da Secchia (1963), Aldo dice: 26x1, Cronistoria
del 25 aprile 1945, Feltrinelli, Milano, 1973, pp. 95 - 113
trascrizione e conversione in html a cura del CCDP
Secchia
Le
cinque giornate di Torino
Gli anni e i decenni passeranno, i giorni duri e sublimi che noi viviamo
oggi, appariranno lontani, ma generazioni intere di giovani figli d'Italia si
educheranno all'amore per la libertà, allo spirito di devozione illimitata per
la causa della redenzione umana, sull'esempio dei mirabili garibaldini che scrivono
col loro sangue rosso le più belle pagine della storia italiana.
Dalla lapide posta a Torino sulla facciata della casa dell'eroe nazionale Dante
Di Nanni
Alla sera del 24 aprile a Torino il CLNP e il Comando militare regionale del
Piemonte diramano alle formazioni partigiane l'ordine dell'insurrezione col
tanto atteso messaggio convenzionale: "Aldo dice 26 per uno alt nemico in
crisi alt attuate piano E.27 alt", il che significa: attaccare alle ore
una del giorno 26.
In base al piano insurrezionale a suo tempo elaborato dal CMRP, dovevano essere
impegnati nella liberazione di Torino due gruppi di forze: quelle cittadine
articolate in 5 settori con 1865 uomini di pronto impiego e 7130 di secondo
impiego e quelle partigiane provenienti dal di fuori: 4 divisioni
"Autonome" ("Giovane Piemonte", "Monferrato",
"De Vitis", "Val Chisone") con un totale di 1100 uomini, 5
divisioni garibaldine (la, 2a, 3a, 4a, 13a) con 3300 uomini, 5 divisioni
"Giustizia e Libertà" (3a, 4a, 6a e un gruppo operativo mobile) con 1500
uomini, 3 divisioni "Matteotti" ("Canavese",
"Collina", "Monferrato") con millecinquecento uomini. Le
forze autonome, le garibaldine delle Langhe ed eventualmente le due divisioni
"Giustizia e Libertà" del Cuneese con un complesso di 3900 uomini
dovevano servire di riserva strategica (1).
Le unità del Monferrato si trovavano già in rapida marcia di avvicinamento a
Torino quando ricevettero l'ordine fatidico "realizzate piano E. 27".
Mentre acceleravano proponendosi di attaccare all'alba del 26, giunti nei
pressi della città, alle ore 21 del 25 aprile ricevettero l'ordine di
soprassedere ad ogni movimento e a "non procedere verso gli obiettivi in
città se non dietro ordine specifico del Comando Piazza". Tale messaggio
strano e sorprendente che intimava l'alt a unità partigiane alle porte di
Torino, si collegava con la notizia trasmessa dal Comando del XV Gruppo
d'armata alleato circa un concentramento di importanti forze tedesche in zona
prossima alla città, e precisamente della 34a e della 5a divisione con 35 mila
uomini, artiglierie e mezzi corazzati al comando del generale Schlemmer.
Il col. inglese Stevens ricevuta tale informazione aveva, di sua iniziativa,
preso "l'assurda e irresponsabile" decisione di fare pervenire alle formazioni
partigiane che stavano avvicinandosi alla città dei messaggi con i quali
comunicava che l'insurrezione era rinviata. Il col. Stevens poteva, è vero a
sua giustificazione, addurre la comunicazione avuta dal Comando del XV Gruppo
d'armata, ma la verità è che sia il Comando alleato quanto lo stesso col.
Stevens volevano impedire o quanto meno ritardare l'ingresso delle unità
partigiane a Torino.
Il generale Trabucchi, comandante del CMRP dà, in proposito, del col. Stevens
un giudizio assai severo (2).
"Nel corso della notte", scrive il comandante Pompeo Colajanni
(Barbato) (3), "demmo disposizione per evitare che il
nostro schieramento, tutto proteso verso l'attacco, che aveva alle spalle un
territorio assai sguarnito, potesse ricevere offese da tergo e che il nemico
potesse tentare azioni di diversione e di rappresaglia contro le popolazioni
del Monferrato. Intanto accertai in modo preciso, anche attraverso notizie
assunte da un ufficiale di collegamento di assoluta fiducia, che l'ordine era
stato ispirato dal col. Stevens. Tale ordine era insidiosamente carico di
pericoli perché ribadiva rigorosamente la disposizione già data dal CMRP che i
comandanti delle formazioni foranee potevano dirigere le operazioni soltanto
sino alla linea di attestamento e che successivamente il comando operativo
doveva essere assunto dal Comando Piazza e dai dipendenti 5 comandi di settore,
e perché fu accompagnato dalla diffusione attraverso vari canali, di notizie
che avevano il duplice fine di allarmare e immobilizzare i reparti, perché il
Comando Piazza sul quale gravò il difficilissimo e pericoloso compito di
dirigere tutta la battaglia insurrezionale si trovò impegnato direttamente
nell'eroica lotta cittadina, tra enormi difficoltà di tempestivi collegamenti e
fu praticamente isolato in una delle fasi più dure della battaglia" (4).
L'occupazione delle fabbriche iniziata a Torino già nella notte del 25
(terminato il loro turno di lavoro, molti operai si erano rifiutati di uscire
dalle officine) era completata al mattino del 26. I lavoratori si preparavano
febbrilmente alla battaglia sbarrando i cancelli degli stabilimenti, ostruendo
i passaggi con blocchi di ghisa, piazzando le mitragliatrici in punti cruciali
e apprestando delle postazioni di difesa. Durante la notte avevano eretto
muretti e trincee utilizzando il materiale più diverso. Dai nascondigli
uscivano le armi, le munizioni e le bombe precedentemente occultate.
Già da qualche tempo l'ufficio sabotaggio e
controsabotaggio del CLN (5) aveva preso contatto con
i dirigenti e i tecnici di molte aziende per preparare la difesa degli impianti
industriali e se non in tutte, in diverse si erano trovati aiuti e complicità
nel lavoro di trasporto e occultamento delle armi.
Ogni officina è rapidamente trasformata in fortezza, ma i lavoratori non
commettono l'errore del 1920 di restarvi asserragliati all'interno in attesa
degli eventi; mentre assicurano la difesa passano con slancio all'attacco. Vi
sono gli impianti delle ferrovie, delle centrali elettriche e telefoniche da
difendere, i ponti sul Po e gli acquedotti da salvare, le radio, gli edifici
pubblici, le caserme da conquistare.
I Gappisti e i patrioti sono in azione, in diversi punti della città la lotta
diviene rapidamente aspra per la superiorità dei tedeschi in uomini e
soprattutto in mezzi corazzati. Le formazioni partigiane non arrivano; che cosa
è accaduto? Con diversi mezzi di fortuna delle staffette vengono inviate a
sollecitare le colonne partigiane, arrestate a pochi chilometri dalla città, ad
affrettare la loro marcia in aiuto dei centri insurrezionali che i nazifascisti
tentano di soffocare. La città è insorta, ogni ritardo potrebbe essere fatale.
