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da Pietro Secchia, La Resistenza accusa 1945-1973, Editore Mazzotta, Milano, 1973
trascrizione a cura del CCDP

 
Secchia
 
La bandiera della Resistenza (1)
 
[...] Queste nostre manifestazioni non hanno soltanto lo scopo di farci ritrovare attorno alle gloriose bandiere delle nostre brigate, per ricordare i sacrifici del popolo, per ricordare i nostri caduti ed i nostri martiri, il cui nome resterà indimenticabilmente scolpito nel cuore e nel pensiero di tutti gli italiani. Noi ci ritroviamo soprattutto per rinnovare un giuramento, un impegno, per assicurare coloro che caddero e rutti quelli che audacemente diedero l'esempio, che noi comunisti, noi garibaldini, uniti nella lotta e nel combattimento a uomini di fedi diverse, ma amanti delle libertà, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri martiri, vogliamo essere uniti anche oggi per portare avanti sino alla vittoria completa la lotta per la pace, per la libertà ed i1 progresso del nostro paese.
 
Quei nostri morti indimenticabili non hanno considerato la loro fine come una conclusione, ma piuttosto come un punto di partenza che doveva indicare ai loro compagni ed a tutti i patrioti il cammino verso l'avvenire.
Noi stiamo ancora percorrendo questo cammino perché la Resistenza non è finita con la vittoria dell'insurrezione dell'aprile 1945.
La Resistenza non appartiene al passato della nazione, ma è una forza vivente dei suo presente e del suo avvenire, essa deve continuare e continuerà sino a quando la Costituzione repubblicana, che esprime il programma e gli ideali della Resistenza, sia completamente realizzata nel suo spirito e nel suo contenuto.
 
Vi è qualcuno cui danno fastidio queste nostre manifestazioni, vi è chi cerca di ridurre le celebrazioni del 25 aprile a delle parate di veterani, a delle riviste di militari in congedo.
Ma noi non viviamo ancora di ricordi per essere dei veterani e neppure siamo abbastanza vecchi per andare in congedo. Noi intendiamo lottare, operare sempre, perché la vita è opera, è lotta. è combattimento; noi intendiamo operare sin che in noi ci sarà vita; e, dopo di noi, altri porteranno avanti le nostre bandiere. sino a quando gli ideali della Resistenza saranno diventati una realtà non soltanto nella carta costituzionale, ma una realtà in un'Italia rinnovata nei suoi ordinamenti sociali.
 
Vi sono alcuni a cui danno fastidio queste nostre celebrazioni perché vorrebbero che i tempi della gloria e dell'audacia fossero dimenticati, perché sono imbarazzati a dover spiegare e giustificare perché allora lottarono fianco a fianco con i comunisti e i lavoratori d'avanguardia, che furono allora la forza decisiva della Resistenza. [ ... ]
 
La Resistenza non appartiene a nessun partito, appartiene al popolo italiano, ma non possiamo neppure accettare che altri la monopolizzino, cerchino di metterci in disparte, non possiamo accettare che gli «assenti» di ieri diventino gli eroi di oggi, e che quelli che tutto hanno dato siano considerati dei reprobi soltanto perché sono dei comunisti, soltanto perché anche oggi come ieri lottiamo per la libertà, ma per la libertà di tutti, contro ogni discriminazione, per la libertà degli operai, dei contadini, dei lavoratori, delle classi oppresse.
 
Noi vogliamo sia ricordato il contributo decisivo dato dalla classe operaia, dai lavoratori, dai loro partiti di avanguardia ed in particolare dal partito comunista. In questa nostra esigenza non vi è vanità personale, orgoglio di setta, nulla di meschino e di immodesto. Non chiediamo pergamene, medaglie, onori: la nostra è una esigenza politica. Vogliamo non siano falsate le condizioni oggettive in cui si è sviluppata la Resistenza in Italia, come fatto politico. militare e sociale; vogliamo che anche le giovani generazioni sappiano quali furono le forze motrici della Resistenza, contro quali nemici lottò la Resistenza, per quali ideali pugnarono i patrioti.
 
La Resistenza è stata lotta contro il fascismo, contro i gruppi del capitale monopolistico, contro quelle forze oscurantistiche che oggi hanno preso il nome di «triplice alleanza», la Resistenza è stata lotta per il rinnovamento del nostro paese.
 
