Secchia
L'arte
dell'organizzazione
Prefazione di Ferdinando Dubla
Presentiamo qui, come supporto documentario, un significativo articolo che
Pietro Secchia pubblicò nel dicembre
1945 sulle colonne di Rinascita (a.II nr.12). Secchia era già di fatto il responsabile
nazionale del settore Organizzazione del PCI, in particolare per le doti che
aveva dimostrato durante tutta la lotta di liberazione nazionale, come
commissario politico delle Brigate Garibaldi e come membro autorevole della
direzione milanese del partito. Sarà però con il V Congresso (29 dicembre 1945
- 6 gennaio 1946) che gli sarà formalmente conferito l’incarico e questo
articolo, nella forma di breve saggio,
condensa la sua esperienza al riguardo. La citazione iniziale di Stalin,
abbastanza celebre e controversa, viene considerata punto di partenza e non
d’arrivo; la linea politica giusta: ma quale linea politica può considerarsi
‘giusta’? Il lavoro organizzativo decide tutto, compresa la sorte della linea:
ma quale e che tipo di lavoro organizzativo?
E dunque innanzi tutto guai a staccare organizzazione e linea politica: l’una
non vive senza l’altra. E guai a credere che l’arte dell’organizzazione possa
surrogare la creatività e l’iniziativa individuale e collettiva , perchè quella
si nutre di queste. Se l’organizzazione è rigida, diventa una camicia di forza
rispetto alle modifiche che la prassi politica incessantemente pone: così come
è vero che il procedere alla cieca rende sterile ogni linea politica. Gli esempi sono tratti dalla recente storia del
PCI: un’organizzazione adeguata durante il periodo clandestino (per
‘compartimenti stagni’, inevitabili per sfuggire alle maglie della repressione
poliziesca) non lo è più in connessione con la necessità di edificare il
partito radicato nel popolo del dopoguerra. Radicamento possibile anche e,
forse, soprattutto, per l’incessante cura alla formazione dei quadri. Dalle
sezioni retaggio dell’organizzazione del vecchio partito socialista alla
strutturazione in cellule: da queste alle cellule di fabbrica fino alla
coordinazione delle cellule dei villaggi e dei comuni; nella parabola organizzativa del PCI,
Secchia vede la sfida che la trasformazione sociale pone all’intelligenza
comunista.
Ferdinando Dubla
Nota: su questi temi vedi anche l’antologia curata
e introdotta da Id.: Pietro Secchia: I quadri e le masse – Per un Partito
Comunista radicato nel popolo (1947/49), Laboratorio Politico, 1996
da Secchia, Rinascita,
a.II, nr.12, dicembre 1945
Secchia
L'arte
dell'organizzazione
Quando
la giusta linea politica è fissata,
il lavoro d'organizzazione è ciò che decide di tutto,
compresa la sorte della linea politica stessa,
della sua realizzazione o del suo insuccesso.
Stalin
La migliore delle linee politiche può essere destinata
all'insuccesso, seun partito non dispone di
un'organizzazione capace di applicarla e di realizzarla.
L'organizzazione non è fine a sestessa. Essa deve essere lo strumento più
efficace per la realizzazione della politica del Partito,per la mobilitazione delle
larghe masse popolari, per il raggiungimento degli obiettivi che di volta in
volta il partito si pone. L'organizzazione non può e non dev'essere dunque
concepita come cosa a sé stante, ma come uno strumento politico. Nulla si può
realizzare, neppure la più semplice delle iniziative politiche se non per mezzo
dell'organizzazione.
Impossibile perciò fare una netta distinzione tra politica e organizzazione.
Non si può ad esempio ritenere che vi possa essere una situazione od una
località ove politicamente si va bene, se in quella località o situazione le
cose vanno male organizzativamente.
