Michelino - Trollio:
Operai carne da macello
Verso la fine del mese di novembre 1997 apprendiamo che la magistratura milanese ha deciso l’archiviazione di cinque delle denunce-querele da noi presentate.
La notizia ci fa infuriare, tanto più perché arriva in concomitanza con gli ultimi esiti della nostra inchiesta: ora sono 31 le morti di lavoratori di cui siamo a conoscenza.
A questo punto dobbiamo reagire.
Indiciamo una assemblea pubblica e, per dare più risalto alla nostra protesta, chiediamo il patrocinio del comune di Sesto San Giovanni e l’uso della Sala Consigliare.
L’amministrazione comunale ci nega la sala - che può contenere 250 persone - ma ci concede in alternativa l’uso del Cinema Teatro Elena, 1000 posti. Non trovando altri spazi idonei, ora che non disponiamo più di Cascina Novella, dobbiamo accettare lo spazio concessoci e il 13 dicembre 1997 teniamo la nostra iniziativa.
Da subito l’impatto visivo, come avevamo previsto, non è dei migliori perché 300 persone, in uno spazio così grande, fanno sembrare il luogo quasi vuoto.
Questa volta interviene anche il Sindaco, nonostante tre mesi prima ci abbia attaccato dichiarando pubblicamente che la nostra lotta “… nulla ha da spartire con le tradizioni democratiche della città. Si tratta di facinorosi che non avranno più nessuna trattativa politica con questa giunta.”
Stavamo vivendo un momento difficile: lo sgombero, la campagna di criminalizzazione che subivamo, i processi che non partivano, i continui tentativi di insabbiare le denunce, le archiviazioni, avevano creato in alcuni compagni demoralizzazione e sfiducia, ma la maggior parte di noi era fermamente intenzionata ad andare avanti. La continua presenza a tutte le iniziative, anche istituzionali, dove non perdevamo occasione di affermare il nostro punto di vista “contro”, la nostra resistenza con la tenda (nel frattempo ci eravamo procurati due gazebo) davanti a Cascina Novella, un luogo di grande traffico deve migliaia di macchine passavano tutti i giorni, era diventata una propaganda negativa e una spina nel fianco per l’Amministrazione comunale di centrosinistra, obbligandola così a riaprire un tavolo di trattativa per trovare una soluzione al problema della sede.
Riportiamo alcuni stralci dell’assemblea del 13 dicembre 1997, perché crediamo siano utili a spiegare ad un lettore attento il clima che si respirava.
Michele Michelino, Presidente del Comitato per la Difesa nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio: “….Abbiamo organizzato questa assemblea per richiamare, ancora una volta, l’attenzione di tutta la cittadinanza sul problema dei morti per tumore, e più in generale della nocività in fabbrica… si cerca di occultare questa storia: noi abbiamo presentato alcuni esposti alla magistratura e proprio in questi giorni la magistratura ha deciso di archiviare 5 di questi procedimenti. Ci siamo opposti, perché ci sembra che le motivazioni addotte dalla magistratura siano un’offesa nei confronti dei lavoratori: abbiamo quindi deciso di impugnare i procedimenti e su questo stiamo facendo una battaglia… c’è una strage che sta avvenendo, che avviene, e che è avvenuta nelle fabbriche, una strage di lavoratori di cui nessuno parla perché sono anonimi, persone che nessuno conosce. Prima di dare la parola a tutti gli ospiti e poi ai lavoratori che vorranno intervenire, vogliamo cominciare ricordando i nostri morti.
Mi permetto di leggere i loro nomi e di chiedere poi un minuto di silenzio. Voglio ricordare che dietro i 31 morti, dietro i numeri, ci sono degli esseri umani, ci sono delle famiglie con i loro affetti, con i loro problemi…. Chiedo un minuto di silenzio e poi continuiamo l’assemblea dando la parola al sindaco di Sesto San Giovanni, Filippo Penati”.
Filippo Penati, sindaco di Sesto S.Giovanni: “Io ringrazio Michelino e gli organizzatori di questa iniziativa per l’opportunità che mi hanno dato. Voglio chiarire subito perché il mio intervento a questa iniziativa non sia qualcosa di formale, di rituale.
