimento, ammette egli stesso, suo malgrado, l'esistenza di questa contraddizione, e quindi ammette che c'è obiettivamente nelle cose e nei fenomeni stessi una contraddizione la quale, per giunta, è una potenza effettiva.

 

Se già il semplice movimento meccanico locale contiene in sé una contraddizione, ancor più la contengono le forme più elevate di movimento della materia e, in modo assolutamente particolare, la vita organica e il suo sviluppo. Abbiamo visto sopra che la vita consiste anzitutto precisamente nel fatto che un essere, in ogni istante, è se stesso ed è anche un altro. Quindi la vita è del pari una contraddizione presente nelle cose e nei fenomeni stessi, contraddizione che continuamente si pone e continuamente si risolve; e non appena la contraddizione cessa, cessa anche la vita e sopraggiunge la morte. Abbiamo visto parimente che anche nel campo del pensiero non possiamo sfuggire alle contraddizioni, e che per es. la contraddizione tra il potere conoscitivo umano intimamente illimitato e la sua sussistenza reale in uomini esteriormente limitati e limitatamente conoscenti, si risolve nel susseguirsi, per noi praticamente privo di un termine, delle generazioni: nel progresso all'infinito.

 

Abbiamo già notato che una delle basi fondamentali della matematica superiore è la contraddizione che in certe circostanze la retta e la curva si identificano. La matematica superiore arriva anche a questa contraddizione: che linee che ai nostri occhi si intersecano, tuttavia, a distanza di cinque o sei centimetri dal loro punto di intersezione, devono presentarsi come parallele, come tali, cioè, che anche prolungate all'infinito non possono intersecarsi. E tuttavia la matematica superiore mette capo, con queste contraddizioni e con altre ancora maggiori, a risultati non soltanto esatti, ma assolutamente irraggiungibili dalla matematica inferiore.

 

Ma anche questi ultimi brulicano già in contraddizioni. Per es. è una contraddizione il fatto che una radice di A debba essere una potenza di A, eppure A1/2 = radice quadrata di A. È una contraddizione che una grandezza negativa debba essere il quadrato di qualche cosa: infatti ogni grandezza negativa moltiplicata per se stessa, dà un quadrato positivo. La radice quadrata di meno uno, quindi, non solo è una contraddizione, ma perfino una contraddizione assurda, un vero controsenso. E tuttavia "radice di -1" è un risultato in molti casi necessario di operazioni matematiche esatte; anzi c'è di più: dove sarebbe la matematica, sia elementare che superiore, se le fosse interdetto di operare con "radice di -1"?

 

La stessa matematica con la trattazione delle grandezze variabili entra nel campo dialettico; ed è significativo il fatto che sia stato un filosofo dialettico, Descartes, a introdurre nella matematica un tale progresso. La matematica delle grandezze variabili sta alla matematica delle grandezze invariabili come in generale il pensiero dialettico sta al pensiero metafisico. La qual cosa non impedisce affatto che il maggior numero di matematici riconosca la dialettica solo nel campo della matematica e che tra loro ce ne sia un discreto numero che, servendosi dei metodi acquisiti per via dialettica, continui ad operare completamente secondo la vecchia e limitata maniera metafisica.

 

Sarebbe possibile occuparci più da vicino dell'antagonismo di forze di Dühring e della sua schematizzazione antagonistica del mondo, solo nel caso che egli ci avesse dato su questo tema qualche cosa di più che... la semplice frase. Raggiunto tale risultato, questo antagonismo non ci viene presentato mai in azione né nella schematizzazione del mondo né nella filosofia della natura; ed è questa la migliore confessione che Dühring, con queste "forme fondamentali di tutte le azioni nell'esistenza del mondo e dei suoi esseri" non sa assolutamente combinare niente di positivo. Infatti, se si è abbassata la "dottrina dell'essenza" di Hegel fino a ridurla alla banalità di forze che si muovono in opposte direzioni ma non in contraddizione, certo il meglio che si possa fare è di evitare ogni applicazione di questo luogo comune.

 

A Dühring l'altro appiglio per dar libero corso alla sua ira antidialettica, lo fornisce il "Capitale" di Marx.

