www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - saggistica contemporanea - 29-06-05

Michelino - Trollio: Operai carne da macello

20. Non ci siamo arresi: portiamo in tribunale i dirigenti della Breda/Ansaldo

 

Il 6 febbraio 2003 il Giudice per l’Udienza Preliminare dott. Guido Salvini, questa volta su richiesta del  P.M. Edy Pinato, rinvia a giudizio 14 dei 19 dirigenti Breda/Ansaldo sotto accusa per l’omicidio colposo di Giancarlo Mangione -  operaio prima alla Breda Ferroviaria e poi all’Ansaldo - stroncato da mesotelioma pleurico.  Giancarlo faceva il “tracciatore”, tagliava le lastre di amianto con cui venivano coibentate le vetture ferroviarie.

Dei 19 indagati iniziali, le posizioni di 5 di essi  vengono archiviate. Fra i rinviati a giudizio appare nuovamente Vito Schirone, già imputato e assolto nel precedente processo. La nostra lotta ha contribuito a porre sotto processo un’intera generazione di grandi capi della Breda, gente che ricopriva incarichi autorevoli all’interno del Consiglio di amministrazione tra gli anni Settanta e Ottanta.

Per noi si tratta di un altro passo avanti nella lotta per ottenere giustizia, dopo che la Procura di Milano aveva tentato di archiviare (sono 19 le denunce archiviate) anche questa.

Le proteste organizzate dal nostro Comitato, le lettere inviate ai giudici contro le richieste di archiviazione sottoscritte da centinaia di lavoratori, le precise testimonianze rese al pubblico ministero dai compagni di lavoro di Giancarlo, sono servite.

Ai dirigenti viene contestata l’inosservanza delle norme sull’igiene e del lavoro e l’omissione delle misure che avrebbero potuto evitare, o quantomeno contenere, l’esposizione all’amianto dell’operaio deceduto: la ripulitura dei locali, l’installazione di aspiratori adeguati e controlli sanitari. Così scrive il giudice Salvini, nel dispositivo di rinvio a giudizio: «La condotta omissiva contestata agli imputati è di non aver adottato, sin dall’inizio degli anni ‘80, i provvedimenti tecnici e organizzativi, e soprattutto i dispositivi di aspirazione e umidificazione delle polveri di amianto, che avrebbero potuto contenere l’esposizione all’amianto».

Quando avevamo iniziato questa battaglia, undici anni prima, le grandi fabbriche di Sesto erano ancora tutte in attività, anche se in crisi. Allora prevaleva la paura che sollevando la questione della sicurezza nei reparti, si accelerasse la loro chiusura, con la perdita di migliaia di posti di lavoro. Cercando di “governare la ristrutturazione” Cgil-Cisl-Uil firmarono accordi che prevedevano cassa integrazione a perdere e licenziamenti, contribuendo alla dispersione dei cosiddetti “esuberi” sul territorio. Le fabbriche furono chiuse, i posti di lavoro persi, i lavoratori cominciarono ad ammalarsi e a morire.

 

Se ne va anche  Giuseppe Gobbo

Il 1° Maggio 2003, il Comitato con il suo striscione era al concentramento dei lavoratori alle ore 9.30 ai Bastioni di Porta Venezia a Milano in attesa che partisse la manifestazione.

Aspettavamo, tra gli altri, anche Giuseppe, partito pochi giorni prima con Giuseppina per la Sicilia. Sarebbe tornato per il corteo. Ma lui, sempre così puntuale, non c’è.

La manifestazione parte, sfiliamo per corso Venezia, fino a piazza San Babila. Squilla il cellulare di Michele: con le lacrime in gola Concetto ci dice che Giuseppe è morto, ha avuto un infarto.

Dopo un lungo  momento di incredulità – non è possibile, ci ha telefonato ieri, proprio lui così pieno di vita, doveva essere qui oggi, - arrotoliamo lo striscione e torniamo, col cuore pesante, a Sesto. Anche i ragazzi della Compagnia degli Stracci, che sfilavano con noi, ci seguono.

