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da Secchia (1963), Aldo dice: 26x1, Cronistoria del 25 aprile 1945, Feltrinelli, Milano, 1973, pp. 7-19
trascrizione e conversione in html a cura del CCDP



Secchia

Le quattro giornate di Napoli


Ai popolani di Napoli che nelle tre oneste giornate del luglio MDXLVII, laceri, male armati e soli d'Italia francamente pugnando nelle vie, dalle case contro le migliori armate d'Europa tennero da sé lontano l'obbrobrio della Inquisizione Spagnola imposta da un imperatore tedesco e da un paggio italiano.

Questa iscrizione scolpita su di una lapide posta sulla facciata della Certosa di S. Martino a Napoli, a ricordo d'una sollevazione della città contro lo straniero, avvenuta quasi cinque secoli or sono, colpisce per le sue parole che potrebbero ben adattarsi alla rievocazione delle quattro giornate dell'ottobre 1943.

Esse hanno avuto degni e gloriosi precedenti storici nella rivolta del 1547 contro i tedeschi che volevano introdurvi l'Inquisizione di Spagna; nella sollevazione del 1647 guidata dal pescatore Masaniello e infine nella rivolta contro i Borboni del 1799.

Quando si parla dell'insurrezione dell'aprile 1945 ci si riferisce alle battaglie finali di Genova, Milano, Torino, Venezia, Padova, Trieste, all'esplosione popolare dell'Alta Italia concomitante con l'offensiva della VIIIa e Va Armate alleate.
Non si può tuttavia fare la storia delle insurrezioni delle città italiane durante la Resistenza, senza parlare di Napoli e di Firenze, soltanto perché qui la rivolta divampò parecchi mesi prima e fu oltretutto stimolo ed esempio.

L'insurrezione di Napoli esigerebbe anzi uno studio particolare (1) poiché è uno dei rari esempi di un grande moto di popolo "spontaneo" conclusosi vittoriosamente. Forse una delle migliori dimostrazioni di quanto sia errato credere che l'insurrezione sia oggi resa impossibile dalle armi moderne; la loro efficacia è fuori discussione, ma hanno bisogno di ampio spazio per essere usate e possono venire immobilizzate da uomini ardimentosi con mezzi alla portata di tutti. L'insurrezione, come la guerra, continua a poggiare innanzi tutto sugli uomini, sulla loro coscienza, sul loro morale prima ancora che sulle armi, anche se evidentemente l'ardimento da solo non è sufficiente a battere un nemico potente.

Quello di Napoli è un caso più unico che raro di una insurrezione di popolo scoppiata e condotta senza uno studio preliminare, un piano militare, senza una preparazione organizzata ed è la prova di quanto sia difficile per un nemico, che pur dispone di grandi mezzi, aver ragione di una città di oltre un milione di abitanti in rivolta.

Condizioni particolari favorirono, naturalmente, anzi provocarono la sommossa e resero possibile la sua conclusione vittoriosa. I precedenti storici cui abbiamo accennato testimoniano della presenza di elementi particolari, caratteristici (che non è il caso qui di analizzare) di una città dove numerosa popolazione ammucchiata in quartieri malsani, in condizioni di indigenza e di miseria quasi disperate, è suscettibile di essere spinta alla lotta estrema per il diritto a sopravvivere.

Il 1° settembre 1943 Napoli pativa l'ultimo grande bombardamento, era il 105° nel corso della guerra. Nei precedenti attacchi aerei Napoli aveva avuto 22 mila morti, decine di migliaia di feriti, di mutilati e di dispersi tra la popolazione civile oltre a centomila appartamenti distrutti.

L'alto numero delle vittime derivava dal fatto che una parte dei bombardamenti era avvenuta di sorpresa, senza che la popolazione fosse messa in allarme ed avesse avuto il tempo di correre nei rifugi. L'isola di Ventotene indicava la rotta per Roma e per Napoli ai bombardieri inglesi e americani, spesso aiutati di notte dai bagliori del Vesuvio in eruzione.

L'armistizio piombò su di una Napoli in rovine, semiparalizzata, con l'acqua razionata, i viveri ridotti al minimo, insufficienti per tutta la popolazione, in parte affamata e disoccupata, che trascorreva il maggior tempo nelle grotte e nei rifugi.

