da
Secchia (1973), Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione,
Feltrinelli, Milano, 1975, pp.. 389-430
trascrizione e conversione in html a cura del CCDP
Secchia
La svolta di Salerno
La "svolta" di Salerno pur avendo rappresentato, per la rapidità ed
il modo in cui fu effettuata, una specie di colpo di fulmine che inceneriva il
passato, in realtà era il punto di arrivo di una lunga serie di tentativi, sino
a quel momento falliti, per arrivare ad una conclusione positiva.
Lo stesso Badoglio non era rimasto inattivo, tra lui ed i partiti non vi era il
muro del silenzio, ma si può dire un dialogo continuo teso a superare
l'ostacolo che impediva all'Italia di avere un governo autorevole, efficiente,
in grado di governare e di condurre la guerra contro i tedeschi.
I colloqui tra Badoglio ed i suoi fiduciari da una parte, ed i dirigenti del
movimento antifascista da Croce ad Arangio Ruiz dall'altra, si erano
susseguiti, arrestandosi di fronte allo scoglio della monarchia, un cadavere
che gli uni volevano tenere in piedi e gli altri seppellire.
Anche i comunisti si erano incontrati con Badoglio che li aveva invitati il 20
gennaio nella villa Taiani a Vietri sul Mare. Qui il maresciallo propose a
Velio Spano (allora si faceva chiamare Paolo
Tedeschi) e ad Eugenio Reale di entrare a far parte del suo ministero
sostenendo che la partecipazione dei comunisti, socialisti e democristiani era
indispensabile per dare autorità. Alla risposta che la cosa era realizzabile
solo a condizione che il re abdicasse, Badoglio replicò che ciò era impossibile
e le trattative furono interrotte.
I dirigenti comunisti, nell'Italia liberata, oltre a tenere conto delle
posizioni di tutti gli altri partiti antifascisti, dello stato di debolezza in
cui si trovava il Partito comunista nel meridione, del primitivismo alimentato
dai gruppi estremisti, partivano da una analisi della situazione italiana e internazionale sotto alcuni aspetti "ottimistica" e pertanto errata. A
tale analisi erano stati indotti, del resto, da taluni apprezzamenti espressi
dai rappresentanti delle Nazioni Unite in Italia, secondo i quali le decisioni
della Conferenza di Mosca sarebbero state rapidamente applicate.
Un lungo colloquio che Spano e Reale avevano avuto il 9 gennaio 1944 con i
componenti il Consiglio consultivo alleato in Italia li aveva rafforzati nel
loro giudizio. In particolare Macmillan e Visinskij avevano lasciato credere
con le loro parole, che una forte pressione delle masse popolari sarebbe stata
sufficiente ad eliminare dalla scena politica Vittorio Emanuele III e il
luogotenente, per dare vita ad un governo autorevole, atto a rafforzare lo sforzo di guerra
dell'Italia, a sviluppare la democrazia e a creare le condizioni favorevoli
alla soluzione della questione istituzionale, con la Costituente, dopo la fine
della guerra.
I dirigenti comunisti di Napoli commettevano senza dubbio un errore di
prospettiva nel valutare la situazione, ma si deve riconoscere che in quel
momento la loro partecipazione al governo, senza che la questione fosse stata
decisa da un regolare consesso del partito, senza l'autorevole presenza di
Palmiro Togliatti, con l'opposizione dichiarata del Partito socialista e del
Partito d'azione e con alcune organizzazioni comuniste fortemente orientate in
senso estremista, avrebbe potuto provocare una scissione sia all'interno del
partito, sia nel fronte unitario dei CLN.
I dirigenti comunisti rifiutavano l'offerta di Badoglio per evitare un oscuro
compromesso nel quale il paese avrebbe perduto l'ultima sua ragione di speranza:
l'autorità dei partiti antifascisti che si richiamavano alle masse popolari (1)
ma erano tuttavia ben consapevoli della necessità di dare al paese un governo
efficiente. Come arrivarvi? Non c'era che la Strada della lotta; ma in realtà
non era facile abbattere il re e rovesciare il governo Badoglio con la presenza
degli alleati che li sostenevano.
Tutti sono più o meno consci in Italia e all'estero, che a questa situazione
c'è oggi un solo rimedio, non sovrano ma sicuramente efficace: la costituzione
di un governo che governi. Bisogna quindi assolutamente, in un
modo o nell'altro, sbarazzare il terreno dagli ostacoli che si frappongono alla
costituzione di un governo che non sia una burletta.
Bisogna, quindi, appoggiandosi ad un'azione di massa, pacifica ma chiara e
larghissima, preparare subito la costituzione rapidissimadi un contro-governo antifascista
che le masse riconoscerebbero subito come il loro governo e che gli alleati non
potrebbero non riconoscere quasi subito come il vero governo italiano.
L'organizzazione di un plebiscito nazionale a cura dei Comitati di liberazione,
e di una giornata di manifestazioni popolari, potrebbe essere l'espressione
unanime della volontà popolare e quindi l'elemento :risolutivo della
situazione. Se non ci fosse stata la guerra e la necessità di vincerla per
schiacciare il nazismo, noi avremmo potuto e saputo risolvere rapidamente la
situazione con un'azione rivoluzionaria delle masse. Ma appunto perché c'è la
guerra, che è malgrado tutto la nostra guerra, dobbiamo tutti evitare che le
masse, giustamente esasperate da una situazione che non è più tollerabile,
tentino di risolvere spontaneamente la situazione in forme che potrebbero
essere una limitazione dello sforzo di guerra.
Una sola soluzione esiste dunque oggi, che esige l'unità degli antifascisti e
la comprensione degli alleati: evitare che il popolo italiano continui ad
essere senza governo, fare un governo o un contro-governo che diventi
rapidamente il governo del paese. Bisogna farlo! Bisogna dunque prepararlo
subito! (2)
Malgrado la pregiudiziale antimonarchica, la forza con cui era sottolineata la
necessità della formazione rapidissimadi un governo che governasse costituiva una premessa ad un
mutamento di linea politica, premessa che maturò soprattutto dopo il congresso
di Bari dei CLN (28-29 gennaio) quando divenne sempre più evidente l'incapacità
della giunta esecutiva dei CLN (essa avrebbe dovuto rappresentare
l'anti-governo) di uscire e fare uscire le forze antifasciste dal vicolo cieco
in cui si trovavano.