La brutta notizia gira in fretta. Nel pomeriggio decine di suoi ex compagni di lavoro, amici, soci del Comitato arrivano al Centro d’Iniziativa Proletaria  “G. Tagarelli”, la nostra sede.

Nel giorno della festa dei lavoratori, con Giuseppe Gobbo se ne andava una parte di noi. Giuseppe, sempre in prima fila, scanzonato, generoso e caparbio, se n’è andato a 59 anni. Come i suoi compagni di reparto portava nel corpo le conseguenze di anni di sfruttamento in mezzo a fumi e polveri d’amianto. Per tre volte era stato operato, e aspettava per la quarta volta un altro intervento chirurgico per cercare di vincere il male.

Scriviamo in fretta un manifesto: «In questi anni Giuseppe è stato sempre in prima fila nella lotta per affermare il diritto alla salute e ad una vita dignitosa. Giuseppe lascia un vuoto nelle nostre fila e nei nostri cuori.

Ci mancheranno i suoi occhi azzurri e il suo coraggio: ma ci lascia l’esempio di chi non si è mai arreso.

Con la scomparsa di Giuseppe abbiamo un motivo in più per continuare la nostra lotta contro lo sfruttamento capitalista, per ottenere giustizia per le tante, troppe, vittime del profitto.

Ciao Giuseppe!

Il tuo ricordo e il tuo esempio resteranno nella vita e nella lotta di tutti noi».

 

Giuseppe, che più volte  aveva detto che quando fosse toccato a lui voleva un funerale civile e la cremazione, ebbe una funzione religiosa e fu messo sotto terra.

Sabato 3 maggio a Segrate, paese alle porte di Milano, in una chiesa affollatissima dai suoi compagni e amici, si celebra il funerale.

In chiesa Isabella ed Erica, le figlie, leggono il manifesto con cui il Comitato  gli dà l’ultimo saluto. Il lungo corteo che si forma fuori dalla chiesa e che accompagna il feretro al cimitero è aperto da una bandiera rossa listata a lutto e da uno striscione, portato dai membri del Comitato.

Nei mesi seguenti ci accorgeremo quanto ci manca, ogni volta che qualcuno dirà “Giuseppe farebbe… Ci vorrebbe Gobbo...”.

Un altro  processo

Il 19 settembre 2003 al tribunale di Milano inizia il processo ai 14 dirigenti della Breda Ferroviaria/Ansaldo imputati di omicidio colposo per la morte di Giancarlo Mangione.

Per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, il Comitato organizza, con la  Compagnia degli Stracci, uno spettacolo teatrale davanti all’entrata principale del tribunale di Milano, per ricordare il dramma dei morti per amianto.

Alle 8.30 davanti a Palazzo di Giustizia, insieme agli ex compagni di lavoro e ai familiari che si apprestano ad entrare nell’edificio per presenziare alla prima udienza, ci sono anche molti cittadini milanesi che per una volta, venendo meno alla solita vita frenetica cittadina, assistono incuriositi allo spettacolo, perdendo un po’ del loro tempo, ma guadagnando qualche  momento di riflessione.

In serata, a Sesto San Giovanni, in Piazza Rondò si replica lo spettacolo di strada con un breve intervento sul processo.

Il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio - nato fra gli operai della Breda per ricercare e combattere le cause dei continui decessi dovuti all’amianto e alle sostanze cancerogene presenti nelle lavorazioni in fabbrica - è andato oltre. Ha allargato i propri confini d’azione, dando voce anche a chi non l’aveva più, raccogliendo adesioni fra altri lavoratori e quella parte di popolazione residente che condivide i principi e le ragioni di sicurezza, in una zona dove è stato riscontrato proprio fra gli abitanti un aumento dell’incidenza di tumori.

Alla vigilia dell’apertura del nuovo processo, sul quotidiano di Monza “il Cittadino”, la giornalista Bianca Folino, dedicando una pagina del giornale alla lotta del comitato pubblica tre interviste a membri del Comitato: Michele, ex operaio della Breda; Antonella, figlia di un operaio deceduto per tumore e Antonia, vedova di Giambattista Tagarelli. Riportiamo le ultime due.

