Michelino - Trollio: Operai carne da macello
6. Lo sgombero di Cascina Novella Occupata
Dopo tre anni e mezzo di occupazione, di iniziative di lotta sindacali, politiche, sociali e culturali, l’esperienza di Cascina Novella - il “fortino del Coordinamento cassintegrati milanese” l’aveva definito il quotidiano Il Giorno - verrà interrotta dalle forze del… disordine nell’estate del 1997, su mandato di un’amministrazione comunale di “sinistra”.
Questa esperienza indipendente, che cresceva e godeva del sostegno dei lavoratori e della popolazione era una spina nel fianco per istituzioni, partiti e sindacati confederali, responsabili di aver sostenuto e firmato accordi che avevano portato alla perdita di migliaia di posti di lavoro nel territorio di Sesto.
La giunta “progressista” di Sesto San Giovanni, con sindaco del PDS e vicesindaco di Rifondazione Comunista, che in quei giorni si era allineata con il sindaco di Milano Albertini (del centro destra) nella lotta contro gli immigrati clandestini, diede un altro esempio della sua scelta di campo.
Giustificando lo sgombero “progressista” col fatto che entro il mese di agosto sarebbero iniziati i primi lavori per trasformare Cascina Novella in un centro per il recupero di persone con disturbi mentali l’ 8 agosto, alle ore 7,30, polizia, carabinieri e vigili urbani sfondano con un camion il portone d’ingresso, sgombrano l’edificio e portano fuori di peso i tre compagni che facevano il turno di notte (due donne e un uomo), facendo erigere intorno una imponente cesata di legno.
Anche se ad agosto la città è vuota, la lotta non si ferma e non va in ferie. Il conflitto rimane aperto. I pochi compagni rimasti in città, senza perdersi d’animo, montano una tenda di fronte alla cascina, la “tenda della resistenza”. Il presidio è permanente, mentre in città spuntano come funghi le scritte “Giunta di destra o di sinistra chi fa lo sgombero è sempre fascista” e ”Questo sgombero non ci fermerà: Cascina Novella in tutta la città”.
Il 23 agosto, su indicazione di alcuni abitanti del quartiere, dalle 8 del mattino alle l8 viene occupata per protesta l’ex Biblioteca “Renzo Del Riccio” all’interno di SpazioArte (una grossa struttura utilizzata per varie manifestazioni vicina a Cascina Novella), una proprietà comunale lasciata inutilizzata da oltre 4 anni.
Il 27 agosto, in un incontro con gli occupanti di Cascina Novella che rivendicano uno spazio interno al quartiere adeguato a garantire lo svolgimento di attività politico-sociali, il sindaco di Sesto San Giovanni prospetta una soluzione di una sede alternativa nei pressi del centro sportivo della Falck, una vecchia stalla. Proposta rifiutata.
Il 5 settembre, ormai gli operai ed i cassintegrati sono tutti tornati dalle ferie. I lavori per l’uso sociale di Cascina Novella non sono neanche iniziati e girano voci di possibili speculazioni sull’area: al termine di un’assemblea con la presenza di lavoratori, abitanti del quartiere e militanti dei centri sociali si decide di rioccuparla.
Accusati dalle forze più retrive della città di compiere devastazioni, i cassintegrati ed i lavoratori rientrati nella Cascina trovano un vero e proprio scempio. Tutto ciò che era possibile distruggere l’amministrazione comunale, forse per evitare altre occupazioni, lo ha fatto distruggere: dalle scale d’epoca di pietra fino alla bellissima fontana dell’800 su cui c’era il vincolo delle Belle Arti.