Io credo che non ci sia niente di nuovo se dico che non condivido nel merito e nei contenuti il tipo di lotta che voi portate avanti. Eppure ritengo che sia stato un atto importante e doveroso per l’Amministrazione comunale di Sesto favorire questa iniziativa e, pur non condividendo appieno quelle che ne sono le strategie e le motivazioni che qui si enunciano, essere presente per marcare fino in fondo il sostegno e l’adesione dell’Amministrazione Comunale della città di Sesto San Giovanni. Dico questo perché credo che sul tema delle morti e degli infortuni in fabbrica e sul posto di lavoro, possiamo anche avere idee diverse riguardo alle strategie e all’analisi ma credo che non possiamo sottovalutare il fatto che sia un tema importante…. perché spinge tutti a trovare soluzioni rispetto all’inquinamento, rispetto alla tutela e alla qualità dell’ambiente – ma sempre meno io trovo, sia nell’opinione pubblica che anche all’interno dei rapporti che ho con la gente, una attenzione e una sensibilità pari a quelle che si hanno su altri temi più generali, rispetto alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Credo dunque che sia stato opportuno richiamare l’attenzione su questo tema, specie in una città come Sesto San Giovanni. Sono stati ricordati alcuni casi che riguardano le grandi fabbriche, pochi giorni fa l’episodio della Basf di Cinisello è l’ultimo in ordine di tempo di una serie di incidenti dolorosi che sono avvenuti anche nella nostra zona. In una fase di grande trasformazione come quella che sta vivendo Sesto è necessario che nei nuovi lavori che dovranno venire nella nostra città non ci sia soltanto il confronto con la globalizzazione dei mercati, con il fattore economico, con la competitività internazionale, ma attraverso il rilancio delle attività produttive qui nella nostra zona ci debba essere anche una grande attenzione perché questi lavori avvengano in modo più sicuro per i lavoratori di quanto non sia avvenuto in passato. Quindi credo che quello che da questa giornata di lavoro uscirà sarà un contributo che terremo presente anche nel lavoro quotidiano rispetto alla strategia della grande trasformazione. Noi stiamo attraversando un momento in cui si chiude un’epoca storica legata al lavoro nelle grandi fabbriche e si apre davanti a noi un futuro caratterizzato da una dimensione della fabbrica più ridotta, da nuovi lavori legati sempre più alle tecnologie e sempre meno alla fatica fisica, ma non per questo non esistono, anche in questi settori, problemi legati alla sicurezza degli ambienti di lavoro e alla sicurezza dei lavoratori. Quindi io do il benvenuto e ringrazio gli organizzatori per aver promosso questa iniziativa, augurandoci che questo possa essere un contributo per tutti e un aiuto per meglio comprendere e tenere presente, nell’azione che ciascuno di noi svolge, un tema così importante come quello della sicurezza nei luoghi di lavoro. Grazie”.
Giambattista Tagarelli, operaio della Breda Fucine: “Mi chiamo Gianni Tagarelli, e sono uno dei lavoratori ammalati di tumore. Sono stato 15 anni in quello che era considerato il reparto mattatoio, dove si lavorava senza criterio, non c’erano nemmeno gli aspiratori. Io lavoravo sulla famosa macchina dove venivano saldate le aste per trivellare il petrolio, e quando saldavamo usavamo dei pannelli di amianto, era una saldatrice ad alta resistenza. Mi ricordo che c’era un operaio - Crippa, deceduto anche lui - che partiva da Bergamo alle quattro, veniva prima per accendere il fuoco e riscaldare i pezzi, poi noi alle sei cominciavamo a saldare. La macchina era una saldatrice colossale, ci lavoravamo sopra in quattro. Siccome non c’era l’aspiratore, Crippa quando arrivava apriva il tetto, di modo che i fumi uscivano e si disperdevano per Sesto, e oltre ad avvelenare noi inquinavano anche la città. Questa è una cosa che abbiamo scoperto adesso. Io vengo dalla Puglia, quando mi hanno assunto in Breda era come se avessi vinto al totocalcio: ero contento, anche se nessuno ti spiegava niente, dovevi fare quello che ti dicevano e lavorare. Siccome era tutto aperto, l’inquinamento si spandeva anche negli altri reparti. Nel mio reparto lavoravamo in 24 o 25, non mi ricordo.
