Michelino - Trollio: Operai carne da macello
18. Cominciano i processi
Il 20 giugno 2001 il Giudice per le Udienze Preliminari dott.ssa Petromer respinge la richiesta di archiviazione della denuncia di Silvestro Capelli per le lesioni gravissime procurategli.
Ai primi di ottobre il giudice dott.ssa Cogliandolo decide di iscrivere nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo, 36 dirigenti (in giudizio si ridurranno a 12) della ex Breda Ferroviaria e dell’Ansaldo per la morte di Giancarlo Mangione, dovuta a mesotelioma pleurico.
Il 14 novembre 2001, inizia il processo intentato dai familiari dei nostri compagni di lavoro Barichello, Cenci, Crippa, Lazzari, Megna, Pettenon e da Giuseppe Mastrandrea contro i dirigenti della Breda Fucine di Sesto San Giovanni.
Per la prima udienza del processo c’era molta attesa. Dopo tante battaglie eravamo finalmente riusciti a portare sul banco degli imputati due dirigenti della fabbrica. In tribunale, otre ai familiari delle vittime, erano presenti tantissimi lavoratori, non solo della ex Breda che, non potendo entrare in un’aula troppo piccola per contenerli tutti, stazionavano in corridoio. Non era invece presente il Pubblico Ministero titolare ma solo un sostituto, conferma della poca attenzione a questo processo da parte della Procura della Repubblica di Milano che, in quanto pubblica accusa avrebbe dovuto istituzionalmente essere “dalla parte” dei lavoratori.
Durante l’udienza si formalizza la richiesta di costituzione di parte civile del nostro Comitato e anche quella del Comune di Sesto San Giovanni. Subito si scatena la battaglia sui cavilli procedurali, e l’udienza viene rinviata al 6 febbraio 2002, suscitando una volta ancora rabbia e amarezza fra chi da tanto, troppo tempo lottava per avere giustizia.
Nella 3° udienza del 4 marzo 2002, il giudice dott.ssa Elena Bernante, dopo aver respinto le eccezioni di nullità sollevate degli avvocati difensori dei dirigenti Breda, riaffermando la validità della tesi di omicidio colposo, dava inizio alla fase dibattimentale del processo.
Nel corso dell’udienza il giudice accettava la costituzione di parte civile del Comune di Sesto San Giovanni, respingendo per motivi procedurali quella del nostro comitato, con la motivazione che il Comitato per la Difesa della salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio – esistente da 10 anni – si era costituito formalmente solo nel 1997, cioè posteriormente ai fatti denunciati e quindi non aveva avuto un danno.
Per tutti noi era comunque motivo di orgoglio essere riusciti, dopo 10 anni di lotta, a trascinare in giudizio i responsabili delle morti di tanti nostri compagni di lavoro.
Il Comitato, con la sua inchiesta sulle cause delle morti “sospette” di tanti lavoratori in fabbrica, con la sua ricerca di documenti, con la sua lotta aveva costretto la Procura della Repubblica di Milano ad aprire il processo, e - anche se ora ne veniva “formalmente” estromesso - per tutti noi l’avvio del procedimento rappresentava una prima, importantissima, vittoria.
C’era anche un altro fatto importante: costringendo il Comune di Sesto San Giovanni a presentarsi parte civile, avevamo rotto il muro di omertà e complicità che padroni, governo, partiti, sindacati e il comune stesso avevano innalzato contro la nostra lotta. La partecipazione, la mobilitazione dei lavoratori ex Breda e dei cittadini organizzati nel nostro Comitato era riuscita ad incidere sulle posizioni che fino a quel momento il Comune aveva assunto, facendogli cambiare idea e posizione.
Purtroppo, una volta ancora, questi processi arrivavano troppo tardi per le vittime.
La nostra battaglia ormai non era più solo contro chi si era arricchito sulla pelle dei lavoratori, ma anche contro il tempo perché - come l’amianto - il cromo, il nickel e le altre sostanze nocive sono killer implacabili; anche la prescrizione per decorrenza di termini fa le sue vittime.
Nonostante l’apertura di questi nuovi processi continuavano i tentativi di insabbiamento.
Lo stesso P.M. Cogliandolo, mentre chiede il rinvio a giudizio dei dirigenti per la morte di Giancarlo Mangione, chiede l’archiviazione del procedimento per la morte di Guido Rivolta (anch’egli lavoratore della Breda Ferroviaria, anch’egli morto per mesotelioma pleurico) con la motivazione che, essendo deceduti i dirigenti dell’epoca, la legge italiana considera estinto il reato e non permette di perseguire le società.
Ancora una volta ci mobilitiamo contro, dentro e fuori dalle aule giudiziarie. Non possiamo accettare per buone queste motivazioni: per noi ottenere giustizia per ogni lavoratore morto sul lavoro, o meglio di lavoro, è un principio.
Quindi non solo presentiamo opposizione formale all’archiviazione del procedimento per la morte di Guido Rivolta, ma continuiamo a batterci perché anche Tagarelli, Cattan, Morano e tutti gli altri nostri compagni di lavoro abbiano giustizia.
Intanto il processo contro i due dirigenti della Breda Fucine proseguiva.
Il 4 marzo 2002 testimoniano in aula la dott.ssa Bodini e il dott. Maremmani della ASL di Sesto San Giovanni che, in quanto tecnici dello SMAL (Servizio di Medicina Preventiva per gli Ambienti di Lavoro), avevano sottoscritto alcuni dei documenti in cui si denunciava il massiccio uso di amianto in alcuni reparti della Breda Fucine.
La dott.sa Bodini confermava in aula quanto già denunciato nei suoi rapporti.
Il 28 marzo 2002 cominciano le prime testimonianze dei familiari dei lavoratori uccisi, quelle di Marco Megna (figlio di Biagio Megna) e Camillo Crippa (figlio di Luigi Crippa), entrambi - come i padri - ex operai Breda e quella di Giuseppe Mastrandrea, unica “parte lesa” ancora vivente.
