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- materiali resistenti in linea - iper-classici - 07-07-12 - n. 417
da Rinascita, anno VIII, n.1, gennaio 1951
trascrizione per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
in occasione dell'anniversario della scomparsa di Pietro Secchia (07/07/1973)
Verso il VII Congresso del P.C.I.
II partito forma suprema della organizzazione di classe
di Pietro Secchia
gennaio 1951
II proletariato non ha altra arme nella lotta per il potere che l'organizzazione. La forma suprema dell'organizzazione di classe è il partito.
Lenin
Con quest'affermazione Lenin fa risaltare l'importanza decisiva del partito e della sua organizzazione in tutte le lotte dei lavoratori, dalle più elementari a quelle più elevate. Pone l'organizzazione del partito sul piano della lotta per il potere.
Nel movimento socialdemocratico l'organizzazione era sempre stata considerata come una questione tecnica e di secondaria importanza. Al più veniva vista come un mezzo, per regolare in qualche modo la vita interna del partito, ma l'organizzazione non veniva concepita come lo strumento per la conquista della maggioranza da parte del partito della classe operaia e dei lavoratori, come l'arme suprema nella lotta per il potere.
L'organizzazione veniva concepita dai socialdemocratici come una cosa staccata dalla politica. In Italia ad esempio i «massimalisti» negli anni del 1919-1920, negli anni della fase culminante dell'ondata rivoluzionaria, pur essendo alla direzione del partito, pur sapendo che questo aveva la maggior influenza sulla classe operaia, lasciavano la Confederazione generale del Lavoro nelle mani diultrariformisti e di traditori del calibro di D'Aragona. I problemi del rafforzamento dell'attività sindacale, della conquista di più larghi strati di lavoratori su posizioni classiste, la lotta contro l'opportunismo in seno ai sindacati non venivano visti come problemi politici e organizzativi di primo piano.
Parlavano continuamente di rivoluzione proletaria i massimalisti ed anche buona parte dei riformisti, nel 1919-1921, ma non si ponevano il problema delle forze che era necessario mobilitare, non si ponevano il problema di organizzare la conquista degli alleati. Non si rendevano conto ad esempio dell'importanza decisiva delle masse contadine, della necessità dell'alleanza tra le masse operaie del Nord e quelle; contadine del Sud, Questi problemi, essenziali per la conquista del potere, erano, completamente ignorati.
Per noi comunisti l'organizzazione è lo strumento essenziale che deve facilitare al partito la realizzazione della sua linea politica e dei suoi obiettivi. Anche oggi accade talvolta di incontrare compagni che, quando parlano di organizzazione, ne parlano in modo tale come se si trattasse semplicemente di vendere delle tessere, fare pagare delle quote, organizzare delle riunioni, del modo come tenere collegate le cellule, ecc. ecc. Tutto questo è anche organizzazione, ma costituisce la parte più elementare dell'organizzazione. L'organizzazione di un Partito comunista è un qualcosa di molto più vasto, di molto più largo, di molto più decisivo politicamente. E' un lavoro in diretto rapporto con la tattica, con la strategia, con il programma del partito.
Il lavoro di organizzazione è quel complesso di attività che il partito, svolge per riuscire a dirigere tutti gli strati della popolazione lavoratrice. Fare del Partito comunista la forza dirigente della classe operaia, degli strati più larghi di contadini, di coltivatori diretti, di piccoli e medi proprietari, di mezzadri, della piccola e media borghesia delle città, fare sì che il partito possa effettivamente assolvere alla sua funzione di guida di questi strati sociali nella lotta per la pace, per il lavoro, per la libertà, per il rinnovamento sociale del Paese; in questo consiste il lavoro di organizzazione.
Fu Lenin che indicò al proletariato Italiano e alla sua avanguardia la giusta via da seguire, che ci aiutò a lottare implacabilmente contro il riformismo, contro il massimalismo parolaio e contro l'estremismo infantile, per l'unità della classe operaia e del suo partito. Fu Lenin che ci insegnò a farla finita con la inconsistenza organizzativa e a dare vita ad un'organizzazione della classe operaia disciplinata, organizzata e capace di assolvere alla sua funzione dirigente.
«La chiave dei destini della Rivoluzione in Italia si trova nelle mani del Partito socialista italiano. Se il partito si impegna nella via indicatagli da Turati il capitalismo è salvo, se il partito prende la strada della lotta rivoluzionaria, il capitalismo è finito. E' impossibile preparare le masse alla rivoluzione se nelle proprie file vi sono dei nemici della rivoluzione».
