da
Secchia (1973), Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione,
Feltrinelli, Milano, 1975, pp.. 621-625
trascrizione e conversione in html a cura del CCDP
Secchia
Idee e programma della
resistenza
Si è spesso rimproverato alla Resistenza ed ai comunisti in particolare di non
avere avuto un programma o di aver addirittura rinunciato ad ogni programma di
carattere sociale e persino alla lotta di classe, per tutto subordinare
all'insurrezione nazionale ed alla vittoria contro i tedeschi e contro i
fascisti.
Ciò non risponde a verità, già lo abbiamo affermato nella prefazione e
riteniamo che i documenti pubblicati nei precedenti capitoli ed in particolare
quelli che pubblichiamo in questi ultimi ne diano una chiara ed inconfutabile
dimostrazione. Naturalmente le posizioni da noi di volta in volta assunte, le
posizioni del Partito comunista, possono essere discusse, criticate e
contestate, come quelle di ogni altro partito, d'altronde; ma i fatti sono
quelli che contano; assai più delle disquisizioni e delle elucubrazioni valgono
i documenti, e più ancora dei documenti contano i fatti, che tali restano al di
sopra di ogni disquisizione.
In una seduta alla Camera dei deputati del 10 giugno 1948, a qualcuno che aveva
sostenuto che la Resistenza non aveva avuto un programma, il compagno Togliatti
aveva risposto:
«E' vero che i CLN
non formularono mai una serie di punti programmatici. Fu forse un grave difetto
nella loro azione, ma questo non è l'essenziale.
Il programma del movimento di liberazione dev'essere cercato nelle aspirazioni
delle forze sociali e politiche che lo animarono e lo condussero alla vittoria,
nella natura stessa di quelle forze, che non furono né gli industriali
collaborazionisti dei tedeschi, né i grandi agrari con la nuca piegata davanti
all'invasore, ma furono gli operai, i braccianti, i contadini, la piccola
borghesia, gli intellettuali di avanguardia, i socialisti, i comunisti, i
membri del Partito d'azione e anche i democristiani ed i liberali sebbene in
misura molto minore.
Il programma della Resistenza fu quello della creazione di un regime politico e
sociale nuovo. Per questo si è detto che è stata un secondo Risorgimento.» (1)
Non è neppure esatto
tuttavia che i CLN, quantomeno nel Nord, non abbiano avuto dei punti
programmatici.
La costituzione dei Triumvirati insurrezionali e la funzione da essi assolta
dimostrano che se fu il partito che più conseguentemente lottò per realizzare
l'unità di tutte le forze che accettavano di lottare contro i tedeschi ed i
fascisti, il PCI non rinunciò mai ad avere una propria organizzazione
attivamente operante per far si che all'insurrezione nazionale partecipasse,
nella misura più larga possibile, tutto il popolo e raggiungesse gli obiettivi
più avanzati.
Ci piace qui ricordare una frase delle direttive del Comando generale del CVL,
scritte dal compagno Longo, sulla "interpretazione" da dare al
proclama di Alexander: «non vediamo perché quel che ha potuto fare il popolo
jugoslavo da solo, non possiamo farlo anche noi».
Non si tratta soltanto di un incitamento a continuare ed a rafforzare la lotta,
ma esprime con chiarezza il nostro orientamento.
Certo, non dev'essere mai dimenticato che non eravamo soli nella lotta e non ci
fu possibile fare accettare tutte le nostre posizioni. Nei CLN vi erano uomini
e partiti con altre idee e con altri programmi.
La Resistenza italiana fu un grande moto unitario del popolo italiano contro i
tedeschi ed i fascisti, risultato di un'alleanza consapevolmente contratta tra
le forze popolari democratiche e socialiste e le forze conservatrici; ma in
ogni alleanza c'è sempre chi dirige, chi è alla testa, chi dà il più forte
contributo e chi invece vi partecipa in posizione più o meno subordinata, vi è
l'avanguardia e chi è trascinato e fa anche da remora.