Teste Pettenon Tiziana, figlia di Pettenon Aldo, operaio della Breda Ferroviaria e successivamente della Breda Fucine, reparto Aste e Trattamento Termico, dal ’62 al’84, abitante a Sesto San Giovanni fino al 20 agosto del ’90, morto il 3 marzo 1995.
«Noi ci siamo trasferiti da Sesto San Giovanni nell’agosto del ’90, i primi dolori lui li ha avuti all’emitorace sinistro… verso il ’92-93, la data precisa ora non me la ricordo. Gli hanno diagnosticato un probabile mesotelioma, perché dal tipo di radiografie… mi spiegava il dott. Marcolongo, sarebbe stato come incarcerato e sarebbe poi morto, abbastanza lentamente, perché questo era l’andamento della malattia; e gli aveva subito chiesto se avesse mai lavorato con l’amianto. Mio papà ha detto “io non lo so, io so che ho lavorato in Breda tanti anni, facevo questo lavoro con le aste, però non lo so se ho lavorato con l’amianto”… lui mi ha sempre detto che in Breda… adesso lo dico alla veneta, “se tabacava una brutta aria”, cioè si respirava, “tabaccare”, una brutta aria..E mi ricordo anche che portava a casa il mezzo litro di latte al giorno, perché era stato riconosciuto che l’ambiente in cui lavorava era poco salubre, come contropartita penso… Il dott. Di Vittorio mi diceva che era tipico del mesotelioma, perché lui aveva avuto altri pazienti in cura e doveva aspirargli questo liquido pleurico che continuava a riformarsi».
Teste Barichello Luigia, figlia di Barichello Attilio, assunto in Breda Fucine il 24 febbraio1970 andato in pensione il 18/10/84, morto nel ’93.
“… Non diceva molto mio padre del lavoro, quindi so che ogni tanto aveva delle altre funzioni, c’era un po’, come dire, di mobilità all’interno dei reparti. Mio papà si è ammalato nel ’92. Premetto che mio papà è sempre stato un tipo sportivo, nel senso che amava andare in bicicletta, quindi fino a quell’evento, diciamo, fino a che si è ammalato per il tumore che ha avuto ai polmoni, non avremmo mai pensato che potesse andare così la cosa, nel senso che anche lo si vedeva come una persona molto in gamba, molto attiva. Poi nel ’92 ha iniziato ad accusare tosse e stanchezza che non erano normali. Però poi, è andato avanti un po’ di tempo con un po’ di febbre, tosse, stanchezza non normali, l’abbiamo accompagnato nella casa in campagna, pensando a una bronchite che doveva risolversi cambiando aria. Invece lì è peggiorato e non è mai tornato a casa…da quando si era poi manifestata questa particolare stanchezza, febbre, gli è stato diagnosticato un carcinoma bilaterale ai polmoni…ci è stato detto che non era neanche da tentare un intervento perché praticamente erano presi i bronchi…
E quindi non c’era niente da fare. Hanno tentato comunque delle terapie di radioterapia, che hanno dato sollievo per qualche mese, poi dopo ha avuto il crollo e a maggio è deceduto, nel ’93. … Io non avevo mai pensato che potesse esserci una relazione tra la malattia e il tipo di lavoro. Io so anche che i medici avevano chiesto a lui che tipo di lavoro svolgesse, …parlando anche con persone che erano state coinvolte per la stessa morte del padre che aveva lavorato in Breda, abbiamo poi ricostruito”.
Teste Megna Marco, figlio di Megna Biagio, operaio Breda dal 1967 al 1987, addetto al reparto Aste leggere e Aste Pesante, fino quando è andato in pensione; morto nel 1993.
«Ho lavorato anch’io per 11 anni alla Breda… non nello stesso reparto… in quello adiacente, per cui lo vedevo, lui era addetto alla saldatura delle aste, era a diretto contatto con l’amianto… Lui indossava il suo grembiule di protezione in amianto, i soliti guanti per le ustioni, e in più aveva i teli di amianto che usavano per coprire il pezzo incandescente o nero, per le scintille che venivano fuori. Erano teli di amianto....C’era polvere, fumo, dovuto alla saldatura, gli oli che bruciavano, e polvere insomma. Mio padre si è ammalato....adesso sono 9 anni che è morto, l’8 marzo del ’93. Gli hanno diagnosticato un tumore che partiva dai polmoni, metastasi al cervello. Ha iniziato a star male nel periodo estivo…luglio e agosto. Si pensava ad una depressione quando siamo tornati dalle ferie, perché si era chiuso in se stesso, parlava poco.
Era stato ricoverato all’ospedale Bassini proprio per una depressione, mentre invece lì è stato appurato un tumore. Da lì è stato ricoverato, a Pavia, perché si pensava alla TBC, una forma di bronchite… invece gli hanno trovato il tumore. Poi è stato ricoverato al centro tumori di Milano dove è stato operato… e rinchiuso, dopo poco tempo è morto… Mi ricordo che parlava del capo Lazzari, di Cenci che io ho avuto modo di conoscere… e poi di altri colleghi di lavoro che sono morti… Mascherina?… No, non l’ho mai visto con una mascherina, almeno che io ricordi, no…
Anche prima che scoprisse la malattia, si lamentava che respirava male… E mio padre non fumava.
Come lavorava? C’era la maschera, col vetro proprio per non guardare il lampeggio della saldatura. Tutto intorno c’era questo telo di amianto per coprirsi dalle scintille che venivano fuori dalla saldatura. Oltre ad avere il suo grembiule… Il grembiule, i guanti …ognuno li teneva nel suo armadietto. Venivano sostituiti quando ormai erano usurati, cioè bruciati, si vedevano proprio le bruciature. Mi ricordo tuttora che lui lavorava seduto su uno sgabello, all’altezza dell’asta… Quando c’era troppo fumo, che l’asta arrivava dal trattamento termico o meno, insomma era unta, fin quando non dava la prima passata di saldatura , in pratica bruciava tutti gli oli, c’era una nuvola di fumo. Per cui aprivano il portone, c’era un portoncino, estate o inverno, alla stessa maniera».