Dei miei compagni fino ad oggi ne sono morti 18, e 4 stanno lottando con la morte: guarda caso, tutti dello stesso reparto. Io mi sono operato, e vivo perché la voglia di vivere mi dà la forza. Ho visto come sono aumentati i morti, nel giro di 10 anni, fra la gente che lavorava sulla seconda linea. È successo che è morto il mio compagno Camporeale, che lavorava con me sul macchinone. Io non avevo ancora scoperto la mia malattia, ma è stato lì che ho cominciato ad allarmarmi: questo ragazzo aveva lavorato solo in Breda. Nel ’92 ho scoperto di essere ammalato anch’io: ho un linfoma, un tumore. A quel punto mi sono rivolto ai miei compagni per cercare di fare qualcosa. Abbiamo cominciato a muoverci grazie alla collaborazione di Michelino e della famosa Cascina Novella, dove il sindaco Penati - mi dispiace che se ne sia andato via adesso – è stato invitato decine di volte, così come la dott.ssa Bodini e i sindacati, ma lui non si è mai presentato. Quelli della Cascina li vedete qui adesso, siamo noi: non so se abbiamo la faccia da delinquenti, di sicuro c’è che siamo malati. Io dico basta, basta con questi omicidi; noi del Comitato vogliamo solo giustizia. E volevo aggiungere un’altra cosa: i signori magistrati vogliono archiviare questi casi. È chiaro il perché: sono dei casi grossi, ma grossi veramente, perché i morti continuano ad aumentare; ed è logico che a loro dia fastidio, la Breda significa un patrimonio grosso. Io ho qui delle cartelle dal 1973 al 1988: tutti gli anni due ufficiali della USSL, la dott.ssa Bodini e Alberto Maremmani, facevano i sopralluoghi e dicevano ai padroni e al sindacato che non si poteva andare avanti a lavorare così: è scritto qui. E i padroni e i magistrati si permettono di dire che noi non avevamo l’amianto, che il nostro non era un reparto nocivo. Intanto, per disintossicarci, a noi alla mattina il padrone ci faceva distribuire mezzo litro di latte. Ma noi non ci fermiamo: il Comitato è qui per dire che la battaglia va avanti: i documenti parlano, i risultati li stiamo vedendo, la gente continua a morire. Se sarà necessario, siamo disposti anche a fare il picchetto ai magistrati, ad occupare il Tribunale: perché noi non chiediamo né macchine né pellicce, chiediamo la salute e vogliamo giustizia. Basta con gli omicidi bianchi. C’è una legge che dice che chi ha lavorato per tanti anni in queste condizioni, a livello pensionistico ha diritto a qualcosa. Perché la gente che ha lavorato in questi reparti non ha potuto andare in pensione un po’ prima, e vivere qualche anno di più? La legge c’è. Noi chiediamo la collaborazione di tutti compagni, anche delle altre fabbriche, perché venga fatta giustizia: che i magistrati non si provino ad archiviarci. Grazie”.