Così non può essere un buon organizzatore il semplice praticista, il tecnico,
lo specialista che non si interessa di politica. e che non unisce costantemente
al lavoro pratico, organizzativo, lo studio. La pratica costante giova molto,
ed è vero che l'uomo pratico acquista materialmente le cognizioni di un
determinato numero di soluzioni e sa trovare il rimedio a molti difetti
ordinari di una organizzazione. Però se quest'uomo non sa elevarsi sino a
trovare il nesso, il legame della politica con l'organizzazione, sino a
comprendere quali sono le esigenze di una determinata linea politica e gli
obbiettivi che essa si propone, egli saprà regolarsi in condizioni uguali a
quelle di cui ha già esperienza, ma non saprà regolarsi nei casi dissimili e
cioè nelle infinite circostanze di situazioni e di condizioni, nelle diverse
fasi di sviluppo della vita di un partito.
Concepita l'organizzazione come lo strumento della politica è evidente che non
vi sono e non possono esserci criteri e metodi organizzativi fissi. Questi si
modificano col modificarsi delle necessità politiche, dei compiti e degli
obiettivi che di volta in volta il partito si pone. Criteri d'organizzazione
senza princìpi dunque? No. L'organizzazione di un partito come quella di un
esercito, di un'azienda industriale, o di un istituto scientifico risponde
sempre a determinati principi direttivi che sono in funzione della natura, del
carattere di quel partito o di quell'aggregato qualsiasi tenuto assieme ed
operante per mezzo di quella data organizzazione.
Ma i principi per quanto frutto di esperienze pratiche, di lavoro e di lotte
nelle condizioni le più diverse, per quanto frutto di studio e di ricerche, non
possono essere, specialmente nel campo organizzativo che un orientamento, una
guida, e soprattutto non devono essere considerati fissi, immutabili.
Lavorare con un piano è utile e necessario, lavorare con metodo è
indispensabile, ma lavorare schematicamente è oltremodo dannoso specie sul
terreno della organizzazione. Sistemi ottimi ieri, possono essere del tutto
nocivi oggi. Criteri e sistemi d 'organizzazione buoni per un partito possono
essere nocivi se adattati ad un altro partito o per la natura e composizione
sociale diversa o per i compiti diversi che questo partito si pone a differenza
dell'altro o per le diverse condizioni del paese nel quale operano i due
partiti in questione.
Non c'è dubbio ad esempio che i criteri organizzativi del Partito bolscevico
dell'Unione Sovietica, del paese del socialismo, non possono essere
schematicamente trapiantati in un partito di un paese dove i rapporti di
produzione siano ancora dei rapporti capitalisti. Il partito comunista in
Italia è passato, nel corso dei 25 anni della sua vita, attraverso situazioni
profondamente diverse. Il fatto che malgrado la feroce reazione e la spietata
persecuzione esso si sia costantemente sviluppato e sia diventato uno dei più
forti, se non il più forte partito italiano, lo si deve innanzi tutto alla sua
giusta linea politica, all'essere rimasto costantemente fedele, nelle
situazioni più difficili, alla causa dei lavoratori e del popolo italiano. Ma
la sua capacità di resistenza, di ripresa e di sviluppo è dovuta anche alla
forza della sua organizzazione, all'aver saputo modificare col modificare della
situazione, non solo la sua linea politica, ma anche i suoi criteri di
organizzazione.
Saper adattare le forme ed i criteri d'organizzazione alla situazione concreta,
in modo da prestare il meno possibile il fianco al nemico, in modo da
sferrargli i colpi più possenti con le minori perdite da parte nostra, questo è
ciò che ha saputo fare il nostro partito.
Quante volte abbiamo mutato i nostri criteri e le nostre forme
d'organizzazione? Non è qui il caso di enumerarle. Certo è che i nostri
criteri, i nostri principi d'organizzazione nel 1924 non erano quelli del 1921,
e quelli del 1927-1930 non erano quelli del 1924e così via. Metodi, criteri
e forme d'organizzazione del periodo della guerra partigiana non sono e non
potrebbero essere quelli di oggi.