"Assunsi in quella circostanza la responsabilità", scrive P.
Colajanni, "di dare ordine a Petralia (6) perché con
ogni mezzo a sua disposizione facesse proseguire l'attacco anche oltre gli
obbiettivi periferici. Petralia si assunse pure lui la stessa responsabilità e
di quello volli dargli atto nella proposta al valore" (7).
Intanto la Fiat Mirafiori ove lavoravano 13 mila operai di cui 2 mila donne, è
attaccata verso le 18 con tre carri armati e una decina di autoblinde dai
tedeschi che riescono a penetrare nella prima cintura di difesa, ma sono presto
ricacciati dai lavoratori. Questi rispondono al fuoco violento con le
mitragliatrici poste ai finestroni dello stabilimento e col lancio di granate e
di bottiglie "Molotov"; un carro armato tedesco è immobilizzato e gli
altri due sono costretti a ritirarsi, alcune autoblinde sono in fiamme. I
nazisti rinnovano poco dopo l'attacco.
La situazione si fa critica, il compagno Camillo Muratori colpito in pieno viso
cade eroicamente, molti sono gli operai feriti; i tedeschi sono a pochi metri
dall'entrata, ma i Sappisti non mollano. Alcuni di essi preparano le bombe a
mano, altri le lanciano a grappoli contro i carri armati che inesorabilmente si
avvicinano. Il mitragliere dell'ufficio mano d'opera benché fatto segno dai
cannoncini, immobilizza un altro carro armato, i Sappisti sparano sulle sagome
che dietro e di fianco ai carri armati si avvicinano. E' un momento tragico.
Molleremo? E' probabile. Un poco di orgasmo. Che cosa faremo se entreranno? Tutti
gli operai armati, anche se di una sola pistola, restino nei reparti in mezzo
alle macchine, ordina il comandante delle SAP; dovranno pure scendere dai carri
armati e quando saranno a piedi li ammazzeremo tutti; noi vediamo loro, ma loro
non vèedono noi, questo è il grande vantaggio che abbiamo" (8).
Dopo mezz'ora di battaglia, il nemico è nuovamente ricacciato. Alle 16 anche la
SPA è attaccata da una camionetta di Marò della Xa Mas; i Sappisti rispondono
al fuoco mettendo in fuga gli aggressori che lasciano sul terreno alcuni morti.
Non è stato che un assaggio, alle 21 il nemico attacca in forze da corso
Ferrucci e da via Montenegro cannoneggiando lo stabilimento. Due carri armati
pesanti, un'autoblinda e alcuni autocarri tentano di penetrare. Numerosi operai
cadono combattendo, tra gli altri Mario Bonzanino. I lavoratori non erano
rimasti in ozio, occupata la fabbrica avevano iniziato il montaggio di tre
carri armati tipo 15/42 di cui uno semovente con pezzi da 75mm.
Costruiti in poche ore, erano appena pronti quando alle 21 il nemico aveva
attaccato. Appena il primo di questi carri armati, come un bolide uscì dallo
stabilimento, i nazifascisti batterono in ritirata.
Altre fabbriche sono attaccate con estrema violenza dal nemico. Duri
combattimenti si sviluppano alla Lancia, ove i carri armati tedeschi sono
ricacciati dai Gappisti, alla Grandi Motori, alla Nebiolo, alle Ferriere
Piemontesi e in diverse officine. Riproduciamo in appendice alcuni rapporti dei
comandanti di settore sullo svolgimento di questi combattimenti (9).
La lotta, frattanto, infuria a Porta Nuova, alla stazione i tedeschi hanno
attaccato con tre carri armati, i ferrovieri della brigata SAP "Lino
Rissone" e gli arditi Gappisti resistono efficacemente e mettono in fuga
il nemico. Anche i Sappisti hanno tre morti e numerosi feriti, ma la stazione e
lo scalo ferroviario rimangono nelle loro mani. Alla stazione Stura, invece, i
patrioti sono costretti a ritirarsi dopo avere inflitto ai tedeschi gravi
perdite.
Si combatte in ogni angolo della città, i tram sono fermi dalle prime ore del
mattino, le case alla periferia imbandierate. Alcuni edifici pubblici tra i
quali la questura, il municipio (dove il podestà Fazio è stato arrestato),
l'Eiar, la Stipel, la Sip, la caserma dei vigili del fuoco, sono già nelle mani
degli insorti. La squadra volante della "Gramsci" penetra nel palazzo
delle Poste di via Nizza, disarma la milizia postelegrafonica, conquista una
mitragliatrice pesante, 26 moschetti e altre armi.
Nei pressi della stazione Dora infuria la battaglia, i patrioti stanno per
essere sopraffatti, chiedono rinforzi al Comando della 7a brigata. Un
distaccamento lascia le Ferriere con un autocarro ed accorre in aiuto ai
Sappisti accerchiati; ma anche i tedeschi ricevono rinforzi. Si chiede ancora
aiuto alle Ferriere, sede del Comando di brigata. Ilio Baroni (Moro) lascia il
Comando della brigata ad un altro garibaldino ed alla testa di un distaccamento
si porta in via Bra dove i Sappisti circondati dai tedeschi sono impegnati in
una lotta senza scampo. Dopo aspro combattimento, Baroni con i suoi riesce ad
aprirsi un varco falciando i tedeschi che presi alle spalle sono costretti a
ripiegare. I distaccamenti garibaldini, prima accerchiati, cercano di
disimpegnarsi, riescono a ricuperare i loro automezzi ed a raggiungere di nuovo
le Ferriere, ma nella manovra di ripiegamento, cade con gli altri il comandante
Ilio Baroni.
Una colonna motorizzata di tedeschi avanza in corso Principe Oddone puntando
verso la stazione Dora, i Sappisti della 7a e un distaccamento della 17a
brigata "Garibaldi" la bloccano, attaccano i carri armati e le
autoblinde. La battaglia dura alcune ore, alla fine il nemico si ritira, un
carro armato ed un'autoblinda friggono, sono fuori uso, come i numerosi nemici
rimasti sul terreno. I partigiani hanno subito anch'essi sensibili perdite, tra
le quali quella del comandante il distaccamento.
Sotto il fuoco delle mitraglie che spazzano le strade, le staffette in
bicicletta percorrono i quartieri per portare ordini e collegare i combattenti
con i comandi di settore e con il CMRP.
Alle 10, i membri del CLN lasciano la sede clandestina degli Archivi di Stato
per trasferirsi alla conceria Fiorio; in via S. Donato all'angolo con via
Galvani uno scontro tra un reparto tedesco asserragliatosi in uno stabile e
squadre Partigiane che cercano di snidarlo, impedisce che il trasferimento
possa compiersi. Per il sopraggiungere di rinforzi tedeschi il conflitto si
estende a tutta la zona circostante. I membri del CLN si insediano provvisoriamente
in casa di Aldo Da Col in Via Peyron 4.
