da Secchia, Lo sciopero del 14
Luglio; CDS - Roma, 1948
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Secchia
Lo sciopero del 14 Luglio
Indice
L'attentato e lo sciopero generale
Esperienze di un grande sciopero
L'unità della classe operaia e le sue alleanze
Considerazioni conclusive
Documenti
L'attentato e lo sciopero generale
Il
14 Luglio 1948 alle ore 11,40 venivano sparati a tradimento contro Palmiro
Togliatti quattro colpi di rivoltella che lo ferivano mortalmente.
Sulla soglia di Montecitorio sotto gli occhi "imparziali" della
polizia, il delinquente aveva potuto compiere indisturbato il brigantesco
attentato.
Chi ha armato la mano di Pallante? A questa domanda il governo De Gasperi non
ha voluto e non vuole rispondere. Tanto Pallante quanto gli assassini degli
organizzatori sindacali e dei lavoratori comunisti vengono definiti dei pazzi,
isolati, senza complici. Nessuna indagine, nessuna ricerca di responsabilità.
Nessuno è stato chiamato a rendere conto di quanto era avvenuto sotto gli occhi
della polizia. Non il ministro degli interni, non il capo della polizia, non il
questore, nessuno!
Questo atteggiamento è di per se stesso una confessione di responsabilità.
Gli assassini di Antonio Gramsci sono gli stessi che hanno armato la mano di
colui che tentò di uccidere Palmiro Togliatti.
Oggi come ieri si tratta di settari al servizio di chi vuole eternare lo
sfruttamento dell'uomo sull'uomo, di chi vuole ricacciare il genere umano in un
nuovo e più barbaro medioevo.
Si tratta di banditi al servizio dello straniero, ieri tedesco, oggi
dell'imperialismo americano, che vorrebbe trasformare la nostra terra in campi
di battaglia di sangue e di rovine.
Il nemico sa che sino a quando Palmiro Togliatti guiderà la lotta del Partito
Comunista e delle forze democratiche, l'Italia non diventerà mai una colonia
americana, che l'Italia non diventerà mai il deposito delle bombe atomiche e la
base militare di eserciti imperialistici.
«Il nostro dovere oggi (aveva gridato il compagno Togliatti nel suo discorso al
Parlamento qualche giorno prima dell'attentato) è quello di chiamare il popolo
italiano a combattere per la pace d'Italia, d'Europa e del mondo intero».
Egli aveva innalzata, in quel suo magnifico discorso, più alta che mai la
bandiera della pace, della libertà, dell'indipendenza nazionale.
La sua voce fu udita da tutti gli italiani e dagli stranieri, dagli amici e dai
nemici. Questi ultimi vollero far tacere quella voce, far cessare di funzionare
quel cervello, sopprimere quella forza geniale che è garanzia di pace e
democrazia.
Quei quattro colpi di pistola furono uditi da tutto il Paese. Furono un segnale
di allarme. Un nome solo corse di bocca in bocca in Italia e fuori d'Italia,
Jaurès.
La tragica notizia corse di bocca in bocca, fu trasmessa dal telegrafo, volò
sulle onde della radio, in pochi minuti fu conosciuta da un capo all'altro
d'Italia.
Il rumore operoso delle grandi città cessò di colpo.
Solo gli urli delle sirene chiamarono a raccolta gli operai e i lavoratori
tutti. I contadini abbandonarono le falci e le trebbiatrici, gli impiegati, i
tecnici, i commessi, gli uffici pubblici e privati. I treni, i tram gli
autotrasporti si fermarono. I possenti motori restarono senza vita. I porti
deserti, sulle banchine le merci rimasero a mezz'aria, appese alle gru;
guardanti dall'alto la vita del lavoro che si spegneva.
Sulle strade delle campagne e delle città marciavano le folle dei lavoratori
verso le Camere del Lavoro, verso le sedi del Partito Comunista, verso le loro
Associazioni, per unirsi, per conoscere, per sapere.
Prima: costernazione, dolore, ansia. Poi: sdegno, incontenibile e rinnovato
proposito di lotta.
Tutto il mal contento contro la politica di odio e di divisione praticata dal
governo, tutto lo sdegno per la truffa del 18 aprile, per gli arbitrii e le
violenze organizzate dal ministro di polizia, tutta la ribellione per la
politica reazionaria e antinazionale delle classi dirigenti esplodevano con
impeto.
Tutto il paese colpito, commosso si muoveva.
A Torino:
già prima delle ore 14 tutti i tram erano rientrati in rimessa, i negozi
avevano chiuso le saracinesche, le fabbriche grandi e piccole, erano ferme e
presidiate dagli operai. Nella notte dal mercoledì al giovedì, l'on. Scelba
impartì l'ordine di attaccare con le armi la Fiat col pretesto di
"liberare" il prof. Valletta, presidente del consiglio di
amministrazione della Fiat, il quale però in seguito dichiarò - smentendo l'On.
Scelba - di essere rimasto alla Mirafiori di sua volontà. Ad ogni modo, nella
notte dal mercoledì al giovedì, l'ordine insensato e provocatorio del ministro
degli Interni trovò titubanti le autorità torinesi e non venne eseguito né
allora né dopo.
A Milano:
alle 13,30 il lavoro cessava spontaneamente in tutte le aziende e negli uffici.
Le fabbriche venivano presidiate dagli operai. Due ore dopo l'attentato lo
sciopero si era esteso a tutta la provincia. Alle ore 16,00 i tram cittadini e
provinciali avevano cessato di circolare. I teatri, i cinematografi e i negozi
chiudevano. Mentre centinaia di migliaia di lavoratori si riversavano verso la
piazza del Duomo per partecipare al grande comizio di protesta, i grossi
papaveri dell'industria facevano a gara a chi fuggiva più in fretta. Le
autostrade e tutte le strade che conducono ai monti delle vicine province di
Novara, Varese, Como, Sondrio e Bergamo e specialmente quelle in direzione
della vicina Svizzera erano percorse da centinaia di macchine cariche di
valigie, bauli, materassi, ecc.. In quattro ore la città si era vuotata di
questi vampiri i quali poi per giustificare la loro paura e la loro fuga hanno
messo in circolazione la storiella che lo sciopero aveva carattere
insurrezionale.
A Genova:
non appena gli operai e la popolazione appresero la notizia
dell'attentato contro il compagno Togliatti le fabbriche si fermarono, i negozi
si chiusero, i tramvai cessarono di circolare, il porto si arrestò. Le strade
furono invase da interminabili cortei di lavoratori, di donne casalinghe, di
studenti, di professionisti, di commessi, che si avviarono verso il centro per
il grande comizio che si tenne alle ore 16,00 in piazza De Ferrari.
Sin dal primo momento l'avversario manifestò le sue intenzioni provocatorie.
Sei autoblinde della polizia si presentarono sulla piazza dove centoventimila
lavoratori si radunavano pacificamente per ascoltare la voce dei loro
dirigenti. Le sei autoblinde furono sommerse dalla marea della folla e
immobilizzate prima che potessero far uso delle armi, il che evitò una tragedia
che qualcuno voleva provocare. Si ebbero in ogni parte della città episodi di
fraternizzazione fra le masse popolari e reparti delle forze armate.
A
Venezia: in tutte le località del Veneto, nelle province di Venezia,
Padova, Rovigo, Vicenza, Verona, Pordenone, Udine, Treviso esplose il
risentimento di larghissime masse popolari che abbandonarono il lavoro e
organizzarono in ogni località forti manifestazioni di protesta.
A Venezia lo sciopero fu totale in città e in provincia. Le fabbriche e gli
stabilimenti vennero presidiati dagli operai.
A Udine: lo
sciopero assunse uno slancio tale che non solo le masse popolari ma tutti i
partiti e i movimenti democratici ritrovarono lo stesso spirito unitario e di
lotta che li animava nell'aprile-maggio 1945.
A Rovigo:
nelle prime ore del pomeriggio affluirono in città da tutti i centri
della provincia, masse di contadini e lavoratori che avevano abbandonato i
campi. Il comizio che si tenne il giorno 15 a Rovigo fu di una imponenza senza
precedenti.
A
Bologna: il lavoro cessò ovunque alle ore 13,00 appena la radio
diffuse la notizia dell'attentato al compagno Togliatti. La quasi totalità
degli ex gerarchi repubblichini, degli agrari e degli industriali si rese
irreperibile sin dal primo annuncio dell'attentato. Parecchie fabbriche vennero
presidiate dagli operai.
Lo sciopero è stato totale anche in provincia. Le masse lavoratrici bolognesi
dimostrarono grande disciplina, sensibilità politica e combattività.
Nella provincia di Reggio Emilia centoottantamila lavoratori parteciparono
attivamente allo sciopero, ma si può dire che tutta la popolazione partecipò al
movimento di protesta.
A Firenze: la notizia
dell'attentato al compagno Togliatti fu conosciuta alle ore 12,10 a mezzo
dell'ANSA. Alle ore 14,00 tutta la provincia era già completamente ferma. Tutte
le categorie di lavoratori avevano abbandonato il lavoro. Alle 15 già si
vendeva l'edizione straordinaria del quotidiano «Toscana Nuova».
Lo sciopero dei giorni 14, 15 e 16 fu di tale tempestività, ampiezza e
profondità da sorpassare di gran lunga tutti i precedenti.
Lo sciopero mise in movimento tutte le categorie lavoratrici: operai,
impiegati, contadini, artigiani, commercianti, ecc. In ogni Comune anche
laddove (Marradi, Palazzuolo, Londa, Regello, Carmignano) le forze e le
influenze del Partito sono più limitate esso riuscì perfettamente.