Teste Crippa Camillo, figlio di Crippa Giovanni, operaio del reparto Aste Leggere della Breda Fucine dal 1960 al 1985.
“Anch’io ho lavorato in Breda, dal 1975 al 1990. Mio padre lavorava sul famoso macchinone per saldare le aste. Ha smesso di lavorare, quando è andato in pensione, ha incominciato ad avere i primi sintomi...era l’85. Gli avevano diagnosticato il tumore al fegato con metastasi ed è morto il 4 luglio dell’87.
… Non ha mai manifestato nessun disturbo, come salute è sempre stato bene, è stato anche donatore di sangue. Sul lavoro non fumava quasi mai, fumava magari dopo mangiato, la sera o a casa; ma durante il lavoro è difficile che fumava… Io andavo sempre a lavorare in quel reparto lì perché lavoro in manutenzione.
Le coperture della macchina erano tutte in amianto,… i guanti e il grembiule, anche, … mascherine no, non ne avevano. Allora ci davano il latte, dicevano per il fumo, come una medicina. Il fumo si perdeva nel reparto. Dopo uscivano coi carrelli dalle porte, aprivano i portoni, un po’ la corrente d’aria, un po’ tutto il resto…”
Teste Cenci Tiziana, figlia di Cenci Italo, operaio del reparto Aste leggere e pesanti della Breda Fucine dagli anni 60.
«Mio padre ha lavorato alla Breda fino all’88 -’89, perché poi è andato in pensione…Si .. polvere, diceva che quando lavoravano e, non so, finivano di lavorare con la saldatura, aprivano le finestre per far uscire il fumo dalla ditta, dal posto di lavoro. Se utilizzava l’amianto? No, non me l’ha mai… magari io non mi ricordo, perché ero ragazzina. Mio papà si è ammalato nel 1991, gli hanno diagnosticato un tumore al polmone, ed è morto nel 1992. Allora, io l’unica cosa che mi ricordo è che il professore che ha operato mio papà, parlando con la mia mamma, l’unica cosa che so che le ha detto, le uniche parole che mi posso ricordare sono: “il tumore di suo marito non è dovuto al fumo di sigarette”, questo me lo posso ricordare. Però altro no, perché poi era più mia mamma che noi a seguire mio padre».
Teste Mastrandrea Giuseppe, operaio della Breda Fucine in pensione
«Ho lavorato, non ricordo con precisione, o la fine del ’74 o l’entrata del ’75, quella è la data. Ho terminato il lavoro nell’85, a giugno, che mi hanno mandato in prepensionamento dalla Breda Fucine. Ho lavorato al reparto Aste leggere e pesanti. C’era il macchinario cha saldava, e non c’era divisorio né niente; per divisorio c’era una striscia gialla per terra. Io ero nel reparto verniciatura, ma per prendere il livello, la professione, si doveva girare il reparto, si incominciava quando arrivavano le aste sui binari a molare in saldatura, la soffiatura, che andava a finire in verniciatura. E si doveva girare un mese, quindici giorni a testa, per prendere il livello. La maggior parte l’ho fatta sempre al reparto aste io, al reparto Aste Leggere, al reparto Aste Pesanti e verniciatura…Le scorie di saldatura, di molatura che c’era all’interno dell’asta veniva soffiata fuori. Alcune volte ho accusato malesseri, mi hanno portato in infermeria dell’azienda, e lì mi dicevano che era qualcosa che avevo mangiato che mi aveva fatto danno.
Infatti ricordo che mi sono sentito male tre volte, allo stomaco, e ho buttato un po’ di sangue, e hanno telefonato a casa e sono venuti a prendermi i miei figli.
No, io non ho mai avuto mascherine… e a volte c’era proprio il nebbione, diciamo la verità, io ho litigato diverse volte, con un certo Redaelli… per la puzza della vernice e per questo polverone che c’era. Ma quella era una persona, diciamo… per me non era competente per fare il capo, quello là, perché ci vuole anche un non so che di comprensione pure con un reparto, non che pretendi soltanto la produzione e non ti interessi degli operai che ci sono là…Venivano gli ingegneri di reparto, come veniva questo Redaelli che voleva per forza la produzione.
… Mi ero sentito male diverse volte, ma pensavo che fosse qualche dolorino così. Il 27 gennaio 1997 , mi sentivo male , ma sono partito con la macchina, sudavo freddo e questo dolore. Sono tornato subito a casa…mi hanno portato al Pronto Soccorso mi hanno visitato, ad un certo momento è arrivato un dottore…ha detto “fatelo firmare e portatelo subito al terzo piano, subito”. Per gli accertamenti ero ricoverato dal 27 al 15 febbraio, e siccome non mi davano da mangiare, ho perduto 18 chili. È passato il primario, e gli ho detto, “professore, ma io sono ancora qua senza che mi dite niente”, mentre la mia famiglia lo sapeva già, gliel’avevano detto, ma io non sapevo niente, cos’è che ho infine? Mi fa “a lei non hanno detto niente? Il 17 mattina lei deve essere operato, ha un tumore” e se n’è andato. Sono rimasto allibito, non avevo nessuna forza più. Mi hanno operato e mi sono svegliato, dalle sette di mattina alle quattro, e mi sono trovato tagliato da qua fino a qua sotto, per il tumore al colon, mi hanno detto».
Nell’udienza del 15 maggio si continua, con i testi Michelino, Gobbo e dott. Medico, il nostro consulente di parte.