 

La storia di Cesare Crippa, deceduto per tumore. Adesso parla la figlia

«Non si preoccupavano della sua salute»

Cesare Crippa si alzava tutte la mattine alle quattro e a piedi raggiungeva, da viale Libertà dove abitava, il centro di Monza per prendere il pullman che lo portava alla Breda... “È morto a 59 anni, nel 1979 a causa di un tumore al polmone. Io avevo solo 15 anni, a quell’epoca non era semplice percepire la pensione, passavano anni e mia madre ha dovuto davvero fare salti mortali” narra la figlia Antonella, attualmente avvocato e membro fondatore del comitato per la salute. “Sono la figlia di un operaio della Breda, l’offerta di Tagarelli di far parte del comitato come fondatore mi ha riscattato dal dolore della morte di mio padre e mi ha fatto ritrovare una famiglia” dice la figlia di Crippa spiegando che il caso di suo padre è esplicativo “perché mette in luce come non ci sia stata una volontà aziendale di preoccuparsi della salute dei lavoratori”. Dopo 40 anni di lavoro, Cesare Crippa ha ottenuto il cavallino d’oro della Breda, il cavalierato.  Solo che Crippa continuava ad accusare dolori e dopo una serie di accertamenti, nel marzo del 1979 gli è stato diagnosticato un tumore al polmone, esteso armai all’apparato osseo, causa della sua morte che risale ad agosto del ’79. “È stato un doppio tradimento, anche se allora lui non se n’è reso conto – continua la figlia – per lui era un’ottima azienda, un’impresa solida che gli garantiva un buon salario, tanto che quando è morto era ancora attivo, stava lavorando. Non poteva sentirsi tradito e nemmeno noi, che come lui credevamo nel valore supremo del lavoro; abbiamo iniziato a capire anni dopo, con il comitato che ha il merito di aver dato voce anche a persone come mio padre che sono morte, prima di poter parlare”.

Non c’è traccia di rabbia nel racconto di Antonella che vuole sottolineare come “il controllo a cui il comitato viene sottoposto dalle forze dell’ordine, forse andrebbe fatto anche sui luoghi di lavoro, perché gli infortuni e le malattie hanno un costo sociale elevatissimo”. La condanna della figlia di Crippa per la dirigenza aziendale è di tipo morale: “possibile che non conoscessero i lavoratori, gli conferissero medaglie senza conoscere le difficoltà che incontravano per recarsi al lavoro?”. Ed anche lei, come molti altri da questa vicenda, non vuole altro che “arrivare alla verità”.

Anche Antonia Tansella esprime il suo stato d’animo: «Spesso cedo alla rabbia per il male che ho subito». “Faccio quello che posso per il comitato e lo faccio per mio marito, anche se sono emotiva e spesso cedo alla rabbia per tutto il male che ci è stato fatto”. Antonia che abita a Monza da un anno è la vedova di Giambattista Tagarelli, classe 1944, il fondatore del comitato. La sua storia è semplice e narra di un uomo per cui il lavoro era un valore supremo: “È morto per la Breda, è morto con la preoccupazione di lasciarmi senza risorse e con il comitato tra le sue ultime parole” racconta Antonia.

Tagarelli era un dipendente Breda. Senza sapere di essere malato, ha contratto in tumore linfatico nel 1992, Giambattista Tagarelli proprio in quegli anni si è accorto che molti dei suoi colleghi, che lavoravano con lui nel reparto “aste” della Breda, iniziavano ad ammalarsi. “C’era un giovane ragazzo , amico di mio marito, che aveva smesso di fare il parrucchiere, perché allergico alle sostanze usate ed è stato assunto in Breda – racconta la moglie – ha sofferto anni per morire di un tumore all’intestino. È stato allora che Giambattista si è arrabbiato ed ha deciso che era ora di fare qualcosa”. Dopo aver fondato il comitato con l’attuale presidente Michele Michelino, ha continuato a lavorare fino all’ultimo, fino al ’99, anno in cui è morto. Ma il suo caso è stato archiviato, perché “non sono stati trovati nessi tra il suo male e l’amianto” continua Antonia, convinta che un nesso c’è, “perché non è stato l’unico ad ammalarsi, in Breda venivano utilizzati altri prodotti nocivi, oltre all’amianto”. Antonia, proprio grazie al comitato, è riuscita ad ottenere la pensione del marito. “Mi sono stati vicini, mi hanno aiutato e io cerco di fare quello che posso, proprio per mio marito – conclude Antonia – perché non si può morire lavorando”. Spesso, le conseguenze sociali di questi eventi hanno un alto prezzo che viene pagato dalla famiglia, come spiega Antonia: “mio figlio aveva solo 19 anni quando mio marito è morto, per anni non è riuscito nemmeno a nominarlo”. 