Verso mezzogiorno il CMRP riceve una prima proposta dai fascisti che intendono
trattare per "il trapasso dei poteri" purché si consenta a tutti
coloro che lo desiderano di poter seguire i tedeschi in ritirata (10).
Quasi alla stessa ora, la Curia Arcivescovile comunica che i tedeschi si dicono
disposti a sgomberare la città purché sia loro concesso durante 48 ore il
transito della 34a e della 5a divisione che intendono dirigersi su Milano.
Ambedue le proposte sono respinte, ai fascisti il CLN risponde che non intende
concordare alcun passaggio di poteri perché il potere se lo assume da sé. Al
Comando tedesco il CMRP fa sapere che esige la resa incondizionata. Il CLN
redige un manifesto affisso alcune ore dopo sui muri della città col quale
annuncia l'assunzione dei poteri (11).
La lotta tra le due parti non è finita, anzi dopo il rifiuto di trattare si fa
più aspra, i nazifascisti si battono disperatamente e con la forza che viene
loro dai numerosi carri armati che ancora posseggono. I lavoratori torinesi
invece possono contare soltanto sulle loro forze perché le unità partigiane
sono sempre trattenute fuori della città dall'equivoco ordine, ritenuto del
col. Stevens.
Poco dopo le 14, reparti repubblichini riescono a riconquistare il palazzo
della Gazzetta del Popolo e traggono prigionieri nella vicina caserma Valdocco,
gli operai che non erano riusciti a mettersi in salvo.
Anche la questura e il municipio sono rioccupati dai fascisti. Si combatte
all'Aeritalia. Alle 13 i Sappisti della 6a brigata "Gino Sacli"
dell"'Unica" attaccano una pattuglia tedesca in corso Francia e
intimano la resa al posto di blocco fascista. Una camionetta carica di tedeschi
corre in aiuto ai "camerati", ma è costretta a fare rapidamente dietro
front portandosi via un morto e alcuni feriti. Dopo mezz'ora di fuoco i
repubblichini asserragliati nel posto di blocco si arrendono.
Un'ora è appena trascorsa che una colonna tedesca proveniente da Collegno
attacca nuovamente gli operai dell'Aeritalia investendo lo stabilimento da
diverse parti e impiegando cannoncini a tiro rapido. I Sappisti e gli operai
portano le mitragliatrici sui tetti dello stabilimento; sono maggiormente allo
scoperto, ma possono colpire meglio il nemico che, falciato dalle armi
automatiche, è costretto a ritirarsi. Gli operai si mettono immediatamente al
lavoro per riattivare la pista di atterraggio degli aerei.
I partigiani stanno per arrivare. Sin da mezzogiorno il distaccamento
"Lupo" della 19a brigata con alla testa Oscar, aveva attaccato il
posto di blocco di Superga sbaragliando il nemico. "Trumlin" il
vicecomandante della brigata guida l'assalto al posto fortificato di ponte
Stura. "Sotto il fuoco del nemico, alcune squadre agli ordini di Moretta e
di Edera si lanciano nelle acque della Stura, penetrano nel quartiere della
Barca e lo liberano." (12)
Piove a dirotto, ma tutta la popolazione è in strada a salutare i liberatori.
Altri distaccamenti scendono di corsa a Sassi e si attestano a difesa dei ponti
sul Po. I primi reparti partigiani entrano in città e si dirigono verso il
Corso Regina Margherita. Alle 14,30 unità garibaldine ed una forte colonna
della divisione autonoma "Monferrato" avanzano da corso Casale verso
il centro. A Rivella è concentrato un reparto di arditi che agisce nella zona.
Un nucleo della divisione "GL" cittadina è in azione al Borgo
Vanchiglia.
Un'audace puntata di reparti esploratori della stessa divisione si spinge sino
a piazza Castello, mentre una colonna di "Giustizia e libertà" occupa
il gazometro di Porta Susa.
Sul ponte Stura la brigata garibaldina "Giambone" cattura un carro
armato. Alla FRIGT dopo due ore di combattimento un centinaio di tedeschi è
fatto prigioniero. A Madonna di Campagna i patrioti conquistano tre autocarri
carichi di soldati e ufficiali nemici. Nella zona di cascina Maccagni, in una
rapida azione a fuoco, due carri armati sono incendiati e due autoblinde
catturate.
Alle ore 18 il Comando dell'VIIIa Zona riceve il seguente messaggio:
"L'ordine da voi ricevuto ieri sera è falso. Arrestate chiunque lo abbia
portato, chiunque esso sia. Non può essere altro che una provocazione. Il CMRP
ordina a tutte le formazioni dell'VIIIa Zona di entrare immediatamente in città
con tutte le forze disponibili".
Da quel momento le azioni partigiane contro i presidi tedeschi e fascisti che
circondano la città si susseguono ininterrottamente. In prossimità dei ponti
del Po carri armati tedeschi cercano di sbarrare la strada con violente
raffiche di mitragliere, alle formazioni partigiane, queste rispondono con i
"Bazooka" anticarro.
Nella notte del 26 una pattuglia avanzata di tre giovani garibaldini si trova
di fronte ad un reparto di SS che con due carri armati "Tigre" avanza
verso un accantonamento partigiano. I tre patrioti affrontano audacemente
l'impari combattimento, dando cosi la possibilità, a prezzo della loro vita,
alla brigata di non essere colta di sorpresa.
All'alba del 27 la brigata "Giaime Pintor" del gruppo mobile
operativo "GL" avanza sino al ponte Umberto I e in collaborazione con
la brigata Garibaldi "Gardoncini" attacca la caserma dell'OT e la
"Propaganda Staffel". Contemporaneamente penetrano in città la 9a
divisione "GL", la divisione " Matteotti"-"Renzo
Cattaneo" e unità garibaldine che avanzano in corso Vittorio tra Porta
Nuova e il ponte Umberto I sostenendo vivaci combattimenti con mezzi corazzati
nemici (13).
La 2a brigata "Garibaldi" libera la Barriera di Milano, un reparto
della 19a, della la divisione "Leo Lanfranco" raggiunge le officine
"Grandi Motori", reparti della 2a divisione accorrono alle Ferriere
Piemontesi, mentre alla Spa arriva per prima la "Giorgio Davito"
della divisione "Matteotti".
Alle 10,30 i repubblichini attaccano la 3a brigata SAP che ha occupato la
Westinghouse, i patrioti rispondono efficacemente ed inseguono i fascisti che
sono costretti a riparare nel loro fortilizio delle carceri Nuove dove si
trovavano di guardia. I garibaldini proseguono l'attacco sino a quando il
maggiore Cera comandante le forze fasciste chiede una tregua d'armi; viene
concessa in cambio di cento detenuti politici che sono immediatamente messi in
libertà e consegnati al Comanào della brigata.
Alcune ore dopo il carcere è nelle mani dei partigiani e le sue celle cambiano
ospiti. Tutti i patrioti sono liberati e al loro posto vengono rinchiusi i
criminali fascisti tra i quali il maggiore Cera sino a poche ore prima
comandante del carcere. L'ex detenuto politico Pietro Raspanti è nominato
direttore delle carceri Nuove (14).