 

"Deficienza di logica naturale e di logica data dall'uso dell'intelletto, deficienza che contraddistingue questi intrecci dialettici aggrovigliati e questi arabeschi di idee (...) già alla parte ormai pubblicata si può applicare il principio che dice che da un certo punto di vista e anche in generale (!), secondo un noto pregiudizio filosofico, si deve ricercare il tutto in ogni singola cosa e ogni singola cosa nel tutto, e che secondo questa idea confusa e mal concepita, alla fine tutto è uno."

 

Questa sua conoscenza del noto pregiudizio filosofico permette tuttavia a Dühring di predire con sicurezza quale sarà la "fine" di questo filosofare di Marx sull'economia, e quindi quale sarà il contenuto dei volumi seguenti del "Capitale", e ciò appena sette righe dopo aver dichiarato che "tutt'ora non si può realmente prevedere che cosa, parlando in termini schietti e chiari, propriamente debba ancora seguire nei due" (ultimi) "volumi" [59].

 

Non è questa comunque la prima volta che gli scritti di Dühring ci appaiono appartenenti a quelle "cose" nelle quali "la contraddizione si può cogliere obiettivamente e, per così dire, toccare con mano". Ciò che non gli impedisce di andare avanti vittoriosamente:

 

"Pure, la sana logica presumibilmente trionferà della sua caricatura (...) Queste grandi arie e questa misteriosa robaccia dialettica non darà a nessuno, che abbia ancora un po' di giudizio, la tentazione di occuparsi di (...) queste deformità di pensiero e di stile, con la morte degli ultimi avanzi di queste follie dialettiche, questo mezzo per turlupinare (...) perderà la sua influenza ingannatrice e nessuno crederà più di doversi tormentare per inseguire una saggezza nella quale il nocciolo di queste cose arruffate, una volta messo a nudo, mostra, nel migliore dei casi, i tratti di teorie ovvie, se non di luoghi comuni (...) È assolutamente impossibile riprodurre gli aggrovigliamenti" (marxiani) "conformatisi alla dottrina del logos, senza prostituire la sana logica".

 

Il metodo di Marx consisterebbe nell'"imbastire miracoli dialettici per i suoi fedeli", e così via.

 

Qui non ci dobbiamo ancora affatto occupare dell'esattezza o meno dei risultati economici dell'indagine marxiana, ma solo del metodo dialettico applicato da Marx. Ma una cosa è certa: che il maggior numero dei lettori del "Capitale" solo ora avranno appreso, grazie a Dühring, che cosa propriamente hanno letto. E tra essi anche lo stesso Dühring, che nell'anno 1867 ("Ergänzungsblätter", III, fasc. 3) era ancora in condizione di fare un'analisi riassuntiva del libro relativamente ragionevole per un pensatore del suo calibro, senza essere obbligato a cominciare col tradurre, cosa che oggi egli dichiara indispensabile, gli sviluppi marxiani in linguaggio dühringiano. Se già allora commetteva lo sproposito di identificare la dialettica marxiana con la dialettica hegeliana, pure non aveva ancora perduta completamente la capacità di distinguere tra il metodo e i risultati ottenuti per mezzo di esso e di comprendere che questi ultimi non vengono confutati in particolare demolendo in generale il primo.

 

La comunicazione più stupefacente che fa Dühring in ogni caso è questa: che dal punto di vista di Marx "in definitiva tutto è uno", che quindi per Marx, per es., capitalisti e salariati, modo di produzione feudale, capitalistico e socialista "sono tutt'uno", anzi, infine, anche Marx e Dühring sono senza dubbio "tutt'uno". Per spiegare come sia possibile questa pazzia pura e semplice non resta che ammettere che la semplice parola dialettica metta Dühring in uno stato di irresponsabilità in cui tutto ciò che egli dice e fa, in seguito ad una certa idea confusa e mal concepita, è per lui "tutt'uno".

 

Abbiamo qui un campione di ciò che Dühring chiama la "mia maniera di delineare la storia in grande stile" ovvero anche

 

"quel procedimento sommario che tiene conto del genere e del tipo, ma che non si degna affatto di onorare, rivelandone gli errori fino ai dettagli micrologici, quella che Hume chiamò la plebe dei dotti; questo procedimento di stile più elevato e più nobile è compatibile unicamente con gli interessi della piena verità e con i doveri che si hanno verso un pubblico libero da vincoli di corporazione".