Il 2 ottobre 2003, si tiene la seconda udienza del processo per l’omicidio di Giancarlo Mangione. Presenti come sempre un gruppo di ex compagni di lavoro, familiari e membri del nostro Comitato.

I numerosi difensori dei dirigenti imputati, una ventina,  presentano una serie di eccezioni, tra cui la richiesta di nullità del processo e quella di spostarlo per competenza al tribunale di Monza. Sandro Clementi, avvocato della famiglia Mangione, oltre ad opporsi a tutte le eccezioni dei difensori dei dirigenti Breda/Ansaldo, chiede la costituzione di parte civile del nostro Comitato, richiesta questa volta appoggiata anche dal Pubblico Ministero dott. Luca  Poniz.

Dopo una lunga camera di consiglio il nuovo giudice, dott. Ambrogio Moccia,  (subentrato al precedente, che si era dichiarato incompetente…) respinge tutte le eccezioni dei difensori dei dirigenti, ma non ammette  la costituzione di parte civile del Comitato, con la motivazione che il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio - esistente da più di 10 anni – si è costituito formalmente solo nel 1997, cioè posteriormente ai fatti denunciati e quindi non ha avuto un danno.

Ancora una volta il Comitato che - con  le sue inchieste sulle cause delle morti sospette di tanti operai in fabbrica, con la sua ricerca della verità, con la sua lotta - ha costretto la Procura della Repubblica ad aprire un altro processo, ne viene estromesso. Ciò nonostante un altro passo avanti è stato fatto: questo processo si farà e si farà davanti al tribunale di Milano.

 

 

Le testimonianze

 

Luciana Franchini, 73 anni, vedova di Giancarlo Mangione.

Mangione faceva il tracciatore, preparava le lastre che servivano a coibentare le carrozze ferroviarie. Nel ’94, quando ormai era in pensione da anni, i primi sintomi. Dopo trent’anni a contatto con l’amianto, un cancro ai polmoni (il mesotelioma pleurico) che gli faceva sputare sangue l’aveva portato via in poco tempo.

Nell’udienza de 28 novembre 2003, Luciana risponde alle domande del Pubblico Ministero dott. Pietro Basilone, ricordando la vita lavorativa del marito. «Giancarlo è entrato alla Breda nel ’55 e c’è rimasto come operaio fino al ’71. Era a contatto con l’amianto tutti i giorni... Dove lavorava lui era pieno di polvere, ma cappe di aspirazione non ce n’erano. Il sabato, quando me la riportava da lavare, la sua tuta non era più blu, ma completamente bianca…E’ andata avanti così, fino a quando è stato promosso impiegato.Ma anche dopo doveva comunque controllare le macchine e gli uomini, a contatto con l’amianto c’è stato ancora…All’inizio il medico gli diagnosticò una semplice polmonite, prescrisse l’antibiotico e gli disse di avere pazienza».

Anche Ornella, la figlia, ripercorre il calvario del padre.

«Mezzi di protezione non ne aveva, solo l’elmetto e le scarpe. Spesso l’ho sentito lamentarsi delle condizioni dell’ambiente di lavoro. Non sopportava più le polveri e nemmeno il rumore».