Per questo tutte le forze popolari e democratiche di ogni corrente politica lottarono unite. Per questo il contributo principale alla Resistenza fu dato dai lavoratori, fu dato dalle forze popolari, dalle forze democratiche di sinistra, dal partito comunista in primo luogo, dagli uomini del Partito d'Azione, del partito socialista, da altre correnti democratiche progressive.
Ma nessun partito, nessun movimento portò alla Resistenza un cosi grande contributo di idee, di uomini, di combattenti e di quadri, di sacrificio e di sangue come il partito comunista.
 
Una nuova classe dirigente fu la protagonista della Resistenza. La vecchia classe dirigente aveva fatto fallimento quando aveva dato vita al fascismo, quando aveva legato le sorti del nostro paese al nazismo tedesco; aveva fatto completo fallimento quando, al momento della sconfitta militare, al 25 luglio, fece tutti gli sforzi per impedire che il popolo trovasse la via della salvezza.
I conservatori ed i reazionari di ogni colore volevano che non vi fosse alcun mutamento (se non negli emblemi), che non vi fossero manifestazioni, che non vi fossero proteste, né recriminazioni. Che nessuno facesse nulla, che nessuno si muovesse, ci avrebbero pensato loro a cavarsela con i tedeschi e con gli anglo-americani.
 
Chi fu che volle la disgregazione dell'esercito
 
Infatti, ci pensarono loro a fuggire a Pescara non appena i tedeschi si avvicinarono a Roma, pensarono a dissolvere l'esercito, a polverizzarlo, a consegnare migliaia e migliaia di ufficiali e soldati nelle mani dei tedeschi. Era chiaro che quei signori non volevano la democrazia. Avrebbero voluto conservare in vita. sotto altre forme, un regime reazionario, un fascismo un po' mascherato.
 
Si dice che sarebbe stato impossibile impedire l'occupazione del paese da parte dei tedeschi. La cosa è assai discutibile perché vi erano ancora in Italia cospicue forze militari che, unite alle masse popolari, avrebbero potuto se non impedire l'occupazione di una parte del paese, per lo meno impegnare il nemico in una lotta ardua e difficile.
Certo, per fare questo sarebbe stato necessario fare appello alle masse popolari, armarle. chiamarle ad unirsi alle formazioni dell'esercito regolare. Ma i gruppi dirigenti del grande capitale e della monarchia avevano piú paura dei lavoratori in armi che di qualsiasi altra cosa, preferirono perciò la disgregazione dell'esercito. Invece di chiamare i soldati e il popolo a difendere la patria con ogni mezzo, li invitarono a gettare le armi e aprirono le porte del paese all'invasore tedesco.
 
La mancata resistenza delle truppe italiane, la fuga del re, della casa reale e dello stato maggiore prima a Pescara, poi a Bari, la disposizione dei comandi di corpo d'armata di non opporre resistenza ai tedeschi, lo scioglimento dell'esercito sono stati il risultato di una volontà ben determinata.
Se la fuga a Pescara avesse avuto soltanto lo scopo di mettere in salvo il comando dell'esercito, si sarebbero dati ai comandi periferici ed alle truppe ordini precisi di resistere, si sarebbero per lo meno date disposizioni e prese misure per fare saltare le strade ferrate, i ponti, per ostruire le strade, distruggere depositi di carburante e materiali, rendere impraticabili le piú importanti vie di comunicazione e inutilizzabili per lungo tempo gli impianti industriali piú direttamente legati alla produzione bellica.
 
Nulla di tutto questo è stato fatto; depositi, magazzini, mezzi di trasporto, armi, tutto venne abbandonato nelle mani degli invasori. La divergenza radicale di interessi tra i rappresentanti del grande capitale finanziario e le masse della nazione risalta chiaramente anche dalla strategia militare allora messa in atto ed è illuminata dagli avvenimenti dell'8 settembre e dalle misure allora adottate dallo stato maggiore. Coloro che si erano sempre presentati come i monopolisti del «patriottismo» non esitarono ad avvilire l'esercito, a gettare su di esso un'ombra di umiliazione e di vergogna.
I grandi strateghi dissero che non era possibile cambiare fronte di guerra nel giro di ventiquattr'ore, che non era più possibile alcuna resistenza, che i soldati e gli ufficiali non si sarebbero battuti. Nella loro cupidigia di «disfattismo» arrivarono ad insultare sanguinosamente i nostri soldati, tentando di gettare su di essi l'onta e la responsabilità del loro tradimento e della loro ignavia.
 