Queste cose esprimeva Lenin ai lavoratori italiani nel 1920. I fatti diedero ragione a Lenin. La mancata vittoria in Italia, dopo la prima guerra mondiale, della rivoluzione, di cui allora esistevano tutte le condizioni oggettive, deve ricercarsi nel tradimento del riformismo e nell'assenza di un Partito comunista capace di realizzare l'unità della classe operaia, l'unità di tutte le forze veramente socialiste, capace di organizzare e dirigere le larghe masse dei lavoratori in lotta. Fu seguendo i consigli di Lenin e di Stalin che il Partito comunista italiano, sotto la guida di Antonio Gramsci e di Palmiro Togliatti, si sviluppò ideologicamente, politicamente e organizzativamente nella lotta contro l'opportunismo di destra e di sinistra, nella lotta per diventare veramente il partito di avanguardia della classe Operaia, per diventare il partito del popolo italiano
Tutto il lavoro di costruzione del Partito comunista italiano ha avuto per obiettivo il rafforzamento dell'unità della classe operaia, l'allarga mento delle sue alleanze, la conquista della, maggioranza dei lavoratori nella lotta contro il fascismo e le sue guerre di rapina e di aggressione, nella lotta per la conquista della pace, della libertà e dell'indipendenza del Paese, nella lotta per il risorgimento e il rinnovamento economico e sociale dell'Italia.
Le ragioni del successo del Partito comunista italiano vanno ricercate innanzitutto nella forza della teoria marxista che guida la sua azione, nei suoi profondi legami con le masse popolari, nell'essere riuscito sempre in qualsiasi situazione a restare legato al popolo italiano, alla vita e ai problemi nazionali, nell'essere rimasto costantemente fedele nelle situazioni più difficili alla causa dei lavoratori e del socialismo.
Ma la sua capacità di resistenza, di ripresa e di sviluppo è dovuta pure alla forza della sua organizzazione, all'aver saputo modificare col mutare delle situazioni non solo, la linea politica ma anche le forme, i criteri di organizzazione, i metodi di lavoro.
«Noi abbiamo saputo comprendere - ha affermato il compagno Togliatti - come la realtà cambiava e abbiamo saputo adeguarci ad essa modificando i nostri obiettivi concreti, le nostre forme di lavoro. Se fossimo rimasti legati a quello che abbiamo scritto nel primo Manifesto, se avessimo continuato a ripetere quelle formule come hanno fatto gli estremisti di tipo bordighiano, noi saremmo finiti come sono finiti loro.Un partito marxista non può svilupparsi se, sulla base di una analisi giusta delle condizioni concrete in cui si sviluppa la lotta politica, non cambia qualche cosa in quelli che sono i suoi obiettivi immediati, le sue forme di organizzazione e di lavoro».
Nei suoi primi anni di vita il Partito comunista italiano, dovette condurre una forte e decisiva lotta politica per la trasformazione della sua struttura organizzativa e dei suoi metodi di direzione.
Questa lotta, condotta su scala internazionale, sotto il nome di bolscevizzazione dei partiti comunisti assunse in Italia caratteri di particolare asprezza per l'opposizione dell'estremismo bordighiano alla riorganizzazione del partito sulla base dei principi del leninismo. La bolscevizzazione dei partiti comunisti non fu solo un problema politico ma fu un problema di riorganizzazione di questi partiti.
Nella lotta contro l'estremismo bordighiano imparammo a conoscere quali devono essere i rapporti di un partito comunista con le masse. Acquistammo coscienza dei gravi pericoli dell'isolamento, comprendemmo che senza legami permanenti con le larghe masse, senza l'unità della classe operaia, senza il fronte unico dei lavoratori nessun sistema di organizzazione, nessun apparato per quanto forte, nessuna disciplina per quanto ferrea potrebbe assicurare lo sviluppo del partito, l'aumento della sua influenza, il successo della sua politica.
Solo con la lotta a fondo contro il bordighismo, il Partito comunista italiano comincio a lavorare seriamente per la conquista della maggioranza della classe operaia e dei lavoratori.
L'organizzazione del partito sulla base del luogo di produzione procedette con grande lentezza e difficoltà, non solo per l'opposizione dell'estremismo bordighiano, ma anche perché si scontrò con difficoltà obiettive.