In ogni alleanza, in ogni grande movimento di popolo ha sempre notevole
importanza esaminare quali sono le forze che più hanno dato, non soltanto come
combattività ma come idee ed orientamenti, e che hanno avuto la direzione.
Se esaminiamo la realtà quale essa fu, in tutti i suoi aspetti, e incontestabile che durante la guerra di
liberazione, nella direzione della Resistenza ebbero il sopravvento al Nord le
forze di sinistra, a Roma e nel Sud, invece, le forze conservatrici. Si tratta
di un giudizio un po' sommario e schematico che dovrebbe essere meglio
precisato tenendo conto delle modificazioni dei rapporti di forza avvenute nel
corso dello sviluppo della guerra di liberazione nazionale.
Gli stessi democristiani, liberali e monarchici non possono essere messi tutti
in un solo sacco e giudicati in blocco come forze conservatrici; in parte si
trattava di forze sinceramente antifasciste, in parte di forze che subivano
l'influenza del tempo, le pressioni delle masse in lotta, in parte di forze
sulle quali, specie verso la fase finale, influiva la volontà di non lasciare
alle sinistre ed a noi comunisti in particolare il merito esclusivo del
successo. Tutto ciò facilitò l'azione nostra e delle sinistre.
Quanto meno nel Nord (dove la Resistenza ebbe il suo più grande sviluppo sia
nel tempo che come partecipazione delle masse combattenti nelle formazioni
partigiane, negli scioperi delle città, nelle dimostrazioni nelle campagne) le
forze decisamente antifasciste e di sinistra ebbero funzione decisiva e
preminente, furono le principali protagoniste e riuscirono a prendere nelle
loro mani la direzione politica dei CLN, del comando del CVL e delle formazioni
partigiane.
Il che non avvenne certo senza dibattiti, senza contrasti, senza urti, ma sulle
questioni principali le forze conseguentemente democratiche ed antifasciste
(comunisti, socialisti, Partito d'azione) riuscirono ad avere il sopravvento, e
nell'ottenere questo risultato l'azione dei comunisti fu preminente.
Riuscimmo ad avere il sopravvento sull'attesismo
che era l'ideale delle forze conservatrici, avemmo il sopravvento sulla
necessità di lottare non soltanto contro i tedeschi ma contro i fascisti, il
che significava che per noi non si trattava soltanto di lotta nazionale, ma di
lotta di classe.
Quanti passi in avanti furono fatti dall'inizio della Resistenza in poi!
Inizialmente si discusse persino sulla possibilità di ammettere i comunisti nei
primi comitati delle opposizioni da cui nacquero poi i CLN.
«I primi comitati militari che affiancarono i CLN e che limitarono la loro
attività ad assistere materialmente gli ufficiali ed i soldati sbandati osarono
rifiutare ogni contributo alle formazioni partigiane nate per iniziativa dei
comunisti e di energici popolari. Fu per assumere libertà di azione ed
assicurarci un'esistenza autonoma che venne presa l'iniziativa della
costituzione delle brigate d'assalto Garibaldi.
Con quest'iniziativa in campo militare, e grazie al successo che essa ebbe,
ottenemmo un primo risultato democratico: fummo accettati e riconosciuti in
tutti gli organismi politici e militari a parità di diritti e di dignità con
tutti. Naturalmente in questi organismi, ogni proposta che tendesse ad
allargare la mobilitazione popolare, che tendesse a favorire l'ascesa dei nuovi
quadri dirigenti, fu contrastata ed osteggiata dagli esponenti delle altre
correnti, dai liberali ai democristiani.