A Siena: i
primi a scioperare furono gli operai delle officine Tortorella, Lolini e Muzzi,
delle fornaci di laterizi di Val di Chiana, i minatori dell'Amiata, gli operai
delle officine di Colle d'EIsa e di
Poggibonsi, i metallurgici, i fornaciai, i vetrai, i minatori e i lanieri. I
ferrovieri cessarono pure il lavoro alle ore 14. Gli altri operai, i mezzadri,
i braccianti e gli artigiani cessarono il lavoro nel corso del pomeriggio del
14 man mano che venivano a conoscenza dell'attentato.
In tutta la provincia comprese le zone politicamente meno influenzate da noi
come il Chianti, Cetona e Radicofani, al giungere della notizia la vita si
arrestava nei campi e nei villaggi.
A Roma:
dopo appena tre quarti d'ora dall'attentato il lavoro veniva sospeso nelle
aziende industriali, nei trasporti tranviari, nei negozi, negli uffici
pubblici. Nel pomeriggio lo sciopero generale si estese alle ferrovie e alle
aziende del gas. Nelle aziende elettriche si ebbe la sospensione della corrente
sino alle ore 20.
Masse di decine di migliaia di scioperanti nelle prime ore del pomeriggio
affluirono nelle vie del centro e specialmente in piazza Colonna. Numerose
manifestazioni avevano luogo anche negli altri quartieri della città. Pure
nella provincia lo sciopero assunse ovunque una ampiezza e un carattere
popolare e totale. Forte lo spirito di lotta e di combattività dei lavoratori.
Nell'Agro Romano lo sciopero è stato completo.
Nelle
Marche: immediato lo sciopero generale nelle province di Ancona,
Pesaro, Macerata, Ascoli Piceno. Nelle prime ore del pomeriggio avevano luogo
grandi manifestazioni di protesta in tutte le località delle quattro province e
particolarmente nei capoluoghi e a Porta Civitanova, a Porto San Giorgio, a
Tolentino, a Fano, a Urbino a Jesi, a Fabriano, a Senigallia.
Nell'Umbria:
lo sciopero fu imponente tanto negli stabilimenti di Terni quanto
nelle fabbriche di Spoleto, presidiate dagli operai. Lo sciopero dei contadini
si estese in tutte le zone. I negozi e gli uffici chiusi. Uno sciopero così
compatto non si era mai visto nel passato, neppure nel lontano 1919
Nell'Abruzzo:
per la prima volta queste terre videro un movimento così esteso di
lavoratori, una manifestazione di protesta alla quale la popolazione così
largamente partecipò.
Lo sciopero fu totale ad Avezzano ed in molti centri della Marsica.
L'Associazione Combattenti aderì allo sciopero
A
Potenza: alla manifestazione di protesta la cittadinanza partecipò
in misura superiore a qualsiasi precedente manifestazione. Largamente
rappresentato il ceto medio cittadino che costituisce la maggioranza della
popolazione del capoluogo.
A Napoli:
poche ore dopo l'attentato la vita normale della città e della
provincia era paralizzata. Migliaia di lavoratori abbandonavano il lavoro e si
riversavano verso la sede della Camera del Lavoro e del Partito Comunista per
chiedere la proclamazione ufficiale dello sciopero generale. In poco tempo
malgrado la paralisi dei mezzi di trasporto, migliaia e migliaia di persone si
trovavano davanti alla Camera del Lavoro ove aveva luogo un grande comizio. È a
questo punto (terminato il comizio, mentre la massa dei lavoratori si avviava
alle sedi delle organizzazioni sindacali e politiche) che in piazza Dante
avveniva la seconda grave provocazione della polizia. La "Celere" che
già aveva caricato la folla sotto la sede della Federazione Comunista attaccava
di nuovo i lavoratori dando luogo ad un conflitto nel quale cadevano due
compagni studenti: Quinto e Fischetti.
L'uccisione dei due compagni non smorzava lo slancio degli operai. L'estensione
dello sciopero nella città e nella provincia assunse proporzioni mai raggiunte
a Napoli . Anche in piccolissimi paesi delle zone contadine più interne e della
costiera sorrentina arrivò l'ondata dello sciopero (Pompei, Capri, Scisciano,
ecc.)
Nelle
Puglie: in tutti i centri agricoli delle Puglie e nelle città lo
sciopero generale venne realizzato nelle prime ore del pomeriggio. Le masse dei
lavoratori dei campi affluivano dai borghi nelle città con tutti i mezzi di
fortuna. Bari, Foggia, Brindisi, Lecce, Cerignola, Gravina, Barletta
manifestarono fortemente il loro sdegno per il vile attentato.
A
Taranto: mentre gli operai abbandonati i Cantieri Navali e gli
stabilimenti affluivano verso la camera del Lavoro vennero attaccati dalla
polizia. Nel conflitto che ne seguì caddero un compagno socialista e un agente
di polizia.
Il segretario democristiano della Camera del lavoro di Taranto aderì in pieno
allo sciopero generale e a tutte lemanifestazioni di protesta.
Venne indirizzato alla cittadinanza un manifesto firmato dal Partito Comunista,
dal Partito Socialista, dai partiti Saragattiano e Repubblicano nel quale si
stigmatizzava il crimine, si chiedeva una severa inchiesta, l'accertamento
delle responsabilità e la punizione dei responsabili dell'attentato e di coloro
che avevano provocato i luttuosi incidenti.
Nelle
Calabrie: a Reggio Calabria, a Cosenza, a Catanzaro, a Crotone e
negli altri centri minori il lavoro fu immediatamente interrotto nelle
officine, nei cantieri, nelle ferrovie, nei negozi man man che con la rapidità
del vento si diffondeva la notizia dell'attentato al compagno Togliatti.
Nella stessa sera del 14 furono tenuti molti comizi di protesta la cui
imponenza era superiore a quella delle più grandi manifestazioni elettorali.
Tutti gli strati della popolazione vi partecipavano. Nello sciopero si
distinsero particolarmente per slancio e compattezza i ferrovieri, gli edili, i
metallurgici.
A
Palermo: non appena la radio annunciò l'attentato contro il compagno
Togliatti, tutte le fabbriche metallurgiche della città, i cantieri navali,
l'Aeronautica Sicula, l'Onsa, la Panzeri e le altre minori, cessarono
immediatamente il lavoro. Nel pomeriggio sospesero il lavoro i servizi pubblici
cittadini mentre i negozi chiudevano.
All'indomani lo sciopero era totale in tutta la città.
A
Cagliari: i primi a scioperare furono i portuali, i salinieri, gli
edili e i lavorai delle piccole e medie officine. Alle ore 17 la Camera del
Lavoro proclamava ufficialmente lo sciopero e il movimento si estendeva così a
tutte le altre categorie di lavoratori e a tutta la provincia.
A Nuoro: allo
sciopero parteciparono pure i dipendenti degli enti militarizzati come la
Direzione di artiglieria. In provincia lo sciopero ebbe luogo nei cantieri
dell'alto Flumendosa, nelle miniere di Talco Galisai e in molti centri
agricoli.
* * *
Queste scheletriche notizie siriferiscono
solo ai capoluoghi di regione: ci è impossibile riferire seppure succintamente
il notiziario dello sciopero estesosi a tutti i centri agricoli italiani.
Di città in città, di valle in valle, da Aosta a Trapani, da Biella a Foggia, da
Alessandria a Campobasso, da Modena a Catanzaro, dai centri agricoli
dell'Emilia e della Toscana a quelli della Lucania sino ai più sperduti paesi
di montagna, le sirene e i fischi dei treni urlarono la dolorosa notizia,
chiamarono a raccolta milioni di uomini semplici, di giovani, di donne, di
contadini, di impiegati, colpiti in ciò che essi avevano di più caro. Li
chiamarono a manifestare la loro indignazione al grido di "via il governo
della discordia, della fame e della guerra". Questo grido esprimeva la
coscienza della gravita di quanto era avvenuto e la volontà insopprimibile
degli italiani di lottare per dare all'Italia un governo veramente democratico
che sappia garantire la libertà, difendere la Costituzione repubblicana, la
pace e l'indipendenza del Paese.
Quando alle ore 12 precise del 16 Luglio, come da disposizione della
Confederazione Generale del Lavoro lo sciopero cessò e disciplinati milioni e
milioni di lavoratori ripresero la loro attività, tutti avevano avuto la
dimostrazione della possenza delle forze del lavoro e della democrazia in
Italia.
Tutti avevano avuto la prova della forza della coscienza e del senso di
responsabilità del Partito Comunista.
La vita di Palmiro Togliatti era fuori pericolo. Il disegno dei nemici del
popolo era fallito. Da tutte le parti del mondo continuavano a giungere
messaggi di indignazione degli uomini liberi.
Gli operai, i contadini, gli intellettuali d'avanguardia di tutti i paesi
avevano sentito la lotta dei lavoratori italiani come una propria lotta.
Lo sciopero generale aveva segnato l'inizio di una nuova grande battaglia per
la pace e la libertà.
Esperienze di un grande sciopero.
I. Una grande battaglia.
Nella storia del movimento operaio italiano non c'è mai stato uno sciopero
generale così spontaneo così compatto, così esteso come quello del 14-16 luglio
1948.
Sono stati ricordati nei giorni passati, altri scioperi generali: quello del
1900, del 1904 , del 1914. Ma lo sciopero di Genova del 1900 fu si generale, ma
limitato a quella provincia, quello del 1904 fu proclamato per tutta Italia, ma
riuscì solo in alcuni grandi centri industriali. Lo sciopero generale, così
detto della "settimana rossa" del 1914, per quanto abbia toccato
molte località della Penisola, ebbe il suo epicentro nelle Romagne e nelle
Marche e, comunque, occorre tener conto che quel movimento fu preparato da due
anni di lavoro organizzativo e di scioperi parziali. Se guardiamo agli stessi
scioperi generali del 1919, 1920 non ne troviamo nessuno che per ampiezza,
slancio e spontaneità eguagli quello del 14-16 luglio 1948.