 

Questo modo di delineare la storia in grande stile e questo sommario tener conto del genere e del tipo è, in realtà, molto comodo a Dühring, che può così trascurare tutti i fatti determinati considerandoli come micrologici, farli eguali a zero, e invece di dimostrare non ha che da costruire frasi generali, fare delle asserzioni e semplicemente lanciare le sue condanne. Ma questo metodo ha anche il vantaggio di non fornire all'avversario nessun appiglio, di non lasciargli dunque quasi nessun'altra possibilità di rispondere che non sia il formulare anche da parte sua frasi in grande stile e sommarie, il diffondersi in espressioni generiche ed infine il lanciare a sua volta la sua condanna su Dühring, in breve, come si dice, giocare a botta e risposta, cosa che non incontra i gusti di tutti. Dobbiamo perciò essere grati a Dühring, se eccezionalmente abbandona lo stile più elevato e più nobile per darci almeno due esempi della riprovevole dottrina marxiana del logos.

 

"Come è comico per es. il riferirsi alla confusa e nebulosa idea hegeliana che la quantità si muti nella qualità e che perciò un'anticipazione di denaro, allorché raggiunge un certo limite, semplicemente per mezzo di questo incremento quantitativo diventa capitale."

 

Certo, presentato in questa forma "purgata" da Dühring, tutto ciò è abbastanza curioso. Vediamo dunque come si presenta nell'originale, in Marx. A pag. 313 (della seconda edizione del "Capitale") Marx, dalle indagini precedenti sul capitale costante e variabile sul plusvalore, trae la conclusione che

 

"non qualsiasi somma di denaro o di valore è trasformabile in capitale, che anzi una tale trasformazione presuppone un minimo determinato di denaro o valore di scambio, in mano al singolo possessore di denaro o di merci" [60].

 

Marx quindi prende come esempio il fatto che, in qualsiasi ramo di lavoro, l'operaio lavora giornalmente otto ore per se stesso, cioè per la produzione del valore del suo salario e le quattro ore seguenti per il capitalista, per la produzione di un plusvalore che affluisce in primo luogo nella tasca di costui. Poi è necessario che uno disponga già di una somma di valore che gli permetta di rifornire di materia prima, di strumenti di lavoro e di salario due operai, per intascare quotidianamente quel tanto di plusvalore da poterci vivere tanto bene quanto uno dei suoi operai. E poiché la produzione capitalistica ha come suo fine non il semplice mantenimento, ma l'accrescimento della ricchezza, il nostro uomo con i suoi due operai non sarebbe ancora per nulla un capitalista. Ora, per vivere due volte meglio di un operaio e per ritrasformare in capitale la metà del plusvalore prodotto, dovrebbe poter impiegare otto operai, e quindi possedere già il quadruplo della somma di valore che abbiamo supposto sopra. E solo dopo questo e nel corso di dimostrazioni ulteriori per dimostrare e giustificare il fatto che non ogni e qualsiasi piccola somma di valore è sufficiente per trasformarsi in capitale, ma che per questo ogni periodo di sviluppo ed ogni ramo di industria hanno il proprio limite minimo determinato, solo allora Marx nota:

 

"Qui, come nelle scienze naturali, si rivela la validità della legge scoperta da Hegel nella sua "Logica", che mutamenti puramente quantitativi si risolvono a un certo punto in differenze qualitative" [61].

 

Ed ora si ammiri il più elevato e nobile stile, in virtù del quale Dühring attribuisce a Marx il contrario di ciò che in realtà egli ha detto. Marx dice: il fatto che una somma di valore possa trasformarsi in capitale solo allorquando abbia raggiunto una grandezza minima, diversa a seconda delle circostanze, ma in ogni singolo caso determinata, questo fatto è una prova dell'esattezza della legge hegeliana. Dühring gli fa dire: Poiché secondo la legge hegeliana la quantità si trasforma in qualità, "perciò un'anticipazione, allorché raggiunge un limite determinato", diventa "...capitale". Dunque tutto il contrario.

 

Il costume di falsare le citazioni nell'"interesse della piena verità" e per i "doveri che si hanno verso un pubblico libero da vincoli di corporazione", è cosa che abbiamo già imparato a conoscere nel processo fatto da Dühring a Darwin. Esso si rivela sempre più come una necessità intima della filosofia della realtà, ed è certamente un "procedimento" molto "sommario". Per tacere completamente il fatto che Dühring, per di più, attribuisce a Marx di aver parlato di ogni e possibile "anticipazione", mentre qui si tratta solo di un'anticipazione che vien fatta in materie prime, mezzi di lavoro e salario; e che così riesce a far dire a Marx una pura e semplice assurdità. E poi ha la faccia tosta di trovar comica l'assurdità che egli stesso ha ammannito. Come si era costruito un Darwin fantastico per dar saggio della sua forza contro di lui, così si costruisce un Marx fantastico. Davvero una "maniera di concepire la storia in grande stile"!