Teste Michelino Michele: «Sono stato assunto nell’aprile 1976 alla Breda Fucine di Sesto San Giovanni, reparto Forgia… Ero operaio addetto alle lavorazioni a caldo e ho lavorato per 21 anni… dal 1976 sino al 1997. La Breda nel ’90 ha cambiato nome e assetto societario, ma l’attività lavorativa è rimasta la stessa. Per brevi periodi ho lavorato anche in altri reparti; esisteva la mobilità e quando mancavano dei lavoratori ci mandavano a sostituirli. Conoscevo il reparto Aste…, perché essendo uno dei pochi delegati sindacali che faceva i turni, se c’era qualche problema venivano a chiamare me…Almeno fino all’82, che io mi ricordi, non c’erano respiratori… si apriva il finestrone sul tetto, perché era l’unico modo per far uscire fumi e questa polvere di amianto.. Più volte i lavoratori hanno protestato, litigando spesso anche con i capi, perché quando l’aria era irrespirabile interrompevano la produzione ed uscivano dal reparto finché l’aria tornava respirabile. …Oltre all’amianto, c’erano altri fumi, altre polveri. … Quando i lavoratori si fermavano, appena si fermava la produzione,… il capo del personale chiamava immediatamente il rappresentante del Consiglio di fabbrica, lamentandosi che stavano studiando dei sistemi per mettere degli aspiratori, però dicevano che il problema era anche economico, di costi. Dicevano “… nessuna azienda come questa ha certi aspiratori e metterli vuol dire perdere in competitività”. I dirigenti spesso accusavano i lavoratori, dicevano “ma cos’è, volete far chiudere l’azienda? Attenti a non tirare troppo la corda, perché se all’azienda qui costa troppo, va a produrre da un’altra parte”».
Teste Gobbo Giuseppe, dipendente Breda Fucine dal 1975, caporeparto Aste Leggere fino al 1988, anno in cui viene chiuso il reparto.
«Lazzari era il superiore diretto mio, quello che faceva il turno dalle 8.00 alle 17.00. Si faceva il primo e il secondo turno, il collega del mio turno opposto era Cenci. Il caporeparto doveva eseguire tutte le mansioni…se c’era qualche difficoltà su qualche lavorazione dovevo intervenire… Di saldature facevo la prima, seconda e terza al massimo, poi andavano avanti gli altri… e io iniziavo a controllare se era a posto tutto o meno.
I mezzi di protezione individuali? I mezzi erano guanti di amianto, grembiuli di amianto e in più c’erano le protezioni per ripararsi dallo scintillio della macchina, era un tampone in bachelite con sotto un multistrato di amianto, … In più sopra c’era uno strato di amianto di circa un metro e mezzo, un doppio strato che è un telo di amianto doppio… A contatto con lo scintillio si usurava…si rovinava tutto, cadeva a pezzi. Gli aspiratori li hanno messi dopo il 1978, prima non esistevano… Il flashwell è la macchina che salda, flashwell vuol dire saldatura a scintillio… la zona di saldatura subiva lo shock termico,veniva portata a 980/1020 gradi, cioè quasi alla fusione. Poi entrava in una cassa di amianto… La macchina a scintillio è una macchina che è stata acquistata da Hughes in Texas. Il gruppo Efim lì comprò questa macchina, lo so perché uno di quelli che ha imparato su questa macchina con i tecnici americani sono io. Nel 1986-1987, la macchina, dopo circa vent’anni che lavorava, è andata in avaria, non potendo noi metterci le mani perché era un brevetto Hughes è uscito un tecnico americano. Questo tecnico, un saldatore del posto, è venuto giù e abbiamo trovato il guasto; quando l’ho accompagnato all’Hotel Saint John a Sesto, tramite il portiere in quanto io non capivo bene l’inglese, ha chiesto “Prova a chiedere se in questo reparto è morto qualcuno”. Io sono rimasto un po’ perplesso e ho detto: “Ma perché dobbiamo morire?”, lui ha troncato il discorso e avanti non è più andato. Io nel primo istante non ho dato peso e ho detto “forse il portiere ha capito male”, invece dopo tre/quattro anni i miei colleghi hanno cominciato a morire. Fino al ’78, c’erano fumi e polveri ovunque, che andavano a finire addirittura negli altri reparti, perché i reparti non è che erano divisi da muri, erano divisi da una riga gialla, era tutto aperto… ad esempio il reparto Aste Leggere era in contatto con quello delle Aste pesanti della Meccanica Generale, l’unica cosa che li divideva erano le righe gialle a terra. Mastrandrea… l’avevo con me a lavorare, nel mio reparto, nel mio turno, Megna pure, Barichello un certo periodo l’ ha fatto lì, poi è andato al Trattamento Termico, Pettenon anche lui, Crippa Giovanni era proprio sopra il flashwell. Cenci era il mio collega del turno opposto… venivano da me a dire che avevano difficoltà a respirare, poi sono andati addirittura dal sindacato che è intervenuto. Hanno fatto un accordo con l’azienda e ci hanno passato il mezzo litro di latte al giorno, con il detto che con il latte cominciamo a respirare meglio.
Io so che tutte le volte che loro chiedevano il biglietto per andare in infermeria, io ero obbligato a farglielo e il medico nostro interno di solito li mandava a casa, e questo è successo a quasi tutti i lavoratori».
Teste Miedico Dario, medico del lavoro, esperto di medicina legale,consulente di parte civile: “Esiste una ricchissima letteratura scientifica che attribuisce all’amianto la responsabilità di tumori allo stomaco per lavoratori che sono stati esposti. A dire la verità anche non solo per lavoratori, anche a persone esposte per presenza di amianto nell’ambiente… ne è stata fatta una sintesi dal professor Berrino - epidemiologo qui a Milano - il quale ha raccolto ben 12 ricerche a livello internazionale e in tutte queste 12 ricerche i tumori del tubo digerente, per cui comprende lo stomaco… Se nella popolazione esposta il numero di tumori è superiore alla popolazione normale, vuol dire che c’è una correlazione. In tutte le pubblicazioni è risultata un’incidenza maggiore dei tumori allo stomaco di quella attesa. In particolare sono stati trovati 410 casi di tumori del tubo digerente contro i 237 attesi, cioè un fattore molto rilevante.