Ne tanto meno può farsi un confronto con lo sciopero generale dell'Italia del
Nord del marzo 1944, il quale pur essendo stato il più grande movimento di
massa che si sia avuto durante l'ultima guerra nei paesi occupati dai nazisti,
abbracciò solo le regioni dell'Italia del Nord e riuscì in pieno solo a Milano,
a Torino, a Bologna, a Firenze e parzialmente nelle altre province.
Occorre soprattutto tener conto che lo sciopero generale del 14-16 luglio non
fu preparato, non fu preceduto da alcun lavoro di organizzazione.
Fu lo scoppio immediato, spontaneo e unanime dello sdegno popolare contro i
responsabili, diretti e indiretti della politica di odio, di provocazione e di
violenza che il Governo democristiano va conducendo. Politica che ha portato
all'attentato criminoso contro il compagno Togliatti e che minaccia di
trascinare il Paese a nuove avventure imperialiste e alla guerra civile.
Per questo è giusto dire che lo sciopero generale del 14 luglio è stato il più imponente,
il più spontaneo e il più forte che la storia del movimento operaio italiano
ricordi. Fu il primo sciopero generale al quale parteciparono compatte tutte le
categorie di lavoratori compresi i ferrovieri e i postelegrafonici, compresi i
negozianti, i bottegai, commercianti, artigiani, ecc.
Per queste sue caratteristiche lo sciopero generale del 14 luglio, acquista nel
quadro della situazione politica nazionale e internazionale il valore di una
grande battaglia data in difesa della democrazia e della pace.
L'importanza nazionale e internazionale di questo grandioso movimento al quale
hanno partecipato tutte le forze vitali del Paese, dev'essere giudicata
soprattutto in rapporto alle lotte di domani.
Esso indica la strada da seguire, la strada della lotta, nel momento in cui si
annunciano nell'Italia e nel mondo dure battaglie per la difesa della pace, del
pane e della libertà.
Lo sciopero generale del 14-16 luglio è stato un colpo inferto alle forze della
guerra. Di qui la sua importanza internazionale.
Gli imperialisti d'oltre oceano hanno "sentito" che essi non potranno
facilmente fare dell'Italia una loro colonia, e che il popolo italiano non si
lascerà facilmente trascinare alla guerra per servire gli interessi del grande
capitalismo italiano e straniero.
La miserevole polemica ora melliflua, ora minacciosa degli uomini del governo
democristiano e della stampa da essi pagata, non riesce a mascherare la loro
rabbia, il loro furore per l'ampiezza del movimento che ha dimostrato da quale
parte sia il popolo italiano. L'ampiezza di questo sciopero generale ha
dimostrato meglio di cento discorsi parlamentari, meglio di qualsiasi
inchiesta, che le elezioni del 18 aprile sono il risultato di brogli, della
corruzione, del terrorismo politico e religioso, dell'intervento straniero.
Lo sciopero generale del 14 luglio ha dato la prova più schiacciante che la
maggioranza carpita dalla Democrazia Cristiana il 18 aprile non rispecchia la
volontà del Paese, non rappresenta le forze vitali della Nazione.
Ha dimostrato soprattutto che dietro agli otto milioni che hanno votato per il
Fronte Democratico popolare, vi sono altri milioni di lavoratori italiani i
quali, qualunque sia stato il loro voto il 18 aprile, sono decisi a lottare per
difendere la pace, la libertà e l'indipendenza del nostro Paese.
Tutto questo premesso, noi dobbiamo ricavare ora da questo grande movimento le
esperienze e gli insegnamenti per l'avvenire. E ancora presto per delle
conclusioni definitive. Lo studio del modo come in ogni centro industriale e
agricolo lo sciopero sì è sviluppato ed è stato diretto deve essere condotto
località per località, da ogni singola organizzazione. Deve essere uno studio
attento serio, collettivo. Si tratta di raccogliere dei dati sicuri, obbiettivi
e non solo "impressioni", si tratta di lavorare sui fatti e non sui
"si dice" e sulla fantasia. Si tratta di raccogliere il giudizio e le
esperienze non solo di una parte della classe operaia, sia pure la più
avanzata, ma di tutte le categorie, di tutti gli strati di lavoratori.
Esaminare pezzo per pezzo gli ingranaggi delle nostre organizzazioni come hanno
funzionato durante lo sciopero e cioè come gli organismi di Partito e di massa
hanno orientato o diretto il movimento . Quali forme di lotta e di protesta si
sono dimostrate essere le più efficaci e quindi le più giuste, quali invece
quelle che avrebbero potuto snaturare il movimento, imprimergli il carattere di
"avventura".
Si tratta di rilevare le nostre deficienze, i nostri punti deboli per porvi
riparo al più presto.
Queste nostre osservazioni non vogliono essere che prime considerazioni
preliminari ad un esame, a uno studio serio e approfondito che dev'essere
continuato da tutto il Partito.
Perché non dobbiamo neppure in questo campo abbandonarci alla spontaneità e
alla improvvisazione. Non siamo dei mestieranti, né dei dilettanti di politica.
Nostro compito è quello di fare tutto quanto sta in noi per guidare con
successo le lotte dei lavoratori contro i loro oppressori.
L'organizzazione è cosa viva, fondata sulla divisione delle funzioni e ha
organi prensili e centri nervosi per l'inibizione, per la previsione e per il
calcolo. La lotta operaia è fatta di difensiva e di offensiva, di prudenza e di
audacia, di rapidi attacchi e di accorgimenti sagaci, di pazienza e di
risolutezza. Dev'essere il frutto dello studio generale e locale e che non
piove "bell'e fatto dal cielo".
II.
Sciopero generale e insurrezione.
Lo sciopero generale politico di protesta del 14 luglio è stato così spontaneo,
deciso e imponente che gli uomini del governo nero lo hanno scambiato, od hanno
finto di scambiarlo per un movimento insurrezionale
De Gasperi e Scelba accusano i comunisti di aver voluto fare l'insurrezione e
di non esserci riusciti , di avere rivelato i loro piani innanzi tempo e così
via.
Se costoro non fossero in mala fede, se non si trattasse di una volgare manovra
provocatoria, noi dovremmo dire a questi signori che essi sono politicamente
così ignoranti da non saper neppure scorgere la differenza che passa tra uno
sciopero generale politico e l'insurrezione. Né De Gasperi, né Scelba, né
alcuno dei loro tirapiedi sono stati capaci di trovare negli appelli lanciati
dal Partito e dalla Confederazione Generale del Lavoro, subito dopo l'attentato
al compagno Togliatti, una sola parola che suonasse appello all'insurrezione o
che desse alla lotta l'obbiettivo insurrezionale.
Qualcuno ha detto «ma voi avete scritto in testa giornali: "dimissioni del
governo"!». Verissimo, ma che questa è un'altra dimostrazione che non si
trattava di un movimento insurrezionale.
C'è forse nella storia un solo movimento insurrezionale cominciato col chiedere
le dimissioni del governo, e con la presentazione al Parlamento di una mozione
di sfiducia?
Si sono mai viste delle insurrezioni divampare mentre le due Camere continuano
tranquillamente i loro lavori con la partecipazione dell'opposizione e di
coloro che dovrebbero essere i dirigenti dell'insurrezione?
Il compagno Togliatti ha avuto occasione di spiegare ripetutamente e l'ultima
volta alla Camera nel suo discorso del 10 luglio che «quando un Partito
Comunista ritiene che le circostanze oggettive e soggettive pongono all'ordine
del giorno la necessità per le forze popolari avanzanti di prendere il potere
con le armi, cioè con una insurrezione, esso proclama questa necessità, lo dice
apertamente. Così fecero i bolscevici nel 1917 e marciarono alla insurrezione a
vele spiegate, così abbiamo fatto noi comunisti italiani a partire dal
settembre 1943, senza nascondere a nessuno la via che avevamo presa e
proponevamo al popolo».
«Non si portano - ha detto giustamente il compagno Longo nel forte discorso
alla Camera - milioni di uomini alla battagli e alla vittoria con circolari
segrete e ridicoli piani K». Per mobilitare e portare alla lotta armata milioni
e milioni di uomini, anche quando le circostanze oggettive e soggettive pongono
all'ordine del giorno tale necessità, occorre che l'appello alle armi sia
lanciato apertamente a tutto il popolo.
Orbene, nell'appello lanciato dal Partito il 14 Luglio non c'è una sola parola
che inviti gli operai, i contadini, i lavoratori a prendere le armi. Facciamo
un solo confronto con un'altra data, presa dalla storia più recente del nostro
paese: l'aprile del 1945. Il 10 aprile 1945, cioè 15 giorni prima della Liberazione
dell'Italia del nord, il Partito Comunista italiano lanciava un manifesto,
diffuso con tutti i mezzi a centinaia di migliaia di copie, col quale chiamava
apertamente i lavoratori, i partigiani e il popolo italiano a insorgere.
Ecco alcuni brani di quello storico manifesto:
«È giunta l'ora dell'offensiva generale su tutto il fronte. Con lo sciopero
generale ed insurrezionale e con l'azione armata bisogna attaccare e
sconvolgere le retrovie del nemico in ritirata. Operai, tecnici, impiegati:
scioperate, cacciate dalle fabbriche i tedeschi e i fascisti. Fate di ogni
fabbrica un fortilizio della Patria. Arruolatevi in massa nelle Squadre
d'Azione Patriottica: armatevi disarmando il nemico.
Chi ha un'arma combatta chi non ce l'ha se la procuri. Dalle vallate alpine
alle campagne della valle Padana, dal più piccolo villaggio alla grande città,
risuoni un grido solo: alle armi al combattimento per la salvezza e la libertà
della Patria».