Il famoso discorso, detto della "caffettiera" (3)
con il quale, il 22 febbraio,
Churchill, parlando dell'Italia in termini umilianti, mostrò aperta simpatia per la monarchia e malcelato
disprezzo per i
CLN, spinse nell'Italia liberata icomunisti ad organizzare insieme agli azionisti
ed ai socialisti
uno sciopero di protesta. Le autorità alleate, allarmate, si misero in moto per
impedire lo sciopero in preparazione: squadre di Military Police e di polizia
italiana sequestrarono nelle tipografie il materiale di agitazione, invasero i
cortili delle fabbriche e vi stazionarono, procedettero all'arresto di un certo
numero di operai più attivi: il generale Mac Farlane minacciò di arrestare i
dirigenti dei tre partiti antifascisti. Questi si incontrarono la sera del 3
marzo con i rappresentanti della commissione alleata di controllo i quali si
impegnarono a rilasciare gli operai arrestati ed a sospendere i provvedimenti
restrittivi delle libertà di stampa e di organizzazione, purché si arrivasse ad
un accordo. Lo sciopero fu cosi sospeso e sostituito da una grandiosa
manifestazione di piazza nella quale parlarono Velio Spano (PCI), Oreste
Lizzadri (PSI) e Alberto Cianca (Pd'A). Si trattò di una forte risposta.
Anche nel Nord i partiti antifascisti e il CLNAI avevano energicamente reagito
con ordini del giorno, proteste e diffusione di manifestini nelle fabbriche
all'oltraggiosa arroganza di Churchill.
Il 14 marzo il governo sovietico stabiliva i rapporti diplomatici con il
governo Badoglio, all'infuori di quelli contemplati dai protocolli
dell'armistizio e della Conferenza di Mosca. L'annuncio veniva dato da un
comunicato della presidenza del Consiglio:
In seguito al desiderio a suo tempo ufficialmente espresso da parte italiana,
il governo dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche ed il regio
governo italiano hanno convenuto di stabilire relazioni dirette fra i due
paesi. In conformità a tale decisione sarà proceduto tra i due governi senza
indugio allo scambio di rappresentanti muniti dello statuto diplomatico d'uso (4).
Nello stesso giorno, il governo Badoglio faceva seguire al comunicato un
commento ufficioso in cui l'esultanza era pienamente manifesta:
Aderendo al desiderio manifestato dal regio governo alle Nazioni Unite, la
Russia sovietica ci tende la mano, nonostante gli errori del passato regime. Ed
è questo indubbiamente un gesto che non sarà dimenticato facilmente dal popolo
italiano, compiuto com'è in una delle ore più tragiche della storia (5).
Tale riconoscimento di fatto del governo Badoglio da parte dell'Unione
Sovietica aveva un'enorme importanza sia sul piano internazionale (il
disappunto manifestato dagli anglo-americani ne è la più evidente
testimonianza) sia
sul piano interno. Tutti i partiti antifascisti salutarono l'avvenimento
positivamente e l'Unità e l'Avanti in termini entusiastici.
Togliatti sbarcò a Napoli nel pomeriggio del 27 marzo e dopo esser stato
accompagnato da un comando alleato si recò immediatamente alla sede della
federazione comunista di Napoli dove si incontrò con i compagni Velio Spano,
Eugenio Reale, Salvatore Cacciapuoti, Clemente Maglietta, Marcello Marroni e
Maurizio Valenzi. S'incontrò poi all'indomani con alcune personalità degli
altri partiti antifascisti e si preparò al consiglio nazionale del partito che
era già stato, prima ancora del suo arrivo, convocato a Napoli per il 29 marzo.
Il 30 marzo l'Isvestiapubblicava un lungo ed acuto
articolo sulla situazione italiana:
La guerra, in seguito alle vittoriose offensive dell'armata rossa, è entrata
per la Germania in una fase critica; i tedeschi tentano disperatamente con
tutti i mezzi di cui possono disporre di ritardare la rovina che si sta
abbattendo su di loro. Poiché si avvicina il momento in cui si inizieranno le
operazioni concordate fra le potenze alleate per dare il colpo decisivo alla
Germania hitleriana, secondo quanto venne stabilito alla Conferenza di Teheran,
e poiché tali operazioni verranno intraprese non soltanto dall'Est, ma anche
dall'Ovest e dal Sud, acquista particolare importanza politica la questione
italiana.
La situazione politica esistente attualmente in Italia è la seguente: le
regioni dell'Italia meridionale, liberate da parte delle truppe
anglo-americane, dalla dominazione fascista, costituiscono una importantissima
base di operazioni per gli eserciti dei nostri alleati; tuttavia, circa due
terzi del territorio italiano sono ancora sotto il tallone dei nazisti e sotto
quello dei loro complici affiliati alla banda di Mussolini.
Le regioni dell'Italia liberata sono amministrate dal governo del maresciallo
Badoglio, che viene appoggiato da alcuni settori della popolazione italiana.
Tale governo ha più volte dichiarato di essere pronto a partecipare insieme con
gli alleati alla lotta comune contro gli invasori hitleriani e contro loro
complici fascisti.
D'altra parte, nell'Italia meridionale, dopo che il fascismo venne abbattuto e
più ancora dopo l'armistizio, sono risorti e svolgono la loro attività numerosi
partiti e gruppi antifascisti democratici, i quali trovano seguito in larghi
strati della popolazione italiana e aspirano a partecipare attivamente alla
lotta contro la Germania di Hitler. Sino al gennaio di quest'anno questi gruppi
antifascisti erano pochi, mal collegati tra loro e limitavano la loro attività
ad alcuni centri provinciali e a pochi altri secondari.
L'unione di questi gruppi si è realizzata solamente al Congresso di Bari che
ebbe luogo alla fine del gennaio, e al quale parteciparono i rappresentanti dei
seguenti partiti: liberale, democratico-cristiano, d'azione, della democrazia
del lavoro, socialista e comunista.
Il Congresso ha nominato una giunta esecutiva permanente, la quale ha lo scopo
di unire le forze antifasciste e democratiche italiane nella lotta contro il
nazismo. In tal modo, tanto il governo Badoglio, quanto la giunta esecutiva
permanente, hanno dichiarato di essere pronti a lottare insieme con gli alleati
per scacciare i tedeschi e i loro servi fascisti; ciononostante, le forze del
governo Badoglio e della giunta esecutiva permanente non soltanto non sono
unite, ma al contrario si esauriscono lottando fra di loro e nel frattempo la
situazione politica ed economica dell'Italia continua a peggiorare, battendo
una via senza uscita. Ciò non può che nuocere alla causa comune degli alleati,
cioè alla causa della lotta contro la Germania hitleriana.
Tale è la situazione nelle regioni dell'Italia ed essa non può essere guardata;
con indifferenza, se si vogliono tenere nella debita considerazione gli
interessi superiori della lotta delle Nazioni Unite contro la Germania.
L'esperienza degli ultimi tempi prova che una tale situazione porta
inevitabilmente l'Italia all'esaurimento delle sue forze e minaccia di condurla
alla catastrofe. Ma hanno gli alleati interesse a lasciare che gli avvenimenti
si svolgano in maniera da
spingere l'Italia alla
rovina? Certamente no.
L'Unione Sovietica, ed
in generale gli alleati, non possono avere interesse che l'Italia venga a
trovarsi, sull'orlo dell'abisso. Quale via d'uscita esiste da tale stato di
cose? La via d'uscita consiste principalmente nel dare all'azione delle potenze
alleate circa la politica italiana un orientamento corrispondente al compito
degli alleati, che è quello di lottare contro il comune nemico, la Germania
hitleriana. Perciò la politica degli alleati nella questione deve basarsi su un
atteggiamento comune concordemente assunto. Si deve invece constatar che i
problemi connessi con l'attuale posizione politica italiana non sono stati
finora oggetto di comune scambio di vedute tra le potenze alleate.