Per i tumori non esiste una soglia di un cancerogeno, cioè anche una quantità minimale di questa sostanza può determinare il tumore… È chiaro che più amianto c’è tanto più aumenta il rischio, per cui non si può definire una soglia, perché definire una soglia significherebbe comunque condannare una certa percentuale di lavoratori ad ammalarsi di tumore. La soglia esiste per una malattia professionale che si chiama asbestosi…l’amianto è noto come cancerogeno dai primi anni del ‘900….con l’assoluta certezza che fosse cancerogeno dagli anni ‘60 / 70 escluso dalla legislazione attuale soltanto nei primi anni ’90.
La patologia da amianto nasce dal fatto che l’apparato respiratorio introduce fibre di amianto con la respirazione… ogni persona respira 17/18 volte al minuto, se poi fa sforzi respira anche molto di più; è chiaro che ogni inspirazione fa sì che fibre, ma anche gas, polveri, inerti, qualunque altra cosa, arrivino all’apparato respiratorio.
L’amianto è pericoloso perché arriva a livelli proprio di pochi micron, 4/5/6 micron, che arrivano fino agli alveoli polmonari, ed è qui che inizia il pericolo, perché queste fibre si fissano nell’alveolo, poco per volta lo passano, entrano in circolo o vanno addirittura a livello della pleura ed è qui che possono determinare il tumore polmonare o il mesotelioma tipico della pleura. Però tanto più io riesco a trattenere queste fibre tanto più abbasso il rischio. Per cui una maschera che non abbia un filtro ottimale, ma le maschere che ci sono non trattengono completamente l’amianto, non risolve il problema, però sicuramente lo rende meno grave.
Perché oltre al resto le fibre di amianto una volta arrivate al polmone vengono anche eliminate, ma con la tosse, con colpi di tosse che noi facciamo impercettibilmente arrivano all’uscita della trachea, alla laringe e vengono deglutite. Questo è il meccanismo che può provocare il tumore dello stomaco, il tumore del tubo digerente ecc. ecc. Cioè non solo queste (fibre) vanno in circolo attraverso il passaggio nel sangue, che è un fenomeno abbastanza eccezionale, ma invece vengono deglutite e arrivano praticamente a tutto il tubo digerente… la ricerca va avanti progressivamente e si sta verificando che le fibre di amianto determinano molti tipi di tumori, più di quanti non si pensasse una volta, è un cancerogeno, per cui può determinare i tumori a livello degli organi più diversi.
… non è solo l’amianto, ci sono anche le concause. Allora in quell’ambiente di lavoro non c’era solo l’amianto, l’amianto è un cancerogeno che ha agito insieme a delle concause e le concause secondo me sono chiaramente i fumi di saldatura”.
Nell’udienza del 13 giugno 2002 continuano le testimonianza degli operai del reparto Aste e iniziano quelle dei dirigenti della Breda.
Dopo le formule di rito viene chiamato Cam Capola, dipendente della Breda Fucine dal dicembre 1974 al luglio1992, addetto come manutentore, aggiustatore, principalmente al reparto Aste, ma anche ai reparti Forgia e Trattamenti Termici.
Alla domanda di Sandro Clementi, avvocato di parte civile, che chiede in cosa consistevano le sue mansioni di manutentore, risponde: “Manutentore, riparazione pneumatica di pistoni sulla saldatrice, cambio del telo di amianto e pannelli che si mettevano sopra l’asta e il giunto, di preciso non mi ricordo… erano 50-60 per 30, un bel pacco, erano 8-10 fogli di amianto”.
Avv. Clementi: “Ci può descrivere com’era questo coperchio di amianto, quanto era spesso?”
Capola: “Erano lastre che noi tagliavamo sui 20 mm di spessore e 50 o 60 millimetri per 30, cioè un coperchio che si metteva per protezione e poi si bruciava tutto… si cambiava spesso e volentieri, ogni 10 giorni, 12 … perché si bruciava tutto. Si consumava completamente”.
Avv. Clementi: “C’era un telo - ha detto fatto di che cosa, quale materiale?
Capola: “Sempre di amianto dove io venivo comandato ed anche altri. Si andava al magazzino, era un rotolo così di stoffa che dovevamo prendere in due e lo tagliavamo a misura, era un metro e 40/50 di lunghezza, doppio, si forava e con dei bulloncini si avvitava”.
Avv. Clementi: “Lei ha notato se c’era dispersione visibile di particella d’amianto, di fibre?”
Capola: “Particolarmente quando usavamo aria perché io cambiavo anche l’attrezzatura”.
Avv. Armenio, difensore dell’amministratore delegato della Breda Vitantonio Schirone: “Lei quindi era particolarmente a contatto con questi fogli di cui parla, si occupava anche della sostituzione?”
Capola: “Sì, come manutenzione mi toccava anche questo. C’era da cambiare il telo…si tagliava a misura oppure anche sul posto, a volte”.
Avv. Armenio: “…Si è dimesso nel ‘92. Lei però sta bene di salute.. sì? Voglio dire, problemi di tumori ne ha mai avuti?…attualmente lei sta bene, ha problemi?”
Capola: “Ringraziamo il signore, … io ho fatto due TAC…ho un ispessimento pleurico, nodulazioni…”.
Avv. Armenio: “dico, forme tumorali ne ha?
Capola: “A me hanno detto che ho, dalla Clinica del Lavoro, un ispessimento pleurico, nodulazioni adipose e devo fare una visita pneumologica. Non sono morto, avvocato, però non sta a me dire se devo morire o se ho un mattone sulla testa e quando mi cascherà…”.
Teste Tansini Sandro, dipendente della Breda Fucine dal 27 novembre ‘79 al 19 gennaio ’94 con mansioni di operaio al reparto Aste.
Avv. Clementi: “Ci può descrivere in particolare come avveniva la produzione sulla macchina saldatrice, a scintillio, il macchinone come lo chiamavate, se lo sa e se ci è stato addetto?”