E più oltre il manifesto continua rivolgendosi ai giovani:
«Gioventù eroica delle montagne e delle città, partigiani, gappisti, sappisti:
attaccate su tutto il fronte. Ponete ai tedeschi e ai fascisti il dilemma:
arrendersi o perire. Spezzate con la forza del vostro braccio armato l'apparato
di oppressione fascista.
Viva lo sciopero generale insurrezionale! Viva l'insurrezione nazionale
popolare! Cacciate fuori dal l'Italia l'odiato tedesco». (Vedi "Nostra
Lotta" del 10 aprile 1945).
Questo appello lanciato apertamente a tutto il popolo era naturalmente
accompagnato da direttive politiche ed organizzative a tutti i Comandi
Partigiani, a tutti i Comandi Gap e Sap, a tutte le organizzazioni del Partito.
Orbene, i manifesti lanciati dal Partito e dalla Confederazione del Lavoro il
14 luglio 1948 hanno tutt'altro carattere. In essi non si chiama il popolo alle
armi, in essi non si parla di sciopero insurrezionale, in essi non si invitano
i cittadini ad armarsi disarmando il nemico, in essi non si dice di occupare
gli edifici pubblici, le ferrovie, la radio, le centrali telefoniche, le
caserme, i campi di aviazione, ecc. Nulla di tutto questo.
Nel manifesto lanciato dal Partito il 14 Luglio si dice: «Si levi in tutto il
Paese la indignata protesta dei lavoratori e di tutti gli uomini liberi».
È chiaro dunque che si trattava di uno sciopero generale politico di protesta.
L'On. Scelba -bontà sua - ha riconosciuto che dall'alto non sono partiti ordini
insurrezionali, ma che il movimento insurrezionale stava sviluppando dal basso
sulla base di piani prestabiliti, ecc. ecc..
Questa ridicola concezione di una insurrezione che si sviluppa sulla base di
piani prestabiliti chissà quando, un anno o due prima, in condizioni del tutto
diverse partendo da uno sciopero generale di protesta, il quale dovrebbe
svilupparsi gradatamente sino a sboccare nella lotta armata insurrezionale, è
semplicemente ridicola, assurda e degna della mentalità dell'On. Scelba!
Un movimento insurrezionale per essere vittorioso deve tra l'altro (si tratta
dell'a.b.c.) contare sul massimo slancio iniziale, deve immobilizzare sin dal
primo momento il Governo ed i suoi organi, sin dalle prime ore non deve dargli
la possibilità di orientarsi e di prendere fiato, deve infliggere al nemico i
colpi più forti fin dalle prime ore.
Vi è qualcuno che può pensare seriamente che (con la grande e recente
esperienza che noi abbiamo dalla guerra di liberazione e dalla insurrezione
nazionale contro i tedeschi e i fascisti) se ci fossimo trovati nella necessità
e nelle condizioni di dover guidare una insurrezione vittoriosa, avremmo prima proclamato
uno sciopero generale di protesta per poi passare dopo un giorno o due a delle
forme di lotta più acute, per scatenare infine, come atto finale - proprio come
al teatro - l'insurrezione? Si può cioè seriamente pensare che noi avremmo
eseguito una tattica così idiota e tale da dare la possibilità tempo al governo
di spostare le sue forze, di prendere tutte le misure atte a reprimere e a
battere le forze popolari prima ancora che queste avessero iniziato la lotta
decisiva?
Troppo lungo, seppure non inutile sarebbe ripetere qui le note tesi di Marx e
di Lenin sull'insurrezione, nonché i problemi di strategia e di tattica
sviluppati dal compagno Stalin nelle "Questioni del Leninismo".
La questione è importante perché il tentativo provocatorio del governo di
attribuire allo sciopero generale politico un carattere insurrezionale non solo
può far cadere in certi momenti in errori di valutazione anche alcuni strati di
operai ma serve a De Gasperi e compari per creare un'atmosfera più favorevole
al varo delle leggi reazionarie e fasciste contro gli scioperi.
Difatti gli on. De Gasperi e Scelba sanno molto bene che non sono i comunisti a
fabbricare le rivoluzioni, sanno molto bene che nessun uomo, nessun partito per
quanto forte può fare le rivoluzioni a piacimento, sanno molto bene che i
comunisti non sono degli avventurieri e non considerano l'insurrezione come un
giuoco da cospiratori.
Ma i Ministri e i dirigenti della Democrazia Cristiana hanno bisogno di far
credere che i comunisti non fanno altro notte e giorno che preparare
insurrezioni, armare sommosse, elaborare piani K.
Hanno bisogno di far credere che lo sciopero generale del 14 Luglio ha avuto
carattere insurrezionale per poter giustificare i loro propositi e le loro
misure contro la libertà di sciopero.
Hanno bisogno di far credere che lo sciopero generale del 14-16 luglio ha avuto
carattere insurrezionale per giustificare le migliaia di arresti arbitrari, le
violenze della polizia, gli illegalismi del governo, le scandalose circolari
segrete dei ministri Scelba e Grassi, le pressioni sulla magistratura. Hanno
bisogno di far credere che i comunisti hanno sempre pronti dei piani
insurrezionali per poter giustificare le loro sfacciate violazioni della
Costituzione repubblicana ai danni della libertà e della democrazia.
Gli on. De Gasperi e Scelba e i loro compari hanno bisogno di far credere che
per fare l'insurrezione basta occupare qualche fabbrica, erigere un blocco
stradale o manifestare davanti alla caserma dei carabinieri, hanno bisogno di
far credere che l'insurrezione è un giuoco che i comunisti possono fare quando
vogliono per spingere degli ingenui e degli illusi a atti inconsulti, per
potere poi avere il pretesto di scatenare le rappresaglie, la violenza e le
persecuzioni contro i lavoratori, contro gli organizzatori sindacali, contro il
Partito Comunista e le organizzazioni democratiche.
III.
Concezione marxista e illusioni miracolistiche
La scarsa esperienza di questa forma di lotta "dello sciopero
generale", dopo 23 anni di dittatura fascista, può aver portato un certo
numero di lavoratori a considerare lo sciopero generale come un'arma
taumaturgica capace di trasformare di colpo - quasi per effetto magico - una
situazione ed i rapporti tra le forze operanti nella situazione stessa.
Sarebbe pure grossolano errore pensare che non vi può essere uno sciopero
generale politico vittorioso senza che questo sbocchi, nell'insurrezione.
Lo sciopero generale è uno dei mezzi di lotta più antichi del movimento operaio
moderno. Ma col nome di "sciopero generale" si comprendono forme di
lotta del tutto diverse. Non vi è cioè un solo tipo di sciopero generale. Vi
sono degli scioperi generali a carattere economico-rivendicativo, vi sono degli
scioperi generali politici, vi è lo sciopero generale di un'intera categoria di
lavoratori e lo sciopero generale di numerose o di tutte le categorie. Vi sono
stati nel passato in ogni paese degli scioperi generali nazionali e degli
scioperi generali internazionali.
Concepire lo sciopero generale politico come la soluzione magica, come il mezzo
per risolvere tutto, per rovesciare un regime, per fare la rivoluzione
significa avere dello sciopero generale una concezione utopistica quale avevano
sessant'anni or sono gli anarchici i quali pensavano che "uno sciopero
generale compatto sarebbe sufficiente a realizzare la rivoluzione
socialista". I panettieri, essi dicevano, non fabbricano più il pane, i
treni non circolano più, la luce viene a mancare, tutta la vita si ferma: tutto
questo crea una situazione catastrofica la cui soluzione non può essere altra
che la rivoluzione sociale.
Concezione veramente schematica e semplicista che troviamo ancora ribadita in
una risoluzione approvata dal Congresso di Bordeaux dei sindacati francesi nel
1888 nella quale si dice: «Solo lo sciopero generale o la rivoluzione potrà
realizzare l'emancipazione della classe operaia».
Di fronte a questa concezione miracolistica sta la concezione marxista dello
sciopero generale politico di massa concepito non come il toccasanae
la bacchetta magica, ma come una delle forme della lotta di classe come un
mezzo di protesta, di lotta o di pressione per ottenere determinati risultati
economici o politici.
L'efficacia di quest'arma di lotta è provata dalla storia del movimento
proletario, da decenni di lotte e di esperienze non solo dei lavoratori
italiani, ma dei lavoratori di tutti i paesi.
Uno sciopero generale politico non dev'essere giudicato dal risaltato immediato
o contingente, ma dall'influenza che esso ha avuto nello sviluppo del
movimento. Raramente uno sciopero generale politico ha avuto un risultato
immediato nel senso di aver soddisfatto ad una rivendicazione concreta (come è
il caso per gli scioperi a carattere economico) ma sempre ha rappresentato un
grande passo avanti per il movimento proletario e per le forze progressive.
Tutta la storia moderna dei paesi capitalisti e non solo dell'Italia è il
risultato delle lotte delle masse lavoratrici guidate dalla classe operaia.
Le riforme politiche e sociali, i miglioramenti economici, le libertà
democratiche, gli stessi diritti più elementari dei lavoratori e del cittadino
sono stati conquistati per mezzo di grandi lotte, di scioperi parziali, di
scioperi generali, anche se il risultato non seguiva immediatamente all'azione.
Basti anche in questo caso un esempio. Il grande sciopero generale del marzo
1944 nell'Italia del Nord occupata dai tedeschi fu un serio colpo inferto ai
nazifascisti; tuttavia quello sciopero si concluse senza ottenere il
riconoscimento di una sola delle rivendicazioni poste dal movimento.
I Tedeschi vollero ostentare una grande forza negando qualsiasi concessione. In
realtà dimostrarono di essere deboli.