L'8 settembre nelle stesse ore in cui veniva annunciato l'armistizio, gli americani sbarcavano a Salerno a poco più di 50 chilometri da Napoli; il tuonar del cannone annunciava imminente la liberazione. Fu questo un elemento che favori la resistenza e senza dubbio contribuì a creare il clima della rivolta.

Anche qui, come nelle altre città, all'8 settembre le autorità militari non presero alcuna iniziativa per preparare un'efficace resistenza alle truppe tedesche, si rifiutarono di consegnare le armi ai napoletani che a mezzo dei rappresentanti i partiti antifascisti le chiedevano per organizzare la difesa, né seppero dare a quei comandi subalterni che le cercavano, delle direttive serie. Incredibile la risposta data dal Comandante la difesa territoriale di Napoli, generale Del Tetto al colonnello Barberini comandante del 2° reggimento artiglieria acquartierato nella caserma Scandigliano:
"Cercate di tergiversare, non irritate i tedeschi e trattate bene gli inglesi che stanno per arrivare". (2)

Malgrado quest'insipienza che rasentava il tradimento, da parte degli alti comandi, l'occupazione tedesca della città non avvenne pacificamente. Il 10 e 1'11 settembre soldati e ufficiali italiani assieme a popolani resistettero tenacemente in alcuni fortilizi, costringendo il nemico a conquistare con le armi alcune caserme e la centrale telefonica.

I tedeschi erano ancora indecisi sul da farsi, temevano la rapida avanzata degli Alleati sbarcati a Salerno e, mentre cercavano di disarmare le truppe italiane, si preparavano ad abbandonare la città dandosi al saccheggio dei negozi. Numerosi furono gli episodi di resistenza. In via S. Brigida un carabiniere ed un gruppo di cittadini riuscirono a catturare alcuni militari tedeschi; il combattimento accesosi all'angolo di palazzo Salerno si allarga e raggiunge l'imbocco del tunnel della Vittoria ove sono parcheggiate diverse macchine nemiche. I tedeschi che si trovano nel palazzo reale sono fatti prigionieri; a piazza Plebiscito la battaglia si protrae per due ore, conflitti scoppiano anche in via Foria, a Porta Capuana, a piazza Umberto, in via Duomo, in via Chiaia, alla caserma Metropolitana, nel quartiere Vicaria. Uomini, donne, ragazzi, soldati e marinai danno prova in cento episodi di audacia e patriottismo.

Il 12 settembre i tedeschi decidono di sospendere i preparativi per la ritirata e di instaurare col terrore il loro pieno dominio sulla città. I contingenti della Va Armata sbarcati a Salerno l'8 settembre, erano riusciti si, a costituire una testa di ponte, ma non avevano colto di sorpresa i tedeschi che fecero affluire rapidamente delle formazioni corazzate per impedire la loro avanzata. Le unità alleate s'erano mosse lungo la strada turistica che da Salerno, Vietri, Cava dei Tirreni porta sino a Napoli; ma ai margini dell'Agro Nocerino erano state bloccate dalle forze tedesche e investite da una tempesta di fuoco e quindi costrette a retrocedere.

Il Comando tedesco pensò addirittura di riuscire a cacciare a mare gli americani e obbligarli a rimbarcarsi, comunque non doveva più temere una minaccia immediata su Napoli.

Un corriere da Berlino portò al comandante tedesco Scholl l'ordine di non lasciare la città e in caso di avanzata degli Alleati di non abbandonarla prima di averla ridotta "in cenere e fango". Nel pomeriggio del giorno stesso, il colonnello faceva avanzare una colonna motorizzata che, proveniente da Capodichino, penetrò in città sparando a zero sulle case e lungo le strade. L'ordine era di annientare gli ultimi caposaldi della resistenza italiana distruggendo, per rappresaglia, case e quartieri dove i patrioti si erano battuti.