 

Nell’udienza del 24 febbraio 2004 viene chiamato a deporre il teste Danilo Ferrati: “Sono stato assunto alla Breda Termomeccanica (poi Ansaldo) il 28 febbraio 1980. Lavoro tuttora presso questa società, che ha cambiato ragione sociale, con la mansione di operaio. Sono delegato sindacale e responsabile alla sicurezza per i lavoratori. …Io stesso ho utilizzato l’amianto nel reparto serpentine in cui lavoravo, … come responsabile alla sicurezza per i lavoratori, ho ricostruito attraverso i documenti e attraverso il racconto di altri lavoratori, l’utilizzo dell’amianto fatto nel corso degli anni. Su questo ho avuto anche un’esperienza diretta recentissima, che è quella relativa ad alcune segnalazioni fatte alla A.S.L. per la presenza di amianto in questi ultimi anni in azienda, in quello che è rimasto dell’azienda. … l’amianto utilizzato era essenzialmente di tre tipi, con utilizzo diretto…erano costituiti da rotoli di tessuto a base di amianto che veniva utilizzato principalmente come coibente termico nelle lavorazioni. Aveva due scopi: uno era quello di rivestire i pezzi che venivano saldati a caldo, a caldo vuol dire una temperatura di lavorazione compresa tra i 150 e i 200 gradi. Per cui l’amianto serviva per coprire questi pezzi, per evitare un raffreddamento troppo violento e troppo breve nel tempo che poteva far rompere le saldature. Veniva utilizzato anche come protezione per i lavoratori, proprio come barriera coibente termico, cioè tra il calore del pezzo e il lavoratore.

… In prossimità delle parti da saldare, i pezzi venivano ricoperti con questi teli di amianto o con cuscini che erano anche questi ricoperti di amianto… l’amianto era utilizzato anche come base fondamentale per le guarnizioni…tipo i bruciatori delle caldaie. Poi c’è una presenza invece di amianto a diversi livelli nella struttura della fabbrica. Questo, faccio un esempio, sicuramente nei ferodi frenanti delle gru, la cui rimozione è stata ultimata non più tardi di un anno fa… erano di amianto le guarnizioni che sono state sostituite non più di un anno e mezzo fa, le guarnizioni dei forni per il trattamento termico, così come di amianto le guarnizioni interne delle valvole dei forni… la bendazione delle caldaie e delle tubature… per quanto riguarda la coibentazione dei vagoni ferroviari, l’amianto era utilizzato… soprattutto sotto forma di tessuti, cuscini, nelle produzioni, in particolare per quanto riguarda l’amianto che veniva utilizzato col calore si deteriorava… veniva preso e buttato nei cassoni o del rottame dell’immondizia…per consentire i controlli… veniva pulito con l’aria compressa o con le scope, si toglieva quello che c’era sopra per pulire… questo provocava nuvole di polvere, polvere in cui c’e dentro un po’ di tutto, la molatura, l’amianto. L’amianto, l’abbiamo utilizzato sicuramente fino al 1986-87.

La polvere di amianto ha una caratteristica particolare… è di colore biancastro ed è molto più morbida delle polveri di molatura.

L’unica e la prima informazione precisa relativamente ai rischi causati dall’amianto, è stata fatta dall’azienda nel 2000/2001. Ho segnalato personalmente alla ASL di competenza il decesso di 4 lavoratori per mesotelioma su segnalazione ricevuta da conoscenti, compagni di lavoro e in un caso, dalla famiglia direttamente... Devo aggiungere proprio una cosa, una segnalazione che mi è stata fatta proprio non più di 3 giorni fa dalla famiglia di un quinto lavoratore anch’esso morto per mesotelioma… dopo le visite fatte nel ’99 a 14, 15 lavoratori   sono state trovate le placche pleuriche…”

 

