da
Secchia, Moscatelli, Il Monterosa è sceso a Milano, G. Einaudi Editore, Torino,
1958, pp.. 179-183
trascrizione e conversione in html a cura del CCDP
Secchia
Lo sciopero generale
dell'1-8 marzo (1944)
Mentre era in corso l'offensiva tedesco-fascista contro le formazioni
partigiane, il Comitato di agitazione del Piemonte, Lombardia e Liguria aveva
proclamato lo sciopero generale in tutta l'Italia occupata.
Ciò infliggeva al nemico uno dei più duri colpi, lo obbligava a spostare le sue
forze verso i grandi centri industriali, alleggeriva la pressione sulle unità
partigiane e soprattutto avrebbe ridato possente slancio ai lavoratori delle
città e delle campagne e alle formazioni provate dai combattimenti.
Lo sciopero generale preparato durante alcuni mesi di lavoro, riuscì in modo
grandioso e superiore ad ogni aspettativa, fu certamente il più vasto movimento
di massa che abbia avuto luogo in Europa durante la guerra, nei territori
occupati dai tedeschi (1).
I grandi centri industriali di Milano e Torino furono per otto giorni
completamente paralizzati. A Milano durante tre giorni scioperarono compatti
anche i tranvieri, i postelegrafonici e gli operai del «Corriere della Sera».
Lo sciopero si estese dal Piemonte e dalla Lombardia al Veneto, alla Liguria,
all'Emilia ed alla Toscana. Due milioni di operai parteciparono al movimento
appoggiato da forti manifestazioni di contadini e di donne della campagna,
specialmente nell'Emilia.
Tutte le misure preventive e repressive della polizia fascista e delle SS non
riuscirono ad impedire, né a limitare lo sciopero, malgrado che il nemico ne
conoscesse la data e gli obiettivi. Con lo sciopero generale i lavoratori
chiedevano l'indispensabile per vivere, chiedevano di non lavorare per la guerra,
di poter essere liberi nelle loro case, di non essere fermati, arrestati,
deportati, torturati dai nazifascisti, chiedevano che i loro figli non fossero
arruolati dallo straniero.
Ancora una volta i grandi industriali si dimostrarono in generale solidali con
gli occupanti tedeschi; salvo casi singoli si rifiutarono di trattare e di
ricevere le delegazioni operaie, arrivarono persino a passare ai tedeschi le
liste degli operai scioperanti compiendo a fondo l'opera di aperto tradimento
della nazione in guerra.
Anche se nessuna delle rivendicazioni economiche che erano alla base dello
sciopero rivendicativo-politico venne ottenuta, anche se gli operai dovettero
riprendere il lavoro con le paghe di prima, lo sciopero segnò un grande
successo per i lavoratori ed una dura sconfitta per i fascisti.
La macchina di guerra nazista ricevette un serio colpo, per una settimana la
produzione bellica in tutta l'Italia del nord venne arrestata.
Gli scioperi del marzo del 1943 avevano segnato l'approssimarsi della fine del
fascismo, lo sciopero generale del 1-8 marzo 1944 significò un grande balzo in
avanti verso l'insurrezione generale, una battaglia vinta contro le forze
fasciste-hitleriane (2).
Durante lo sciopero generale si ebbe una magnifica prova di unità e di
solidarietà di tutte le forze patriottiche raggruppate attorno ai Comitati di
liberazione nazionale ed in modo particolare da parte delle classi lavoratrici.
Tale unità non fu certo realizzata senza contrasti, tant'è vero che lo sciopero
generale già fissato per la metà di febbraio dovette esser rinviato. In seno al
CLNAI sostennero la decisa volontà dei Comitati di Agitazione e dei comunisti
specialmente il Partito d'azione e il PSI. Ma non furono poche le resistenze
che si dovettero superare.
In ogni regione, i gappisti ed i partigiani appoggiarono il grandioso movimento
operaio con audaci azioni contro i tedeschi ed i fascisti (3).
A Torino i partigiani ed i gappisti organizzarono numerosi atti di sabotaggio,
fermarono vetture tranviarie, interruppero linee elettriche e telefoniche.
In provincia di Cuneo e nelle Valli di Lanzo, ove opera la brigata
«Garibaldi-Cuneo», tutti i treni che dalle valli alpine scendono verso Torino
sono fermati dai partigiani, che prelevano fascisti e tedeschi e li fanno
prigionieri.
Il l° marzo distaccamenti garibaldini, bloccata la linea ferroviaria
Ceva-Ormea, procedono dopo un violento conflitto con un distaccamento di
repubblichini all'occupazione di Ceva.
Entrati in città, i partigiani danno l'assalto al municipio, dove è
asserragliato un reparto tedesco, e lo costringono alla resa. Alle ore tredici
i partigiani occupano la stazione ferroviaria, fanno prigionieri altri tedeschi
e fascisti e si impossessano di numerose casse di bombe e armi trovate nei
depositi. Alle tredici e trenta riprendono l'attacco assaltando la caserma dei
carabinieri, che si arrendono senza opporre resistenza.
Alle quattordici e trenta l'azione è terminata ed i partigiani, centocinquanta
in tutto, dopo aver requisito camion e macchine su cui caricano le armi e le
munizioni conquistate, partono inneggiando all'Italia.
A Milano le squadre gappiste interrompono a più riprese durante la settimana di
sciopero le linee tranviarie e ferroviarie, tagliano i fili della corrente
elettrica, abbattono piloni, asportano tratti di binario, attaccano con le armi
pattuglie di militi repubblichini e di tedeschi uccidendone una dozzina e
ferendone un gran numero.