Se fossero stati forti, se avessero avuto margini di manovra avrebbero fatte
alcune, sia pure piccole concessioni economiche ai lavoratori per togliere il
carattere politico al movimento e per indurre gli operai a riprendere il
lavoro.
Così oggi un governo veramente forte avrebbe preso almeno qualche misura contro
il sorgere del banditismo fascista, avrebbe preso qualche misura per dimostrare
che la Costituzione democratica e repubblicana e la vita e la libertà dei
cittadini sono difese dallo Stato.
Anche nel marzo 1944 per il fatto che lo sciopero generale durato cinque sei
giorni si concluse senza un risultato immediato, in certi strati della
popolazione vi fu una certa disillusione e qualcuno parlo di sconfitta.
Scrivevamo allora sul n. 5-6 di "Nostra Lotta"', marzo 1944:
« ... uno dei difetti venuto alla luce nel corso dello sciopero fu l'opinione
abbastanza diffusa tra le masse operaie e la popolazione dei grandi centri
industriali che lo sciopero generale aveva carattere insurrezionale, che era
giunta l'ora di farla finita con i tedeschi e con i fascisti. Non sempre i
compagni hanno sufficientemente reagito a queste "aspettative", non
sempre si e fatto un necessario lavoro di chiarificazione. Queste idee
sbagliate hanno poi creato una certa delusione in quegli strati di operai che
avevano creduto che lo sciopero generale dovesse sboccare nell' insurrezione
armata».
Anche allora vi fu chi non avendo saputo valutare giustamente il carattere e i
limiti dello sciopero generale fu poi al momento della conclusione della lotta
disilluso e parlò di sconfitta.
Un anno dopo, il 25 aprile 1945, i tedeschi e i fascisti furono definitivamente
battuti e allora risultò chiaro a tutti il grande valore dello sciopero
generale del marzo 1944.
L'unità della classe operaia e le sue alleanze
I. Comitati di agitazione
Lo sciopero generale del 14 luglio ha dato magnifica prova
dell'unità della classe operaia e dei lavoratori delle campagne. Dappertutto
comunisti, socialisti, seguaci dei partiti saragattiano e repubblicano
lavoratori democristiani e senza partito hanno aderito senza riserve allo
sciopero, anche laddove i dirigenti democristiani cercarono di assumere un
atteggiamento di sabotaggio e di opposizione.
Le manovre scissioniste e disgregatrici dei dirigenti democristiani furono
travolte dall'ondata di indignazione suscitata dal vile attentato contro
Palmiro Togliatti. Milioni di operai, di contadini, di impiegati, di tecnici,
di intellettuali sentirono che con Palmiro Togliatti veniva colpito il capo dei
lavoratori italiani, sentirono che erano minacciati non solo gli interessi
delle classi lavoratrici, ma l'avvenire del popolo italiano e la sua libertà.
Grande prova di unità, di coscienza di classe e di coscienza nazionale hanno
dato il 14 luglio i lavoratori.
Ma quest'unità dev'essere assicurata e garantita in ogni momento e specialmente
nel corso della lotta con delle misure organizzative. Le intenzioni, i buoni
propositi, le parole non sono sufficienti a garantire questa unità dalle
manovre scissioniste e provocatorie del nemico.
Orbene, uno dei difetti che in ogni località, salvo qualche eccezione, è stato
rilevato è quello che non sono sorti e non sono stati creati nel corso dello
sciopero, nelle fabbriche,nelle officine, sui luoghi di lavoro dei Comitati di Agitazione e dei Comitati di sciopero.
Il nome non conta, questi Comitati possono portare il nome dell'obbiettivo per
il quale l'agitazione o lo sciopero è in corso, l'importante è che siano
espressione di tutta la maestranza della fabbrica, rappresentanti gli operai,
le operaie, i giovani, i tecnici, gli impiegati.
I Comitati di agitazione devono rappresentare tutti i lavoratori senza
distinzione politica o religiosa, appartenenti a qualsiasi corrente o a nessuna
corrente sindacale, aderenti ad un partito e senza partito, organizzati nei
sindacati e disorganizzati.
I Comunisti, che sono i primi ad avere piena coscienza dei compiti della classe
operaia e delle forze democratiche nell'attuale situazione, devono tendere di
fatto in ogni occasione e specialmente durante gli scioperi, durante le
agitazioni, nel corso delle lotte a rafforzare, a consolidare con efficaci
strumenti organizzativi l'unità degli operai e dei lavoratori sul luogo di
lavoro. I comunisti devono cercare la collaborazione attiva di tutti quei
lavoratori delle altre correnti politiche e senza partito i quali partecipano
allo sciopero, al movimento alle lotte in difesa o di interessi economici o
delle libertà democratiche.
La mancanza dei Comitati di agitazione, o comunque di organismi rappresentativi
di tutta la massa lavoratrice nel corso di questo sciopero generale, la si è
sentita solo relativamente, perché lo sciopero non si è prolungato oltre le 48
ore e perché il movimento era stato provocato da un fatto che toccava, muoveva
e commoveva milioni di lavoratori e di lavoratrici.
L'interesse era generale. Ma se noi immaginiamo uno sciopero in
condizioni più difficili, uno sciopero che non tocchi nella stessa misura gli
interessi e le esigenze di tutte le categorie di lavoratori, o uno sciopero
che, in conseguenza della resistenza del nemico e per i suoi obiettivi dovesse
prolungarsi per parecchi giorni, è facile pensare che in una simile situazione
il conservare l'unità e la compattezza del movimento generale richiederebbe uno
sforzo organizzativo. Più la lotta si prolunga e più il nemico ricorre a tutte
le armi per incrinare e spezzare l'unità dei lavoratori, per sabotare, per
disgregare il movimento. Di qui la necessità dei Comitati di agitazione, dei
Comitati di sciopero, che possano parlare a tutti indistintamente i lavoratori,
organizzati e disorganizzati, i quali dovrebbero dirigere la lotta, individuare
le manovre del nemico sventarle denunciarle, impedire l'organizzazione del
crumiraggio, cercare l'adesione al movimento di nuovi strati della popolazione,
trovare più larga solidarietà prendere tutte le misure per rafforzare la lotta
Non possiamo abbandonarci alla «spontaneità», non possiamo fidare solo sulla
coscienza di classe e necessario che noi in ogni momento garantiamo una
efficiente direzione del movimento, e necessario che in ogni momento le masse
che partecipano allo sciopero (e non solo la parte più avanzata) si sentano
guidate, abbiano chiari gli obbiettivi della lotta, sappiano che cosa devono
fare e che cosa non devono fare e abbiano la possibilità di esprimere la loro
opinione di partecipare esse stesseall'opera di direzione del movimento.
Si è notato invece talvolta, ed anche nel corso di questo sciopero, la mancanza
di una direzione che rappresenti tutti gli scioperanti e i partecipanti alla
lotta, e si è notata la tendenza a voler sostituire questa direzione con quella
del Partito.
La funzione dirigente del Partito è della massima importanza e non è qui il
caso di ripetere cose ovvie. Ma questa funzione il Partito la esercita per
mezzo di centinaia di migliaia di comunisti i quali partecipano alacremente
all'attività delle organizzazioni di massa, delle organizzazioni sindacali,
cooperative sociali, culturali, i quali comunisti vivono in mezzo al popolo,
sono col popolo legati da mille fili e dalla vita quotidiana.
Il Partito non deve e non può sostituirsi alle organizzazioni di massa, i comunisti
non possono pensare che basta la disposizione, "l'ordine" della
Federazione, della sezione o della cellula comunista perché tutti si uniformino
a quell'ordine, a quella disposizione.
In certe situazioni neppure la disposizione del sindacato può costituire
direttiva sufficiente per tutti i lavoratori. La Confederazione Generale del
Lavoro è la grande organizzazione unitaria di tutte le categorie di lavoratori,
ma non dobbiamo mai dimenticare che non tutti gli operai, non tutti i
lavoratori che partecipano o sono disposti a partecipare ad uno sciopero sono
organizzati nei sindacati e nella C.G.I.L..
I comunisti non devono mai dimenticare che essi non sono che una
parte dei lavoratori, seppure la avanzata, la più cosciente, che essi devono
tener conto della volontà, del grado di coscienza delle masse, che essi non
possono sostituire all'attività e alla volontà d masse lavoratrici,
meccanicamente le direttive del Partito.
Di qui la necessità che specialmente nel corso di scioperi, delle lotte
economiche e politiche le organizzazioni di massa si facciano sentire, abbiano
un loro funzionamento, di qui la necessità che nel corso degli scioperi sorgano
nei luoghi di lavoro i Comitati di agitazione quali espressione di tutti i
lavoratori organizzati e non organizzati. Comitati di agitazione che per tutta
la durata dello sciopero devono parlare alle masse, trasmettere le direttive
delle organizzazioni sindacali, tenere conto della volontà di masse enormi
della popolazione lavoratrice, convincere, persuadere, aiutare i lavoratori a
convincersi della giustezza del movimento e dei suoi obbiettivi, della
necessità di continuare, di allargare la lotta, di imprimere ad essa maggior
forza, oppure della necessità di temporeggiare, di finirla.
II. Il
Partito e le organizzazioni di massa
Il Partito, in tutte le sue istanze, è stato durante lo sciopero del
14-16 luglio nel complesso all'altezza del suo compito, ha saputo prendere la
direzione e mantenere il controllo del movimento, ha dimostrato di avere
coscienza del carattere dello sciopero e dei suoi limiti. Ha dimostrato in una
parola di saper assolvere alla funzione di avanguardia del popolo lavoratore.
La stessa cosa non può dirsi di tutte le organizzazioni di massa. Ve ne furono
diverse che si dimostrarono insufficienti nel loro funzionamento nella loro
struttura ed in una certa misura anche nei loro comitati direttivi.