Dopo alcuni minuti di bombardamento a scopo terroristico, gli unni penetrarono nelle case e cominciarono l'opera di saccheggio, di violenze e di distruzione. Gli abitanti venivano cacciati fuori, spogliati di ogni loro avere, incolonnati e costretti ad assistere all'incendio delle loro abitazioni. (3)

Anche l'Università venne invasa e incendiata, distrutti migliaia di volumi. L'obbiettivo non era scelto a caso, i tedeschi sapevano che dopo il 25 luglio l'Università era divenuta uno dei centri di raccolta dell'antifascismo. Il professor Adolfo Omodeo il l° settembre, all'inaugurazione dell'anno accademico, aveva indirizzato agli studenti un appello nel quale tra l'altro era detto: "Studenti, in questo momento amaro, l'Università vi apre le braccia, i vostri maestri sono della generazione del Carso e del Piave." (4)

Mentre l'opera vandalica si estendeva ai vicoli circostanti, altri reparti tedeschi saccheggiavano la caserma Zanzur che resisteva ancora, attaccavano le batterie contraeree italiane e la caserma dei carabinieri Pastrengo che furono sopraffatte dalle forze soverchianti. Particolarmente aspro fu il combattimento, impegnato dai tedeschi, contro il 21° Centro di avvistamento arroccato al Castel dell'Ovo. Gli artiglieri e i marinai italiani si difesero sino all'ultimo; i tedeschi furono costretti ad espugnare il forte con i cannoncini dei carri armati. Tratti prigionieri gli ultimi difensori, otto marinai e soldati furono fucilati di fronte al palazzo dell'Ammiragliato.

Domenica di sangue per i napoletani il 12 settembre ed anche il lunedì, nelle due giornate furono uccisi per le strade della città decine di militari italiani, 27 civili e 185 persone ricoverate negli ospedali. Oltre quattromila tra militari e cittadini vennero tratti prigionieri e immediatamente portati alla stazione per essere avviati alla deportazione ed al lavoro obbligatorio.

Il 13 settembre veniva pubblicato il drastico proclama emanato il giorno prima dal Comando tedesco: (5)
1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.
2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell'autore verranno distrutti e ridotti a rovine.
Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte.
3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino.
4. Esiste lo stato d'assedio.
5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un'arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche. [Erano indicate le località]
6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile.
Napoli, 12 settembre 1943 firmato SCHOLL Colonnello

Le "già eseguite rappresaglie" di cui parlava il manifesto erano la somma dei feroci delitti compiuti dai tedeschi nel pomeriggio della domenica di sangue.

Il proclama non ebbe alcun risultato, le armi non furono consegnate, neppure quando i tedeschi prorogarono il termine della consegna.
Dal 13 sino al 27 settembre la città, come nave assaltata dai pirati, restò in balia dei tedeschi che continuarono metodicamente il saccheggio dei negozi, dei magazzini, la distruzione degli impianti tecnici-industriali e di tutto ciò che non riuscivano a portar via. Il loro scopo era quello di fare trovare agli Alleati avanzanti da Salerno una città ridotta ad un ammasso di rovine, priva di risorse, di depositi, di viveri.

Per i napoletani che difendevano le loro case, i loro averi, il diritto all'esistenza, furono 15 giorni di martirio, di violenze feroci, di fucilazioni. Non vi fu giorno che non fosse segnato da scontri e conflitti con i tedeschi, ogni quartiere ebbe il suo episodio di eroismo, ogni casa la sua croce.

Ma il terrorismo tedesco anziché il panico, provocava la ribellione. L'odio si accumulava, la rivolta covava e saliva di ora in ora. L'istinto di conservazione aveva il sopravvento; spinti dalla disperazione, posti a scegliere tra la vita e la morte, i napoletani sceglievano il combattimento per la vita.

Quando si parla di insurrezione "spontanea" di Napoli, occorre dare alla parola un significato relativo. Spontanea in quanto non vi fu un'accurata preparazione, un piano concreto, degli obbiettivi precisi da parte degli insorti e neppure una direzione coordinatrice ed un comando unico. Ma la rivolta non piovve dal cielo improvvisa come un temporale d'estate, si sviluppò su di un terreno che era stato preparato durante vent'anni. Napoli era una delle città italiane dove l'antifascismo aveva dimostrato la sua vitalità sia nell'ambiente intellettuale che in quello della classe operaia.