Naturalmente, sia l'Inghilterra che gli Stati Uniti hanno iniziato un'azione
politica nei confronti dell'Italia e si sono anche avute al riguardo delle
dichiarazioni da parte dei rappresentanti ufficiali della Gran Bretagna e degli
Stati Uniti; tuttavia è noto che queste azioni e queste dichiarazioni non sono
state il risultato di decisioni comuni delle tre potenze. I rappresentanti ufficiali
dei nostri alleati hanno dichiarato che l'attuale governo italiano non può
essere sostituito da nessun altro governo e che l'esame di tutta la situazione
politica in Italia deve essere rinviato ad epoca successiva alla presa di Roma
da parte delle truppe alleate. E' facile provare che tale punto di vista non
stato oggetto di conversazioni tra gli alleati né alla Conferenza di Mosca, né
i seno al comitato consultivo per l'Italia, né in via diplomatica.
Il primo ministro Churchill, parlando ai Comuni il 22 febbraio, ha espresso
l'opinione che solamente dopo la liberazione di Roma potrà essere formato un
governo italiano su basi più ampie. Anche ciò non è stato il risultato di
accordi intervenuti fra i tre alleati. Inoltre gli uomini di stato sia inglesi
che americani hanno dichiarato che ora sarebbe intempestivo porre il problema
della permanenza della monarchia in Italia o il problema dell'abdicazione di re
Vittorio Emanuele. Anche questo problema non è stato esaminato in comune dalle
tre potenze, né alla Conferenza di Mosca, né in seno al comitato consultivo per
l'Italia, né in via diplomatica. Ma se non si può negare che la soluzione di
questo problema che riguarda la vita interna dell'Italia è preferibile sia
trovata in un periodo più adatto, quando cioè tutto il popolo italiano potrà
scegliersi liberamente la sua forma di governo, si sarebbe dovuto però
convenire che una simile impostazione del problema del governo italiano per un
certo periodo di tempo non avrebbe dovuto avere come conseguenza un ritardo
nell'unificazione delle forze antifasciste italiane e che essa non avrebbe
dovuto costituire, in ultima analisi, un ostacolo alla lotta comune contro la
Germani hiltleriana.
E' facile comprendere che i partiti democratici in Italia, i quali si sono più
volte pronunciati per l'abdicazione di re Vittorio Emanuele e per la
sostituzione del governo Badoglio, naturalmente non saranno stati soddisfatti
di quella politica che ha trovato la sua espressione nelle dichiarazioni su
ricordate dei rappresentanti dell'lnghilterra e degli Stati Uniti. Questa
circostanza danneggia non solo l'unità italiana, ma soprattutto gli interessi
fondamentali della lotta contro il comune nemico, interessi che esigono
l'eliminazione di tutte le cause tendenti a prolungare la guerra. Da ciò
risulta che per gli alleati è necessario di trovare il modo di unire tutte le
forze antifasciste italiane per la lotta contro la Germania. Non si può
prescindere dal fatto che, col suo attuale carattere il governo Badoglio non è
in grado di unire intorno a sé gli elementi antifascisti e democratici in
Italia per la lotta contro Hitler, ma d'altra parte lo stesso governo Badoglio,
nella persona dei suoi rappresentanti più in vista ha dichiarato più volte di
essere pronto ad includere nel suo seno nuovi elementi capaci di esercitare
un'azione più efficace nei riguardi dell'unità di tutti gli Italiani. Non si
vede allora perché una tale decisione tendente a modificare il governo Badoglio
debba trovare dinanzi a sé ostacoli insormontabili visto che è anche desiderio
delle tre potenze alleate di vedere il governo Badoglio allargare le sue basi
in senso democratico; tale decisione farà probabilmente cessare i motivi che
determinano l'attuale atteggiamento negativo della giunta esecutiva verso il governo
Badoglio e permetterà a numerosi elementi antifascisti e democratici italiani
di partecipare più attivamente alla lotta comune contro l'invasore tedesco.
In relazione a tutto ciò ha destato viva sorpresa la presa di posizione de
ministro Eden nella seduta del 22 marzo ai Comuni, allorché all'interpellanza
con la quale il deputato Thomas ha chiesto se il governo di Mosca intendesse o
meno rendere più democratico il governo italiano, egli ha risposto semplice
mente: "L'interpellante dovrebbe rivolgersi al governo sovietico".
Non si capisce perché il signor Eden non abbia saputo trovare una risposta ad
un domanda come questa, posta in forza di un diritto riconosciuto e per di più
perfettamente legittima. Non è forse desiderio del governo britannico, secondo
le decisioni della Conferenza di Mosca, di rendere il governo italiano più
democratico? Forse che questo problema non è giunto a maturazione dall'estate
dell'anno scorso, quando incominciò la liberazione dell'Italia dalle bande d
Hitler e di Mussolini? Forse che questo problema non ha nulla a che fare con la
politica dell'Inghilterra? O forse gli uomini politici inglesi sono sfavorevoli
alla democratizzazione del governo Badoglio?
Non si può rilevare la circostanza che una certa parte della stampa inglese e
americana, invece di chiedere misure atte a normalizzare la situazione politica
italiana considerandola dal punto di vista dell'interesse fondamentale che gli
alleati portano alla guerra contro Hitler, negli ultimi tempi gonfia
artificiosamente un altro problema e precisamente quello del ristabilimento di
relazioni dirette tra l'Unione Sovietica e il governo di Badoglio con lo
scambio d rappresentanze tra i due paesi. Alcuni organi della stampa
d'Inghilterra e d'America manifestano della perplessità, della meraviglia e
perfino della preoccupazione in relazione a questo fatto, è invece evidente che
non sussiste assolutamente alcun motivo che incuta timore.
Siccome il governo sovietico non aveva finora contatti diretti con il governo
italiano, mentre i nostri alleati sono con esso in continuo contatto a mezzo di
numerosi organi militari e civili, il nostro governo ha ritenuto opportuna
l'istituzione di una forma diretta di contatto con il governo Badoglio Si
ricordi che la sola organizzazione AMGOT che funziona in Italia ha nel seno
qualche migliaio di rappresentanti inglesi ed americani al suo comando.
Inoltre, in Italia, funzionano autorità militari inglesi ed americane, le quali
fanno parte attiva del comando del paese. Delle tre potenze alleate, soltanto
l'Unione Sovietica non aveva rapporti diretti col governo italiano ed aveva
alle sue dipendenze in Italia soltanto pochi membri di consultazione sovietici
per le necessità dell'Italia.