Il movimento operaio socialista era sempre stato organizzato in Italia sulla base delle sezioni e dei circoli territoriali. Sino al sorgere del Partito comunista le sezioni e i circoli erano al centro di tutta la vita politica, culturale, ricreativa della classe operaia e delle masse lavoratrici. La forza di questa tradizione era tale che i partiti avversari in Italia erano stati costretti ad organizzarsi sulla base della sezione.
La trasformazione della struttura organizzitiva del partito non fu, dunque, né facile, né immediata; molte resistenze dovettero esser vinte e liquidate. Ma il suo grande valore apparve pieno soprattutto dopo le leggi eccezionali del1926. Le cellule di fabbrica subito dopo la messa nella illegalità del partito e durante tutto il ventennio fascista si dimostrarono la parte più viva e più forte della sua organizzazione.
I vecchi partiti borghesi e socialdemocratici crollarono come castelli di carta di fronte all'offensiva fascista. Crollarono vinti dal loro opportunismo, dalla loro politica collaborazionista e legalitaria; ma anche perché la loro organizzazione era assolutamente impotente a resistere a fare fronte ai colpi della polizia e del fascismo.
La forza dell'organizzazione comunista, di questo partito «disciolto» che era sempre presente in ogni agitazione con uomini e giornali, era dalla sua struttura e soprattutto dalle cellule di officina. Il Partito comunista rispose alle eccezionali fasciste con la coscienza della sua funzione, e continuò la sua lotta con maggior vigore e più slancio di prima. Il valore dell'atteggiamento assunto dal partito nel momento delle leggi eccezionali e della lotta costante, senza tregua condotta nel periodo seguente avrà una importanza incalcolabile per il suo ulteriore sviluppo.
La nostra lotta anche in questo periodo non fu esente da lacune. Errori, specie nel campo della organizzazione, ne furono senza dubbio commessi, ed anche gravi. Essi possono riassumersi in uno solo: non aver saputo cambiare prontamente le forme di organizzazione e i metodi di lavoro col mutare della situazione.
Gli errori organizzativi del 1927-28 non solo furono pagati a caro prezzo con l'arresto di compagni e provocarono un forte indebolimento delle nostre organizzazioni, ma ebbero anche conseguenze politiche abbastanza gravi. Aumentarono per un certo periodo il distacco tra il centro e la base del partito e tra il partito e le masse, creando condizioni favorevoli allo svilupparsi delle correnti opportuniste in alto (Tasca, Silone, i «tre») e dell'opportunismo nella pratica allabase.
Le questioni di organizzazione furono negli anni 1931-32 il punto di partenza delle divergenze col gruppo di opportunisti cosiddetto dei «tre» espulsi poi dal partito e dall'Internazionale Comunista. Le posizioni di questi opportunisti si collegavano alle posizioni politiche di Tasca, si esprimevano in modo aperto e virulento sui problemi di organizzazione. Si trattava. per il partito di intensificare la sua azione in Italia, di ricostituire un centro dirigente all'interno del paese, di attivizzare i compagni, di realizzare «una svolta decisiva nel campo dell'organizzazione e del lavoro pratico quotidiano, allo scopo di legare sempre più strettamente il partito in tutte le sue formazioni alle masse lavoratrici operaie, contadine, allo scopo di accrescere la sua capacità di dirigerle concretamente nella lotta contro il fasciamo e contro il regime capitalistico».
Gli opportunisti presero aperta posizione contro i compiti politici e organizzativi che si ponevano in quel momento davanti al partito. L'opportunismo dei «tre» si manifestò con un'aperta svalutazione dell'importanza della funzione e del lavoro politico-organizzativo del partito quale elemento atto a contribuire al modificarsi della situazione, con la negazione di fatto della funzione dirigente del partito quale avanguardia del proletariato, con la caduta in pieno nella vecchia teoria della «spontaneità». Tutti i problemi posti da Lenin trent'anni prima nel Che fare? si ripresentarono allora al Partito comunista Italianocon sorprendente analogia.
Quella lotta, contro gli opportunisti ebbe importanza decisiva per l'avvenire del partito, per la formazione e lo sviluppo dei suoi quadri. Essa chiarì a tutti i compagni i problemi della funzione del partito, il valore della sua iniziativa politica, l'importanza della sua organizzazione, la necessità di stabilire dei giusti rapporti tra partito e masse, di non sottovalutare le forze del nemico e soprattutto di non mai sottovalutare le nostre.