 

Abbiamo già visto sopra, a proposito della schematizzazione del mondo, che riguardo a questa linea nodale dei rapporti di misura di Hegel, per cui in certi punti del cambiamento quantitativo interviene improvvisamente un mutamento qualitativo repentino, Dühring ha subito il piccolo infortunio di averla riconosciuta ed applicata, egli stesso, in un momento di debolezza. In quel capitolo abbiamo dato degli esempi più noti: quello della trasformazione degli stati di aggregazione dell'acqua, che, a pressione normale, a 0° centigradi passa dallo stato liquido a quello solido, e a 100° centigradi dallo stato liquido al gassoso, fenomeno nel quale, in quei due punti critici, il semplice cambiamento quantitativo della temperatura causa una modificazione qualitativa dello stato dell'acqua.

 

Per la dimostrazione di questa legge avremmo potuto citare come esempio centinaia di fatti simili tratti sia dalla natura che dalla società. Così per es. nel "Capitale" di Marx, tutta la quarta sezione, Produzione del plusvalore relativo, nel campo della Cooperazione, Divisione del lavoro e manifattura, Macchine e grande industria, tratta di innumerevoli casi in cui un mutamento quantitativo cambia le qualità e, del pari, un cambiamento qualitativo cambia la quantità delle cose di cui si tratta: casi nei quali, per usare l'espressione tanto odiata da Dühring, la quantità si converte in qualità e viceversa. Così per es. il fatto che la cooperazione di molti uomini, la fusione di molte forze in una forza complessiva, produce, per dirla con Marx, "un nuovo potenziale di forza" essenzialmente diverso dalla somma delle singole forze che lo costituiscono [62].

 

Per di più Marx, nel passo il cui significato è stato completamente capovolto da Dühring nell'interesse della piena verità, aveva fatto questa annotazione: "La teoria molecolare applicata alla chimica moderna, sviluppata scientificamente per la prima volta da Laurent e Gerhardt, non si basa su altra legge". Ma che cosa importava tutto questo a Dühring? Egli sapeva bene che:

 

"Gli elementi culturali eminentemente moderni del modo di pensare scientifico sono proprio assenti laddove, come in Marx e nel suo rivale, il Lassalle, la mezza scienza e un po' di filosofia da strapazzo costituiscono il misero armamentario di una erudita prosopopea",

 

mentre per Dühring le basi sono date "dai principi fondamentali della scienza esatta dominanti nella meccanica, nella fisica e nella chimica" ecc.: e abbiamo visto come. Ma perché anche terze persone siano messe in condizione di giudicare, dobbiamo considerare un po' più da vicino l'esempio citato nella nota di Marx.

 

Qui si tratta cioè delle serie omologhe dei composti del carbonio, molte delle quali sono già conosciute e ciascuna ha la sua propria formula algebrica di composizione. Se per es., come si fa in chimica, esprimiamo un atomo di carbonio con C, un atomo di idrogeno con H, un atomo di ossigeno con O, il numero di atomi di carbonio contenuto in ciascuna combinazione con n, possiamo rappresentare nel modo seguente la formula molecolare di qualcuna di queste serie:
 

CnH2n+2

=

serie delle paraffine normali.

CnH2n+2O

=

serie degli alcool primari.

CnH2nO2

=

serie degli acidi grassi monobasici.

 

Prendiamo come esempio l'ultima di queste serie, e facciamo successivamente n = 1, n = 2, n = 3 ecc., otterremo i seguenti risultati (omettendo gli isomeri):
 

CH2O2

=

Acido formico

-

Punto di
ebollizione

110°

Punto di
fusione

C2H4O2

=

Acido acetico

-

"

118°

"

17°

C3H6O2

=

Acido propionico

-

"

140°

"

-

C4H8O2

=

Acido butirrico

-

"

162°

"

-

C5H10O2

=

Acido valerianico

-

"

175°

"

-

 

e così via sino a C30H60O2, acido melissico, che fonde solo a 80° centigradi, e che non ha un punto di ebollizione, perché esso non si volatilizza senza scomporsi.