Una brigata della 4a "Garibaldi" fa una puntata sino all'ex Camera
del lavoro in corso Galileo Ferraris a breve distanza dagli alti comandi
tedeschi.
Verso le 11 il Comando Piazza si trasferisce alle officine Lancia e il CLN
porta la sua sede negli uffici della conceria Fiorio. Autoblinde tedesche scorrazzano
ancora per la città e fanno puntate verso la periferia sparando all'impazzata.
I carri armati superstiti sono braccati e si muovono alla cieca, come belve
impazzite, in cerca di una via di scampo.
Alle 11 don Garneri si presenta al CLN latore di una terza richiesta dei
tedeschi che insistono per ottenere che le loro due divisìoni possano
attraversare una parte della città, non chiedono più 48, ma soltanto alcune ore
di tempo; in caso di rifiuto minacciano di fare di Torino una seconda Varsavia.
Anche il comandante Colàjanni (Barbato) viene informato che il famigerato
capitano Schmidt comandante di un corpo di polizia tedesco è autorizzato da Von
Rhan a trattare con i partigiani. Colajanni risponde che egli ha poteri per
combattere, non per trattare delle tregue.
Il generale Schlemmer alla testa della 34a Panzerdivisionen e della Va
Alpenjager "Gambus", 35 mila uomini e 60 carri armati
"Tigre", che aveva posto la sede del suo Comando nel Castello di
Stupinigi, dopo aver tentato invano di riprendere in mano la situazione,
facendo fare delle puntate in città a reparti corazzati, comunica di essere
disposto a capitolare purché gli sia lasciata via libera per Milano. Cosciente
del grave pericolo che una concessione del genere potrebbe rappresentare per le
altre città insorte che si vedrebbero piombare alle spalle le divisioni
tedesche, il CMRP ancora una volta respinge senza esitazione la richiesta.
Il gruppo di stabilimenti Elli-Zerboni, Cimat, Savigliano, Barbero sono
attaccati da carri armati tedeschi che sparano con i cannoncini. I Sappisti
della Elli-Zerboni chiedono rinforzi, sopraggiungono rapidamente i Sappisti
della 32a e della 33a assieme a reparti garibaldini dell'VIII Zona che mettono
in fuga il nemico.
Alle 13, tre carri armati tedeschi attaccano le officine Viberti, sono
ricacciati dall'efficace reazione del distaccamento garibaldino comandato da
Giovanni Girard. Nel breve combattimento i Sappisti hanno avuto alcuni morti
tra i quali il garibaldino Mario Testa.
Anche alla Grandi Motori gli operai devono fronteggiare un attacco condotto da
carri armati seguiti da numerosi nazifascisti appiedati. Gli attaccanti muovono
da via Cigna e da via Antonio Cecchi; i patrioti rispondono dalla postazione di
via Gressoney, tedeschi e fascisti hanno la peggio, ma nel combattimento cadono
i patrioti Arrigoni, De Fina, Loco e Costanzo, altri sono gravemente feriti. I
tedeschi investono pure il distaccamento della Siomat in corso Peschiera, ma
sono in breve costretti a fuga disordinata; sul terreno assieme a numerosi
nemici rimangono purtroppo anche i garibaldini Pietro Porta, Marizza e Fusetto
oltre a numerosi feriti.
Verso le 14, dopo alcune ore di combattimento, il V distaccamento della brigata
"Eugenio Curiel" con alla testa d'Amico occupa l'ex Casa della GIL
conquistando grande quantità di armi.
Alle 15 le forze nazifasciste tengono ancora la linea piazza Statuto, corso
Principe Eugenio, corso Regina Margherita (piazza Emanuele Filiberto esclusa),
Giardini Reali, piazza Cavour, piazza Carlo Felice, corso Oporto, corso
Mediterraneo.
Il covo di via Asti sgominato
La caserma di via Asti che i fascisti repubblichini avevano trasformata in
luogo di tortura resiste ancora. Sin dal pomeriggio del 26 aprile i Sappisti
della 5a divisione garibaldina, unitamente ad un distaccamento della brigata
"Matteotti", l'avevano ripetutamente attaccata. La notte era
sopraggiunta senza che i patrioti riuscissero ad espugnarla. Circondata tutta
la zona, alle prime luci dell'alba erano ritornati all'assalto.
Una squadra di Sappisti trascina da corso Casale un cannoncino da 75/17, lo
apposta in corso Alberto Picco ed inizia il tiro a zero sulla caserma.
Distaccamenti volanti del Borgo Pino dalle case che fronteggiano la caserma,
sparano con le armi automatiche. I fascisti assediati si difendono
disperatamente e rispondono al tiro del pezzo da 75 col fuoco dei loro mortai;
tentano poi una sortita verso corso Casale, appoggiati da due autoblinde,
cercano di spezzare l'accerchiamento, ma non vi riescono. Alcune ore dopo
ritentano con mezzi corazzati e l'impiego delle armi pesanti e dei mortai. Due
Sappisti: Luigi Medico e Ernesto Moncalvo strisciando sotto il tiro della
mitraglia nemica, raggiungono un carro armato e lo colpiscono con una carica di
esplosivo, poi vi balzano sopra e scaricano i loro mitra nelle feritoie,
fulminando l'equipaggio.
Il comandante sappista La Grutta invita i fascisti assediati nella caserma ad
arrendersi, ne riceve un rifiuto. Il combattimento continua aspro. Le perdite
sone gravi dalle due parti. Nel corso della giornata sono caduti nei ripetuti
attacchi alla caserma i garibaldini Giovanni Berruto, Diego Martinetti,
Gibellin, Renato Alciati, Oreste e Domenico Viarisio ed altri ancora; numerosi
i feriti.
Scende la notte, i fascisti perduta ogni speranza di riuscire ad aprirsi un
varco fuggono a gruppi col favore delle tenebre, alcuni vi riescono, altri
cadono davanti alle postazioni partigiane. Una parte degli assediati riesce a
fuggire attraverso un cunicolo segreto, indossando degli abiti civili. Prima di
abbandonare la caserma i briganti neri non rinunciano ad un'ultima infamia:
seviziano e massacrano il patriota Luigi Greco che tenevano prigioniero.
Nella caserma, al momento in cui venne occupata dai partigiani si trovavano
ancora prigionieri 14 patrioti tra i quali il comandante Bricarello, il
sappista Emesto Bonà e Aquilino Negarville.
Contemporaneamente sono state attaccate e costrette alla resa le caserme di
corso Valdocco e Monte Nero ove trovavansi asserragliati reparti della Xa Mas.
La 49a "Garibaldi" è impegnata in combattimento nei pressi della
caserma Cernaia. La resistenza del nemico è sempre più debole. Alle 17 la
divisione "Littorio" è in pieno sfacelo. Reparti della IVa Zona
raggiungono la Fiat Mirafiori entusiasticamente accolti dagli operai che da 48
ore resistevano agli attacchi dei tedeschi (15).