Ciononostante noi riuscimmo a respingere la pretesa di questi stessi esponenti
di sottomettere le formazioni partigiane che nascevano al comando superiore di
militari che tutto volevano meno che la lotta. Ottenemmo che in tutte le
formazioni partigiane trionfasse il principio che il comandante doveva essere
il più capace, il più attivo, quello che più aveva contribuito allo sviluppo della
formazione.» (2)
Noi fummo sempre favorevoli all'utilizzazione nei posti di comando di ufficiali
provenienti dall'esercito (per la loro esperienza questi seppero dare un
notevole contributo allo sviluppo della guerra partigiana). La sola condizione
che ponevamo era che essi fossero per la lotta, per l'azione contro i tedeschi
ed i fascisti. Mentre invece le correnti di destra, col pretesto delle capacità
tecniche, tendevano a mettere alla testa delle unità partigiane soltanto degli
ufficiali di carriera, uomini per lo più di orientamento conservatore, e spesso
reazionario.
Riuscimmo a fare accettare dal CLNAI e dal CVL la nomina dei commissari
politici in tutte le formazioni ed anche quando si realizzò l'accordo per
l'unificazione di tutte le unità partigiane sotto un solo comando, accettammo
il cambiamento del nome ma non mollammo sulla sostanza; il commissario restò
col nome di commissario di guerra invece che di commissario politico, ma restò.
Quanto diversa dall'inizio era già la situazione nel gennaio 1944 quando il
CLNAI, proprio per rispondere alle manovre conservatrici e reazionarie che si
facevano sentire fuori ed anche all'interno di certi CLN, approvava la ormai
famosa mozione in cui era detto:
«Non vi sarà posto
domani da noi per un regime di reazione mascherata e neppure per una democrazia
zoppa; il nuovo sistema politico, sociale ed economico non potrà essere che la
democrazia schietta ed effettiva. Nel governo di domani, anche questo è ben
certo, operai, contadini, artigiani, tutte le classi popolari avranno un peso
determinante ed un posto adeguato a questo peso avranno i partiti che le
rappresentano. Tra essi il Partito comunista che fa parte del CLN su di un
piano di perfetta parità con gli altri partiti, con pari pienezze di autorità
oggi e di potere domani, quando il patto di liberazione nazionale sarà
realizzato.» (3)
Riuscimmo a fare
accettare dal CLNAI che la lotta fosse condotta anche con le agitazioni di
massa. Non soltanto facemmo accettare il principio, ma soprattutto la pratica
dei grandi scioperi e dello sciopero generale. Altro che rinuncia alla lotta di
classe! Dall'inizio alla fine della guerra la Resistenza fu caratterizzata
sempre dall'intrecciarsi della lotta armata con le lotte di massa, della lotta
nazionale con la lotta di classe. Riuscimmo a fare accettare una concezione
della Resistenza che comprendeva non solo la lotta dei partigiani armati, ma
anche la lotta delle masse lavoratrici sul luogo stesso di lavoro ed a fare solidarizzare
con queste lotte operaie gli stessi CLN.
Alla base dell'azione della classe operaia e dei lavoratori stavano non
soltanto le necessità economiche o l'odio contro l'invasore, ma profondi
sentimenti di odio contro il fascismo, di amore per la libertà e l'indipendenza
da riconquistare, l'aspirazione al profondo rinnovamento della società italiana
ed al socialismo. Motivi economici, politici ed ideali si intrecciavano e
fondevano in un'unica spinta, come tanti rivoli in un grande fiume.
Riuscimmo a fare
accettare la costituzione dei comitati di liberazione e dei comitati di
agitazione unitari all'interno delle fabbriche.
Riuscimmo a fare
accettare che i CLN fossero costituiti non soltanto al vertice, nel capoluogo
regionale, ma in tutti i centri provinciali, nei villaggi e nei quartieri delle
città, in ogni località di una certa importanza, poiché nella loro estensione
vedevamo il crearsi di organi di autogoverno delle masse, di democrazia diretta
ed immediata.
Riuscimmo nel Nord a fare accettare dai CLN il concetto che la lotta aveva per
scopo non soltanto la cacciata dei tedeschi e la eliminazione del fascismo, ma
la realizzazione di un regime di nuova democrazia (non il ritorno al regime
esistente prima del fascismo). In proposito si veda la già citata dichiarazione
del CLNAI del gennaio 1944.