Benedetto Croce, Adolfo Omodeo, Arturo Labriola, Roberto Bracco, Roberto Marvasi, Emilio Scaglione ed altri, sia pure in modo diverso e non sempre conseguente, erano rimasti durante il periodo della dittatura, antifascisti, non si erano piegati né alle lusinghe, né alle minacce, mentre l'opposizione comunista non era rimasta in "attesa che la bufera passasse", ma aveva sviluppato attivamente la lotta nelle fabbriche e tra i lavoratori per opera soprattutto di Emilio Sereni, Giorgio Amendola, Manlio Rossi Doria, Eugenio Reale, Ciro Picardi, Salvatore Cacciapuoti, Valentino Ventura e molti altri.

Seppure talvolta con lunghi periodi di interruzione, la stampa clandestina era stata diffusa nelle officine e nei quartieri operai dal 1927 in poi. 65 i napoletani condannati dal Tribunale speciale e centinaia i confinati (6). Un periodico clandestino dal titolo: Il Proletario organo dei lavoratori comunisti veniva diffuso sin dal gennaio 1943, il n° 10 del 24 giugno aveva dato notizia di agitazioni operaie alla Navalmeccanica.

Il 25 luglio, come negli altri centri italiani, aveva impresso una forte spinta alla ripresa dell'attività aperta dei partiti antifascisti, confinati e carcerati tornati in libertà si misero subito in movimento. Anche a Napoli era stato costituito il Comitato unitario del Fronte di Liberazione nazionale.

All'8 settembre, molti ex prigionieri alleati e militari italiani, per sfuggire alla cattura dei tedeschi, si erano nascosti nei diversi quartieri della città e della periferia. Soltanto nei pressi della casa di Emilia Scivoloni in via Nuova Camaldoli ve n'erano nascosti nelle grotte più di un centinaio (7). Altri si trovavano a Ponticelli, a S. Martino, a Mergellina. Il 21 settembre i tedeschi affissero un'ordinanza con la quale promettevano mille lire ed una quantità di prodotti alimentari a chi avesse consegnato alle autorità un prigioniero alleato. Il pane mancava, la fame era molta, ma non risulta che un solo prigioniero sia stato denunciato o consegnato nelle mani del nemico (8).

Una parte degli ex prigionieri e dei militari italiani datisi alla macchia erano armati e nelle giornate che precedettero l'insurrezione vennero organizzati dagli antifascisti e dai patrioti dei depositi di armi. Sin dal 15 settembre a Poggioreale una certa quantità di armi e munizioni venne sottratta dalla fabbrica Mira Lanza ove era accasermato un reparto d'aviazione italiano, e nascosta nello scantinato di un palazzo al Vasto. Altre armi vennero prelevate con complicità e stratagemmi diversi dai depositi delle Fontanelle e delle zone del Vomero.

Infine non si può dimenticare che gli Alleati erano a poco più di 40 chilometri dalla città e mentre la Va Armata avanzava, sia pure lentamente, da Salerno, l'VIIIa Armata inglese proveniente dalle Calabrie, puntava anch'essa su Napoli. Non pochi, in tale situazione, erano gli ascoltatori di Radio Bari e della radio inglese che incitavano i cittadini ad insorgere con le armi contro i tedeschi.

La città sconvolta era alla fame, il gas non c'era più, l'acqua mancava, per dissetarsi i cittadini dovevano ricorrere a pozzi sporchi e infetti od arrivare sino alla periferia; sotto le macerie e per le strade giacevano i cadaveri insepolti. Le malattie aumentavano, l'epidemia minacciava.
"Mosche e zanzare a nuvole paurose costituivano il tramite di immancabili infezioni mentre per le strade grosse e piccole il nauseabondo lezzo ossessionava in tutte le ore i passanti" (9).

Il 24 settembre il Comando tedesco ordinava lo sgombero di tutte le zone della città e della provincia nell'ambito di 300 metri lungo la fascia costiera del litorale. Dicevano di voler organizzare una "zona militare di sicurezza", assai più probabilmente i tedeschi volevano avere dello spazio libero per predisporre le opere di mina e devastazione prima di abbandonare la città; comunque era evidente che gli Alleati stavano avanzando. L'ordine di sgombero colpiva oltre 100 mila persone che in poche ore dovettero sloggiare, abbandonando quasi tutto, trasportando poche masserizie nei ricoveri, nelle grotte, nei sottoscala.