Tansini: “Ci sono stato a lavorare, sì. C’era l’intestatrice, l’asta veniva sabbiata e passava la saldatrice che saliva su, entrava, si deponeva il giunto all’interno con un macchinario e poi si chiudeva il coperchio di amianto e partiva l’operazione di saldatura… Durante il turno di lavoro questo coperchio che veniva posto sopra per la chiusura si usurava”.
Avv. Clementi: “Si disperdevano polveri di amianto, fibre visibili, le ha viste?”
Tansini: “Sì… c’era un pistoncino che lo faceva scendere e picchiando disperdeva in giro fibre di amianto…Io sono andato su a lavorare, ma non avevo nessun tipo di protezione, a parte i guanti di amianto, ma né mascherine…il grembiule, ecco quelle cose lì e basta… L’unico aspiratore che esisteva era quello sotto il macchinone, la saldatrice, il flashwell, però era quasi sempre intasato e aspirava poco… perché si intasava e essendo intasato non faceva più il suo lavoro… il coperchio di amianto veniva cambiato ogni 2 giorni perché si usurava… Il signor Cenci, che è deceduto anche lui, era il mio capoturno, il signor Lazzari - anch’egli deceduto - era il capo reparto che c’era allora quando c’ero io, quando mi hanno assunto”.
Avv. Armenio: “Pongo anche a lei la domanda di cui al testimone precedente: lei non ha mai avuto malattie tumorali?”
Tansini: ”Grazie a dio no, per il momento no”.
Teste Cocciolo Giuseppe, dipendente Breda Fucine dal 6 luglio 1970, operaio al reparto Aste, passato nel ’95-96 alla Metalcam, ditta che ha rilevato alcuni capannoni e lavorazioni della Breda.
“… Ogni tanto dovevo andare anche a dare una mano per saldare all’operatore…si avvicinavano più aste …per saldarla e poi si metteva questa coperta di amianto sopra che proteggeva dallo scintillio e poi partiva la saldatura…Protezioni? Mascherine no, soltanto quando lavoravo alla pelatrice, questa macchina che era tornitura a secco mandava tanti trucioli. C’era solo la protezione con l’elmetto, con la mascherina di plastica dura per la protezione così soltanto dai trucioli, ma di altre mascherine non ce ne davano… Quel reparto era un reparto aperto, c’era in quel reparto sia il macchinone di saldatura, molatura e anche la verniciatura. Allora, si verniciava senza nessuna protezione di aspiratura …tra l’evaporazione e la vernice, le aste che venivano buttate giù a fasci, con la conseguenza della polvere… ruggine, era tutta marrone… tante volte siamo andati su ad aprire i vetri per farne uscire un po’ perché era una cosa impossibile.
I coperchi d’amianto? Si consumavano sì, io adesso pensavo…che si è saputo dopo, questi grembiuli che usavamo anche noi erano di amianto, una roba dura, di amianto duro, a volte si sporcava da tutte le parti e veniva così spontaneo batterli per tirare via un po’ di polvere sa… lo batto e poi me lo metto… e questo si sbriciolava. In un secondo tempo abbiamo saputo che questa roba faceva male, però al momento uno non pensava a queste cose qua, capisce”.
Teste Diaferio Donato, dipendente della Breda Fucine dal 1972 al 1997, operaio al reparto aste pesanti e leggere:
“… All’inizio lavoravo al reparto aste pesante, alle foratrici, poi dopo 6 mesi abbiamo perso le commesse e sono passato alle aste leggere e facevo l’imbragatore e determinate volte ci mandavano anche sul macchinone quando mancavano gli operai, a sostituirli… Sì, avevamo un coperchio di amianto che mettevamo sopra quando c’era la saldatura e i laterali, e poi avevamo su la coperta di amianto e ogni saldatura che si faceva … avevamo una paletta che tiravamo via la scoria … e tutte le volte finita la saldatura c’era la canna dell’aria, si soffiava e tutta la polvere che rimaneva dentro veniva dispersa e si alzava.
….L’amianto c’è stato sempre. La coperta e il coperchio che andava sul flash, quando si chiudeva, l’asta veniva chiusa, si metteva prima il coperchio e poi si abbassava il telone che, oltre tutto quando si saldava venivano fuori le scintille… dal macchinario. L’amianto? Lo vedevamo quando tiravamo su il coperchio, quando si finiva di saldare si tirava sopra e vedevamo che era bruciata la parte di sopra al coperchio e noi la pulivamo con una paletta di ferro. Poi veniva fuori quella polverina, quando pulivamo quella scoria, veniva fuori quella polverina di amianto… Quando finiva la saldatura, c’era uno scoppio che faceva boom e veniva fuori un determinato fumo; fumo che era a contatto con l’amianto”.
Teste Menale Salvatore, dipendente Breda dal 1972, operaio del reparto Aste fino al 1976, poi dipendente Metalcam:
“… Io stavo lì, c’era un nastro con delle fiamme in metano che riscaldava questo giunto, appunto veniva messo questo dischetto, poi lo davo al Crippa con un braccio e lui lo rimetteva dentro e poi lo metteva in squadra e veniva coperto con questo manto di amianto…preso a mano. L’amianto si bruciava e si forava. Poi, dopo, veniva cambiato perché si bucava e quindi non era più buono per coprire queste scintille. Protezioni? No, io avevo il grembiule di amianto, una volta si usavano questi grembiuli di amianto e i guanti, perché i giunti erano caldi… nel capannone, i vari reparti erano collegati uno con l’altro, cioè non c’erano pareti”.
Teste Iannelli Giuseppe, dipendente Breda Fucine dal 1974, manovale e poi saldatore al reparto Aste leggere, dipendente Metalcam.
“L’amianto? C’era sia il coperchio che serviva a trattenere le scintille, sia un telo che serviva a far sì che i fumi venivano aspirati dal basso della saldatrice, con dispersione di fibre di amianto e polveri… perché tutte le volte che si puliva il coperchio veniva soffiata via per pulire la macchina.