Non è vero che i soldati, se ben guidati, non fossero disposti a battersi contro i tedeschi. Lo dimostrarono immediatamente dopo 1'8 settembre. E' sufficiente ricordare la difesa di Roma nei giorni 9-10 settembre che fu opera di lavoratori, di popolani e di reparti dell'esercito. Notevoli la capacità combattiva e l'eroismo dimostrati dalle forze militari italiane inquadrate nelle divisioni Cremona e Friuli che, unitamente ad unità francesi, si batterono in Corsica dal 13 settembre al 4 ottobre contro i tedeschi. Le perdite subite — 4.000 uomini — sono la prova della volontà della lotta antifascista e dello slancio combattivo di soldati e ufficiali contro i tedeschi. Altri magnifici episodi di lotta si ebbero nel Dodecaneso, dove il presidio italiano di Lero resistette per oltre 50 giorni all'assedio nazista. Su 12.000 italiani impegnati. soltanto 1.500 furono i superstiti. Eroico fu l'atteggiamento dei soldati e degli ufficiali a Cefalonia dove si rifiutarono di arrendersi ai tedeschi. Sottoposti per piú giorni a terribili bombardamenti che distrussero Argostoli, privi di artiglieria, resistettero sino all'ultimo. Quando i tedeschi riuscirono ad avere ragione della loro resistenza ad oltranza, fecero strage dei soldati e ufficiali italiani ed il 22 settembre ne massacrarono 4.500.
 
Violenti combattimenti ebbero luogo in Grecia, in Jugoslavia, in Albania, ove molti reparti dell'esercito passarono alla lotta attiva contro i tedeschi e si unirono alle formazioni partigiane albanesi e jugoslave, e dove sorsero anche i battaglioni e le divisioni Garibaldi e Gramsci.
Migliaia di soldati e ufficiali caddero in combattimento, 615.000 furono internati in Germania, i nazisti proposero il ritorno in patria a coloro che si fossero dichiarati disposti a servire presso la cosiddetta Repubblica di Salò. Il 99% rifiutò, preferf rimanere in prigionia: 30.000 di questi soldati e ufficiali morirono nei campi tedeschi.
Ma vi è un'altra prova decisiva che dimostra come i soldati erano disposti a battersi per la libertà e l'indipendenza del paese. Soldati ed ufficiali, smarriti, sbandati, abbandonati, senza fede, traditi, inseguiti dai tedeschi, si erano rifugiati sulle montagne in cerca di salvezza e là trovarono l'ideale per cui lottare. Quei soldati e quegli ufficiali si incontrarono con i comunisti, con la classe operaia e con i lavoratori.
 
Una campagna di odio e di diffamazione condotta per anni dal fascismo, aveva dipinto i comunisti come dei mostri, dei ribaldi, la feccia peggiore della società. Molti di quei soldati e di quegli ufficiali non avevano mai conosciuto i comunisti in carne ed ossa. Li incontrarono nel momento dell'amarezza, dello sconforto, del panico, quando tutto sembrava perduto. Ed il comunista che era vilipeso, condannato dai tribunali fascisti come un malfattore era lì a dirgli: coraggio, non disperare, non fuggire, non buttare il fucile. battiamoci assieme, battiamoci subito, non attendiamo domani, uniti saremo piú forti dei tedeschi, piú forti dei fascisti, conquisteremo la libertà ed il nostro avvenire.
 
La Resistenza non appartiene a nessun partito
 
Uomini di tutti i partiti antifascisti vi portarono il loro contributo, non vogliamo nelle nostre celebrazioni dimenticare nessuno, tanto più che quel contributo lo cercammo con insistenza, fummo noi a cercare ed a volere fortemente l'unità di tutte le forze popolari; ma lasciatecelo dire perché è la verità: specialmente all'inizio quante discussioni dovemmo sostenere, quanta tenacia dovemmo impiegare per convincere, persuadere che era necessario agire subito, batterci contro i tedeschi ed i fascisti. Non ci trovammo subito in molti all'8 settembre, ma non ci chiedemmo se era la nostra ora, non ci mettemmo a contare quanti eravamo. Sapevamo che era un'ora decisiva per l'avvenire del paese. Altri, molti altri di ogni corrente politica, vennero poi ad ingrossare l'esercito dei CVL. L'unità andò realizzandosi nel corso della lotta le forze affluirono nella misura in cui l'azione e il successo insegnarono che si poteva combattere e vincere. Ma all'inizio non eravamo in molti e se molti altri si unirono è anche perché c'era stato il nostro esempio. [...]
 