La goccia che fece traboccare il vaso fu l'ordine "per il servizio obbligatorio al lavoro nazionale" emanato dal prefetto Soprano in esecuzione della decisione di Kesserling di deportare i lavoratori in Germania. I primi contingenti di giovani avrebbero dovuto presentarsi il 25, ma i posti di raccolta restarono deserti. Il Comando tedesco inferocito fece affiggere sui muri della città e pubblicare sul giornale un avviso col quale apertamente si minacciava l'immediata fucilazione di coloro che non si fossero immediatamente presentati.

Al decreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno corrisposto in quattro sezioni della città complessivamente 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone. Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle forze armate germaniche e del Ministero dell'interno italiano. Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati.
Il Comandante di Napoli
(10)

Quest'ordine bestiale di fucilare sul posto coloro che non si erano presentati il giorno prima, gravissimo errore da parte dell'occupante, giocò a favore dell'insurrezione perché i giovani che dovevano essere "mobilitati" per il lavoro obbligatorio in Germania, furono spinti a "mobilitarsi" per difendere la loro vita. Il Comando tedesco aveva fornito così i combattenti per l'insurrezione patriottica.

All'indomani, proprio com'era stato annunciato dal manifesto, i tedeschi come orde infuriate, invadevano la case, fermavano i tram, bloccavano le strade, razziavano gli uomini, vecchi, giovani, persino ragazzi, fucilavano sul posto chi tentava il minimo gesto di resistenza o veniva trovato in possesso di un'arma.

L'odio contro l'invasore era al colmo, la popolazione sapeva che gli Alleati avevano già occupato Capri, Procida, Ischia, si accrebbe in tutti la decisione di lottare, di combattere piuttosto di lasciarsi deportare in Germania. La caldaia era in ebollizione, stava per scoppiare.

Una ventina di ricoverati all'ospedale degli Incurabili, in maggioranza ex confinati politici che si trovavano colà per malattia, si riunirono, discussero il da farsi e decisero: "domani ci armiamo e scendiamo in strada". In quei giorni erano riusciti a procurarsi ed a nascondere nelle cantine dell'ospedale e nelle casse della sala mortuaria, 3 mitragliatrici, alcune decine di fucili, cassette di proiettili e centinaia di bombe a mano.

Alla sera del 27 alcune navi apparvero all'orizzonte, si credette trattarsi di un imminente sbarco degli Alleati. Impresa impossibile poiché il porto era notoriamente sbarrato da estesi cordoni di mine, ma nelle ore in cui la confusione, l'indignazione, la misura erano al colmo, ogni luce all'orizzonte appariva come un'ancora di salvezza, si immaginavano cose che un minuto soltanto di riflessione sarebbe stato sufficiente a considerarle irreali.

Non si sa chi lanciò il grido, chi lanciò il sasso, quale quartiere per primo fece cantare la mitraglia innalzando la bandiera della rivolta. Già nella sera e nella notte del 27 soldati tedeschi in diversi punti della città vennero attaccati, uccisi o fatti prigionieri. A S. Elmo, al distretto di Foria, a S. Giovanni a Carbonara, al Vasto giovani patrioti penetravano nelle caserme e conquistavano armi e munizioni. Carabinieri, agenti di polizia, operai e intellettuali, donne del popolo, artigiani, tutti uniti assaltavano i depositi di armi e munizioni in diversi punti della città. Delle armi vennero fornite persino dal convento delle monache di via Conte della Cerra e dall'Albergo dei poveri di piazza Carlo III.

Durante la notte si sparse la notizia che gli inglesi sbarcati a Pozzuoli e a Bagnoli, stavano arrivando, al mattino del 28 la lotta infuriava in tutti i quartieri, dai tetti delle case, dalle finestre, dai muraglioni si sparava sui tedeschi; questi sin dalle prime ore del mattino avevano smesso di invadere le case per effettuare i rastrellamenti, ma da piazza Dante una colonna di tedeschi stavano spingendo alcune migliaia di giovani catturati. Gruppi di insorti non poterono intervenire immediatamente per la forte superiorità dei nazisti, ma i giovani sarebbero stati presto liberati dalla rivolta che si estendeva con la rapidità d'un incendio.