Dunque, l'Unione Sovietica non si è trovata nelle medesime condizioni di fronte
alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti. Ora questa disparità sta in qualche modo
liquidandosi in quanto l'Unione Sovietica ha la possibilità di essere in
contatto diretto col governo italiano, come da tempo potevano fare i nostri
alleati. E' chiaro che questo contatto diplomatico non è ancora completo fra i
due paesi, rappresenta soltanto un inizio. E' ancor più chiaro il vero scopo
della commissione, la quale ha richiamato intorno a queste necessità parte
della stampa alleata. Diversi organi della stampa americana tentano di far
passare l'attuale azione dell'Unione Sovietica niente meno come appoggiantesi
ad elementi non democratici in Italia, e denuncia in pieno la posizione
dell'Unione Sovietica. Bisogna affermare che tale tentativo mette in rilievo
che sono essi gli autori di ciò e li scopre e li denuncia.
A tutti è chiaro che in ogni modo non è l'azione dell'Unione Sovietica che
ostacola la democratizzazione del governo Badoglio ed ancor più si sa che
l'Unione Sovietica è pronta con tutti i mezzi ad agevolare la soluzione di
questo problema nel tempo più breve e a fare in modo che non sia rimandato, per
esempio, fino alla
presa di Roma.
Per questa ragione attira l'attenzione un'altra risposta data dal ministro
degli Affari esteri, signor Eden, nella seduta alla Camera dei comuni il 23
marzo alla domanda "se il governo sovietico è unito e d'accordo con
l'Inghilterra e gli Stati Uniti sulla situazione presente e sulla necessità di
un cambiamento dell'azione futura riguardo al governo d'Italia dopo la presa di
Roma"; la risposta del ministro diceva: "Il governo sovietico non
dovrebbe essere malcontento per la linea di condotta da noi seguita al
riguardo". Si precisa che l'attuale scopo degli sforzi dell'Unione
Sovietica è di far si che tutte le forze antifasciste italiane si riuniscano
intorno al governo Badoglio per la lotta contro la Germania hitleriana.
La questione italiana ha acquistato grande importanza ed attende la sua
soluzione, né si può rinviarla, ad esempio, fino alla presa di Roma; essa deve
essere risolta tenendo presente la necessità di sgombrare da ogni ostacolo la
strada che conduce alla vittoria sulla Germania hitleriana.
Il Consiglio nazionale del PCI iniziò i suoi lavori a Napoli il 30 marzo con un
rapporto di Velio Spano sulla situazione del paese e del partito, dal quale
emergevano l'imbarazzo di chi era ormai convinto dell'impossibilità di
risolvere la situazione restando sulle posizioni tattiche del congresso dei CLN
di Bari e la logica della vecchia impostazione: "costituendo un governo democratico, che è il nostro
obiettivo, noi faremo fare un passo decisivo in avanti alla situazione italiana
e ci metteremo contemporaneamente in condizione di dare un maggiore contributo
allo sforzo di guerra".
Togliatti nel suo intervento, sempre sulla base di un'analisi della situazione
italiana ed internazionale, impostò invece la questione in questo modo:
"Nessuna libertà potrà essere garantita al popolo italiano fino a che i
nazisti non saranno stati cacciati dal territorio nazionale. Bisogna quindi
intensificare lo sforzo di guerra per liberare il paese. Costituiamo dunque un
governo di unità nazionale e in tal modo faremo fare anche un passo notevole
alla situazione." Dimostrò che bisognava uscire da una situazione
caratterizzata dall'esistenza, da una parte, di un governo investito del potere
ma privo di autorità perché privo dell'adesione dei partiti di massa,
dall'altra parte di un movimento di massa autorevole, ma escluso dal potere.
"Tale situazione, mentre alimentava confusione e disordine, stancava e
deludeva le masse "creando un ambiente favorevole agli intrighi
reazionari".
Il Consiglio nazionale approvava l'indicazione e l'iniziativa presa dal
compagno Togliatti di costituire un governo di un'unità nazionale, votando la
risoluzione che riproduciamo:
RISOLUZIONE DEL CONSIGLIO NAZIONALE DEL PCI
Il Consiglio nazionale del Partito. comunista italiano riunito (il 30-31 marzo
1944) nel momento in cui lo sviluppo della situazione internazionale ed interna
indica più fortemente a tutti gli italiani la necessità e il dovere di
rafforzare ed estendere l'unità nazionale nella lotta per la liberazione del
paese dall'occupazione hitleriana e dai traditori fascisti; saluta nel compagno
Ercoli (Togliatti, n.d.r.), che riprende in Italia, alla testa della
delegazione del Comitato centrale, il suo posto di militante e di capo, la
guida sicura del partito e del proletariato italiano; riconferma la politica
costantemente seguita dal partito,. di unità della classe operaia e quindi di
fraterna e costante collaborazione con il Partito socialista, di unità delle
forze democratiche e liberali antifasciste nel movimento dei Comitati di
liberazione nazionale e di unità di tutta la nazione italiana nella lotta per la sua libertà, per la sua
indipendenza e resurrezione.
Il Consiglio nazionale
del Partito comunista italiano, esaminata la situazione politica interna della
zona liberata, apprezzando altamente lo sforzo fatto dai Comitati di
liberazione e dalla giunta esecutiva per indirizzare e dirigere tutto il popolo
all'azione per la liberazione del paese e per la distruzione di tutti i residui
del regime fascista;
considera però che nel momento in cui si avvicina la crisi finale della guerra
e tutti i popoli in lotta per la libertà devono unire le loro forze per lo
schiacciamento definitivo della Germania hitleriana, nel tempo più breve,
l'esistenza in Italia, da una parte di un governo investito del potere ma privo
di autorità perché privo dell'adesione dei partiti di massa, dall'altra parte
di un movimento di massa autorevole ma escluso dal potere, nuoce allo sforzo di
guerra del paese ed è esiziale all'Italia. Questa situazione infatti mentre
alimenta la confusione e il disordine, mentre stanca e delude le masse del
popolo e crea un ambiente favorevole agli intrighi reazionari e persino alla
rinascita di un movimento fascista, allo stesso tempo indebolisce e discredita
il nostro paese.
Il Partito comunista, consapevole della sua responsabilità davanti alla classe
operaia ed al popolo intiero, ritiene che questa situazione deve essere
rapidamente 1iquidata e propone di liquidarla:
1) mantenendo intatta e consolidando l'unità del fronte delle forze
democratiche e liberali antifasciste;
2) assicurando formalmente il paese che il problema istituzionale verrà risolto
liberamente da tutta la nazione, attraverso la convocazione di una assemblea
nazionale costituente, eletta a suffragio universale diretto e segreto, subito
dopo la fine della guerra;
3) creando un nuovo governo, di carattere transitorio ma forte e autorevole per
l'adesione dei grandi partiti di massa: un governo capace di organizzare un
vero e grande sforzo di guerra di tutto il paese e in primo luogo di creare un esercito italiano forte che si batta sul
serio contro i tedeschi; un
governo capace, con l'aiuto delle grandi potenze democratiche alleate, di
prendere delle misure urgenti per alleviare le sofferenze delle masse e fare
fronte con efficacia ai tentativi di rinascita della reazione;
4) assicurando a tutti gli italiani, qualunque sia la loro convinzione o fede
politica, sociale e religiosa, che la nostra lotta è diretta a liberare il
paese dagli invasori tedeschi, dai traditori della patria, dai responsabili
della catastrofe nazionale, ma che nel fronte della nazione c'è posto per tutti
coloro che vogliono battersi per la libertà d'Italia e che domani tutti avranno
la possibilità di difendere davanti al popolo le loro posizioni.