La nuova occupazione durerà meno di tre giorni. L’8 settembre, alle ore 8.45 con un enorme spiegamento di forze, polizia, carabinieri e vigili del fuoco sfondano con un camion rinforzato il portone d’ingresso di Cascina Novella, pensando - data l’ora - di non trovare ostacoli, ma si sbagliano di grosso. Questa volta trovano la resistenza attiva dei lavoratori asserragliati a difesa della Cascina, che non sono disposti a farsi prendere in giro e che dalle finestre del piano superiore lanciano patate, taniche piene d’acqua, suppellettili, mobili, oggetti di ogni tipo facendo arretrare polizia e carabinieri. Appena si sparge la voce dello sgombero, i cassintegrati, i compagni già al lavoro e molti operai e lavoratori frequentatori della Cascina abbandonano i posti di lavoro per portare solidarietà agli occupanti resistenti. Intanto Radio Popolare di Milano da la notizia e arrivano anche giovani dai centri sociali. In pochi minuti centinaia di persone, fra cui molti abitanti del quartiere, solidarizzano con gli occupanti facendo resistenza passiva, accalcandosi intorno all’edificio, inveendo contro polizia e carabinieri. La situazione ad un certo punto diventa tragicomica perché le forze dell’ordine che circondano la Cascina vengono a loro volta circondate da una folla solidale con gli occupanti.
Per prendere possesso della struttura c’è bisogno di un secondo attacco, stavolta però sotto gli occhi di centinaia di testimoni. Arriva un bulldozer e parte l’attacco. Dopo aver lanciato lacrimogeni all’interno coprendo la vista e rendendo irrespirabile l’aria, i poliziotti sfondano il muro di cinta sul retro facendo entrare le squadre munite di maschere antigas, assaltando contemporaneamente la Cascina da tutti i lati e dalle finestre.
È solo alle 11.30 che riescono ad avere ragione dei resistenti: li bloccano, portandoli fuori di peso con le scale antincendio dei vigili del fuoco, identificano e denunciano a piede libero 9 lavoratori (6 uomini e tre donne), che nel 2004, su richiesta del P.M., verranno prosciolti dal tribunale di Monza. Il gran numero di testimoni impedisce che vengano commesse violenze sugli occupanti; tuttavia un giovane compagno viene portato dai poliziotti all’interno della Cascina, lontano da occhi indiscreti, e massacrato di botte (riporterà una lesione irreversibile ad un timpano); verrà poi portato al commissariato, denunciato e sottoposto a foglio di via.
Come sempre avviene, ogni qualvolta i lavoratori si organizzano e lottano fuori dalle regole del gioco stabilito dai padroni, il sistema fa scattare immediatamente la criminalizzazione. Mentre si giustifica la violenza “legale” delle “forze dell’ordine”, si nega il diritto all’autodifesa e alla resistenza dei lavoratori.
Il sindaco Filippo Penati, in una conferenza stampa, presenti televisioni e giornali, dichiara: ”Si sono barricati dentro la cascina, dopo aver rotto la scala interna, lanciando mobili e suppellettili e bruciando gomme, con un’azione indegna. Si è dovuto sfondare un pezzo di muro del retro per poter accedere all’interno e bloccare i responsabili, liberando la cascina. Tutto è stato preparato in una logica di resistenza e di guerriglia. Le forze dell’ordine hanno fatto bene a intervenire dopo la mia ordinanza. Prima di questa azione avevamo a che fare con un collettivo di cassintegrati, e dopo averli accettati sotto questa veste abbiamo anche aperto un dialogo e li abbiamo ascoltati nelle richieste, anche se non condividevamo le loro idee politiche. Oggi ci troviamo un gruppo di persone, molte di fuori Sesto, che scelgono la guerriglia urbana che nulla ha da spartire con le tradizioni democratiche della città. Si tratta di facinorosi che non avranno più nessuna trattativa politica con questa giunta”.
Così, non solo addossa agli occupanti danni che invece sono stati compiuti durante e dopo il primo sgombero - dalle forze dell’ordine - per evitare che lo spazio venisse nuovamente rioccupato, come la distruzione della scala interna da lui citata, ma si spinge oltre - affermando che gli stessi soggetti che fino a quel momento erano riconosciuti come interlocutori, quando pongono con forza, senza mediazioni, la difesa dei loro interessi diventano “facinorosi” che non hanno più “nulla da spartire con le tradizioni democratiche della città”.
Diverso il giudizio dei lavoratori sestesi, degli abitanti del quartiere, dei sindacati di base, che sabato 13 settembre, per protesta contro lo sgombero daranno vita a Sesto San Giovanni ad una imponente manifestazione a cui parteciparono anche molti Centri Sociali.