Talvolta il ritardo nel modificare metodi e criteri d'organizzazione fu
duramente pagato dal partito. Le tendenze conservatrici ed i ritardi nelle
innovazioni in un'organizzazione industriale si pagano con spreco di energie,
di denaro, con la sconfitta nei confronti della concorrenza e con un ritardo
nello sviluppo della tecnica. In un'organizzazione politica od in un esercito
questi ritardi si pagano a prezzo di sofferenze e di sangue e con la perdita
sia pure transitoria della influenza, il che in certe condizioni può decidere
di una battaglia, del successo o dell'insuccesso di una linea politica.
La superiorità politica ed organizzativa del Partito comunista nei confronti
degli altri partiti antifascisti si rivelò apertamente agli occhi di tutti,
specialmente nel periodo della guerra di liberazione nazionale. Forte
dell'esperienza di lavoro e di lotta accumulata durante vent'anni di
illegalità, il Partito comunista, più intensamente e largamente di ogni altro,
seppe condurre la guerra contro i tedeschi ed i fascisti col minor numero di
perdite.
I partiti che da vent'anni avevano rinunciato, o quasi, a qualsiasi attività in
Italia, privi di una seria esperienza, di lavoro organizzativo e cospirativo,
non erano in grado di fare un passo senza cadere nella rete del nemico, non
erano in grado di sferrare un colpo senza offrire una larga superficie
vulnerabile alla reazione nemica.
Nessuno può contestare al Partito comunista italiano d'aver partecipato alla
guerra di liberazione col più gran numero di combattenti, di partigiani e di
gappisti, tutta l'organizzazione di partito è stata per diciotto mesi
mobilitata sul piano della lotta armata.
Eppure le nostre perdite in rapporto a quelle di altri partiti sono state relativamente
assai minori.
Durante i diciotto mesi il centro del partito ed il Comando generale delle
Brigate d'Assalto Garibaldi furono continuamente (senza interruzioni) collegati
con i triumvirati insurrezionali, con i comitati federali, con i Comandi militari
di regione e di zona e con i Comandi operativi delle Brigate Garibaldi e del
Corpo Volontari della Libertà. Questi collegamenti erano tenuti da corrieri, da
staffette, da ufficiali di collegamento, uomini e donne, giovani e anziani i
quali trasportavano stampati, giornali, ordini, direttive, armi, munizioni e
materiale diverso. Tonnellate e tonnellate di merce furono trasportate durante
i diciotto mesi. Tutti questi collegamenti facevano capo a dei centri regionali
e da questi alla direzione del Nord a Milano. E mai una sola volta i nostri
centri regionali politici e militari e la nostra direzione a Milano furono
colpiti in punti vitali dal nemico.
Non solo, ma le nostre bande divennero ben presto brigate, si trasformarono in
divisioni, raggiunsero e superarono di molto i centomila combattenti. E
l'organizzazione di partito passò da cinquemila iscritti nel luglio 1943a
circa centomila al momento dell'insurrezione. Tutto questo lavoro fu possibile
grazie alla dedizione, all'abnegazione, allo spirito di sacrificio di centinaia
e centinaia di compagni, ma grazie anche alle esperienze, alle capacità
organizzative acquisite in lunghi anni di lotta, grazie soprattutto alla
giustezza della linea politica del Partito ma grazie anche alla cura di ogni
dettaglio del nostro lavoro organizzativo.
Il conservatorismo è nocivo ad un'organizzazione come la ruggine in un
ingranaggio. Ma non si devono neppure introdurre importanti innovazioni
nell'organizzazione con facile leggerezza. L'organizzazione non è un passatempo,
un divertimento consistente nel mutar di posto a delle pedine, non è un giuoco
e neppure un campo sperimentale. L'organizzazione è un mezzo, uno strumento
serio inteso a raggiungere uno scopo serio.
Non bisogna mai lasciarsi andare a delle improvvisazioni e prima di decidersi a
delle radicali riforme nel campo dell'organizzazione non basta constatare che
il vecchio criterio, il vecchio sistema non risponde più alle esigenze, ma
occorre studiare ed in certo qual modo assicurarsi che il nuovo che si vuol
introdurre sia non solo un poco migliore, ma sia tanto migliore da rispondere
ai risultati politici che si vogliono ottenere e da compensare il danno che la
spezzata tradizione necessariamente apporterà.