Naturalmente le responsabilità di queste deficienze ricadono sul Partito il
quale deve, dedicare una più forte attenzione all'attività dei propri iscritti
nel seno di queste organizzazioni.
La Federazione di Milano osserva: «... deficienze ancora più grandi le abbiamo
riscontrate nel funzionamento degli organismi di massa come l'U.D.I, il Fronte
della Gioventù, le Consulte Popolari, ecc. Questi organismi non hanno
praticamente funzionato durante lo sciopero. La spontaneità e la rapidità con
la quale si svolse l'agitazione non hanno permesso a questi organismi di
orientarsi e di partecipare alla lotta, come tali, con una loro funzione
specifica».
La Federazione di Genova segnala che «la struttura della stessa Camera del
Lavoro non si è rivelata del tutto sufficiente mancando della capillarità
indispensabile per tenere con continuità nelle mani le masse in movimento. Così
gli altri organismi di massa (Fronte della Gioventù, U.D.I., A.R.I.,
Associazione dei Reduci, A.N.P.I., ecc.) non sono entrati nella lotta con loro
iniziative politiche, con la propria struttura organizzativa, ma hanno lasciato
che i loro aderenti seguissero il movimento individualmente. Non hanno cioè,
quelle associazioni, come tali assolto nel corso dello sciopero ad una loro
particolare funzione».
Da parte sua la Federazione di Ravenna rileva che: «… la spina dorsale del
grande movimento è stato il Partito. Le altreorganizzazioni di massa:
U.D.I., Fronte della Gioventù, ecc. non hanno avuto una funzione propria né
direttiva, né operativa e non si sono fatte sentire se non per il fatto che i
quadri di queste organizzazioni hanno partecipato attivamente al movimento.
Le stesse decisioni che venivano prese dalla Camera del Lavoro venivano in gran
parte realizzate tramite l'apparato e i mezzi del Partito».
Osservazioni analoghe ci sono pervenute dalle Federazioni del Veneto, della
Toscana, del Lazio e di altre regioni.
III. La
ricerca degli alleati
Per quanto importante sia l'unità della classe operaia, l'unità dei
lavoratori che partecipano ad una lotta, ad uno sciopero, specialmente quando
questo sciopero abbraccia milioni di lavoratori e tocca tutta la Nazione, essa
non ci dà la certezza della vittoria, se l'unità e la compattezza della classe
operaia non è rafforzata dall'adesione e dalla simpatia attiva di altri strati
della popolazione. Qui si pone il problema della ricerca degli alleati.
Le organizzazioni del Partito si sono preoccupate sufficientemente del problema
degli alleati durante lo sciopero del 14 luglio? Non possiamo dire sia stato
fatto lo sforzo sufficiente per fare partecipare attivamente (e non solo passivamente) al movimento, per conquistare e non solo per neutralizzare
altri strati della popolazione.
In tutti i grandi e piccoli centri lo sciopero generale ha riscosso senza
dubbio la simpatia di larghi strati della popolazione. Tutti i negozi chiusi,
chiusi i caffè, i ristoranti, i cinematografi, i teatri: ma scarsi i tentativi
di tradurre questa simpatia in forma organizzata.
Alle manifestazioni di strada e ai comizi non devono partecipare solo gli
operai e la parte più attiva dei lavoratori, ma si deve sentire la presenza
degli artigiani, delle commesse, dei lavoranti a domicilio, delle casalinghe,
degli impiegati, dei professionisti e degli studenti.
Le dimostrazioni di simpatia devono essere trasformate, con un buon lavoro
organizzativo, in un intervento attivo, in un aiuto concreto che deve andare
agli operai o ai contadini scioperanti.
Non dappertutto si è mobilitato il Fronte Democratico Popolare. È vero che in
parecchie località i nostri compagni si sono scontrati con la resistenza di
dirigenti socialisti i quali, o per loro volontà o per disposizioni ricevute dalla
loro Direzione, si opponevano a che qualsiasi iniziativa fosse presa a nome del
Fronte.
Questa difficoltà avrebbe potuto per altro essere superata trovando nuove forme
unitarie che avessero potuto ottenere l'adesione di tutte le forze
democratiche.
Non si trattava solo di fare una riunione tra i rappresentanti dei diversi
partiti democratici per un manifesto di deplorazione platonica dell'attentato
Questo è avvenuto quasi dappertutto. Si trattava di dar vita a un organismo
rappresentativo di tutte le forze democratiche, di tutte le correnti popolari,
il quale appoggiasse, dirigesse il movimento e rappresentasse di fronte alle
autorità civili e al governo tutte le forze in lotta.
Si trattava di concretizzare, di tradurre in forma organizzata quello spostamento
a nostro favore dell'opinione pubblica verificatosi dopo il 18 aprile e dopo
l'attentato, si trattava di consolidare e allargare le nostre alleanze.
Un maggior sforzo tutto il Partito avrebbe dovuto fare per trovare diverse
forme organizzative che permettessero di legare nella lotta e nell'azione la
parte più avanzata dei lavoratori a quella meno attiva e più arretrata della
popolazione.
Da questo punto di vista è da segnalare, tra le altre, l'ottima iniziativa
presa dalla Federazione di Milano che in accordo con i compagni socialisti
riuscì a dare vita ad un Comitato d'Intesa Democratica al quale aderirono non
solo i partiti e i movimenti già aderenti al Fronte Democratico Popolare, ma
anche la Camera del lavoro, la Giunta e il Consiglio Comunale
Questo Comitato d'intesa Democratica, che dirigeva permanentemente lo sciopero,
realizzava così un alleanza più larga di quella del Fronte, allargava la
direzione della lotta, dava al movimento maggior forza e più grande ampiezza.
Il Comitato d'intesa Democratica subito dopo la sua costituzione prese
l'iniziativa di organizzare un plebiscito della popolazione milanese, un
plebiscito che, manifestando l'indignazione per l'attentato richiedesse un
mutamento della politica del governo e suonasse condanna dell'opera di De
Gasperi, Scelba e compari.
Il plebiscito, che doveva iniziarsi con un imponente sfilata di popolo in
Piazza del Duomo, avrebbe dovuto estendersi con la raccolta delle firme in ogni
fabbrica in ogni rione, in ogni casa.
Si trattava praticamente dell'organizzazione di un vero e proprio referendum
popolare il quale avrebbe dimostrato qual'era il reale orientamento della
popolazione milanese. Era un mezzo per realizzare l'unita della popolazione di
Milano sul terreno della lotta, un mezzo per attivizzare anche le masse più
arretrate. Questa iniziativa non escludeva, non ostacolava nessuna altra forma
di lotta più avanzata, anzi la favoriva, la sosteneva.
Anche se per la avvenuta cessazione dello sciopero questa iniziativa non ha
potuto avere i suoi previsti sviluppi, merita di essere segnalata per la sua
importanza. Essa costituisce un bell'esempio di iniziativa politica per
realizzare le necessarie alleanze nel corso della lotta, per attivizzare le
masse, per allargare il movimento, per trovare delle forme di lotta che ci
permettano di toccare e mobilitare anche gli strati meno attivi della
popolazione.
IV.
L'organizzazione del Partito e il suo funzionamento durante lo sciopero
il Partito è stato nel complesso all'altezza del suo compito. Ha saputo
intervenire tempestivamente e giustamente e, ad eccezione di alcuni casi
isolati, ha mantenuto dal principio alla fine il saldo controllo del movimento.
Questo affermato, non dobbiamo chiudere gli occhi sui difetti e le deficienze
venute alla luce nelle diverse istanze della nostra organizzazione,
specialmente là dove essa è più debole.
Un difetto che è stato rilevato da quasi tutte le Federazioni è stata la
deficienza, in certe località assai accentuata, dei collegamenti tra il centro
e le organizzazioni periferiche, tra le Federazioni e le sezioni e le zone
Deficienze dovute in parte a insufficiente iniziativa, in parte alle difficoltà
delle comunicazioni in certe province, specie del meridione, rese ancora più
acute dallo sciopero generale stesso.
Vi sono state delle Federazioni e delle Camere del Lavoro che sin dal primo
momento hanno visto quale importanza avesse lo stabilire un permanente
collegamento con tutte le loro sezioni e tra la Camera del Lavoro provinciale e
quelle periferiche, ed hanno di conseguenza fatto un notevole sforzo per
superare le difficoltà.
La Federazione di Novara, ad esempio, provvide ad organizzare un servizio di
staffette tra la città e tutte le zone della provincia. Tale servizio fu
organizzato pure dalla Camera del Lavoro sia con le Commissioni Interne delle
fabbriche della città, sia con molte della provincia.
La Federazione di Genova, sulla base di esperienze fatte in altre occasioni,
provvide sin dalle prime ore dello sciopero a decentrare i compagni del
Comitato e dell'apparato federale, costituendo di fatto cinque o sei centri di
direzione, legati naturalmente alla Segreteria della Federazione. Ognuno di
questi centri dirigeva una zona od un certo numero di località. Con questo
sistema si ovviava alla difficoltà delle comunicazioni, si garantiva il legame
con le sezioni, e si rafforzavano le direzioni locali aumentandone la capacità
d'iniziativa.
«Si deve - scrivono i compagni Genova - a quest'azione svolta dal Partito e
alla sua rapida capacità di collegamento con le organizzazioni periferiche, se
nella nostra città non si sono avuti conflitti con la polizia e gravi incidenti
che le autorità governative andavano cercando e che provocatori da noi
prontamente smascherati tentavano di fra nascere».