Se nei grandi scioperi del marzo 1943 e nei movimenti popolari del 25 luglio e dell'8 settembre 1943, il Partito comunista italiano si trovò ad essere alla testa delle masse in lotta, ad essere alla testa del movimento partigiano e della guerra di liberazione nazionale, questo lo si deve all'azione da esso svolta durante tutto il ventennio fascista. Preoccupazione costante del partito in quegli anni «neri» non fu. solo quella di rafforzare la sua organizzazione clandestina, ma un grande sforzo venne compiuto per organizzare, sia pure in forme elementari, le masse dei lavoratori, per sviluppare un'attività sindacale, per rimanere a contatto con le masse degli operai delle città econ i lavoratori delle campagne e soprattutto per riuscire a promuovere e a dirigere le agitazioni, gli scioperi, i movimenti di malcontento, le azioni di lotta contro il fascismo.
Non sempre comprendemmo a tempo qual'era la forma migliore di organizzazione del lavoro di massa del partito negli anni della dittatura fascista. Fu solo attraverso una lenta esperienza che imparammo ad utilizzare anche le minime possibilità «legali», a lavorare in seno ai sindacati fascisti, ai «dopolavoro», alle organizzazioni sportive e ricreative controllate dal fascismo. Fu solo a poco a poco che imparammo a mantenere i contatti con i lavoratori, a organizzarli, ad attivizzarli anche in seno a quelle organizzazioni create dal fascismo in funzione di trappola e di prigione per i lavoratori, che imparammo a fare scoppiare la lotta di classe anche in queste organizzazioni.
Il 25 luglio 1943 segnò il brusco passaggio dalla più completa illegalità ad una situazione di semi-legalità e di lotta politica aperta. Il Partito Comunista italiano contava in quel momento 15 mila iscritti organizzati in piccoli gruppi, per la maggior parte senza collegamenti tra di loro. Il ritorno dalle carceri e dalle isole di confino di alcune migliaia di prigionieri politici, per il 90% comunisti fornì alle organizzazioni del partito i quadri necessari allo sviluppo della lotta.
Un grande, immenso compito stava davanti al partito; saper condurre la guerra di liberazione nazionale, essere capace di organizzare le formazioni partigiane e portarle al combattimento. A questo scopo il partito impegnò tutte le sue forze. Trascinò col suo esempio tutti gli altri partiti antifascisti. Diede vita prima a dei «distaccamenti», che si trasformarono in seguito in Brigate d'Assalto Garibaldi, modello a tutte le formazioni partigiane per organizzazione, per disciplina, per combattività.
L'esperienza acquistata in vent'anni di lotta clandestina contro il fascismo e negli anni della lotta delle Brigate internazionali in difesa della Repubblica e della libertà del popolo spagnuolo, davano al Partito comunista italiano e alle formazioni partigiane garibaldine comandate dal compagno Longo una grande superiorità su tutti gli altri movimenti.
Il compito principale e preminente di ogni organizzazione comunista diventò quello di mobilitare tutte le forze per la guerra di liberazione nazionale, organizzarle, farle agire. Tali obiettivi e la nuova situazione creatasi imposero al partito la necessità di adottare nuove forme di organizzazione che favorissero lo sviluppo della nuova attività del partito. Tra l'altro venne seguito il criterio di rafforzare notevolmente le direzioni locali sia politiche che militari. Per fare fronte alle difficoltà di comunicazioni e di collegamenti create dall'occupazione tedesca del territorio nazionale e dalla guerra in corso furono costituiti in ogni regione e in ogni provincia nuclei dirigenti in grado di assolvere sul posto a tutti i compiti di direzione politica e militare, anche in caso di mancanza di collegamento con il centro del partito. Malgrado alcuni difetti inevitabili in ogni organizzazione decentrata, quel sistema di direzione si rivelò come il più adatto in quella situazione.
Nella misura che la guerra di liberazione nazionale si sviluppava e volgeva al suo vittorioso epilogo, per assicurare la vittoria dell'insurrezione nelle città e nelle campagne, il Partito comunista italiano prese l'iniziativa di dare vita alle S.A.P. Anche qui balza evidente la preoccupazione costante del partito di organizzare e mobilitare per la lotta non solo nuclei di avanguardia del proletariato, partigiani e gappisti, ma larghi strati di lavoratori.