Quando nel 1924noi abbandonammo il principio d'organizzazione su base
territoriale per applicare quello sulla base del luogo di produzione (cellule
di fabbrica), sapevamo che il danno che poteva derivare dalla rottura della
tradizione, dell'abitudine dei compagni a riunirsi tutti assieme nella sezione,
sarebbe stato largamente compensato dallo sviluppo del partito, dall'aumento
della sua influenza e delle sue ramificazioni nelle fabbriche. Il partito di
massa dei lavoratori, il partito della classe operaia, doveva trovare un
sistema d'organizzazione capillare che gli permettesse di toccare, collegare,
unire ed attivizzare il numero più grande di lavoratori, che desse la
possibilità all'avanguardia della classe operaia di assolvere alla sua funzione
dirigente.
Il sistema d'organizzazione sulla base delle cellule di fabbrica aveva già al
suo attivo una grande, positiva esperienza: quella del partito bolscevico, la
cui politica era stata coronata dal più grande successo storico.
Troppo facile sarebbe, quando un criterio organizzativo si dimostra
insufficiente, deficiente o superato adottarne un altro qualsiasi; magari
l'opposto. Vi fu ad esempio un periodo nella vita illegale del partito in cui
si costatò che il massimo accentramento facilitava e rendeva assai più gravi i
colpi della polizia. Il criterio d'organizzazione con funzionamento collettivo
(i comitati) centralizzato (collegamento di tutte le cellule in settori e dei
settori nel comitato federale) per mezzo di riunioni regolari dei diversi
organismi, faceva sì che quando la polizia riusciva ad afferrare un anello
della catena, per mezzo del pedinamento, della provocazione e della tortura,
più d'una volta riusciva ad impossessarsi di tutta o di parte notevole della
catena. Per cui ad un certo momento si ritenne necessario passare al criterio
del massimo decentramento. Non più riunioni collettive, ma legame individuale,
non più collegamenti di cellule in settori, ecc., ma tanti nuclei viventi nella
stessa città o zona, l'uno indipendentemente dall'altro, non più comitati, ma
individui responsabili.
L'applicazione di questo criterio nella sua forma più estrema, rivelò ben
presto nella pratica dei difetti altrettanto gravi quanto i danni che prima ci
arrecava la reazione poliziesca. Si marciava verso la polverizzazione del
partito, verso la sua disintegrazione in tante piccole unità indipendenti l'una
dall'altra. Dalla mancanza di unità organizzativa, dalla mancanza di vita
collettiva, dalla mancanza di discussione si sarebbe potuto passo passo
arrivare alla mancanza di unità di direzione, alla mancanza di vitalità
politica.
L'esperienza dimostrò che la giusta soluzione del problema non stava
nell'adottare semplicisticamente un criterio d'organizzazione opposto, ma
piuttosto nel conciliare le esigenze di un'organizzazione unitaria
centralizzata e funzionante collettivamente, con le esigenze di carattere
cospirativo. Si trattava cioè di trovare un equilibrio, la giusta misura.
Oggi che il Partito comunista è diventato e sta diventando sempre più il
partito nuovo, il partito del popolo italiano, il partito che organizza che
accoglie non solo una ristretta avanguardia della classe operaia, ma strati
sempre più larghi di lavoratori, di contadini e di intellettuali, oggi che al
partito si pongono compiti nuovi, compiti di governo e di direzione di
istituzioni pubbliche nelle province e nei comuni, il funzionamento della
sezione acquista un'importanza che nel passato non aveva.