Dott.ssa Laura Bodini: “Io sono l’autore di tutte le indagini che sono state citate, dal 1972-73 in poi. Sono un medico del lavoro, lavoro nel Servizio di Sesto. Chi mi conosce sa che non ho peli sulla lingua, né nei confronti dei datori di lavoro né di chiunque altro. Come medico sono ovviamente angosciata dalle condizioni di lavoro di una città siderurgica come è stata Sesto. Un lavoro pesante sotto ogni punto di vista: rumore, esposizione a polveri, a metalli tossici, ad affaticamento, ad amianto. C’è stato moltissimo amianto nell’industria siderurgica perché, anche se da molti anni si sapeva che è un materiale responsabile di alcuni tipi di tumore - non di tutti, ma di alcuni con certezza assoluta - l’amianto è una sostanza fuori legge solo da pochi anni…. Togliere l’amianto significa rimuovere 100.000 metri quadrati di eternit, i fasciami di tutti i tubi, i sottoforni di tutti i forni coibentati con amianto a spruzzo, parliamo di chilometri, di tonnellate. Questo per cercare di dare un’idea di che cosa è oggi la dismissione delle aree siderurgiche, questione su cui è necessario sviluppare il massimo livello di attenzione. D’altro canto il nostro è un servizio composto da pochissime persone, generalmente questo tipo di servizi non sono molto sostenuti. Io vorrei portare un certo tipo di proposta. Avevo già detto in altre occasioni che secondo me il metodo fin qui seguito, dall’avvocato di Milano non è produttivo. Conosco bene il mondo della Procura, come l’INAIL, e credo sia necessario essere molto più rigorosi nella definizione dei casi. La Procura di Milano non c’entra, la fabbrica sta a Sesto e quindi la Procura di riferimento è Monza, c’è il rischio di farsi archiviare i casi per non aver individuato la Procura giusta. Questa cosa chi fa parte del mondo dei brillanti avvocati dovrebbe saperla se davvero vuole difendere i lavoratori e non fare la soubrette. Dobbiamo ricominciare da capo: io do la massima disponibilità per quanto mi riguarda, ma ci deve essere da parte del Comitato la disponibilità a riesaminare i casi uno per uno. A Monza la Procura può riaprire la questione: su una mia segnalazione, che la Procura può decidere di tenere in considerazione, noi possiamo poi rimettere in discussione gli altri casi difendibili, intendo le malattie da lavoro vere, perché non tutte sono tali, e se vogliamo difendere tutti non difendiamo nessuno. Lo dico chiaramente: se uno non ha avuto un tumore polmonare, un tumore alla pleura, oggi come oggi l’INAIL comincia a non dare il riconoscimento, la Procura ha dei dubbi, la fabbrica ormai è chiusa e tutto viene archiviato. Dobbiamo cominciare a ottenere il riconoscimento per le cose certe, cercando poi di andare avanti nella conoscenza per capire se anche le altre situazioni possono essere difese: se vogliamo difendere tutti nello stesso modo il risultato è zero, come purtroppo si evince da questa storia. Io sono disponibilissima, come sono sempre stata, anche se non continuo a frequentare Cascina Novella perché sono pagata per fare altro: per frequentare cantieri, aree dismesse, fabbriche, eccetera. Le persone possono comunque venire da me, che sto a cento metri, e sanno tutti che sono disponibile. Allora io vi propongo ufficialmente, come medico del lavoro, di riprendere la questione riesaminando caso per caso: io trovo francamente un po’ sconcertante che alcuni avvocati milanesi abbiano una serie di dati , clinici, personali eccetera, e che a nessuno sia venuto in mente di attraversare la strada e darmene una copia. Nessuna di queste simpatiche persone mi ha telefonato dicendo “ti diamo una copia dei dati e dimostriamo insieme i casi”. Il Procuratore della Repubblica non si basa solo su quello che dice un avvocato, vuole avere una dimostrazione clinica, vuole delle conclusioni.
La nostra fortuna, in questa situazione difficilissima, è che quando noi abbiamo fatto le indagini - non solo in Breda ma per esempio anche alla Falck – abbiamo dato una descrizione piuttosto attenta delle condizioni di lavoro, che è l’unica possibilità che oggi abbiamo per ottenere il riconoscimento da parte dell’INAIL, alla parte penale eccetera. Non basta la semplice affermazione che l’amianto si usava: ad ogni caso noi dovremmo allegare la fotocopia della descrizione fatta allora del livello di rischio in ogni reparto. Questo vale nella dimostrazione di tutte le malattie professionali di tutti i lavoratori pensionati. (…) Il lavoro che abbiamo fatto vent’anni fa può essere utile almeno per dimostrare che il lavoro era pesantissimo. Io sono disponibilissima se però il lavoro è rigoroso: non bisogna fare solo conferenze stampa, partecipazioni a trasmissioni eccetera, è necessario fare anche un lavoro più umile, cioè quello di sedersi intorno ad un tavolo e raccogliere i dati delle persone caso per caso: un lavoro un po’ più scientifico e meno esposto ai mass-media. Siccome io non sono una persona che ama arringare le folle e preferisco invece fare questo tipo di lavoro, cercando di farlo eticamente nel modo migliore, io lo ripropongo dando di nuovo la mia disponibilità. Se vogliamo fare un lavoro serio io sono disponibilissima, se invece vogliamo solo illuderci ed esporci allora no. Io sono sempre nello stesso posto. Grazie”.