Tutte le volte che si è trattato di difendere la libertà, di portare avanti la bandiera della democrazia e del socialismo, il partito comunista si è trovato in prima linea alla testa della classe operaia e dei lavoratori e non abbiamo trovato certi signori come l'on. Fanfani, che oggi vorrebbero darci lezioni di democrazia e di libertà. [...]
 
Il programma della Resistenza
 
Il programma della Resistenza non fu quello di restaurare l'antico regime prefascista, ma fu quello di instaurare un regime politico e sociale nuovo che realizzasse profonde riforme nella società italiana.
Non vi è alcun dubbio che la Resistenza, il cui programma era dichiaratamente politico, democratico e antifascista, fu il più grande movimento popolare di massa nella storia del nostro paese, fu un movimento rivoluzionario che avrebbe dovuto portare a profonde modificazioni nella struttura socio-economica del nostro paese e che ha portato ad un inizio concreto di rinnovamento nella vita politica e sociale della nazione.
 
«Questo rinnovamento», ha ricordato il compagno Togliatti, «non è andato avanti e non si è compiuto come noi avremmo voluto e come avrebbero voluto gli eroi ed i caduti di allora.
Sia detto questo con tutta chiarezza. Avevamo combattuto e con noi la parte migliore del popolo aveva combattuto per aprire all'Italia una via di sviluppo nuovo, di progresso radicale. Volevamo una trasformazione profonda dei rapporti sociali, economici e politici nell'interesse delle forze del lavoro, nel rispetto dell'eguaglianza e della libertà di tutti i cittadini.
«Volevamo che il mutamento di classe dirigente che rese possibile la Resistenza diventasse permanente come fondamento di una nuova società.
«Non siamo riusciti a ottenere che per lungo tempo si procedesse per quella strada.»
 
Queste cose devono essere dette perché ci sono coloro che lavorano a falsare la storia della Resistenza, che ci presentano una Resistenza senza ideali, senza programma, senza bandiera. [...]
 
Alle volte ci sono anche amici nostri i quali, forse per il timore di alimentare certe amarezze e certe delusioni che talvolta si fanno sentire specialmente negli ambienti partigiani, ritengono più opportuno tacere sul carattere, sugli obiettivi e sugli ideali della Resistenza.
 
Al contrario, noi riteniamo che quelle amarezze e quelle delusioni, quando esistono e là dove esistono, possano essere meglio superate non tacendo o velando la verità, ma proclamandola apertamente con tutta chiarezza, spiegando chiaramente perché quegli obiettivi non poterono essere raggiunti, indicandone le cause e le gravi responsabilità che pesano per questa situazione sopra partiti e uomini per avere compiuto gravi atti di violazione delle libertà democratiche, per avere spezzato quell'unità di forze democratiche che si era costituita nella Resistenza e sopra la quale doveva essere fondata l'Italia nuova.
 
Questa responsabilità ricade in primo luogo sui dirigenti della DC che si sono fatti complici e sostenitori della politica dei grandi monopoli e che hanno tentato prima nel 1948 e poi con la legge-truffa (1953) di attuare un vero e proprio colpo di Stato che permettesse loro di «rivedere» e cioè annullare in alcune sue parti fondamentali la Costituzione.
Sí, noi non abbiamo alcuna esitazione ad affermare che la Resistenza non ha sino ad oggi realizzato i suoi obiettivi e il suo programma, frustrati furono i suoi sforzi e i suoi ideali e noi sappiamo bene da quali forze interne e straniere. Ancora una volta sono riusciti a prevalere nel nostro paese i vecchi gruppi privilegiati, quei gruppi animati soltanto da sordida brama di profitti e di potere che hanno dato vita recentemente alla «triplice alleanza».
 