Sui fatti successi, nei giorni seguenti le speculazioni continueranno su tutta la stampa; anche i giornali dei padroni, che parlano di “guerriglia urbana”, non possono però fare a meno di raccontare scampoli di verità.
Ecco l’articolo de L’Indipendente di martedì 9 settembre 1997 a firma di Stefano Ragusa che, sotto il titolo ”Guerriglia urbana a Sesto San Giovanni” riporta delle testimonianze e scrive: ”… È vero. Sesto non è più la Stalingrado italiana e il Pds non è più il partito dei lavoratori”. Parole dure come macigni, tanto più che a pronunciarle non è un nostalgico internazionalista, ma una donnina in tailleur. A mezzogiorno tutto sembra essere concluso. Gli occupanti sono stati costretti a scendere a bordo delle scale antincendio, molti a pugno chiuso rivolto verso il cielo, identificati e rispediti dentro. Ma dopo pochi minuti scoppia la rissa. Un ragazzo del Centro Sociale Garibaldi sferra un calcio a una camionetta della polizia. Lo assalgono in quattro o cinque. Lo picchiano. Lo immobilizzano e lo portano dentro la cascina. Anche chi scrive riceve la sua brava gomitata allo stomaco. Un errore, certamente. Ma fa male lo stesso. Il giovane, cresta bionda e look quasi da punk, sta per ricevere una nuova raffica di botte. Intervengono gli occupanti. Nella mischia viene colpito Michele, che viene portato via in ambulanza. L’improvvisato calciatore (per la cronaca, era un poliziotto) viene caricato su un’alfetta e portato via anche lui. Destinazione sconosciuta. I supporter esterni aggrediscono gli agenti. Continua la battaglia a colpi di sputi e parolacce. Verso l’una i cronisti possono entrare a vedere ciò che resta del centro sociale Cascina Novella: niente. In fondo al cortile, sopra una specie di obelisco è rimasta incolume solo una pianta fiorita”.
Nei giorni seguenti - dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro, dai Sindacati di Base, da semplici iscritti ai sindacati confederali, dai Centri Sociali e, in particolare, dal quartiere - arrivano decine di attestati di solidarietà agli occupanti di Cascina Novella, fra cui questo pubblicato anche da un giornale locale: “Io, comunissima cittadina di questa Sesto e di questo quartiere chiamato “Isola del Bosco” (dov’e il bosco?) con tanta rabbia dentro e voglia di parlare della realtà che ogni giorno mi trovo a vivere così come altre donne di questa città dormitorio, dove amicizia e aiuti sono cose che non esistono. Strade deserte, poco illuminate e delinquenza fanno in modo che donne e anziani non escono di sera. Nella mia zona c’è un vecchio cascinale abbandonato, meta di senza tetto, topi, scarafaggi e spacciatori che rendevano viale Marelli ancora più proibitivo. Questo fino a circa 4 anni fa, quando all’improvviso un gruppo di persone volontariamente comincia a pulire, sistemare la cascina.
Così nacque Cascina Novella. Finalmente un posto per noi! Lì ho trovato tutto ciò che non c’era prima: donne, anziani, bambini, ricevere affetto, aiuto, calore umano e sicurezza, senza contare che c’erano gli avvocati e chi compilava i moduli così faticosi e cari. Lì c’era uno spazio e aiuto per tutti. Poi improvvisamente il nostro Sindaco (pure comunista - dice lui) decide che questo spazio non è nostro e sgombera tutto, persone e animali compresi. Lui decide così, e noi? Noi dobbiamo tornare ad essere soli? NO, no, no! Io non accetto questo, non voglio che sia così.
Che altra gente come me si opponga e resista per ottenere tutto ciò. Loro hanno distrutto tutto ma non i nostri sogni, quelli no, rimangono fermi e immobili dentro di noi.
Una Cascina Novella per tutti.
Una cittadina incazzata, anzi molto incazzata.
Sesto San Giovanni, 9 settembre 1997”