Michele Michelino: “… Ringraziamo la dottoressa Bodini, con la quale abbiamo un rapporto a volte anche conflittuale, per il suo intervento, e raccogliamo la disponibilità che lei ha dato. Fra l’altro che la dottoressa Bodini fosse disponibile noi lo sapevamo già. Noi di solito dell’USSL parliamo male, però dobbiamo riconoscere che, nel caso nostro, se non ci fossero state queste indagini probabilmente le cose sarebbero andate anche peggio, perché - comunque sia - grazie a quelle indagini alcuni correttivi erano stati apportati.
C’era il problema dei rapporti di forza e delle forme di lotta da adottare per far rispettare certe cose. Quindi ci dichiariamo anche noi disponibili a riprendere questo confronto, che per vari motivi era stato interrotto. Credo che anche interventi polemici come questo della dottoressa Bodini siano utili perché rappresentano comunque un contributo per andare avanti nella ricerca della verità”.
Un lavoratore: “Volevo riallacciarmi all’intervento che ha fatto il nostro sindaco, perché qui parliamo di malattie e tumori, ma questi non sono un’esclusiva della Breda: nell’area Falck, in fattispecie nel villaggio Falck ci è giunta notizia che parecchie donne sono state operate di tumore al seno. Non si conoscono esattamente le cause che hanno provocato questo, ma mi sembra molto strano che proprio in quella circoscrizione, al Villaggio, si siano verificati così tanti casi di tumore al seno. Tornando alla Breda, anch’io ho lavorato lì, ma non vi voglio portare la storia di un caso umano, come potrebbe essere il mio, piuttosto vorrei farvi soffermare su alcune cose che danno da pensare. Negli anni ’70 c’era l’ing. Schirone, amministratore unico della Breda, che è stato anche nello staff dell’ingegner Mattei. … È andato in America e ha comperato la famigerata macchina che, pensate, gli americani avevano fermato 15 anni prima perché avevano scoperto che uccideva: forse l’ing. Schirone pensava che noi italiani fossimo più forti e non saremmo morti”.
Luigina Zanovello, vedova Cattan: “Buona sera a tutti. Io sono vedova di Cattan: mio marito è morto di mesotelioma della pleura che, come la dottoressa Bodini sa bene, è riconosciuto come tumore dell’amianto e che si può sviluppare anche dopo 20-30 anni. Mio marito aveva lavorato solo 6 anni alla Breda, ma sono stati sufficienti perché la malattia si sviluppasse dopo 23 anni. Volevo dire qualcosa a proposito dei tentativi della magistratura di insabbiare queste cose. Io ne ho avuta la prova già quando ho iniziato la causa a Reggio Emilia: mi sono trovata di fronte a dei legali che prima mi hanno assicurato che si poteva procedere e poi alla fine mi hanno detto che non c’erano prove sufficienti e mi hanno proposto non solo di rinunciare alla causa, ma addirittura di firmare una carta che mi impegnava a non fare mai più causa alla Breda.
C’è stata anche molta confusione perché sembrava che, non esistendo più la Breda, fosse subentrata l’ Ansaldo: io allora ho fatto causa all’Ansaldo e sono ancora in ballo. Gli avvocati mi hanno abbandonato: prima mi hanno detto che si poteva fare la causa - causa civile naturalmente - poi non si riusciva a trovare il colpevole, perché la Breda non esisteva più; allora abbiamo fatto causa all’Ansaldo che naturalmente ha dimostrato di non avere alcuna responsabilità, essendo subentrata in un secondo momento. Quindi quando ci siamo trovati, con questi legali, a dimostrare che un legame, qualcosa c’era, mi hanno detto che bisognava fare una causa penale perché civile non era possibile. Sono stata male consigliata, mi sono rivolta al mio patronato che invece mi ha detto di fare una causa civile, ma per fare una causa civile bisogna trovare i colpevoli. Quindi per 5 anni abbiamo continuato a cercare i responsabili, mi era stato detto che se non si fosse riusciti a trovare qualcosa entro 5 anni bisognava rinunciare alla causa.