L'80a brigata "Garibaldi" guidata da Burlando attacca il presidio
tedesco alla stazione Dora. All'intimazione di arrendersi senza condizioni,
l'ufficiale nazista chiede il salvacondotto per lui ed i suoi uomini sino al
Brennero; il combattimento riprende violento, alla fine il presidio è costretto
a capitolare.
Matteottini e garibaldini espugnano il posto di blocco dell'autostrada
Torino-Milano. Le unità partigiane premono sempre più, dando la caccia ai pochi
carri armati sperduti per le vie della città.
Alle 18 la vittoria si delinea imminente. Una nuova proposta arriva al CLN da
parte del viceconsole tedesco Alvens. Il CLN delega don Cavallo parroco di S.
Alfonso e l'ing. Alessandro Fiorio a recarsi con immunità di parlamentari di
guerra presso la sede del comando tedesco ad intimare la resa incondizionata.
Quando i delegati del CLN giungono sul posto trovano il Comando nemico in pieno
scompiglio, non c'è più nessuno con cui prendere contatto.
Anche il generale Trabucchi che, liberato dalle carceri di S. Vittore a Milano,
era riuscito a raggiungere Torino dove aveva ripreso immediatamente il suo
posto di battaglia, aveva inviato al Comando tedesco la risposta alla richiesta
di armistizio (16). Ma l'ultima richiesta i tedeschi
l'avevano fatta soltanto per guadagnare tempo affinché il loro Comando potesse
raggiungere il grosso delle truppe corazzate. Queste durante la notte si
raccolgono attorno ai Giardini Reali, investono il blocco partigiano sulla Dora
e riescono ad aprirsi il varco dirigendosi verso Chivasso.
"Non si poteva da parte partigiana fare di più e l'aver costretto i
tedeschi, con l'insurrezione del 25 a restare nel concentrico era servito ad
impedire la distruzione dei ponti cittadini sul Po e sulla Dora" (17).
Nella notte dal 27 al 28, non appena i tedeschi, riusciti a sfondare, avevano
imboccato la strada per Chivasso, il CMRP invia alle brigate garibaldine
biellesi un marconigramma urgente: "Colonna 8000 tedeschi e fascisti provenienti
da Torino in ritirata. Impedire che la colonna raggiunga Milano. Firmato
Grossi" (18).
Le unità garibaldine che avevano nei giorni precedenti liberato Biella, Santhià
e Vercelli, si dispongono immediatamente in schieramento di battaglia per difendere
i centri liberati e per impedire alla colonna tedesca di proseguire verso
Milano. La 75a brigata da Cigliano a Santhià per fronteggiare i reparti
provenienti da Torino, la 2a brigata si apposta tra Cavaglià e Santhià per
opporsi alle colonne che possono arrivare da Ivrea, la 182a e la 12a divisione
si dispongono tra Santhià e Vercelli.
Il 29 una colonna corazzata, l'avanguardia delle truppe tedesche che si
ritirano da Torino, investe Cigliano. I garibaldini oppongono una prima
vigorosa resistenza, ma poi sono costretti ad abbandonare il paese lasciando
sul terreno parecchi morti, tra gli altri Elia Arnoldi ed Emiliano Bollea. Le
forze nemiche dilagano nella pianura e raggiungono Salussola e Santhià.
Ventinove civili vengono dai tedeschi trucidati nelle loro case.
Nei pressi di Santhià il nemico urta contro un più robusto sbarramento. I
partigiani hanno minato i ponti ed uno di questi, nei pressi di Tronzano viene
fatto saltare. Le unità corazzate non possono proseguire e sembra che il nemico
si decida ad arrendersi, ponendo come sola condizione di voler trattare con i
comandi anglo-americani.
Mentre le trattative sono in corso i tedeschi compiono un ennesimo atto di
barbarie.
È l'alba del 30 aprile, un forte reparto nemico si avvicina alle linee partigiane
innalzando bandiera bianca; quando però si trova a breve distanza apre il fuoco
contro i garibaldini. Questi, appartenenti a reparti della 2a e della 75a
brigata, ripiegano combattendo; ma un distaccamento del battaglione
"Gianni Crestani" è troppo vicino ai nazisti per potersi sganciare,
si batte valorosamente per oltre un'ora. Il comandante Sollazzo alla testa di
un gruppo di ardimentosi corre in aiuto al distaccamento impegnato. Nel
combattimento 25 garibaldini rimangono sul campo (19).
Anche il nemico è duramente provato perché sottoposto al bombardamento
dell'aviazione alleata sopraggiunta tempestivamente. La colonna tedesca rimane
bloccata a Santhià e si arrenderà all'indomani agli Alleati. Il Comando
raggruppamento divisioni "Garibaldi " biellesi telegrafa al CMRP a
Torino: "il vostro ordine è stato eseguito".
Frattanto nella notte tra il 27 e il 28 a Torino erano stati domati gli ultimi
tentativi di resistenza e il 28 trova la città completamente libera anche se
qua e là si imponevano azioni a fuoco contro il "cecchinaggio".
Verso le 10 del mattino i dirigenti del CLNP partono dalla sede clandestina
della conceria Fiorio, in corteo diretti alla prefettura, salutati dagli evviva
della popolazione riversatasi nelle strade.
Nel palazzo della prefettura Giovanni Roveda presiede una rapida riunione del
Comitato di Liberazione, vengono esaminati alcuni problemi più urgenti per la
ripresa della vita cittadina, poi la Giunta popolare decide di portarsi in
municipio per mettersi immediatamente al lavoro.
Non appena varcata la soglia della prefettura, il corteo dei membri della
Giunta popolare viene fatto segno ad alcune violente raffiche di mitra. Il
"cecchinaggio" fascista dà segni della sua attività disperata.
Gappisti e Sappisti rispondono immediatamente al fuoco e circondano i palazzi
vicini. La sparatoria durò circa un'ora in piazza Castello. Frattanto Roveda il
neosindaco, e i componenti della Giunta sono riusciti a raggiungere il
municipio, ma appena entrati negli uffici le finestre sono fatte bersaglio dal
tiro dei fucilieri fascisti. L'azione di "cecchinaggio" durò alcuni
giorni e costò la vita a diversi patrioti (20).
Il pericolo più grave era però ancora rappresentato dalle forze tedesche che si
raccoglievano ad occidente della città. Il generale Schlemmer aveva ordinato il
concentramento di tutte le sue truppe tra Pinerolo e Rivoli Torinese
"nella folle illusione di raggiungere per la sinistra del Po il Veneto
prima degli Alleati e di qui la sua patria".
Le colonne tedesche provenienti da Cuneo si erano scontrate al mattino del 28 a
Stupinigi ed a Moncalieri con le difese partigiane, nel pomeriggio quelle
provenienti dalle valli Chisone e Dora si trovano la strada sbarrata a
Orbassano ed a Grugliasco. Il comandante la 4a divisione "Alpenjager"
chiede al Comando partigiano di lasciare libero transito per Torino alle
colonne tedesche, in caso di rifiuto avrebbe fatto bombardare la città con le
artiglierie appostate a Stupinigi ed a Rivoli.