Il Consiglio nazionale del Partito comunista italiano dà mandato ai
rappresentanti del partito di esporre e difendere questa linea politica nella
giunta esecutiva e nei Comitati di liberazione;
invita i compagni, gli operai, i lavoratori e tutti gli antifascisti
conseguenti, sinceri, combattivi e coscienti della loro responsabilità, a
unirsi e a lottare finché l'Italia, partecipando attivamente e con tutte le sue
forze alla guerra contro la Germania hitleriana, avvicini l'ora della sua
definitiva liberazione, l'ora in cui tutto il popolo potrà accingersi alla
costruzione di un governo democratico progressivo che sani le piaghe lasciate
da vent'anni di tirannide fascista e renda la nazione italiana completamente
libera e padrona dei suoi destini (6).
Al Consiglio nazionale
di Napoli avevano partecipato al completo il Comitato provinciale di Napoli e
le delegazioni: della Sicilia con alla testa Umberto Fiore, della Calabria
diretta da Fausto Gullo, delle Puglie con Luigi Allegato, Antonio Di Donato,
Giuseppe La Torre e Raffaele Pastore, della Lucania con Michele Mancino.
L'assemblea nominò una nuova direzione del PCI della quale entrarono a fare
parte con Palmiro Togliatti, segretario generale, Velio Spano, Eugenio Reale,
Umberto Fiore, Fausto Gullo, Antonio Di Donato e Marcello Marroni.
Dal Consiglio
nazionale del PCI alla "svolta"
di Salerno il cammino fu rapido. L'iniziativa di Togliatti scoppiò come una
bomba suscitando negli altri partiti della giunta e del CLN vivaci discussioni,
ma i più non poterono disconoscerne il realismo; ne accettarono l'impostazione
e comunque ne subirono l'influenza.
L'iniziativa e la linea politica di Togliatti furono naturalmente discusse, e
sarebbe strano se cosi non fosse stato, dai due gruppi di direzione del PCI
dell'Italia occupata, quello residente a Roma e quello di Milano.
A questa discussione, conclusasi peraltro unitariamente, si è accennato in
recenti pubblicazioni sulla storia del PCI: pertanto, senza sopravvalutarne
l'importanza, riteniamo che ai fini di un giudizio obiettivo sia utile dare i
riassunti completi di tutti gli interventi quali risultano dai verbali della
direzione del PCI.
Ognuno potrà ancora una volta constatare come, specie nei momenti cruciali, non
siano mancati negli organismi dirigenti del PCI né i dibattiti, né la
dialettica interna.
[…]
Vineis [Secchia]. La prima
questione che voglio porre è quella di vedere che cosa noi dobbiamo fare per
realizzare la nostra politica. Dobbiamo innanzitutto cercare di comprendere il
valore e l'importanza della via indicata al nostro partito e al popolo italiano
dal compagno Ercoli e fare di tutto perché su questa strada si marci.
Noi siamo favorevoli a tutto ciò che rafforza la guerra contro la Germania e
contrari a tutto ciò che la indebolisce necessario porre attenzione non solo
alla prima parte, ma anche alla seconda di questa asserzione. Il che significa
che se dobbiamo fare di tutto per realizzare l'unità di tutte le forze sane
della nazione per l'annientamento del nazifascismo, dobbiamo continuare la
lotta contro le forze antinazionali, contro i collaborazionisti con i tedeschi,
contro i capitolardi ed i traditori. Anche in passato quando reclamavamo un
governo del CLN e lottavamo per la eliminazione della direzione Badoglio, lo
facevamo in vista di rafforzare la guerra contro la Germania. Noi non facevamo
una questione "morale", ma ritenevamo che Badoglio non fosse in grado
di mobilitare tutte le forze sane del paese e di dirigere la guerra contro i
tedeschi. Ricordiamoci che nel settembre scorso Badoglio non godeva alcun
prestigio perché, oltre alla complicità col regime fascista, era direttamente
responsabile di avere aperto le porte del nostro paese all'invasore tedesco.
Oggi noi dobbiamo realizzare l'unità di tutte le forze nazionali, sarebbe però
un errore ritenere che in Italia non vi siano altre forze antinazionali
all'infuori di coloro che apertamente si proclamano fascisti repubblicani.
Ercoli parla di unire tutte le forze "sane" del paese, tutte le forze
veramente nazionali, il -che significa che vi sono nel paese delle forze
antinazionali che dobbiamo combattere perché esse costituiscono un ostacolo, un
indebolimento della lotta contro la Germania. Sono ad esempio antinazionali gli
industriali collaborazionisti con i tedeschi, gli alti ufficiali, sedicenti
badogliani, che apertamente collaborano con i fascisti nella caccia ai patrioti
ed ai partigiani combattenti.
L'unità di tutte le forze nazionali non la si realizza allargando solo verso
destra, ci sono ancora notevoli forze di massa che non sono rappresentate nei
CLN, di qui la necessità della creazione dei CLN di massa.
La seconda questione è quella di vedere se la politica seguita dal partito è
stata giusta o sbagliata, e sino a qual punto è stata giusta o sbagliata. Sono
anch'io del parere che oggi sia troppo presto per poter fare un completo ed
approfondito esame autocritico, perché molti elementi della situazione ancora
ci mancano per poter dare un giudizio definitivo. Tuttavia qualcosa si può già
dire.
Ritengo che l'iniziativa presa dal compagno Ercoli non significhi affatto
condanna della linea politica seguita dal partito. La linea politica seguita
dal partito è stata fondamentalmente giusta. Affermare questo non significa
rifiutarsi di fare l'autocritica, perché l'autocritica si può fare anche se una
politica è stata fondamentalmente giusta. Errori ed insufficienza nella nostra
politica ci sono certamente stati, ma ritengo che noi dovevamo porre il
problema della direzione dei CLN.
Dovevamo fare di tutto per eliminare dal governo le forze
conservatrici-reazionarie che erano un elemento di debolezza per la condotta
della guerra contro la Germania. Non potevamo sin dall'inizio rinunciare alla direzione. I rapporti di forza ci
sembravano favorevoli. Non solo in Italia tutte le forze democratiche popolari
erano antibadogliane, ma anche le forze democratiche internazionali agivano nel
senso di riuscire a realizzare in Italia un governo democratico (accenna alle
decisioni della Conferenza di Mosca).
Il nostro atteggiamento è valso d'altronde a provocare spostamenti e
concessioni da parte delle forze badogliane-monarchiche. La nostra politica ha
ottenuto dei risultati. Il nostro errore è stato quello di fossilizzarci, di
rimanere sulle nostre posizioni anche allorquando la situazione dimostrò che
era impossibile riuscire a realizzare un governo esclusivamente del CLN.