La Resistenza ha aperto la strada al socialismo
 
Fu allora inutile quella lotta, vani i nostri sacrifici, i sacrifici dei nostri migliori? No, la nostra lotta, i sacrifici del popolo non furono vani, perché tutto ciò che è stato conquistato non è andato perduto, perché i lavoratori, il popolo italiano hanno conquistato una coscienza ed una posizione nella vita nazionale che nessuno potrà pù cancellare. Una strada è stata aperta ed è stata aperta dalla guerra di Liberazione.
La Resistenza ha aperto la strada al socialismo anche in Italia. Si parla molto di vie diverse per il passaggio al socialismo, ed ora vi è persino una specie di concorrenza su chi per primo ha trovato la via italiana. C'è anche Saragat che pretende nientemeno di esserne l'inventore.
Chi ha aperto questa strada in Italia sono stati i partigiani, sono stati gli uomini della Resistenza, è stata la classe operaia, sono stati i contadini, gli intellettuali d'avanguardia, i lavoratori ed il loro partito. [...]
 
E all'on. Saragat, che vorrebbe oggi presentarsi come il precursore e l'inventore della giusta via per arrivare al socialismo, diciamo una cosa sola: le vie per avvicinarci, per arrivare al socialismo, sono diverse, differenti a seconda dei paesi e delle situazioni storiche, ma non tutte le strade conducono al socialismo. Non conduce al socialismo la strada della collaborazione con la «triplice alleanza» dei grandi monopoli, non conduce al socialismo la strada del riarmo, della corsa agli armamenti, della divisione e della discriminazione. [...]
 
Malgrado tutto l'Italia di oggi, malgrado siano in piedi le vecchie strutture economiche e sociali, non è l'Italia del periodo fascista e nemmeno quella del 1921-22 anche se ha ancora molti elementi dell'una e dell'altra.
Certo, le cose non sono andate avanti rapidamente come avremmo voluto, ma in Italia abbiamo oggi un movimento democratico ed un movimento comunista quale mai vi fu nella storia del nostro paese.
 
Tra i tanti elementi di differenziazione basterebbe ricordare che in passato nel nostro paese esisteva un'avanguardia socialista, democratica, nel Nord e nell'Italia centrale, ma un'Italia del Sud arretrata e infeudata alla reazione. La vecchia frattura fra Nord e Sud è ora in gran parte colmata, questa frattura ha pesato ancora fortemente durante la guerra di Liberazione. I rapporti di forza tra Nord e Sud durante la guerra di Liberazione nazionale erano completamente diversi. Nel Nord l'antifascismo, le forze democratiche di sinistra ebbero non soltanto funzione importante ma decisiva e dirigente e riuscirono ad essere le forze dirigenti nel CLN e nel comando del CVL. Nel Sud i rapporti di forza erano del tutto diversi, tanto diversi che a Roma alla vigilia dell'ingresso degli anglo-americani non fu possibile l'insurrezione popolare.
Avessimo avuto nel 1943 la forza che abbiamo oggi in tutto il paese, il 25 luglio sarebbe stato una cosa assai diversa ed anche 1'8 settembre.
 
Quando qualcuno dice che oggi siamo al punto di prima, vuoi dire che questo qualcuno non ha mai conosciuto come eravamo prima o ha scambiato la situazione del suo villaggio o del quartiere della sua città per tutta l'Italia.
E' verissimo che anche oggi, malgrado il grande sviluppo del movimento comunista e socialista, del movimento democratico, delle organizzazioni dei lavoratori, esistono ancora seri pericoli rappresentati dai residui del fascismo, dai grandi gruppi monopolistici, dal dispotismo padronale, dalle minacce alla democrazia, ecc.
Ma non siamo al punto di prima. l'importante è di continuare a lottare tenacemente, lottare e non indugiare sulle recriminazioni ed i rimpianti sul passato. Noi ricordiamo il passato non per il gusto di fare delle considerazioni storiche, ma ricordiamo il passato nella misura in cui i suoi insegnamenti ci possono servire per andare avanti. Noi sappiamo che sino a quando la Costituzione repubblicana non sarà applicata in tutte le sue parti, non potremo considerare realizzato il programma della Resistenza. Per questo possiamo ben affermare che la Resistenza continua.
 
Dietro alla bandiera della Resistenza marciano oggi nuove possenti forze, giovani generazioni che aspirano a conquistare il loro avvenire. Portiamo avanti, portiamo al successo le bandiere della Resistenza.
 
Note:
 
1) Estratto del discorso tenuto a Genova il 26 aprile 1956. Il 25 aprile, il compagno Secchia aveva scritto il fondo de « l'Unità » con lo stesso titolo (La bandiera della Resistenza). nel quale erano contenuti concetti qui sviluppati.