Una volta sono andata a Genova, perché lì è la sede dell’Ansaldo, e durante il viaggio l’avvocato che era con me mi ha detto: ”Signora, ma noi che cosa andiamo a dire all’Ansaldo se non abbiamo le prove?” Come se l’avvocato non fosse lui, come se non fosse stato lui a dovermi dire se la cosa era possibile o no. Voglio dire che su queste cose c’è una grande confusione e i famigliari, che vogliono solo giustizia, si trovano coinvolti in questioni più grandi di loro. Quando mi hanno chiesto di firmare quella famosa carta che mi impegnava a non fare mai più causa né all’Ansaldo né alla Breda, con la minaccia che altrimenti avrei dovuto pagare tutte le spese, io e mio figlio ci siamo rifiutati: era come una presa in giro, era chiederci di rinunciare ad avere giustizia. Appena abbiamo saputo che a Sesto si era formato questo Comitato, abbiamo preso contatto con loro, per vedere se tutti insieme era possibile ottenere giustizia. Ma anche così i problemi sono tanti: purtroppo io vedo che tutte le stragi, piazza Fontana, l’Italicus, restano impunite. A volte si perde la volontà di andare avanti, ma io credo che non dobbiamo scoraggiarci. Le cose, nei posti di lavoro, non sono migliorate affatto, anzi sono peggiorate. Agli stessi lavoratori a volte sembra che non gliene freghi più niente: io lavoro in un posto dove quando dico, ad esempio, che una scala non è sicura, non è omologata e non bisogna usarla, mi si risponde che va bene così, che è più comoda... C’è menefreghismo, ma c’è anche la paura di perdere il posto di lavoro. Io poco tempo fa mi sono presa una nota, un ordine di servizio, perché mi sono rifiutata di fare una cosa che mi avevano ordinato di fare. I padroni lo sanno, che c’è tanta disoccupazione e la gente ha paura, e se poi tu vai a denunciare qualcosa non trovi nessuno che ti appoggia: poi succede come a una mia collega, che si era fatta male cadendo da una scala e dall’INAIL si è sentita rispondere che era colpa sua. Ma a lei, chi glielo aveva ordinato di salire su quella scala che non era omologata? Il datore di lavoro non c’entra più, è sempre colpa tua. Io lavoro come operatrice ausiliaria in una scuola, e ho trovato delle carte in cui il sindaco precedente diceva che per fare le pulizie bisognava usare degli attrezzi che non facessero polvere, perché il pavimento era di vinil-amianto. Capite che dopo quello che era successo a mio marito, quando io ho trovato questa cosa fra le carte mi sono preoccupata e ho avvisato le mie colleghe: noi per pulire usiamo le scope e quel pavimento si stava staccando a pezzi. Ho detto che secondo me quel pavimento era nocivo, e per di più c’erano dei bambini che ci giocavano sopra tutti i giorni. Quando ho fatto presente tutto questo mi hanno detto che ero una rompiscatole e che non c’era alcun pericolo, allora io ho tirato fuori le carte: mi hanno risposto che il pavimento non era più quello, che era stato cambiato. Ma io ho chiesto alle colleghe più anziane e mi hanno detto che quel pavimento era lo stesso da vent’anni; la carta dell’ex sindaco era di 5 anni prima, e allora quand’è che l’avevano cambiato? Io non mi sono arresa e ho avvisato i genitori, gli ho detto che i loro bambini che frequentavano quella scuola, bimbi di tre anni, rischiavano di morire dopo vent’anni a causa dell’amianto. Poi voglio vedere chi lo denuncia. Questo è quello che succede nel mondo della scuola: adesso stavano togliendo l’amianto dai soffitti delle palestre e c’era un cartello con scritto “Attenzione qui si sta facendo la decoibentazione!” Però i bambini erano dentro, senza protezioni: c’erano solo gli operai con gli scafandri. Non basta smantellare l’amianto, bisogna vedere in che modo si fa, e invece non c’è controllo. Quando nella nostra scuola hanno cambiato il pavimento, volevano far entrare gli operai a tirare su il pavimento, con i bambini dentro nelle altre aule: quella volta sono intervenuti i genitori, poi sono arrivati i giornalisti e allora la cosa è stata bloccata. Ma sapete il risultato quale è stato? Che hanno fatto analizzare il pavimento dall’USSL di Reggio Emilia, la quale ha detto che di amianto non ce n’era. Lo stesso pavimento che 5 anni prima l’ amianto ce l’aveva. Questo per dire come spesso il lavoratore che vuole giustizia viene schiacciato da cose più grandi lui. È questo che amareggia parecchio. Ma io dico che bisogna andare avanti lo stesso, anche se alla fine i risultati non sono certi, perché è importante cercare di fare qualcosa”.