Lo sciopero ha dato la possibilità di fare una preziosa esperienza sul
comportamento e il funzionamento dei Comitati direttivi di Partito nel corso
della lotta. Vi furono dei Comitati direttivi di sezione e qualcuno anche di
federazione che non si riunirono immediatamente. Ad esempio in alcune località
anche i compagna dirigenti di federazioni si portarono nelle sezioni, nelle
fabbriche ,o si misero alla testa di dimostrazioni di strada si confusero cioè
con la massa, si lasciarono trascinare da essa e solo dopo alcune ore pensarono
di riunirsi per discutere, dare direttive ecc. Questo ebbe per conseguenza, un
ritardo nella mobilitazione di tutta la organizzazione e nel suo orientamento.
Altri Comitati direttivi di federazione si riunirono immediatamente e seppero
diramare giuste direttive politiche e organizzative, come ad esempio a Bologna,
ma la riunione durò troppo a lungo e mentre i compagni dirigenti stavano
discutendo, altri compagni impartivano direttive non sempre coerenti.
Il compagno Colombi ha giustamente rilevato che: «La direzione da parte
dell'esecutivo federale dev'essere soprattutto una direzione operativa e che
nel momento in cui ferve la lotta non ci si perde in lunghe discussioni, ma ci
si preoccupa di seguire il corso della lotta stessa e di assicurarne la direzione».
Lo sciopero ha messo chiaramente in luce tutta l'importanza dei Comitati
direttivi di Sezione e dei comitati direttivi di cellula. Ove questi organismi
hanno funzionato, si è avuto in ogni momento un giusto orientamento dei
lavoratori. In molte località queste istanze di Partito hanno funzionato poco
collettivamente.
La direzione nelle fabbriche era in certi casi realizzata individualmente da
qualche compagno più conosciuto e autorevole ma l'organismo dirigente non si
riuniva per discutere, per esaminare la situazione, per realizzare una
direzione collettiva.
In alcune sezioni, le più deboli, attorno al segretario di sezione non c'erano
i membri del Comitato direttivo e i capi cellula, ma altri compagni. «È
avvenuto così - scrive il segretario della Federazione di Ravenna - che in
queste sezioni chi dirigeva effettivamente erano i compagni più attivi e
combattivi e non i membri del Comitato direttivo».
Questo sta ad indicare da un lato la debolezza e l'insufficienza politica di
certi Comitati di sezione e cellula e d'altra parte rivela anche l'esistenza di
quadri capaci e prima sconosciuti. Dirigente è colui che assolve a questa
funzione specialmente nel momento della lotta.
Da Savona, si osserva che i membri dei Comitati direttivi di parecchie Sezioni
erano quasi continuamente nella sede della Federazione invece di essere nelle
loro Sezioni, nel loro quartiere a dirigere i compagni e le masse.
Altrove le disposizioni e le direttive venivano trasmesse contemporaneamente in
un unico atto, nella stessa forma, con gli stessi mezzi ai membri di Partito e
a tutti i lavoratori. Non venivano cioè tenute delle assemblee di cellula e di
Sezione per orientare prima i compagni e fare in modo che le direttive
arrivassero alle masse per mezzo dei compagni e delle nostre organizzazioni.
*.*.*
Sensibile
è stato in parecchie Federazioni il difetto della propaganda soprattutto per
mezzo della stampa. Durante lo sciopero quasi dappertutto si sono distribuiti
dei Bollettini sull'andamento dello sciopero, editi a cura della Confederazione
e delle Camere del Lavoro. Sono stati pubblicati manifesti del Partito e delle
organizzazioni democratiche, ma nel complesso vi è stata insufficienza di
stampa, di informazione e di direttive non solo come quantità. Nel corso di grandi
scioperi e specialmente di uno sciopero generale politico è della massima
importanza poterò parlare non solo agli operai, ma ai diversi strati della
popolazione, il che può essere fatto con larga diffusione di stampa essendo
insufficienti allo scopo le riunioni e i comizi.
Vi sono Federazioni che il problema l'hanno visto in tutta la sua importanza e
si sono sforzate di risolverlo con vari mezzi provvedendo a pubblicare edizioni
straordinarie dei giornali locali. Ma in molti centri anche importanti si è trascurato
di svolgere, nelle forme più opportune, una giusta propaganda verso determinate
categorie della popolazione - ceti medi - e in modo particolare verso le forze
armate e di polizia.
Malgrado la campagna di odio scatenata dal governo diretto da De Gasperi contro
le forze democratiche, malgrado le direttive impartite dal ministro Scelba per
l'impiego delle forze armate e di polizia contro gli scioperanti, molti
incidenti furono evitati non solo per il senso di responsabilità dei
lavoratori, dei comunisti dei dirigenti lo sciopero, ma anche per la coscienza
umana e classista di molti agenti e soldati il cui istinto li portava alla
naturale e fraterna solidarietà con i lavoratori.
In alcuni grandi centri industriali, dove per altro il movimento è stato forte,
compatto e nel complesso ben diretto, si sono manifestate in alcune fabbriche e
in qualche rione, tendenze a un dualismo di direzioni. Elementi pur iscritti al
Partito, in nome di organizzazioni di massa o rivendicando meriti acquisiti
nella lotta passata e particolarmente nella lotta di liberazione nazionale,
cercavano di prendere la mano agli organi responsabili del Partito e
pretendevano di sostituirsi essi. Qualche episodio del genere si è verificato a
Torino, a Venezia e in qualche altra località.
Alcune organizzazioni del Veneto, dell'Italia meridionale e delle Isole, hanno
rivelato pesantezza e lentezza nell'orientarsi, nel muoversi e scarsa
iniziativa. Assieme ad alcune manifestazioni di estremismo infantile e di
massimalismo, nei confronti delle quali le organizzazioni del Partito, nel
complesso, hanno saputo ben reagire, non sono mancati neppure alcuni casi di
debolezza, di opportunismo e di deficiente funzionamento degli stessi organismi
dirigenti di sezioni e di qualche Federazione (Belluno, Sassari, Verona,
Crotone, ecc).
Considerazioni conclusive
Altri difetti potrebbero ancora essere sottolineati e altri verranno
certamente alla luce dall'esame autocritico e dallo studio che le
organizzazioni di Partito stanno facendo.
Sull'importanza nazionale e internazionale dello sciopero del luglio già
abbiamo detto. Gli aspetti positivi del movimento possono essere a nostro
parere così riassunti:
1) - Lo sciopero generale del 14 luglio e stato una grande battaglia nel quadro
della lotta per la pace, per l'indipendenza del nostro Paese.
2) - L'impiego da parte del Governo delle forze armate contro gli scioperanti e
la combattività, lo slancio e la tenacia dei lavoratori hanno dimostrato una
volta di più l'acutezza della lotta di classe in Italia e la crescente
dipendenza della politica del governo alla volontà degli imperialisti
americani.
3 Lo sciopero ha rivelato chiaramente le intenzioni reazionarie dell'attuale
governo. Per mezzo della stampa e della radio il partito nero totalitario ha
tentato e tenta di snaturare e falsare il carattere dello sciopero allo scopo
di giustificare le sue rappresaglie, le sue violenze, i suoi arbitrii e le
ventilate misure antidemocratiche, anticostituzionali contro i Sindacati,
contro la libertà di sciopero, contro il Partito Comunista e le organizzazioni
democratiche e repubblicane.
4) Lo sciopero ha dimostrato l'alto grado di combattività delle masse
lavoratrici e ha dato ai lavoratori maggiore fiducia nelle loro forze.
5)La
brutalità della reazione governativa, 1'atteggiamento dei dirigenti sindacali
democristiani e saragattiani ha contribuito a chiarire molte cose agli occhi
dei lavoratori italiani.
6) Lo sciopero ha fatto sorgere nuovi quadri che si sono dimostrati capaci di
mettersi alla testa delle masse in lotta.
7) Il Partito esce dallo sciopero rafforzato ideologicamente, politicamente e
organizzativamente. Tutti i compagni hanno fatto una grande esperienza. La
forza, lo slancio, gli elementi positivi dello sciopero e anche gli errori e le
debolezze manifestatesi durante la lotta serviranno a rafforzare tutto il
nostro lavoro, particolarmente l'attività nelle organizzazioni di massa, ad
elevare ai posti di direzione nuovi quadri, a verificare migliorare il
funzionamento degli organismi direttivi dall'alto in basso, a rafforzare il
lavoro ideologico e politico, base per una più salda e consapevole disciplina,
per una più larga comprensione e applicazione della linea politica del Partito.
Documenti
I. L'appello della direzione del Partito Comunista Italiano
La Direzione del Partito Comunista Italiano riunitasi d'urgenza
immediatamente dopo l'attentato, lanciava al Paese il seguente appello:
Italiani!
La campagna sfrenata di odio e di violenza, ispirata e diretta dal governo per
colpire gli uomini e i partiti del lavoro, gli uomini della democrazia che per
vent'anni hanno guidato la lotta contro la tirannide fascista e contro il
tedesco invasore, ha armato la mano assassina dei sicari contro Palmiro
Togliatti.
Dopo le stragi di Sicilia, dopo gli assassini di lavoratori, dal Veneto alle
Puglie, dopo una lunga serie di violenze e di sopraffazioni l'attentato contro
il Capo del Partito comunista rivela il proposito di colpire mortalmente la
democrazia e le libertà del popolo italiano.
La libertà si difende!
Italiani, lavoratori!
Il sicario è l'esecutore di un delitto scaturito dall'atmosfera politica di
provocazioni e di violenze deliberatamente creata dal governo De Gasperi-Scelba
dal governo della guerra civile.
Si levi in tutto il paese la indignata protesta dei lavoratori e di tutti gli
uomini liberi.
Per la pace interna, per la legalità repubblicana, per la libertà dei
cittadini: DIMISSIONI DEL GOVERNO DELLA FAME, DEL GOVERNO DELLA GUERRA CIVILE!