Specialmente dopo Bari avremmo dovuto accorgerci che si era creato un vicolo
cieco dal quale bisognava uscire al più presto. Noi avremmo dovuto mutare
prima. In questo senso dobbiamo farci l'autocritica e non in quello indicato da
Gino (Negarville, n.d.r.) e dagli altri due compagni di Roma.
Altro errore fu l'insufficiente attività per realizzare l'unità d'azione con le
forze estranee al CLN. E’ vero che noi dicevamo che nel fronte della lotta
contro la Germania c'era posto per tutti, anche per i monarchici ed i badogliani,
ma praticamente abbiamo fatto molto poco in questa direzione, né abbiamo visto
il problema del come legare organicamente queste forze.
La terza questione alla quale voglio accennare è questa: in che cosa è
consistita la nostra politica? Non condivido il giudizio di Gino secondo il
quale si tratta di salvare il
nostro partito dal vicolo cieco. Questo non è vero per l'Italia occupata dove
il partito in questi mesi è riuscito a scatenare una notevole lotta di massa
contro i tedeschi ed i fascisti. La politica del nostro partito non si è
esaurita nella polemica contro Badoglio, com'è avvenuto nell'Italia liberata. A
Roma si è parlato di errore di tutta la nostra politica passata. Questo
giudizio non è giusto. Ma in che cosa consiste per i compagni di Roma la
politica del partito? Sono parte fondamentale di questa politica gli scioperi
che abbiamo condotto, culminati nello sciopero generale di marzo, le azioni dei
gap, l'organizzazione delle brigate Garibaldi e la condotta della guerra
partigiana.
Nell'Italia occupata, l'attività preminente del nostro partito è stata quella
della condotta della guerra contro la Germania e contro il fascismo. Ecco
perché il nostro bilancio è positivo.
[…]
NASCITA DI UNA NUOVA
DEMOCRAZIA
(da La Nostra Lotta, n.11 del 10 luglio 1944)
«Nel fuoco della lotta
nazionale contro l'oppressore, nella partecipazione delle larghe masse popolari
alla guerra di liberazione, nasce bagnata dal sangue dei caduti e consacrata
dall'eroismo dei combattenti: la nuova democrazia italiana.
Quest'atto di nascita è garanzia di vita sicura e liberi e progressivi
sviluppi. Il popolo presente oggi nella guerra per l'indipendenza farà sentire
domani nella ricostruzione politica e sociale del paese la sua volontà. Già
oggi mentre ferve la battaglia si pongono le fondamenta della nuova democrazia
italiana. Prima fra tutte, segno caratteristico di un regime che sarà diretta
espressione della volontà popolare, è questa larga partecipazione delle masse
che si attua oggi nella lotta e che dovrà dare domani il tono a tutta la
politica italiana, e costituire il sicuro presidio di ogni conquista
democratica.»
L'articolo elencava le grandi lotte combattute, dagli scioperi del marzo 1943
alle azioni partigiane, allo sciopero generale in tutta l'Italia occupata,
lotte che avevano mobilitato e risvegliato alla vita politica larghe masse di
giovani, di donne, di operai, contadini e lavoratori, che avevano portato alla
creazione di nuovi organismi rappresentativi: comitati di agitazione, comitati
di difesa dei contadini, Gruppi di difesa della donna, Fronte della gioventù,
ecc., per concludere sulla necessità di sviluppare ancora di più questa opera
di riorganizzazione delle larghe masse, ed opporsi a qualsiasi tentativo di
soffocarla e deviarla.
«Né questo movimento di massa che deve
affondare le sue radici assai profondamente può essere imbrigliato e contenuto
nei limiti ristretti dei partiti politici. [...] I partiti non possono che
inquadrare una parte delle energie che vengono espresse dalle masse popolari in
questo loro ingresso nella vita politica. Il Partito comunista, che ha
l'orgoglio di essere stato alla testa di questo movimento popolare, e che ha
visto i suoi effettivi moltiplicati per l'afflusso di nuovi militanti, non
pretende affatto contenere entro i suoi ranghi tutto questo afflusso di nuove
forze politiche espresse dal popolo. Accanto ai militanti comunisti od ai
militanti di altri partiti antifascisti, ci sono migliaia e migliaia di operai,
contadini, intellettuali che sono dei nuovi quadri del movimento popolare,
degli attivisti delle formazioni partigiane, dei comitati di agitazione, dei
comitati di contadini, dei Gruppi di difesa della donna, del Fronte della
gioventù, che non sono iscritti a nessun partito. Ma ciò non vuol dire che essi
non possano, ed anzi non debbano esercitare una seria influenza e contare sulla
direzione del movimento popolare, e questo per necessità stessa della lotta,
oltre che per un'esigenza strettamente democratica.
I Comitati di liberazione nazionale che sono stati sinora soltanto una
coalizione dei partiti antifascisti, non possono non tener conto di questa
nuova realtà che si è venuta creando in questi mesi di lotta. Un anno fa i
partiti antifascisti rappresentavano le sole forze politiche organizzate nel
paese; ma nel corso di quest'anno delle energie e delle forze nuove si sono
affermate.
È necessario perciò che i Cornttati di liberazione nazionale, pur mantenendo e
rafforzando i vincoli unitari che uniscono i partiti antifascisti, si
colleghino strettamente con tutte le organizzazioni di massa che si sono
formate e stabiliscano uno stretto e diretto contatto con le masse in movimento
in modo da essere sempre più l'espressione della volontà popolare. [...]
Da questo allargamento della sua base popolare, il movimento dei Comitati di
liberazione avrà tutto da guadagnare: aumenterà la sua forza, la sua autorità,
la sua capacità di guidare realmente le masse nella lotta ed assolvere i gravi
compiti che gli pone l'attuale situazione insurrezionale.
Ed i partiti politici antifascisti non possono certo temere questo allargamento
del movimento. Si tratta di un processo di approfondimento ed allargamento
della vita politica e di formazione di nuovi quadri che costituisce l'essenza
di quella democratizzazione della vita politica che è la condizione prima della
rinascita nazionale. [...]
Si profilano così, ancora in mezzo al fumo del campo di battaglia, i lineamenti
di quella che sarà la nuova democrazia italiana. Il carattere di un regime
democratico non è dato tanto dalla forma dei suoi istituti, quanto dai rapporti
tra le varie forze, dai modi della vita politica, e sostanzialmente dal grado
di reale partecipazione a questa delle grandi masse popolari.
La democrazia prefascista fu facilmente battuta dalla reazione fascista appunto
perché debole era il peso delle masse popolari, scarso il legame tra gli
istituti e le masse. La democrazia di domani invece sarà forte ed aperta a
tutti i progressi politici e sociali perché la creazione del popolo stesso,
creazione che già si va attuando nei duri cimenti, ecc., ecc.»