Fulvio Aurora, Associazione Esposti Amianto: Io credo che sia necessario prestare molta attenzione a questi fatti; noi cerchiamo non solo di ottenere giustizia per quanto riguarda il passato, ma cerchiamo anche di fare in modo che certe cose non si verifichino nel futuro. In Italia ci sono da 5 a 10 milioni di tonnellate di amianto sparse per tutto il territorio nazionale: questo vuol dire che nei prossimi anni avremo qualche migliaio in più di persone ammalate e che moriranno per esposizione all’amianto. Questo succede già oggi, ma dato il lungo periodo di latenza di malattie come i tumori, la situazione è destinata a peggiorare nel corso degli anni. Non voglio fare del terrorismo, ma questi sono dati chiari: in Inghilterra e in Francia questi conti sono stati fatti, e ci dicono che a partire dal 2003 ogni anno moriranno - compresi i colpiti da asbestosi - dalle 5.000 alle 10.000 persone per precedente esposizione all’amianto. È facile prevedere che la presenza di milioni di tonnellate di amianto sparse sul territorio italiano e non bonificate - o bonificate in modo inadeguato - produrranno ulteriori malattie e ulteriori morti. È dunque necessario muoversi subito. Questa mattina era presente qui il sindaco di Sesto, il quale è il responsabile della salute della popolazione del suo territorio. Il sindaco e il Consiglio Comunale hanno l’immediato dovere di assumere come problema fondamentale la questione della Breda e della Falck dove sono presenti, come ci ricordava la dottoressa Bodini, centinaia di tonnellate di amianto che necessita di essere bonificato perché altrimenti si sparge su tutto il territorio… I lavoratori sono stati esposti all’amianto quando già si sapeva che era un agente nocivo: è dagli anni ‘50 che si conoscono i rischi”.
Michele Michelino: “Tiriamo le conclusioni, raccogliendo anche alcune delle proposte che sono uscite e che mi sono sembrate interessanti. Una cosa che abbiamo già fatto tramite il nostro avvocato - che per inciso non ha bisogno di difese d’ufficio perché un avvocato si sa difendere - è stato opporci all’archiviazione di questi casi. Quindi la prima procedura che abbiamo adottato è stata di tipo legale. Adesso, se persisteranno in questa linea dell’archiviazione, abbiamo ipotizzato dei presidi davanti al Palazzo di Giustizia; se i processi verranno archiviati noi organizzeremo una lotta dove i lavoratori, i malati di tumore e i famigliari dei morti presidieranno giorno e notte il Palazzo di Giustizia per esprimere pubblicamente la loro protesta davanti a questo fatto. Una delle cose uscite da questa giornata di convegno è che avere ragione non basta. Noi abbiamo ragione: anche se non abbiamo la competenza tecnica, vediamo bene che i compagni che erano vicino a noi sono morti di tumore.