Il cardinale Fossati si porta in prefettura e chiede al generale Trabucchi,
comandante del CMRP, quali erano gli intendimenti del Comando. Il generale
risponde che "le ragioni di opportunità militare e di dignità nazionale
imponevano di respingere la richiesta. Il cardinale volle recarsi dal generale
Schlemmer al Castello di Stupinigi. Venne accompagnato dal col. Contini che
aveva disposizioni dal CMRP di ribadire al generale tedesco che alla violenza i
partigiani avrebbero risposto con la violenza. Il generale tedesco fu corretto
col cardinale, ma rifiutò di assumere ogni impegno.
Intanto il col. Stevens che dopo la fuga dei tedeschi dalla città era
ricomparso in una sfavillante divisa, scrive il generale Trabucchi, "mi
ordinò di fare saltare i ponti di Moncalieri, per trattenere il nemico ad ovest
di Torino". Il generale Trabucchi promise di fare quanto richiesto, ma i
ponti rimasero in piedi non essendo egli disposto a distruggere ciò che con
tanti sacrifici di sangue era stato salvato sino a quel momento.
Giorni di ansia furono il 29 e il 30, la città libera dall'interno, continuava
ad essere sotto la minaccia dei cannoni e delle truppe del generale Schlemmer.
Alla sera del 29 una colonna della 34a divisione, da lui comandata, proveniente
da Cuneo si attestò a Grugliasco chiedendo di passare. I Sappisti e i partigiani
data la loro inferiorità furono costretti ad acconsentire il transito della
colonna tedesca. I nazisti s'erano impegnati a non commettere violenza alcuna.
Malgrado l'accordo, verso mezzanotte disarmarono di sorpresa un posto di blocco
partigiano, circondarono il paese, attaccarono la Casa del Popolo dove i
Sappisti esaurite le munizioni e sopraffatti dal numero vennero fatti
prigionieri. Alcuni riuscirono a fuggire ed a raggiungere Collegno riparando
nella ex Casa Balilla, anche qui vennero raggiunti ed attaccati dai tedeschi.
Resistettero sino all'ultimo; i superstiti vennero catturati dai teutonici e
riportati a Grugliasco dove assieme agli altri partigiani, dopo essere stati
orribilmente torturati, vennero fucilati. Caddero nell'eccidio di Grugliasco 58
Sappisti garibaldini e sette civili.
Gli "eroi" tedeschi esitavano però ad attaccare Torino e ripiegarono
verso ovest nell'intento di raggiungere Orbassano. Le unità nemiche ammassate a
Rivoli effettuavano ricognizioni offensive lungo lo stradone di Rivoli sino
all'altezza della linea ferroviaria che porta in Francia. Alla sera del 30 le
colonne tedesche sono in movimento per CollegnoVenaria-Settimo. Considerato
impossibile superare gli sbarramenti dei partigiani biellesi e vercellesi a
Santhià ed a Vercelli, i tedeschi avevano deciso di tentare di raggiungere la
Svizzera attraverso la valle d'Aosta. Ma ormai era troppo tardi. Il 1° maggio
le unità anglo-americane fanno il loro ingresso a Torino e il giorno dopo il
capo di S.M. del corpo d'armata americano fece sapere al generale Schlemmer che
se non si decideva ad arrendersi avrebbe fatto intervenire un centinaio di
bombardieri pesanti. Lo Schlemmer firmò la resa alle 17 del 3 maggio nelle mani
di un colonnello americano.
Le unità alleate entrando a Torino trovarono una città disciplinata, presidiata
da 14 mila partigiani, i servizi pubblici in funzione, salve tutte le
industrie, intatti i ponti le centrali elettriche e ferroviarie.
Nelle cinque giornate insurrezionali di Torino caddero combattendo nelle
fabbriche e nelle strade 320 partigiani e lavoratori. La classe operaia
torinese ancora una volta era stata all'avanguardia nella lotta e nel
sacrificio. Le maestranze presenti alla Fiat Mirafiori durante tutte le
giornate insurrezionali avevano superato il 90%, l'80% alla Spa, l'85% alla
Lancia, le stesse percentuali negli altri stabilimenti.
Cesare Balbo, gloria del vecchio Piemonte, nello studiare l'insurrezione di
Spagna contro Napoleone per trarne ammaestramenti per una auspicata guerra di
liberazione italiana, aveva rilevato come le forze popolari si fossero
affermate di fatto nella penisola iberica, assai più nella difesa di certe
città, come Saragozza e Gerona, difesa integrata dall'azione di bande della
montagna o di corpi militari regolari, che non nella sola guerriglia vera e
propria. E si trattava allora di città murate che potevano trattenere dei veri
eserciti, dando modo alle forze esterne di combatterli alle spalle. A poco più
di un secolo di distanza la concezione di C. Balbo trovava conferma proprio
nella sua Torino. Senonché al posto delle mura c'erano le fabbriche, e al posto
di una plebe miserabile e fanatica, un proletariato veramente educato e
cosciente; e fuori le bande sorrette da tutta la popolazione del contado e
anch'esse costituenti non una milizia raccogliticcia e disforme, ma ormai il
fior fiore dei combattenti ammaestrati da una durissima esperienza di guerra e
nessuna truppa forestiera. Torino aveva provveduto a salvare cose meravigliose,
non solo le sue fabbriche, ma pure gli impianti elettrici, telefonici, i suoi
ponti, i suoi acquedotti (21).
Note
1) Gli effettivi di queste unità non si riferiscono alla loro
forza complessiva, ma soltanto alle aliquote destinate a convergere su Torino.
2) "Il col. Stevens poteva benissimo non approvare e
disgiungere la sua responsabilità dal CMRP, ma una volta accettata la
conclusione ed impartito l'ordine, tutto doveva essere fatto per la felice
riuscita del progetto. Invece dopo la deliberazione, il colonnello aveva
rifiutato di condividere la sorte del CMRP, si era rifugiato in una più sicura
villa in collina e quel che è peggio aveva fatto circolare alcune comunicazioni
che avevano indotto molti a ritenere che l'azione insurrezionale fosse
rinviata". A. Trabucchi, I vinti hanno sempre torto, Edit. De
Silva, Torino, p. 207.
3) Pompeo Colajanni (Barbato), Comandante dell'VIIIa zona,
divisioni partigiane del Monferrato, delle Langhe, del Canavese, della Valle
Chisone. Valoroso ufficiale dell'esercito.
4) Il Comando Piazza di Torino era formato dal col. Aurelio Guy
comandante (indipendente), da Mario Mammuccari Brandani commissario (PCI),
dall'ing. Zanoni (DC), dal dottor Mattone (liberale), da Bertoletti (Partito
d'Azione) e da Santino (PSI).
5) Tale ufficio era diretto daill'ing. Sergio Bellone già
comandante della brigata garibaldina "Luigi Capriolo", vi
collaboravano gli ingegneri Calenti, Rivetti e il prof. Zin.