Si combatte nella zona Ferrovia-Vasto, a S. Giovanni Carbonara, sulla collina del Vomero, a Stella, a Materdei, al Rettifilo, a Foria, a Monteoliveto. Le sparatorie improvvise che si accendono e si spengono rapidamente testimoniano che si tratta di azioni sporadiche, non inquadrate, di iniziative "spontanee", ma via via gli scoppi si fanno più frequenti, i colpi si susseguono gli uni agli altri, i parabellum sgranano in continuità.

Giovani, militari e ufficiali, ex prigionieri, patrioti ed antifascisti rimasti nascosti, sino a poche ore prima, uscivano dagli scantinati, dalle grotte, dai vicoli e armati scendevano a gruppi nel centro dei quartieri e della città. Particolarmente aspra la lotta alla Speranzella, in via Poveri Bisognosi. I tram vengono rovesciati per impedire il passaggio ai carri armati tedeschi, barricate vengono erette in via Duomo, a porta S. Gennaro e nei vicoli che sboccano al rettifilo.

I tedeschi tentano un'azione in forza per reprimere l'insurrezione. Unità motorizzate situate al campo sportivo al Vomero fanno una sortita, riescono ad avere un provvisorio sopravvento in alcuni punti e catturano 47 cittadini che rinchiudono nel campo sportivo coll'evidente intenzione di servirsene come ostaggi.

Le macchine tedesche sembrano impazzite, sfuggendo ad un gruppo di insorti incappano in un altro, i carri armati imboccano una strada e se la trovano improvvisamente ostruita da una barricata, in altri punti vengono immobilizzati da arditi attaccanti, le bottiglie "Molotov" dimostrano la loro efficacia. La lotta continua seppure senza un'unica direzione, ma estesa e dilagante come lava inarrestabile per tutta la giornata.

Verso sera la battaglia si fa più serrata ed organizzata, non è più la caccia al tedesco o alle pattuglie nemiche isolate, si organizzano gli attacchi ai loro fortilizi, alle loro caserme. Gli insorti dispongono ormai non soltanto di mitragliatrici; ma di cannoni e carri armati.

I tedeschi continuano a battersi perché vogliono lasciarsi aperta la via alla ritirata, essere padroni delle arterie principali e continuare nell'opera di distruzione degli impianti industriali della città.
La prima giornata si chiude con successo per gli insorti che all'indomani, 29 settembre, vedono accresciuto il loro numero. Al Vomero la direzione politico-militare viene assunta dal professor Antonino Tarsia. Un altro comando in via Salvator Rosa ha alla sua testa il ten. colonnello Bonomi. La città bassa invece continua ad essere priva di un Comando militare unico e di una direzione coordinata.

I tedeschi tentano ancora di scendere da Capodichino e da Capodimonte, con un frastuono infernale di carri armati che vomitano rabbiose sventagliate di mitraglia. "Il loro fuoco", scrive uno dei combattenti, "era semplicemente terrorizzante. Dalla parte alta della discesa di S. Teresa, sebbene sottoposti a tempestose scariche di mitragliatrici e di fucili, essi tirarono a spazzare d'infilata la rampa di S. Polito, che dovette essere sgomberata da quasi tutti gli armati, salvo pochi animosi eroi. Giunti i Tigre allo sbarramento tranviario, trovandolo davvero ostacolato, manifestarono la loro rabbia con un inutile mitragliamento delle vetture." (11)

Si combatte nei diversi quartieri per tutta la giornata facendo fronte ai ripetuti tentativi dei carri armati tedeschi che vogliono scendere in città con l'obiettivo, non più ormai di domare la rivolta, ma di liberare i loro camerati fatti prigionieri dai patrioti. Questi intanto assediavano il nemico al campo sportivo del Vomero. Gli assediati mancavano di acqua e cominciavano a scarseggiare di munizioni. Anche la situazione degli assedianti peraltro era tutt'altro che facile.

Le trattative per la resa iniziate nel pomeriggio si conclusero abbastanza rapidamente per l'annuncio dell'imminente arrivo degli Alleati. Il comandante tedesco della città col. Scholl chiese di aver libero il passaggio per sé ed i suoi uomini, promettendo in cambio il rilascio degli ostaggi che ancora erano prigionieri al campo sportivo.
Vennero liberati nella notte e alle 5 del mattino il colonnello Scholl, sconfitto ed umiliato, transitava per via Roma dirigendosi al Nord. La città era finalmente libera e salva per opera dei patrioti, del popolo e degli antifascisti.