Fu nel corso della grande attività partigiana e patriottica e della larga azione di massa nelle città e nelle campagne, sviluppate durante i diciotto mesi della guerra di liberazione, che il Partito comunista aumentò grandemente il suo prestigio e la sua influenza, riuscì a raccogliere attorno a sé le larghe masse del popolo italiano.
Sin dall'aprile 1944, al momento del suo ritorno in Italia mentre la guerra di liberazione nazionale era ancora in corso, il compagno Togliatti pose il problema della creazione del partito nuovo:
«E' evidente che dal momento che noi, oggi, poniamo nel modo che vi ho detto i compiti della classe operaia e del suo partito di avanguardia, il carattere del nostro partito deve cambiare profondamente da quello che era nel primo periodo della sua esistenza e nel periodo della persecuzione e del lavoro clandestino. Noi non possiamo più essere una piccola ristretta associazione di propagandisti delle idee generali del comunismo e del marxismo. Dobbiamo essere un grande partito, un partito di massa il quale attinga dalla classe operaia le sue forze decisive, al quale si accostino gli elementi migliori dell'intellettualità di avanguardia, gli elementi migliori delle classi contadine e quindi abbia in sé tutte le forze e tutte le capacità che sono necessario per dirigere le grandi masse operaie e lavorataci nella lotta per liberare e ricostruire l'Italia».
Il passaggio dall'illegalità alla legalità non fu cosa facile. Durante i vent'anni i compagni si erano abituati a lavorare in un determinato modo e malgrado il rapido aumento degli iscritti al partito e il mutamento avvenuto nella situazione, metodi e forme organizzative dell'epoca passata sopravvivevano per forza d'inerzia. Occorreva mutare il sistema di lavoro «riservato», chiuso, ristretto dell'epoca della cospirazione, i metodi di direzione settari, spezzare i vecchi schemi, abituare i compagni a parlare in grandi assemblee, in riunioni pubbliche, in comizi, abituarli a prendere contatto vivo e diretto con migliaia di compagni e di lavoratori. Fu necessario modificare lo stile del lavoro. Nella vita «illegale» il lavoro procede con una certa lentezza; mentre nella vita normale è necessario tenere dietro agli avvenimenti con un ritmo di lavoro, molto più rapido e una molteplicità di iniziative.
La mancanza di quadri si fece immediatamente sentire. La necessità di creare in ogni provincia centinaia e centinaia di cellule, di sezioni, di circoli, di leghe, di sindacati, di cooperative, la necessità di dirigere le associazioni democratiche, di fare funzionare nelle fabbriche le commissioni interne, i consigli di gestione, di pubblicare quotidiani, settimanali, riviste di partito, tutto questo richiese subito migliaia e migliaia di quadri. La necessità di inquadrare non più alcune migliaia ma centinaia di migliaia di nuovi compagni, di fare funzionare collettivamente i comitati direttivi delle organizzazioni del partito, tutto questo pose problemi politici, e organizzativi che non furono risolti in un giorno. Non si trattava solo del mutamento di tradizionali forme di organizzazione e di vecchi schemi, ma si trattava soprattutto di creare un partito nuovo.
Per la prima volta il Partito comunista diventò un partito di governo, un partito che non aveva più solo una posizione propagandistica, ma che conduceva la sua lotta partecipando attivamente alla ricostruzione del paese, ponendo con forza i problemi del suo rinnovamento.
Gli anni 1945-46 dal punto di vista organizzativo furono per così dire anni di ricostruzione del partito. Tutta la sua struttura fu riesaminata, modificata, perfezionata; vennero mutate le forme di organizzazione, i metodi di lavoro.
Si trattò di creare in breve tempo l'organizzazione territoriale del partito, di fare sorgere le cellule di strada, le sezioni che da anni non avevano funzionato. La fabbrica doveva continuare ad essere la nostra fortezza, ma per essere tale non doveva essere una fortezza isolata nella quale noi restavamo rinchiusi. Bisognava creare delle forti sezioni in ogni villaggio, in ogni quartiere delle città che fossero ritrovi dei compagni, centri di vita popolare.
L'ampiezza delle organizzazioni del partito impose il loro decentramento per poterle meglio dirigere. Furono create nuove federazioni, centinaia di comitati di zona, di comitati di città, simoltiplicarono le cellule all'interno delle fabbriche. L'aumento delle istanze intermedie ha favorito e accelerato il processo di formazione dei quadri, ha permesso l'utilizzazione di un maggiore numero di compagni, ha facilitato lo sviluppo dell'iniziativa politica, dell'attività e dell'organizzazione del partito.