6) Petralia (capitano Vincenzo Modica).
7) Pompeo Colajanni, L'insurrezione di Torino, Rivista
di Torino e del Piemonte, 4 aprile 1955.
8) Dal rapporto di F. Ferro (Fabbri) comandante delle SAP
cittadine Archivio brigate d'assalto "Garibaldi".
9) Rapporti inviati dai comandi di settore al Comando delle SAP
cittadine:
- 2a divisione: Borgo Vittoria è controllato dalle SAP, dalle 16 le Ferriere
sono in mano nostra. In diverse sortite i Sappisti hanno fatto molti
prigionieri, il nemico registra gravi perdite. Nicola.
- 3a divisione: la Grandi Motori è stata occupata alle ore 14: il morale è
alto. I Sappisti hanno aumentato l'armamento con sortite che hanno fruttato
oltre alle armi molti prigionieri. Erba.
- 1a divisione: la SPA è in mano dei Sappisti, così dicasi della Lancia e
dell'Aeritalia. Il compagno Francesco Taverna è caduto eroicamente
nell'occupazione della SPA. Gigi.
- 1a brigata SAP garibaldina 'E. Giambone': alle ore 19 del 26 il presidio
dello stabilimento Lancia composto dalle SAP e rinforzato dai GAP viene
attaccato da tre camionette armate repubblichine. L'attacco dura appena dieci
minuti e viene respinto. Risultato: un mitragliere da camionetta morto, un
altro repubblichino ferito. Da parte nostra nessuna perdita. Le forze delle SAP
e dei GAP dopo questo primo attacco restano vigilanti, difatti verso le 21 due
carri armati tedeschi 'Tigre' attaccano lo stabilimento con nutrito fuoco. Le
nostre formazioni passano al contrattacco, l'avversario dopo 55 minuti di lotta
è costretto ad abbandonare il campo lasciando sul terreno morti e feriti. Le
armi in dotazione alle nostre formazioni erano: una trentina di moschetti, diverse
bombe a mano, bombe ballerine, bombe 'Molotov' e dinamite. Firmato: Mario.
Relazione della SAP garibaldina dalla Fiat Mirafiori: "Corpo Volontari
della Libertà Fiat Mirafiori 10a divisione SAP.
- Tutti i Sappisti, il Fronte della Gioventù, i Gruppi di difesa della donna,
tutti i compagni e compagne rispondevano con slancio e grande entusiasmo alla
difesa del loro stabilimento, creato con le fatiche loro e dei loro Padri.
- I Sappisti riuscivano a disarmare i NAS interni ed i posti di blocco adiacenti
alla Fiat: il bottino di guerra si può .riassumere: 200 moschetti, 2
mitragliatrici pesanti e 4 leggere, bombe a mano e tre camion. Catturati 15
prigionieri tedeschi.
- La lotta per la difesa dello stabilimento, nel respingere gli attacchi
tedeschi appoggiati da carri armati con cannoni semoventi fu dura, ma
Vittoriosa. Nei giorni della difesa dello stabilimento, parecchi atti di
eroismo che costarono generosi tributi di sangue.
- Il 26 aprile il compagno Blandino si lanciava coraggiosamente all'attacco di
un posto di blocco di corso Orbassano: raggiunto da una raffica di mitra cadeva
vittima della sua audacia e del suo eroismo. Nella stessa giornata, durante un
attacco di carri armati tedeschi, un sappista il compagno Camillo Muratore
veniva mortalmente colpito da una scheggia di granata, fulgido esempio di
indomito coraggio e decisione.
- Riteniamo nostro dovere inoltre fare presente l'entusiasmo di alcuni nostri
migliori che in questi giorni si distinsero particolarmente: Baiocchi e Merlo,
sotto il fuoco nemico con energico spirito di sacrificio si offrivano
volontariamente di andare in soccorso di un compagno caduto, sempre primi in
qualunque rischio e pericolo.
- Castelli (Mollo III) comandante di distaccamento con ammirevole fermezza
portava a termine i suoi compiti contribuendo generosamente alla difesa dello
stabilimento.
- I giovani Sappisti Di Mauro, Di Maio e Epulon senz'armi, con invidiabile
ardimento riuscivano ad avvicinare un camion tedesco e a disarmare il
maresciallo ricuperando l'automezzo e le armi del tedesco il quale nella lotta
rimaneva sul terreno.
- Trumia Maria: alle compagne della Mirafiori va ricordata l'oscura ma pur
sublime abnegazione della compagna 'Wanda' che infaticabilmente, per giorni e
giorni ha dimostrato una fede encomiabile.
- Segnaliamo inoltre il comportamento coraggioso del compagno Mercuri Felice:
durante l'attacco dei carri armati nazisti al nostro stabilimento, rimasto solo
nella manovra di una mitragliatrice appostata sui tetti della palazzina degli
uffici mano d'opera, sotto il fuoco concentrato nemico, con tempestive raffiche
della sua arma impediva ai teutonici di avvicinarsi al recinto delle nostre
officine e riusciva ad immobilizzare un carro armato ed a colpirne un altro
costringendolo a ritirarsi. Colpita la sua postazione da un proiettile di
cannone che lo sbalzava lontano alcuni metri dalla sua arma, miracolosamente
illeso, vista l'impossibilità di tenere il suo posto e preoccupato
dell'incolurnità della preziosa arma, si ritirava sotto il fuoco nemico portando
la mitraglia in salvo per riprendere nuovamente la lotta in una nuova
postazione. Esempio tipico di valore proletario.
- Chiaraviglio Sergio: unito a 5 compagni avvertiti che al posto di blocco di
corso Orbassano vi erano armi lasciate dai nazifascisti da prelevare, si
recavano sul luogo per prenderne possesso, ma colà giunti si trovarono di
fronte ad un gruppo di repubblichini ancora asserragliati nel posto di blocco,
i quali all'arrivo dei Sappisti aprivano il fuoco. Il Chiaraviglio veniva fatto
prigioniero e lo costringevano a seguirli nella loro ritirata. Il nostro
giovane compagno nei pressi dell'ospizio dei poveri riusciva a fuggire
miracolosamente salvandosi dalle raffiche di mitraglia del nemico, ritornava al
posto di blocco, ricuperava le munizioni che aveva abbandonate e rientrava
portando inoltre la bandiera fascista. Vero esempio di eroismo per i giovani
del Fronte della Gioventù.
- Degni di lode i pompieri e i sorveglianti i quali già nella notte dal 24 al
25 avevano dato prova di dedizione alla causa rifiutandosi di aiutare o
comunque insegnare ai tedeschi come si doveva attaccare la pompa per il
pescaggio della benzina in modo che i teutonici non potessero portare via il
prezioso carburante. Nel pomeriggio del 26, liberatisi dai tedeschi, sono
alcuni dei più animosi pompieri che danno l'assalto al vicino posto di blocco e
riescono a catturare le armi e sono ancora i pompieri che catturano due camion
di tedeschi che passavano per il corso Stupinigi.