Non ci limitammo ad
accettare supinamente la "svolta" di Salerno, ma, nel momento stesso
in cui si formava insieme a Badoglio un governo di unità nazionale, noi ponemmo
con più forza e con maggiore chiarezza di prima la necessità di creare dei CLN
che non fossero soltanto coalizioni di partiti, ma rappresentassero le larghe
masse lavoratrici, ponemmo il problema di creare dei CLN periferici, quali
organi di potere della nuova democrazia, della "democrazia progressiva aperta
a tutte le conquiste".
Sulla portata della "svolta di Salerno" sono stati versati dalla
Liberazione in poi fiumi di inchiostro, da una parte per accusare il PCI di
essere il responsabile di "una rivoluzione mancata", di avere quanto
meno salvato la monarchia, di avere impedito la costituzione di un governo
veramente democratico e progressivo (magari con Benedetto Croce alla testa!),
dall'altra per esaltare iperbolicamente la "svolta", quasi che
Togliatti, come ha scritto R. Battaglia, fosse stato colto da "una specie
di illuminazione improvvisa sulla via di Salerno" (15)
e da essa e solo da essa fosse dipesa la salvezza e la liberazione del paese.
Sarebbe difficile
sottovalutare l'importanza di quella iniziativa politica di Togliatti -
"corrispondente in pari tempo all'interesse dell'Italia e a quello delle
grandi nazioni democratiche alleate" (16) - e
l'influenza che essa ebbe sugli sviluppi della politica italiana. La
costituzione a Salerno del governo di unione nazionale dette una spinta
vigorosa a tutto il processo unitario ed al potenziamento della guerra di
liberazione: soprattutto a Roma e nei territori liberati dove la situazione era
"bloccata" per l'acuto contrasto tra i partiti antifascisti sulla
questione istituzionale che aveva determinato un'impasse
certamente dannosa alla causa italiana. Ma nel Nord la situazione
non era "bloccata"; il PCI e gli altri partiti di sinistra del CLNAI
erano impegnati in grandi lotte di massa e militari le formazioni partigiane
avevano una notevole consistenza e non occupavano il loro tempo in astratte
discussioni sull'assetto del domani, sui poteri da riconoscere o da negare alla
monarchia. Nell'Italia occupata dai tedeschi non si poneva il problema di dare
vita ad un governo unitario, poiché di fatto questo governo esisteva ed era
rappresentato dal CLNAI e dai CLN periferici.
Formazioni partigiane cossiddette "autonome" e per lo più di
orientamento liberale-monarchico già esistevano e, anche se rivendicavano la
loro autonomia, collaboravano nella lotta con quelle garibaldine e di
"Giustizia e libertà", con le Matteotti ed una parte di esse erano
collegate col CLNAI e col Comando generale del CVL.
I rapporti con gli alleati, senza essere immuni da screzi e da reciproche diffidenze,
erano di collaborazione; del tutto cordiali, quasi sempre, quelli tra le
"missioni" alleate e la maggior parte delle formazioni partigiane tra
le quali erano state paracadutate.
Le stesse discussioni in seno al CLNAI avvenivano su temi diversi che non nel
Sud ed a Roma; le divergenze sorgevano sui problemi del presente, sul modo come
condurre la guerra di liberazione, sul lavoro di organizzazione e di
mobilitazione del popolo, sulla struttura che dovevano avere i CLN periferici e
centrali (se dovevano essere concepiti quali organi di governo, struttura
basilare del nuovo stato di domani, oppure no), i comandi partigiani e cosi
via.
La situazione nel Nord era tale che gli stessi socialisti ed azionisti non
poterono assumere e non assunsero l'atteggiamento preso dai loro compagni a
Roma e difatti il CLNAI diede la sua adesione alla "svolta" politica
del Sud (17).
Né dopo la "svolta" ci fu un maggior intervento da parte degli
alleati o del governo italiano in aiuto al movimento partigiano del Nord ed a
potenziamento della guerra di liberazione. Gli alleati non permisero di
"organizzare (ad eccezione di poche unità al seguito delle loro armate) un
vero e grande sforzo di guerra di tutto il paese e in primo luogo di creare un
esercito italiano che si batta sul serio contro i tedeschi," come
Togliatti aveva sperato. Al governo italiano non fu lasciata possibilità alcuna
di aiutare concretamente la resistenza con l'invio o ottenendo si inviassero
maggiori lanci nel Nord e tanto meno lanciando paracadutisti, reparti
aviotrasportati, mezzi pesanti da guerra, ecc.
Tutte le "zone libere" furono liberate dai partigiani del Nord quando
già c'era un governo di unità nazionale, nel corso dell'estate e dell'autunno,
e nessuna di esse poté ricevere (malgrado avessero per prima cosa preparato dei
campi di atterraggio per aerei) un aiuto concreto per poter rafforzarsi e
resistere. Ancora nel novembre 1944, quando la missione del CLNAI si recò a
Roma e fu ricevuta dal presidente e poi dal Consiglio dei ministri, il governo
italiano si limitò a dichiarare la propria incompetenza ad affrontare le
situazioni dei territori invasi, soggetti esclusivamente, in quanto zona di
operazioni, all'autorità militare alleata; la missione avrebbe quindi dovuto
trattare da sola con gli anglo-americani (18).
Lo stesso Togliatti scrisse nel dopoguerra:
«Non fu soltanto la svolta di Napoli, cioè
non fu soltanto la posizione presa dal partito nella zona già liberata dopo il
ritorno a Napoli di Togliatti, che cambiò il corso delle cose. Fu tutta
l'attività dei comunisti tra il popolo e nei contatti con gli altri
raggruppamenti politici. [...] I compiti più gravi si posero nelle regioni
occupate dai tedeschi per l'organizzazione della resistenza di tutta la
popolazione e la lotta armata contro i fascisti e gli invasori stranieri. Per
risolvere questi compiti non furono necessari soltanto enormi capacità di
organizzazione, coraggio, spirito di sacrificio, eroismo. Le avanguardie
operaie e popolari prodigarono in questi campi veri tesori. Fu anche
necessario, però, sin dal primo momento, lavorare e combattere a passo a passo,
nel contatto e in unione con altre forze politiche, per fare accettare da tutti
le necessità e le responsabilità, per smascherare l'attesa inerte, il doppio
giuoco e il tradimento, la viltà e per trascinare gli altri con l'esempio, là
dove non si riusciva col ragionamento. La vittoria insurrezionale del 25 aprile
1945 fu il risultato di due lunghi anni di questo lavoro, che non fu soltanto
propaganda e organizzazione indispensabile alla preparazione dei combattimenti
contro lo straniero, ma azione politica che preparava un rinnovamento d'Italia
attraverso la stretta unione di tutti i cittadini di spirito democratico e
patriottico.»