Forse i tumori hanno cause diverse, ma quello che noi vogliamo denunciare è che della gente è morta di lavoro, che con il ricatto del posto di lavoro questi lavoratori hanno perso la vita Però, siccome avere ragione non basta, accogliamo la proposta di costituire un gruppo di studio e di lavoro sulle cause dei tumori. Con la dottoressa Bodini noi il rapporto l’avevamo attivato e lo riattiveremo, rilanciamo la proposta di un contatto più stretto, anche se ribadisco che noi partiamo dai mesoteliomi, ma il problema che ci interessa è la salute più in generale: noi vogliamo capire e lottare contro le cause che producono questi tumori e tutti i tumori che dipendono dal lavoro. Quello che si diceva in fabbrica vale anche oggi, in questa lotta in modo particolare: l’unità fa la forza; se noi riusciamo a coordinarci, a creare un gruppo di lavoro, a fare anche dei momenti di lotta insieme, io sono convinto che riusciremo ad aprire una breccia. In questi anni di fabbrica abbiamo imparato che nessuno ti regala niente, e se uno sta alle leggi e ai contratti l’unica cosa che gli è consentita è chinare la testa e lavorare come un somaro dalla mattina alla sera. Per fortuna i lavoratori hanno anche una dignità, un modello di vita, una famiglia, degli interessi da difendere. Noi abbiamo alzato la voce e forse è vero che nella nostra denuncia abbiamo fatto degli errori, forse abbiamo inserito della gente che non c’entrava, ebbene sì: ma qui la gente moriva e nessuno diceva niente. Abbiamo fatto degli errori, però veder morire dei compagni di lavoro, e scoprire dopo anni, per caso, che sono morte 10 persone una dopo l’altra tutte in quel reparto, qualche problema te lo crea.
Davanti a queste cose sono
due i modi in cui ci si può muovere: o aspettare di avere in mano tutti gli
elementi, fare una bella ricerca e poi andare dal giudice, oppure appena si
hanno in mano delle cose metterle sul tappeto, che siano le istituzioni preposte
alla salvaguardia della salute a verificare quanto c’è di vero nelle denunce.
Noi denunciamo che dei lavoratori sono morti di tumore: non sta a noi
stabilire quale delle tante sostanze
nocive presenti in fabbrica ne sia
stata la causa. Noi non abbiamo le nozioni tecniche, non abbiamo
studiato medicina, ma certe cose le vediamo. Il fatto che uno si ammali a causa
delle condizioni di lavoro lo vediamo, almeno per quanto riguarda la fabbrica. La
cosa è meno evidente quando uno si ammala perché la sostanza nociva esce dalla
fabbrica e inquina la città. La lotta che conducono i lavoratori della Breda
non è solo per far valere i loro diritti, è una lotta sociale: l’inquinamento ha fatto di Sesto San Giovanni
una città con un altissimo numero di tumori, e anche gente che non ha mai
lavorato in fabbrica oggi paga sulla propria pelle. Bisogna fare in modo
che il discorso esca dall’ambito degli esperti. Certo gli esperti servono, ma
ci vuole soprattutto maggiore sensibilità da parte dei lavoratori: questo è quello
che cerchiamo di fare, anche se mettere insieme la gente quando non si hanno né
padrini né sponsor politici è difficile. In una situazione così, interventi
come quello che ha fatto stamattina il sindaco fanno incazzare: se uno è
responsabile della salute dei cittadini, o viene qui e ci accusa di raccontare
delle balle, oppure dovrebbe prendere posizione e fare qualcosa per tutelare la
salute dei lavoratori e questo non succede.
Un’ultima cosa: abbiamo preparato delle cartoline, che troverete al
banchetto all’uscita, contro l’archiviazione di queste prime 5 denunce. Alcuni
procedimenti relativi a mesotelioma da amianto stanno andando avanti, su altri
la magistratura non si è pronunciata; questi 5 casi sono stati archiviati, a
quanto ci risulta senza nemmeno aver svolto delle indagini. Noi quindi
protestiamo e invitiamo tutti a mandare queste cartoline: come dicevamo
prima, il problema è sociale, e difendendo i lavoratori della Breda i cittadini
difendono anche se stessi“.
Centinaia di cartoline contro le archiviazioni