Ma sarebbe un errore ritenere che la soluzione stia nell'abbandonare il sistema
d'organizzazione sulla base di cellula d'officina e di strada. Intanto le
stesse cellule di fabbrica e di strada sono diventate degli organismi i cui
iscritti superano di molto quelli delle vecchie sezioni socialiste del
1919-1920. In secondo luogo il sistema di organizzazione per cellule non solo
garantisce al partito i più larghi contatti con le masse lavoratrici, ma
permette la partecipazione del numero più grande di compagni alla vita ed
all'attività del partito. Quanti giovani elementi che passerebbero inosservati
in una grande assemblea di sezione, si rivelano nelle cellule come elementi
capaci di sviluppo e di assolvere a funzioni di direzione politica.
Tuttavia la situazione di oggi, il carattere odierno del partito, gli obiettivi
che stanno davanti a noi rendono necessaria, specie nei villaggi, anche la vita
di sezione. E in quei comuni ove erano sorte quattro, cinque sezioni (una per
frazione) già si è sentita la necessità di raggrupparle, di ridurne il numero,
di coordinare la loro attività. Perché i problemi del comune, siano essi
problemi amministrativi, politici, di ricostruzione o culturali non possono
essere risolti che in forma organica e tenendo conto delle esigenze di tutto il
comune.
Di qui la necessità per il partito di adottare criteri e forme d'organizzazione
diverse e multiple.
La cura dell'uomo è l'elemento essenziale nell'arte dell'organizzazione. Un
partito è fatto di uomini e bisogna prendere gli uomini come sono. Bisogna
cercare bensì di migliorarli e di educarli, di dare ciò che ad essi manca, ma
frattanto è necessario lavorare.
Un organizzatore politico non dev'essere solo un uomo dotato di facoltà di
osservazione e di analisi, capace di scorgere, abbracciare e coordinare i
dettagli, deve non solo possedere energia, dinamicità, resistenza al lavoro, ma
deve possedere quella conoscenza, quella capacità di comprensione dell'elemento
umano del quale è composta un'organizzazione. L'organizzatore politico deve
possedere queste qualità in misura maggiore che non l'organizzatore industriale
il quale esercita la sua funzione solo in parte su cose vive. L'organizzatore
politico non esercita la sua volontà su delle macchine, su della materia inerte
o su degli uomini che assolvono ad una funzione meramente meccanica ed in certo
senso passiva ma lavora invece con degli uomini che agiscono e reagiscono in
piena coscienza.
Saper scoprire le qualità che esistono in ogni individuo, saper ben utilizzare
queste qualità, studiare i pregi e le insufficienze di ogni compagno, saper
collocare ognuno al posto che meglio risponde alle sue attitudini, questo è uno
dei compiti fondamentali dell'organizzatore.
E' un luogo comune l'affermazione che noi dobbiamo badare esclusivamente
all'interesse del partito, prescindendo da quelle che possono essere le
inclinazioni individuali. E' questo un criterio d'organizzazione del tutto
errato che dà risultati negativi in qualsiasi campo dell'attività umana. L'uomo
rende quanto più il lavoro che esso compie risponde, non solo all'obiettivo
supremo per il quale esso agisce e lotta (che può essere obiettivo politico,
scientifico, o di produzione) ma anche in quanto quel lavoro soddisfa le sue
attitudini e la sua inclinazione ad una particolare attività. Questo principio
organizzativo vale anche per i comunisti. Perché se è vero che i comunisti
subordinano alla causa, per cui lottano ogni vanità, ogni soddisfazione, ogni
ambizione personale è anche vero che i comunisti sono uomini normali come tutti
gli altri uomini, molti di essi temprati dalla lotta e dal sacrificio, ma pur
sempre uomini con le stesse esigenze, con gli stessi difetti e le stesse
qualità degli altri uomini.
La formazione e lo sviluppo dei quadri è il compito fondamentale di
un'organizzazione, l'utilizzazione di tutte le forze di cui il partito dispone,
saper aumentare giorno per giorno queste forze ed il loro rendimento, riuscire
ad indurre ogni compagno a migliorarsi quotidianamente e ad impegnare tutta la
sua volontà tutte le sue energie fisiche ed intellettuali nell'interesse del
partito, nella realizzazione della linea politica del partito: in questo
consiste essenzialmente l'arte dell'organizzazione.
Pietro
Secchia