(19)
Dal maggio in poi - è
verissimo - noi nel Nord sottolineammo con maggiore forza l'importanza
dell'unità come presupposto per una giusta direzione del movimento, ma non
trascurammo mai (anche dopo la "svolta" di Napoli) di aggiungere che
insieme all'unità era necessario operare per assicurare una giusta direzione
alla lotta. Ancora nell'agosto 1944 scrivevamo:
Il posto d'avanguardia e di direzione nella lotta di liberazione nazionale non
spetta di diritto al nostro partito. Questo posto il nostro partito se lo deve
conquistare e se lo conquista ogni giorno con l'esempio, con l'opera di
convinzione, con la lotta e con l'azione (20).
Anche dopo la "svolta" di Napoli e di Salerno, se più grande fu lo
sforzo unitario, non venne mai meno la nostra attenzione sulla direzione da
imprimere al movimento, all'obiettivo: lotta per una democrazia progressiva.
Valga per tutte la posizione che assumemmo per fare dei CLN degli organismi
rappresentativi delle masse e degli organi di potere, ed ancora alla vigilia
dell'insurrezione (ne parleremo piu avanti), il 10 aprile 1945, con la famosa
direttiva n. 16. Guai se in quei giorni ci fossimo lasciati invischiare dal
feticismo dell'unità e se per timore di urtare questo o quest'altro personaggio
o gruppo politico avessimo capitolato di fronte a coloro che manovravano per
impedire l'insurrezione!
Infine non risponde a verità l'affermazione fatta da diverse parti che noi dopo
la "svolta" di Napoli, per le esigenze della lotta unitaria,
accantonammo le istanze sindacali, le rivendicazioni economiche e sociali.
Non accantonammo mai la lotta di classe, gli scioperi si susseguirono sino
all'ultimo. Certo vi era un interesse generale della nazione col quale dovevano
essere coordinati gli interessi particolari, ma noi comunisti non ritenemmo mai
che gli interessi della classe operaia fossero in contrasto con quelli
nazionali. Al contrario, la lotta di classe potenziava la lotta di liberazione
nazionale. Riuscimmo a fare accettare dal CLNAI il principio, ma soprattutto la
pratica, dei grandi scioperi e dello sciopero generale! (21)
Sempre dall'inizio alla fine della guerra la Resistenza italiana fu
caratterizzata dall'intrecciarsi della lotta armata con le lotte di massa.
Tutti gli scioperi politici organizzati durante la Resistenza partivano ed
avevano come base delle rivendicazioni economiche, sociali. La lotta era
indirizzata contro i nazifascisti e contro i grandi industriali
collaborazionisti. Le direttive in tal senso erano chiare ed esplicite.
Note:
1) Unità, ed. dell'Italia meridionale, gennaio 1944
2) Unità, ed.
dell'Italia meridionale, gennaio 1944
3)
"Quando occorre tenere in mano una caffettiera bollente, è meglio non
rompere il manico finché non si è sicuri di averne un altro egualmente comodo e
pratico e comunque finché non si abbia a portata di mano uno strofinaccio. I
rappresentanti dei vari partiti italiani che si sono riuniti 15 giorni fa a
Bari sono naturalmente bramosi di diventare il governo d'Italia. Certamente
essi non hanno alcuna autorità elettiva e certamente non avranno alcuna
autorità costituzionale sino a che l'attuale re abdichi, o egli stesso o il suo
successore non li invitino ad assumere questo ufficio. Non è affatto sicuro che
essi avrebbero qualche effettiva autorità sulle forze armate italiane
attualmente combattenti assieme a noi. L'Italia giace prostrata sotto le sue
miserie e le sue sventure" (dal discorso di Churchill ai Comuni, il 22
febbraio 1944).
4) Dai giornali dell'epoca.
5) Dai giornali dell'epoca; v. anche Agostino Degli Espinosa, Il Regno del
Sud, Firenze,
Parenti, 1955, p. 374
6) Per la libertà e l'indipendenza d'Italia. Relazione della direzione del PCIal V Congresso, Roma, edizioni Unità, 1945.
[…]
15)
R. Battaglia, Storia della Resistenza
italiana, cit. p. 221.
16) Palmiro Togliatti, Discorso al odernissimo di Napoli, 1l aprile 1944, riportato in La via italiana al socialismo, Roma,
Editori Riuniti, 1964, p. 50.
17) "[...] ciò che nell'Italia del Sud era stato
considerato un 'colpo di scena', che a Roma aveva dato luogo ad una violenta
polemica sfociando infine nel rinsaldamento, almeno formale, del fronte
antifascista, ebbe nel Nord un effetto diverso, come diversa era la situazione
sul campo di battaglia dove già i monarchici ed i repubblicani combattevano
fianco a fianco." R. Battaglia, Storia
della Resistenza italiana, cit., p. 280.
La diversità di situazione viene colta e riassunta chiaramente anche da Leo
Valiani quando scrive: "Il Comitato centrale di liberazione, nella
situazione di Roma assediata, era ridotto ad un'attività simbolica. Ma essa non
corrispondeva alla situazione del Nord. Da parecchi mesi tutto il nostro sforzo
era volto a fare del CLN dell'Alta Italia un effettivo potere popolare governativo,
un governo segreto riconosciuto dalla popolazione. Avevamo dietro a noi un
esercito partigiano effettivo, delle masse popolari effettivamente in moto,
perfino degli organi esecutivi di amministrazione rivoluzionaria. Con gli
alleati eravamo in effettivi quotidiani rapporti di cobelligeranza che potevano
tradursi da un momento all'altro in cooperazione strategica della massima
importanza.
Sconfessare pubblicamente e lacerare gli impegni regolarmente assunti dal
Partito d'Azione nel Sud, per gli amici di Roma significava solo una protesta
diplomatica e morale, ma per il Nord avrebbe significato una scissione
effettiva nel seno delle forze belliche effettive. I diplomatici possono
sottilizzare sul valore di una firma, come quella data a Napoli, ma non può
farlo chi ha la
responsabilità di un esercito, sia pure quello partigiano." L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, cit., p.
238.
18) Franco Catalano, La
missione del CLNAI nel Sud, in Il
movimento di liberazione in Italia, maggio 1955, n. 36.
Charles F. Delzell, I nemici di Mussolini, Torino,
Einaudi, 1962, p. 442.
19) Trent'anni di vita e
di lotte del PCI, "Quaderno
di Rinascita," 1951, testo
non firmato, ma sicuramente di P. Togliatti, p. 153.
20) L’Unità garanzia della
vittoria, La Nostra Lotta, a. II,
25 agosto 1944, n. 14.
21) “Le nostre organizzazioni devono prendere in seria
considerazione la situazione delle masse popolari, i loro bisogni immediati, le
loro rivendiazioni urgenti. Le concessioni strappate sinora sono irrisorie.
L’agitazione economica per le rivendicazioni immediate degli operai, dei
contadini, dei lavoratori, deve continuare, allargarsi, trasformarsi in
possente movimento di massa, in scioperi, manifestazioni di strada. La difesa
dei bisogni immediati delle masse si indentifica perciò nella lotta per la
cacciata dei tedeschi e dei fascisti.” Luigi Longo, rapporto presentato alla
Conferenza dei Triumvirati insurrezionali, in La Nostra Lotta, a. II, 25
novembre 1944, n. 19-20.