Protezioni? Diciamo poca roba, i guanti avevamo e basta… Ho le placche ai polmoni rilevate dalla Clinica del Lavoro di Milano… dovute all’amianto, per avere respirato amianto… ho delle bruciature ai polmoni, cicatrici adesso”.
Teste Marinelli Francesco, dipendente Breda Fucine dal 1961 al 1995, operaio al reparto Aste leggere.
“… Facevo un po’ di tutto, ero sulla saldatrice, sul flashwell si chiamava, e mettevo il coperchio con l’amianto… si consumava spesso… Protezioni? Sì, ci davano i tappi per le orecchie. Sì, c’è sempre stato l’amianto”.
Teste Liuzzo Concetto, dipendente Breda Fucine dal 1° aprile 1978 al reparto Aste leggere con mansioni di tornitore e sabbiatore. Dal 1990 Tuttora dipendente della Breda Energia.
Avv. Clementi: “Si utilizzavano coperte e coperchi di amianto?”
Liuzzo: ”Sì, dunque si utilizzava un coperchietto piccolino direttamente sopra il giunto e asta, che è quello che veniva cambiato più spesso perché era a contatto con il riscaldamento della saldatura e dopo veniva messo un telo all’inizio. Dopo è stato cambiato con un affare meccanico con sempre degli spessori di amianto… specialmente il coperchio piccolino si usurava”.
Avv. Clementi: “C’era dispersione di fibre o di polveri da questi teli?”
Liuzzo: “Si, è quello che mi dava più fastidio di tutti, perché io lavoravo sotto il macchinone, perché tornivo le aste, le sabbiavo e le mandavo sulla linea per farle saldare. Che tipo di protezione? Io dalle polveri non indossavo niente, perché non mi davano niente… mi davano soltanto del latte. Mascherine? Non me ne davano… Problemi di salute? Sì… oltre ad avere ispessimenti pleurici ho anche una macchia, una specie di bruciatura..ho fatto la TAC due volte…in più un tumore, un carcinoma, è un edema carcinoma maligno… alla prostata, e poi anche un problema al cuore… sono stato operato 5 mesi fa”.
Tocca ora ai testimoni della difesa dei dirigenti, che affermano che i loro colleghi… non sapevano, … non c’entravano e che l’amianto… non c’era.
Particolarmente... falsa la deposizione del teste Redaelli Giovanni, assunto nel novembre 1981 con la “funzione di programmazione delle linee di saldatura e in più una visione generale dell’organizzazione, come responsabilità”.
Rispondendo ad una domanda dell’avv. Frigo, difensore del dirigente Umberto Marino, se “si usavano delle protezioni di amianto”, afferma: “Quando io sono arrivato c’erano già…erano consistenti di fibre di amianto però erano già alluminizzate, cioè vale a dire che c’era un pannello che dava sopra alla parte della saldatura ed evitava eventuali zampilli… Alluminizzate vuol dire che erano protette, cioè era come ci fosse un coperchio sempre contenente amianto, penso, della fibra di amianto, però erano protette da questa parte di alluminio”.
Ad una richiesta di chiarimento del giudice sul coperchio e sulla coperta d’amianto, Redaelli risponde: “C’era un coperchio alluminizzato, chiamiamolo… che poi dentro ci sia amianto sì questo è vero, perché la fibra era di amianto; che poi era anche…non so…io cosa vuole che le dica ecco, …il mio compito era passare al mattino, passare al pomeriggio così per vedere, per dare delle disposizioni…non ero sulle macchine, tanto per capirci. Dispositivi personali? ... che io sappia c’erano… avevano dei grembiuli… di pelle crespata, perché si usava così, di cuoio, ma è un cuoio chiamiamolo pettinato…scamosciato…a quell’epoca lì, che mi risulti erano solo di pelle scamosciata…i guanti, i soliti guanti, …erano guanti anche quelli di pelle e nient’altro”.
Alla domanda dell’avv. Clementi su quali fossero i nomi dei responsabili della sicurezza, il teste Redaelli risponde: “Non me li ricordo..Io, guardi, relazionavo solo al mio direttore di produzione”.
Giudice: «Allora lei non ha visto se oltre a questo coperchio automatizzato veniva usata anche questa coperta a protezione»?
Teste Redaelli: “Per me non veniva usata la coperta, come si dice, perché era automatico, c’era un coperchio che scendeva automaticamente; che sappia io non c’era la coperta”.
È troppo anche per il Giudice, che ricorda al teste: «Le do atto che da tutta una serie di altre testimonianze, incluse anche quella dei medici del lavoro che hanno fatto il sopralluogo – e le ricordo che lei è citato come teste in questo procedimento e ha l’obbligo di dire la verità – risulta che oltre a questo coperchio automatizzato veniva utilizzata anche una coperta di amianto a protezione dei lavoratori».
Redaelli: “… Non è a mia conoscenza no, io… il prendere una coperta e metterla giù non l’ho mai vista”.
Teste Filippazzi Italo, ingegnere, dirigente.
“… l’ufficio del personale era adibito… sceglieva le tute, che so io… i calzari per i saldatori, i grembiuli e quelle cose lì, quindi erano loro che, come dire, si preoccupavano di mantenere nel magazzino sempre disponibili questi apparecchi, chiamiamoli così tra virgolette, di protezione personale…
Avv. Armenio: ”La domanda esattamente è questa: c’era una situazione di allarme sentendo parlare di amianto negli anni ’70?”
Filippazzi: “Io direi assolutamente di no… Può darsi che se ne parlasse in qualche simposio…Voglio dire che si fosse reso, diciamo così, pubblico al punto tale che fosse a conoscenza di tutti negli anni ’70 direi proprio di no, perlomeno a livello nostro. Poi ci sono medici o qualchedun’altro addetto ai lavori che probabilmente ne sapeva qualche cosa di più”
Alla domanda del Pubblico Ministero se si ricordasse i mezzi di protezione a disposizione degli operai, Filippazzi risponde: “Mezzi di protezione? Direi nessuno in particolare… No mascherine non ce n’erano…”.