Gli ultimi nidi di resistenza di gruppi fascisti che s'erano dati alla lotta disperata del "cecchinaggio" vennero sbaragliati nella giornata del 30. Si combatte ancora a Porta Capuana dove un nucleo di fascisti asserragliato nella torre non vuole arrendersi e rende impraticabile la zona con sventagliate di mitraglia; il combattimento dura sino a sera anche alla Pigna dove i tedeschi sfogano la loro impotenza sulla popolazione del quartiere. Dalle alture di Capodimonte all'alba del l° ottobre il cannone teutonico tuonava ancora concentrando il suo tiro sulla zona che da piazza Mazzini si stende per via Foria, via Costantinopoli sino a Port'Alba; ma alle 11 del mattino i primi reparti delle unità anglo-americane fanno il loro ingresso in città e pongono rapidamente fine all'opera criminale di un nemico che inutilmente sfogava la sua bestialità cannoneggiando la popolazione inerme.

I combattenti nelle quattro giornate di Napoli, secondo la Commissione ministeriale per il riconoscimento partigiano furono 1589, 155 i morti e alcune centinaia i feriti, mutilati ed invalidi; ma in base alla relazione del sacerdote patriota Antonio Bellucci, "gli uccisi dai tedeschi - come risulta dal registro del cimitero di Poggioreale - fra militari, civili, uomini e donne di ogni età furono 562" (12).

Si distinsero durante le quattro giornate, assieme agli altri combattenti, gli "scugnizzi", ragazzi che non si riparavano dai colpi e andavano all'attacco spavaldamente come cavalieri antichi. Rifulse il loro eroismo in azioni temerarie, autentiche pazzie, compiute senza misurare il rischio pur di battere il nemico. Smentirono con la loro audacia e lo spirito di sacrificio le vecchie calunnie che indicavano Napoli come un centro di corruzione; perché un paese sia sano non è sufficiente possegga degli uomini onesti, è necessario che questi siano più audaci e più intraprendenti delle canaglie. Gli "scugnizzi" avevano dimostrato di esserlo. (13)

L'insurrezione di Napoli, anche se "spontanea," mancante di coordinamento e di una direzione che concentrando le forze sui punti decisivi e specialmente nella zona dov'erano situati i comandi tedeschi, avrebbe potuto rendere più rapido e meno sanguinoso il successo, segnava una grande vittoria dei patrioti di Napoli e della Resistenza italiana.

Il successo immediato dell'insurrezione consisteva nell'aver impedito che la città, secondo le disposizioni di Hitler, fosse ridotta "in cenere e fango", nell'aver ostacolato la manovra dei tedeschi che costretti a ripiegare sotto l'incalzare dei patrioti e delle unità alleate, non poterono riversare la loro furia devastatrice sulle altre zone poste lungo il cammino obbligato della loro ritirata.


Ancora più grande era il risultato politico e morale della vittoria, perché essa dimostrava che un popolo minacciato nella sua esistenza può insorgere con successo usando tutto ciò che esso ha, uomini e cose, tutte le armi di cui dispone lasciando agli strateghi la cura di teorizzare sulle sapienti manovre e sui mezzi indispensabili per affrontare un esercito moderno.

Dalla vittoria di Napoli, la Resistenza italiana traeva esempio e conferma della possibilità di condurre la guerra partigiana e di concluderla in concomitanza con le offensive decisive alleate, con l'insurrezione vittoriosa nelle grandi città.

Note

1) Esistono già alcuni saggi sulle quattro giornate di Napoli: Corrado  Barbagallo, Napoli contro il terrore nazista, Casa ed. Maone, Napoli; G. G. Schettini, Le barricate di Napoli, Tipografia Artigianelli, Napoli, 1943; Antonino Tarsia In Curia, La verità sulle quattro giornate di Napoli, 1950; Aldo De Jaco, La città insorge, Editori Riuniti, Roma, 1946; oltre a parecchie relazioni di comandanti, combattenti e testimoni delle quattro giornate, depositate nell'Archivio dell'Associazione Nazionale Combattenti di Napoli.

2) Dalla testimonianza del maggiore Gasparri che aveva accompagnato negli uffici del gen. Del Tetto il suo superiore. col. Barberini, comandante del Reggimento. Vedi C. Barbagallo, op. Cit.