E' vero che alla vigilia dell'insurrezione il dissenso, e proprio su questi
problemi: funzione dei CLN come organi della nuova democrazia, esploderà in
pieno. Si vedano in proposito più avanti, in questo capitolo, le lettere dei
cinque partiti.
Che nell'unità vi fosse il contrasto delle tendenze politiche, nessun dubbio,
ed esso era espressione di idee diverse, della diversità delle posizioni
politiche ed ideologiche che corrispondevano ai diversi interessi di classe
delle forze che partecipavano ai CLN.
Persino alla vigilia dell'insurrezione si tentò ancora dai soliti elementi
conservatori dei CLN, apertamente aiutati dalle alte autorità ecclesiastiche,
di impedire e sabotare l'insurrezione tentando il compromesso con i tedeschi.
Ma a tutte queste
manovre ci opponemmo decisamente e riuscimmo a farle fallire. L'insurrezione
nazionale fu l'opera del popolo italiano organizzato nelle sue formazioni di
combattimento e nelle sue organizzazioni politiche, e l'apporto di noi
comunisti perché essa riuscisse fu decisivo.
Noi comunisti
lavorammo sempre per realizzare la più larga unità di tutte le forze nella
lotta contro i tedeschi ed i fascisti, ma al tempo stesso ci preoccupammo
costantemente di conquistare la direzione alle forze di sinistra
conseguentemente democratiche. Tutta la storia della Resistenza è stata una
lotta continua non soltanto contro i nemici esterni, ma anche contro le forze
conservatrici che cercavano di influenzare gli stessi CLN e di impedire lo
sviluppo del moto insurrezionale; è stata un'azione continua per unire tutte le
forze attorno ai CLN, ma anche per dare a quest'ultimo un orientamento, una
direzione, degli obiettivi, una coscienza ideale.
«Marx, Engels, Lenin,
Stalin - scrivevamo - ci hanno insegnato che, nella sua lotta rivoluzionaria,
la classe operaia può e deve ricorrere ad alleanze e compromessi: ma in nessuna
alleanza, in nessun compromesso, per nessun prezzo essa può lasciare cadere la
sua arma decisiva, la sua organizzazione e la sua lotta di classe autonoma e
indipendente, la sua funzione di avanguardia nella lotta di tutti gli oppressi,
di tutti gli sfruttati.
Il problema della
partecipazione al potere, i comunisti lo affrontano non nello spirito del
riformismo e del socialdemocratismo, delle combinazioni parlamentari, della
rinunzia della classe operaia alla sua lotta di classe indipendente e alla sua
funzione di avanguardia di tutti gli oppressi e di tutti gli sfruttati. Lo
affrontano con la teoria e con la pratica del marxismo rivoluzionario, col
ricorso all'appoggio, all'attività, all'intervento diretto delle masse di tutto
il popolo, nello spirito di una democrazia conseguente e progressiva che
mobilita le masse per la soluzione dei problemi vitali di tutto il popolo italiano.»
(4)
E' con questo spirito che noi conducemmo la lotta durante la Resistenza. Questo
non significa che la nostra linea politica, l'indirizzo della nostra azione lo
facessimo nascere da pregiudiziali dottrinarie; esso sgorgava dalla realtà
obiettiva e dalla necessità di potenziare al massimo la lotta armata e la lotta
di massa, che non era lotta senza principi e senza obiettivi.
Note
1) Atti parlamentari, Camera dei deputati, 10 giugno 1948.
2) Luigi Longo, La
lotta per l'unità nel contrasto delle tendenze politiche, in Rinascita, aprile 55, n. 4, p. 226.
3) Dichiarazione del CLNAI, gennaio 1944, in INSML, Archivio CLNAI, documento pubblicato
in Per la libertà e l'indipendenza d'Italia, Roma, 1945,
p. 91.
4) La classe operaia classe di governo, in La Nostra Lotta, 30
settembre 1944, n. 16.