P.M. «Le volevo dire da ultimo che, sempre in questa relazione (dello SMAL), sempre del ’79, si evidenzia - per ricollegarmi a quello che lei diceva - che…”Inalazione di scorie, di fibre di amianto che ricordiamo essere altamente cancerogeno”. Quindi in questa relazione si crea una situazione di allarme di pericolosità a livello di igiene del lavoro per la presenza di queste fibre di amianto. Lei diceva che a livello societario, a livello d’impresa, questo allarme non era molto conosciuto. Diciamo che però dal ’79 lo SMAL vi dice - guardate che l’amianto è pericoloso e c’è l’amianto - voi o lei in un momento successivo per quanto è a sua conoscenza avete preso dei provvedimenti in relazione a questa che poi non si è tradotta in una prescrizione ma in un’ordinanza…urgente, perché le direttive amianto sono del ’90. Però prendendo per buona la sua ignoranza circa il problema amianto che si discuteva a livello mondiale, voi facevate le trivelle, adesso nel ’79 vi dicono “guardate che è pericoloso”, avete fatto qualche cosa?»
Filippazzi: “… Io dico solamente che la Breda Fucine non è che facesse uso di amianto a ogni piè sospinto o in ogni occasione, probabilmente effettivamente in quella zona lì l’amianto c’era, veniva usato anche in manutenzione, probabilmente in manutenzione c’erano delle corde di amianto per fare delle… sono cose che sono sempre esistite in tutti gli stabilimenti: Le ripeto, io sono andato via nell’88, e nell’89 io ho subito un processo in un’azienda in cui ero arrivato da 10 giorni perché il pretore ha trovato una corda di amianto all’interno allo stabilimento”.
E alla successiva domanda del P.M. se “in relazione a questo allarme che era stato in qualche modo buttato lì dallo SMAL di Sesto San Giovanni avete pensato di sostituire l’amianto, le copertine d’amianto”, Filippazzi risponde: “ No, io ricordo però una cosa, che se n’è parlato…”
Il 18 settembre 2002, a 9 mesi dall’inizio del processo, dopo 10 udienze sembra concludersi la fase dibattimentale del processo contro i due dirigenti della Breda Fucine, Vitantonio Schirone e Umberto Marino, per l’omicidio colposo di sei lavoratori e lesioni gravissime ad un settimo.
Nel processo si sono confrontate due verità: da una parte i testimoni ed i consulenti dei dirigenti ex Breda, che fino all’ultimo hanno cercato di minimizzare le responsabilità dei loro assistiti, arrivando fino a negare la cancerogeneità dell’amianto.
Dall’altra la verità dei lavoratori, che con i documenti e le prove prodotte in aula, le testimonianze dei familiari delle vittime e - ancor più – dei numerosi ex lavoratori Breda, hanno evidenziato le responsabilità dello staff aziendale e di un intero sistema industriale che ha anteposto il profitto e i bilanci aziendali alla vita e alla salute dei lavoratori.
I dirigenti imputati, naturalmente, non si sono mai presentati in aula.
Il 18 ottobre 2002, giorno dello sciopero generale indetto dalla CGIL contro l’abolizione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori (giusta causa per i licenziamenti nelle aziende con più di 15 dipendenti), doveva essere anche il giorno della sentenza. Invece, fra la sorpresa generale, il giudice emette un’ordinanza in cui dispone un supplemento d’indagine, nominando due periti di sua fiducia, sui risultati del Convegno medico di Helsinki del 1997, presentato dai difensori dei dirigenti Breda come prova a loro discarico, rinviando l’udienza al 23 ottobre.
Appena il giudice decide il rinvio, i familiari e i numerosi lavoratori presenti, con una fascia nera al braccio e una spilla con un nastrino bianco all’occhiello in ricordo di tutti i lavoratori della Breda morti per l’amianto, mettono in atto una dura protesta.
Raggruppati dietro due striscioni con la scritte “Vogliamo e pretendiamo giustizia” e “Per ricordare i 60 lavoratori della Breda morti per amianto” improvvisiamo un corteo all’interno del Palazzo di Giustizia, fra lo stupore delle centinaia di persone che passano dai corridoi. I carabinieri, presi di sorpresa, cercano - invano - di bloccarci.
Dopo aver sostato per oltre mezz’ora sulla gradinata del palazzo di giustizia in Corso di Porta Vittoria, sempre in corteo ci dirigiamo verso Porta Venezia e ci uniamo alla manifestazione dei lavoratori che protestano contro la proposta governativa di abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. In quella giornata la lotta di chi si batteva per ottenere giustizia per i propri morti e malati si è unita a quella generale per la difesa dei diritti di tutti i lavoratori.
Nell’udienza del 23 ottobre 2002, il giudice dott.ssa. Elena Bernante nominava come periti del tribunale il prof. A. Cavalleri – docente all’università di Pavia, e il dott. Osculati (già consulente di parte della Montedison nel processo di Porto Marghera), mentre il nostro Comitato riconfermava consulente di parte il dott. Dario Medico.
La nostra determinazione nel perseguire l’obiettivo di ottenere giustizia per i nostri compagni di lavoro, uccisi e malati, ci avevano procurato nel frattempo molte simpatie, e non solo fra lavoratori e cittadini di Sesto San Giovanni.
Ormai le udienze del processo venivano seguite anche dai giornali nazionali e dalle televisioni, consentendoci di far arrivare la nostre voce molto oltre i confini della città.
È in questo periodo che entriamo in contatto con un gruppo di giovani attori “di strada”, la Compagnia degli Stracci. Questo incontro si rivelerà importante per entrambi: la realtà della fabbrica e lo sfruttamento operaio entreranno nei loro spettacoli, gli operai diventeranno a loro volta “attori”.
I ragazzi ci saranno vicini in tribunale, parteciperanno alle iniziative e alle manifestazioni del Comitato. Faremo molta strada insieme negli anni a venire.