3) "Gli abitanti, sotto il terrore delle mitragliatrici puntate verso di loro, raccolte le poche robe, che potevano salvare dalle fiamme, venivano costretti a sfilare davanti alle case incendiate. e spogliati d'ogni oggetto d'oro, nonché del portafogli. Scariche di mitraglia e l'ansimare rumoroso di carri armati, che di proposito passavano per la strada, accrescevano il terrore," dal racconto del testimone oculare Luigi De Rosa.

4) Aldo De Jaco, op. cit., p. 81; vedi anche la relazione del custode dell'Università di Napoli incendiata dai tedeschi, Napoli, editore Macchiaroli, 1944.

5) Vedi il quotidiano "Roma", lunedì 13 settembre 1943.

6) Tra gli altri erano stati condannati dal Tribunale speciale: Emilio Sereni, Manlio Rossi Doria, Vincenzo Catalano, Eugenio Reale, Salvatore Cacciapuoti, Gennaro Rippa, Carlo Rossi, Valentino Ventura.

7) Degna di menzione la generosità della massaia Emilia Scivoloni che per parecchi giorni alimentò con le sole sue forze ben cento militari italiani ed ex prigionieri alleati, rifugiati nelle grotte nei pressi di casa sua.

8) "Appello del Comando germanico - Nella città di Napoli e nei dintorni di Napoli si trovano tanto una certa quantità di prigionieri di guerra indiani, francesi, russi, e anglo-americani in libertà, quanto dei soldati nemici e agenti giunti a mezzo di paracadute o per mare e infiltratisi nell'interno del paese. Chiunque porta aiuto e alloggio ai suddetti verrà punito con le misure più severe, conformi alle leggi di guerra. A chi arresta tali prigionieri scappati, paracadutati, ecc., o a chi fornisce comunicazioni utili che portino all'arresto di essi verrà versata una ricompensa di lire mille e viveri. Mettersi in diretto contatto, al bisogno, col Comando germanico che ha sede al corso Vittorio Emanuele, Albergo Parco". Napoli, 21 settembre 1943.

9) Da una lettera aperta di un gruppo di cittadini "al primo cittadino" S. E. Solimene.

10) Dal quotidiano "Roma" del 15 settembre 1943.

11) Il comandante del rione Vomero era il prof. Antonino Tarsia, coadiuvato dai tenn. Aiello Santi e Aiello Giovanni, il comandante della Sezione Montecalvario era il capitano Mario Orbitello, il comandante del rione Vasto Tito Murolo, il comandante del rione Materdei il ten. col. Ermete Bonomi, il comandante del settore Duomo il capito medico Francesco Cibarelli e Amedeo Manzo. Il gruppo che operò nel rione Chiaia era comandato dal capito medico Stefano Fadda, il gruppo carabinieri combattenti alla sezione Avvocata era comandato dal ten. Carmine Muselli, il gruppo combattenti nel settore Vincenzo Cuoco dal magg. Francesco Amicarelli, quello della zona Museo dal magg. Salvatore Amato, quello di via Caracciolo a Posillipo dal ten. Alberto Agresti; i combattenti della zona Corso Garibaldi erano comandati da Gennaro Zegna, quelli di via S. Attanasio da Raffaele Viglione.

12) Dalla relazione del prof. A. Piergrossi pubblicata sul giornale, "La Barricata", n° 8, ottobre 1943. Il l° numero di detto giornale diretto dal prof. Alfredo Parente era uscito il 30 settembre quando ancora si combatteva.

13) Antonino Tarsia In Curia, op. cit.. Tra i caduti vi sono i giovanissimi Giuseppe Capuozzo, Filippo Illuminato, Pasquale Formisano decorati con medaglia d'oro alla memoria, Giuseppe Maenza e Giacomo Lettieri decorati con medaglia d'argento.
Un elenco parziale dei nomi dei caduti, feriti e combattenti è pubblicato nel saggio di G. G. Schettini. op. cit.. Venticinque relazioni di comandanti, combattenti e testimoni delle quattro giornate si trovano nell'Archivio dell'Associazione Nazionale Combattenti di Napoli e altre nella raccolta del prof. Corrado Barbagallo.