La Direzione del Partito Comunista Italiano.
Roma, 14 Luglio 1948
II. Il
manifesto della confederazione generale del lavoro per la proclamazione dello
sciopero generale
IlComitato Esecutivo della Confederazione Generale del Lavoro
riunitosi nel pomeriggio del giorno 14 Luglio decideva di estendere lo sciopero
generale a tutta l'Italia e lanciava ai lavoratori italiani il seguente appello
DIFENDIAMO LA LIBERTÀ
Lavoratori, Cittadini!
La G.G.I.L., plaudendo alla sensibilità ed allo Spirito democratico dimostrato
dai lavoratori italiani ha deciso di estendere lo sciopero generale a tutte le
categorie e in tutto il Paese a cominciare dalla mezzanotte del 14 corrente.
Il sanguinoso attentato contro l'on. Palmiro Togliatti, capo del più forte
gruppo di opposizione parlamentare e politica, si rivolge non solo contro il
suo partito ma colpisce ed offende tutti i lavoratori italiani, tutti i
cittadini democratici.
L'infame attentato si ricollega strettamente alle decine di aggressioni e di
delitti perpetrati a danno di organizzatori sindacali nello svolgimento del
loro dovere in difesa delle classi lavoratrici.
L'atteggiamento tenuto fin qui dal governo nelle lotte sindacali; l'appoggio
concesso dalle forze di polizia alla classe padronale, i rigurgiti di fascismo
affiorati in modo sempre più sfacciato sulla stampa reazionaria, hanno creato
nel nostro paese il clima favorevole, allo scatenarsi delle violenze
antidemocratiche, dando agli assassini la sicurezza dell'impunità.
La Confederazione Generale Italiana del Lavoro non può non denunciare in questo
momento l'atmosfera pesante creatasi nel paese, che ha generato nell'opinione
pubblica la sensazione di un ritorno all'epoca che aprì la strada al fascismo
ed alla soppressione di ogni libertà.
La C.G.I.L., nel proclamare la sua solenne protesta, afferma che il governo
attuale, per la politica che persegue, non garantisce la libera e pacifica
convivenza di tutti i cittadini nell'ambito della legalità democratica e
repubblicana
LAVORATORI, CITTADINI!
Di fronte ad una situazione così grave che minaccia di riaprire nel nostro
Paese prospettive di sangue e di insopportabile oppressione, la C.G.I.L. vi
invita a lottare uniti attorno alla vostra organizzazione, solo strumento
unitario che possa difendere il nostro popolo dagli attentati contro la libertà
e contro la democrazia.
Tutti i lavoratori parteciperanno allo Sciopero.
Il Comitato Esecutivo della C.G.I.L., Che siede in permanenza, impartirà nella
giornata di oggi ulteriori disposizioni.
I lavoratori italiani sapranno difendere vittoriosamente la democrazia, la libertà,
la repubblica!
Il Comitato Esecutivo della C.G.I.L.
III. La
decisione per la cessazione dello sciopero generale
Il Comunicato Della C.G.I.L.
Il Comitato Esecutivo della C.G.I.L. rileva con soddisfazione
l'imponente ed unanime adesione, in tutta Italia, allo sciopero generale contro
il vile attentato compiuto da un sicario sulla persona dell'on. Palmiro
Togliatti. L'attentato costituisce un attacco delle forze reazionarie contro le
masse popolari che hanno arditamente lottato per abbattere il fascismo e
conquistare le libertà democratiche e la indipendenza nazionale.
Il Comitato Esecutivo rivolge un riverente saluto a tutte le vittime di questa
lotta, provocata dall'atmosfera di divisione. e di odio creata nel Paese dal
risveglio delle forze reazionarie.
Lo sciopero generale - attuato spontaneamente e con ammirevole slancio da tutti
i lavoratori italiani non appena conosciuta la notizia dell'infame attentato, e
sanzionato dalla C.G.I.L - costituisce una conferma manifesta della decisa
volontà delle masse lavoratrici e democratiche di opporsi risolutamente
all'offensiva della reazione.
Prendendo atto di questa indomabile volontà delle masse popolari, ed auspicando
che l'on. Palmiro Togliatti possa riprender ben presto il suo posto di
combattente antifascista, il Comitato Esecutivo decide la cessazione dello
sciopero generale per le ore 12 di venerdì 16 corrente.
Il Comitato Esecutivo rileva che la pronta e rigorosa risposta delle masse ai
crumiri della reazione ha posto davanti al Paese il problema di mutare
radicalmente una politica che rappresenta un incoraggiamento alle forze
padronali e reazionarie, e che ha reso possibile il delitto deprecato da tutto
il popolo italiano e da tutto il mondo civile.*
Roma, 16 luglio 1948
* Canini e Parri, rappresentanti delle correnti saragattiana e repubblicana si
astennero nella votazione sull'ultimo capoverso ed approvarono il resto.
Assenti i rappresentanti della corrente DC.
IV. Dopo lo sciopero
La direzione del P.C.I. al paese
Il criminale attentato contro il compagno Palmiro Togliatti ha
sollevato in tutta l'Italia e nel mondo intero un'ondata spontanea e
incontenibile di protesta e di sdegno di fronte alla quale anche i responsabili
delle condizioni politiche del Paese che l'hanno maturato e reso possibile,
sono stati obbligati ad esprimere ipocriti sentimenti di deplorazione. Ma
l'unanimità appassionata dell'astensione dal lavoro di tutte le categorie
produttrici e di ogni regione, la sdegnata dimostrazione contro il governo, ha
espresso la universale convinzione che la responsabilità dell'esecrabile gesto
risale alla politica di discordia e di provocazione che da tempo viene condotta
da chi dirige le sorti del Paese.
La Confederazione Generale del Lavoro alla cui opera il Fronte Democratico
Popolare ha immediatamente dato piena e fiduciosa adesione ha inquadrato e
diretto il grandioso movimento delle masse che trova precedenti solo negli anni
lontani della più sicura e vittoriosa ascesa delle classi lavoratrici del
nostro Paese.
Milioni di lavoratori operai tecnici, impiegati, contadini, artigiani, uomini e
donne non ostante le minacce e le violenze ordinate freddamente dal governo, si
sono battuti sapendo di affrontarlo e volendo affrontare - a solenne
ammonimento - i provocatori di guerra, che il compagno Togliatti aveva
smascherato e additato all'esecrazione popolare e i gruppi reazionari, e i ceti
privilegiati che si sono proposti di impedire, con qualunque mezzo ed a
qualunque costo, di svolgere quei principi di nuova democrazia di popolo che il
compagno Togliatti aveva affermato per primo nella Repubblica. Queste forze
sociali di rovina e di rapina hanno così sentito la parola possente dell'Italia
del lavoro, che ha fatto conoscere, come ancora non era avvenuto dal giorno
della liberazione quale sia la sua forza. E assieme l'hanno sentita e compresa
gli organizzatori delle scissioni e del crumiraggio le cui losche manovre sono
completamente fallite di fronte allo spirito unitario delle masse lavoratrici.
Lavoratori !
Lo sciopero generale è stato una grande battaglia nel quadro della lotta per
dare al nostro Paese una nuova direzione politica. L'atteggiamento del governo
clerico-reazionario in questo grave momento, il suo rifiuto di riconoscere le
responsabilità politiche del criminoso attentato al di là di quelle personali
del materiale esecutore di esso, la sua aperta e dichiarata volontà di
repressione e di strage che ha fatto bagnare di altro sangue di popolo le
strade e le piazze, hanno chiarito più che mai a tutte le masse la validità del
nostro atteggiamento politico col quale il Partito si propone di intensificare
l'azione unitaria per la difesa delle libertà democratiche, della legalità
repubblicana e dei diritti, dei lavoratori.
Lo sciopero generale ha convinto tutti i sinceri democratici della necessità di
saldare sempre più la loro unità perché sia data soddisfazione all'esigenza
nazionale di una nuova direzione politica del paese e di vigilare per
contrastare e sventare ogni tentativo di rappresaglia nel quale mirassero a
svolgersi ulteriormente le intenzioni reazionarie del governo.
La unanimità di dolore, di esecrazione, di protesta, creatasi con fulminea
immediatezza attorno al nostro compagno colpito, ha costituito la prima
legittima, imponente, revisione dell'artificioso verdetto del 18 aprile,
indicando verso chi si dirige in realtà la fiducia e l'attesa delle forze
fondamentali e laboriose del nostro popolo. Ciò impegna il nostro Partito ed
ogni singolo compagno a continuare infaticabilmente, senza soste e senza
incertezze, in seno a questo l'opera fervida e coerente di orientamento e di
guida.
La Direzione rivolge alle organizzazioni di partito e ai compagni tutto il suo
plauso per l'azione energica con la .quale durante lo sciopero hanno assolto il
compito di avanguardia combattiva delle forze popolari in lotta contro il
regime democristiano, difensore degli industriali e degli agrari - questi
sperimentati provocatori di assassini politici a danno dei dirigenti delle
classi lavoratrici; e li invita a rafforzare la loro attività e la loro
preparazione per mantenere al partito questo ruolo storico e responsabile.
Interprete delle voci giunte da ogni azienda, da ogni villaggio, da ogni città
- e tramite del sentimento profondo di affetto nutrito per lui da milioni di
italiani democratici e patrioti, la Direzione invia al compagno Togliatti,
maestro ed amico, capo amato dei Comunisti italiani il suo fraterno saluto e
l'augurio caldo e commosso di rapida guarigione e della più lunga vita per la
migliore fortuna dei lavoratori, per il bene del nostro popolo; per la
salvezza, il consolidamento e lo sviluppo della nostra libera democrazia.
La Direzione del P.C.I.
Roma 16 Luglio 1948