- Durante la sparatoria dei carri armati, noncuranti del pericolo, si prodigano
al ricupero dei feriti e li trasportano nell'infermeria; raccolgono i caduti e
si prodigano in mille modi per rendersi utili alla buona riuscita
dell'insurrezione. Firmato: Riccardo. "Dall'archivio delle brigate d'assalto
Garibaldi".
Vedi anche F. Ferro, I nostri
Sappisti nella liberazione di Torino, Edizioni SAN, Torino.
10) Paolo Greco, Cronaca del Comitato Piemontese di
Liberazione, in Aspetti della Resistenza in Piemonte, Istituto dèlla
Resistenza, Torino, p. 150.
11) "Il CLN del Piemonte dirige l'insurrezione. I fascisti
devono capitolare.
"Piemontesi,
Il Comitato di Liberazione Nazionale del Piemonte applaude al fermo ed eroico
contegno della popolazione che è piena di solidarietà ed appoggio al Corpo
Volontari della Libertà, alle masse operaie che già affrontarono valorosamente
e vittoriosamente i fascisti in questa fase culminante e decisiva della nostra
lotta di liberazione.
Il Comitato ha respinto la proposta di resa condizionata presentata dai comandi
tedeschi e fascisti, la risposta del Comitato è stata la seguente: la resa
dev'essere incondizionata perché non possiamo permettere che rimangano armi
nelle mani dei nostri nemici che possono colpire attaccando i nostri fratelli e
i nostri alleati.
Popolo di tutto il Piemonte, in armi sino all'ora dell'imminente liberazione
totale.
Il Comitato di Liberazione Nazionale del Piemonte delegato dal legittimo
Governo italiano, rappresentante del popolo piemontese, nelle persone di:
Franco Antonicelli, presidente (del Partito liberale)
Paolo Greco (del Partito liberale)
Andrea Guglielminetti e Andrea Libois (della Democrazia Cristiana)
Mario Andreis e Sandro Galante Garrone (del Partito d'Azione)
Rodolfo Morandi e Giorgio Montalenti (del Partito socialista italiano)
Giorgio Amendola e Amedeo Ugolini (del Partito comunista italiano)
assume ufficialmente tutti i poteri di Governo nella regione del Piemonte e
nomina alle principali cariche le seguenti persone:
Prefetto: Pier Luigi Passoni del Partito socialista
Viceprefetto: Giovanni Canova del Partito liberale
Sindaco: Giovanni Roveda del Partito comunista
Vicesindaci: Domenico Chiaramello del Partito socialista; Gioacchino Quarello
della Democrazia Cristiana; Ada Marchesini Gobetti del Partito d'Azione
Presidente della deputazione provinciale: Giovanni Bovetti della DC
Questore: Giovanni Agosti del Partito d'Azione
Vicequestore: Nicola Colajanni del Partito comunista
Presidente della Deputazione economica: Telesio Guglielmone della Dc.
Il Comitato di Liberazione del Piemonte, dopo le magnifiche manifestazioni
combattive date dal popolo italiano nella conquista delle sue libertà, è sicuro
del suo unanime consenso nell'opera di ricostruzione che oggi si inizia.
Torino, 26 aprile 1945.
12) Dal rapporto del commissario Piero al comandante
"Barbato", Pompeo Colajanni, Archivio brigate d'assalto
"Garibaldi".
13) Angelo Mussa, Capo di S.M. dell'VIIIa Zona piemontese in L'insurrezione
a Torino, "Mercurio", n. 16, dicembre 1945.
14) "In qualità di comandante di zona occupata dalla 3a
brigata SAP 'Giulio' affido il comando delle carceri giudiziarie di Torino al
ten. col. Raspanti Pietro (detenuto politico, ex comandante delle SAP
garibaldine, arrestato il 12 febbraio 1945). Nomino vicecomandante militare il
rappresentante del Partito d'Azione Gianni Angelo (detenuto politico). Nomino
comandante interno per i servizi di organizzazione il comandante garibaldino
D'Herin Eugenio (detenuto politico) che dichiara di affiancarsi quale
commissario politico il funzionario del PCI Angelini Vincenzo. II comandante
della 3a brigata SAP 'Giulio'. Firmato: Baldo. 18 aprile 1945, ore 0,30."
15) Stralcio delle informazioni pervenute al Comando militare
regionale piemontese sulla situazione sino alle ore 17, Torino 27-4-1945.
"I reparti della divisione 'Littorio' dislocati in Valle Roja si
arrendono. Alle ore 7 del giorno 27 i germanici tengono ancora Cuneo,
l'aviazione alleata sostiene l'azione dei partigiani che cercano di rioccupare
la città di S. Damiano Macra, presidio fascista eliminato. Centrali elettriche
valli Maira e Varaita intatte e presidiate dai partigiani. Busca, Castigliole,
Verzuole liberate. Saluzzo liberata. A Villastellone il presidio tedesco si è
arreso ai reparti delle brigate 'Montano' e 'Nannetti'.
"Reaglie: alle 19 del 26 i partigiani hanno occupato il posto di blocco e
messo fuori combattimento un carro armato."
16) CMRP, Torino, 27 aprile 1945, ore 18,45, oggetto: Richiesta
di armistizio al Sig. dott. Tollini.
"In esito alla vostra richiesta di armistizio per i tedeschi della Piazza
di Torino, il capitano Schmidt insieme ad un ufficiale del Comando della
Wehrmacht può presentarsi con bandiera bianca, accompagnato dal sacerdote
delegato alla Chiesa di S. Alfonso in corso Tassoni". "Tratterà con
l'ufficiale che ha presenziato agli accordi intervenuti a Milano tra il
generale S. S. Wolff e il generale Cadorna".
17) A. Trabucchi, op. cit., p. 209.
18) Grossi - Francesco Scotti, vicecomandante del CMRP.
19) I garibaldini caduti a Sànthià sono Carmine Sollazzo
(Pisano), Renzo Monferrario (Tommy) , Giovanni Ramella Valet (Tabor), Lorenzo
Bevilacqua (Rione), Ermete Sartori (Gagno) , Pasquale Piccoli (Zena), Giuseppe
Piccoli (Picco), Silvio Negro (Tigre), Giovanni Contero (Sceicco), Renato Pizzi
(Cici), Giulio Capellaro (Ciucia), Ugo Aglietta (Ugo), Alberto Antonietti
(Topolino), Vittorio Lovatto (Martello), Franco Torta (Fulvio), Leo Ramella
Pezza (Givo), Lino Fortuna (Vice), Adelio Panizza (Zio), Giuseppe Cassata
(Tompon) , Giovanni Toro (Cappone), Creste Perona (Staviski), Luigi Barbero
(Civile), Aldo Mussano (Lio), Aldo Guala (Crak), Giovanni Casalino (Cita).
20) G. Roveda, L'insurrezione di Torino. Per la storia della
Resistenza. Rinascita, n. 1-2, gennaio 1946.
21) Pietro Pieri, L'insurrezione di Torino, Rivista di
Torino, n. 4, aprile 1955.