 

Qui vediamo dunque tutta una serie di corpi qualitativamente diversi, formati mediante semplice aggiunta quantitativa di elementi, e sempre nella stessa proporzione. Questo fatto appare nella sua forma più pura quando tutti gli elementi della combinazione cambiano la loro quantità nel medesimo rapporto, così nelle paraffine normali CnH2n+2, il più basso è il metano, CH4, un gas; il più alto che si conosca, l'esadecano, C16H34, è un copro solido che forma dei cristalli incolori, fonde a 21° gradi e bolle solo a 278°. In entrambe le serie ogni nuovo membro si forma mediante l'addizione di CH2, di un atomo di carbonio e di due atomi di idrogeno, alla forma molecolare del membro precedente, e questo cambiamento quantitativo della formula molecolare produce ogni volta un corpo qualitativamente diverso.

 

Ma quelle serie sono solo un esempio particolarmente tangibile: quasi dappertutto nella chimica e già nei diversi ossidi dell'azoto, nei diversi acidi ossigenati del fosforo e dello zolfo si può vedere come "la quantità si converta in qualità" e come questa pretesa idea confusa e nebulosa di Hegel si possa, per così dire, toccar con mano nelle cose e nei fenomeni, senza che tuttavia nessuno resti confuso e annebbiato tranne Dühring. E se Marx è stato il primo ad attirare l'attenzione su questo fatto e se Dühring legge questa indicazione senza neanche capirla (perché altrimenti non avrebbe certamente lasciato passare questo delitto inaudito), ciò è sufficiente per chiarire, anche senza aver dato uno sguardo retrospettivo alla famosa filosofia della natura di Dühring, a chi manchino "gli elementi culturali eminentemente moderni del modo di pensare scientifico", se a Marx o a Dühring, e a chi manchi la conoscenza dei "principi fondamentali... della chimica".

 

Per concludere, vogliamo invocare un altro testimonio a favore della conversione della quantità in qualità: Napoleone. Ecco come descrive il combattimento tra la cavalleria francese che andava male a cavallo ma era ben disciplinata, e i mamelucchi che nel combattimento individuale erano incondizionatamente i migliori cavalieri del loro tempo, ma erano indisciplinati:

 

"Due mamelucchi erano incondizionatamente superiori a tre francesi; 100 mamelucchi erano pari a 100 francesi; 300 francesi erano di solito superiori a 300 mamelucchi, 1.000 francesi mettevano costantemente in rotta 1.500 mamelucchi" [63].

 

Proprio come per Marx era necessaria una grandezza minima determinata, anche se variabile, della somma del valore di scambio per rendere possibile la sua trasformazione in capitale, così per Napoleone era necessaria una grandezza minima determinata di distaccamento di cavalleria per permettere alla forza della disciplina, insita nella formazione in ordine chiuso e nell'impiego razionale, di diventare apprezzabile e di accrescersi sino a raggiungere la superiorità anche su una massa maggiore di cavalleria irregolare, composta da uomini che montavano meglio, più agili nel cavalcare e nel combattere e almeno altrettanto valorosi. Ma che cosa conta tutto questo per Dühring? Napoleone non soggiacque miseramente nella sua lotta con l'Europa? Non subì sconfitte su sconfitte? E perché? Unicamente perché introdusse le idee confuse e nebulose di Hegel nella tattica della cavalleria!

 

 

Note

 

59. Nella prefazione (25 luglio 1867) alla prima edizione del "Capitale" Marx scrisse: "Il secondo volume di questo scritto tratterà il processo di circolazione del capitale (libro II), e le formazioni del processo complessivo (libro III); il volume terzo, conclusivo (libro IV) tratterà la storia della teoria". Dopo la morte di Marx, Engels pubblicò i libri II e III come secondo e terzo volume. Egli non arrivò a pubblicare l'ultimo libro, il IV ("Teorie sul plusvalore").

 

60. K. Marx "Il Capitale", libro I, trad. it. citata, pag. 346.

 

61. Ibid., p. 347, il corsivo è di Engels.

 

62. Ibid., p. 367.

 

63. Nelle memorie di Napoleone: "Dix-sept notes sur l'ouvrage...", p. 262.

 

 

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