Tanto nel Veneto che nell'Emilia e nella Toscana le linee ferroviarie
principali e secondarie sono interrotte in più punti, a Prato Toscana un treno
carico di esplosivi è fatto saltare.
Poiché nel Biellese, nella Valsesia e nell'Ossola la presenza di forti
formazioni partigiane avrebbe assicurato la completa riuscita dello sciopero
generale, gli operai prima che lo sciopero fosse dichiarato vennero messi «in
ferie».
In alcune località come a Grignasco, a Gattinara, a Varallo, a Borgosesia, ad
Omegna, a Novara e a Vercelli dove gli operai non erano stati messi in vacanza
lo sciopero riuscì completamente.
A Novara città, un tentativo di reazione fascista si ebbe alle officine
meccaniche Sant'Andrea dove intervenne un gruppo della «Muti» ed il fascista
Belloni tentò di arringare gli operai. L'energico comportamento dei lavoratori
impedì al gerarca di parlare e costrinse i fascisti ad allontanarsi.
Nell'interno di molti stabilimenti e nelle strade ad essi adiacenti avevano
luogo comizi volanti tenuti in molti casi da oratori improvvisati ed anche da
partigiani.
La partecipazione dei garibaldini alla lotta generale degli operai suscitava
grande entusiasmo tra i lavoratori.
Moscatelli tenne un comizio alle maestranze della Elli Zerboni (una fabbrica
torinese sfollata a Varallo); quando finì di parlare tutti i quattrocento operai
chiesero di essere arruolati in massa nelle formazioni, e non fu facile
convincerli che dovevano considerarsi, nella fabbrica,come partigiani
combattenti.
L'organizzazione delle SAP trovava un terreno fertilissimo nelle città e
particolarmente tra gli operai.
Eravamo quasi al termine del primo terribile inverno di guerra. Lo sciopero
generale dava ai partigiani duramente provati dalle fatiche e dalle privazioni
imposte dalla rigida stagione la testimonianza che essi non erano soli nella
lotta.
La grande maggioranza dei giovani combattenti nelle formazioni, allo stesso
modo di quelli che lavoravano nelle fabbriche, conoscevano per la prima volta
il valore di questa arma potente: lo sciopero generale; conoscevano per la
prima volta la grande forza dell'unità della classe operaia.
Durante tutto il 1944 e sino al momento dell'insurrezione di aprile la fabbrica
fu il fulcro della lotta contro i tedeschi e i fascisti, le agitazioni degli
operai appoggiarono le azioni partigiane e queste a loro volta contribuirono a
rendere più facile il successo delle rivendicazioni dei lavoratori. Non solo le
formazioni garibaldine diedero sempre il loro appoggio agli operai durante gli
scioperi, ma intervennero spesso direttamente presso gli industriali in favore
dei lavoratori per chiedere il rispetto dei contratti, degli orari di lavoro,
il riconoscimento delle commissioni interne.
Il generale Cadorna, nel suo libro La Riscossa (4), pubblica un rapporto certamente stilato da qualche
tirapiedi di un grande industriale, nel quale l'anticomunismo sprizza da ogni
riga, tuttavia tolte le esagerazioni, esso conferma lo stretto legame che vi fu
sempre tra le azioni dei partigiani e la lotta degli operai.
«Tutti i capi delle formazioni garibaldine sono comunisti: la loro propaganda
fra gli operai e i salariati in genere è molto attiva, cercano di accattivarsi
l'animo della popolazione mostrandosi quali paladini della classe operaia,
estorcendo dagli industriali con la minaccia delle armi contratti di lavoro sproporzionatamente
favorevoli con condizioni tali da impedire il normale andamento dell'industria.
Con tutto questo forzano la mano dei CLN i quali sono costretti a ratificare il
fatto compiuto».
In realtà le formazioni garibaldine intervennero sempre soltanto per appoggiare
le giuste rivendicazioni dei lavoratori, per impedire - quando questo era
possibile - che la produzione fosse consegnata ai tedeschi, operando in modo
energico nei confronti di quegli industriali che collaboravano col nemico.
Numerosi documenti stanno a testimoniare come l'intervento dei partigiani
contro società e singoli industriali fosse motivato da fini altamente
patriottici: agire contro coloro che con ordinanze all'interno delle fabbriche
tradivano la patria.
Note
1) Cfr. Leo Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, «Nuova
Italia », p. 154: «I comunisti sono ottimisti al punto da ritenere possibile
l'organizzazione di un grande sciopero generale in tutte tre le regioni
industriali: Piemonte, Lombardia, Liguria. Ne avrò altri dettagli a Milano dove
devono trovarsi Longo e Secchia al centro di tutto il movimento proletario».
2) Cfr. Joseph John Marus (Candidus), Radio Londra, 20 marzo
1944: «Gli scioperi avvenuti nell'Italia Settentrionale dal primo all'otto
Marzo, organizzati, condotti, conclusi con una precisione, una disciplina e un
coraggio finora mai visti in tutta l'Europa occupata, hanno avuto nella stampa
internazionale il riconoscimento che meritano. Ora che sono giunti dall'Italia
più precisi particolari sulla natura, l'andamento e la portata del moto, i
giornali non esitano a definirlo come il più coraggioso sciopero che si
ricordi, data l'eccezionalità delle condizioni e le difficoltà e i pericoli in
mezzo ai quali si è svolto ».
3) Cfr. P. Greco, Cronaca del C.L.N. Piemontese, Istituto
Storico della Resistenza, Torino, p. 119: «Crescente sviluppo ed espansione
delle formazioni garibaldine specialmente per opera di Colajanni (Barbato) e
Moscatelli. Intensa loro attività di guerriglia e sabotaggio; 1-15 Marzo 1944».
4) R. Cadorna, La Riscossa, Rizzoli, Milano.