Alcune cifre indicano lo sviluppo del Partito comunista nel corso dei trent'anni. A Livorno al momento della scissione la frazione comunista riportò 58 mila voti, ma gli iscritti al partito non raggiunsero mai in quegli anni tale cifra, andarono rapidamente diminuendo. Il brigantaggio fascista, la reazione e il terrorismo non riuscirono mai a disgregare il Partito comunista italiano, ma ridussero notevolmente le sue file, migliaia dei suoi militanti furono cacciati nelle galere, nelle isole di deportazione, in esilio. Durante i vent'anni di illegalità gli iscritti al partito non superarono mai di molto i dieci mila. 15.000 iscritti contava il partito nel gennaio 1943; 110 mila dopo l'8 settembre 1943; 405.960 nel luglio 1944; 1.718.000 nel dicembre 1945; 2.112.593 iscritti al partito e 463.894 alla Federazione giovanile nell'ottobre 1950.
Con il crollo del fascismo e la lotta di liberazione nazionale si crearono anche nel mezzogiorno e nelle isole le condizioni che permisero ai pochi vecchi nuclei di comunisti di trasformarsi in un Partito comunista di massa.
Benché il partito sia ancora relativamente debole nell'Italia meridionale, soprattutto a causa del diverso e arretrato sviluppo economico delle regioni meridionali, tuttavia la situazione oggi è completamente diversa da quella che avevamo Italia negli anni 1919-20. Grandi passi in avanti sono stati fatti nella soluzione di alcuni problemi fondamentali per la vittoria dei lavoratori in Italia, sul terreno dell'unità tra Nord e Sud, sul terreno dell'unità tra operai e contadini, della organizzazione delle forze motrici e delle loro alleanze.
Il movimento socialista aveva sempre avuto le sue forze essenziali quasi esclusivamente nell'Italia del Nord, soprattutto nelle regioni dove è concentrata la maggior parte dell'industria nazionale (Piemonte, Lombardia, Liguria) e nelle regioni della Valle Padana ove lo sviluppo capitalistico dell'agricoltura ha creato una grande massa di proletariato agricolo. E in alcuni di questi stessi centri proletari (Milano, Genova Reggio Emilia), predominava l'influenza del più smaccato riformismo.
Questa situazione è oggi completamente mutata. L'influenza e l'organizzazione del Partito comunista si è estesa e allargata a tutto il paese sia pure ancora con uno sviluppo ineguale. Forti posizioni sono state conquistate nei centri industriali (e non si tratta più solo di Torino, Milano, Genova, ma di Venezia, Firenze, Terni, Livorno, Napoli, Taranto, Palermo, ecc.) tra i mezzadri della Valle Padana, della Toscana, dell'Umbria e delle Marche, tra i lavoratori del Lazio.
La nostra influenza ha fatto dei passi avanti tra i piccoli e medi contadini. Soprattutto il partito è penetrato saldamente nel meridione; anche in quelle province del mezzogiorno che non avevano una tradizione di lotta socialista e popolare, ha messo salde radici, ha una sua capacità di vita autonoma, dimostra una notevole vivacità di iniziativa politica, una notevole combattività e capacità di dirigere grandi lotte di massa.
Anche nell'Italia meridionale il Partito comunista ha saputo porsi alla testa delle lotte per il lavoro, per la libertà e per la pace, dando vita ai movimenti per la rinascita del mezzogiorno, a larghe alleanze democratiche, sviluppando il Movimento dei partigiani della Pace e dando impulso alle lotte dei contadini per la terra.
Soprattutto il Partito comunista è diventato in Italia la forza dirigente della larghe masse popolari e delle organizzazioni democratiche. Esso è in grado di assolvere sempre meglio a questa sua funzione.
Certamente molti difetti e lacune permangono ancora nel nostro lavoro e nella nostra organizzazione; sono stati oggetto di un serio esame autocritico alla ultima riunione del Comitato centrale e saranno oggetto di dibattiti al VII Congresso nazionale del partito.
Molto cammino abbiamo fatto in questi trent'anni sulla strada della conquista della maggioranza del popolo, molto ce ne resta da fare. Ma il Partito comunista per la sua forza, per la larga influenza acquistata non può più essere oggi staccato e isolato dalla nazione. E' il partito del popolo italiano.
Pietro Secchia
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