Teste dottor Curatolo Roberto dello SMAL: “… Il nostro servizio, lo Smal, si chiamava così allora il servizio di medicina preventiva per gli ambienti di lavoro, all’epoca non aveva una funzione… non era un organo di vigilanza, ma aveva solo compiti di tipo conoscitivo… Sì, abbiamo riscontrato una percentuale di affezioni dell’apparato respiratorio che potevano andare dalla bronchite semplice alla bronchite, alla bronchite cronica, sia di tipo ostruttivo che misto, in una percentuale che se non ricordo male, era attorno al… mi pare 13%, che era una percentuale decisamente superiore a quella che si trova nella normale popolazione, che è attorno al 4-5%. L’Ansaldo, che nel frattempo aveva assorbito la Breda, ci inviò questo tipo di documentazione in cui dichiarava che il signor Mangione non era mai stato a contatto con attività che lo mettessero a rischio di amianto. In particolare, se non ricordo male, si diceva che aveva svolto per circa 20 anni attività di tornitore, e alla Breda Ferroviaria, azienda che peraltro noi non abbiamo mai visto, perché ha concluso la sua attività nel ’71. Poi alla Breda Termomeccanica, mi pare un paio d’anni come tracciatore, e poi con un’attività più tecnica.

Mi si diceva anche che non erano in grado di produrmi nessuna documentazione di tipo sanitario e… decidemmo comunque di informare la Procura di quelli che erano gli esiti della nostra indagine che non consentiva, sulla base degli elementi che avevamo, di mettere in certa relazione la patologia con l’attività lavorativa”.

 

L’aiuto più grande ai dirigenti Breda-Ansaldo venne proprio da un consulente della Procura, considerato “super partes”, il prof. Giuseppe Rivolta, della Clinica del Lavoro di Milano. Non ce ne meravigliammo troppo. Consulente della Procura anche nel precedente processo contro i due dirigenti della Breda Vitantonio Schirone e Umberto Marino, il prof. Rivolta era arrivato a dichiarare che la causa dei tumori che avevano stroncato gli operai, più che l’amianto, sarebbe stata l’uso dei coloranti e conservanti degli alimenti!

Questo medico, a prima vista molto disponibile e amichevole, a cui si erano rivolti con fiducia 119 ex operai della Breda-Ansaldo per farsi visitare (al 13% di essi furono riscontrate  placche pleuriche) fornì, forse involontariamente, agli avvocati dei dirigenti molti spunti su cui fare le loro arringhe difensive. La sua affermazione che, a seguito dell’indagine condotta nel 1999 sui dipendenti di quella società, era stata esclusa la presenza di mesoteliomi sui lavoratori visitati, fu usata più volte.

Il 12 marzo 2004, il professore Rivolta, incaricato dalla Procura della Repubblica di Milano di relazionare sulla patologia di Giancarlo Mangione, dopo aver evidenziato la sicura esposizione del lavoratore all’amianto (“è un dato incontrovertibile”, conclude) durante la sua lunga attività professionale presso la Breda Ferroviaria (che produceva carrozze, coibentate, dagli anni ’50 agli anni ’90, con amianto), fa affermazioni che tendono a scagionare i dirigenti della Breda-Ansaldo imputati.

Egli sostiene la tesi che per calcolare l’inizio del periodo di latenza (cioè quando il lavoratore è venuto a contatto con quelle fibre di amianto che, trenta o quarant’anni dopo avrebbero scatenato il mesotelioma) si deve far riferimento alla prima esposizione ad amianto, in quanto ”la seconda caratteristica fondamentale del mesotelioma è costituita dall’avvio del meccanismo patogenico nel breve intervallo di tempo immediatamente successivo all’inizio dell’esposizione. Infatti il processo attraverso il quale la inalazione delle fibre di amianto innesca il meccanismo di sviluppo del mesotelioma si avvia subito dopo l’inizio dell’esposizione. (…) Si può concludere affermando che, sulla base di numerose osservazioni in letteratura, la durata dell’esposizione lavorativa che risulta sufficiente a innescare il mesotelioma può essere indicata nell’arco del primo biennio di lavoro”.

Questa tesi sostenuta, secondo lui, dalle scuole di medicina del lavoro di Milano e Torino – nel resto del mondo gli scienziati la pensano diversamente - afferma che “un’altra caratteristica fondamentale del mesotelioma… è la mancanza di apprezzabili influenze peggiorative delle ulteriori eventuali esposizioni…Poiché è ben accertato che l’amianto può agire sia come iniziatore sia come promotore nella genesi del mesotelioma, poiché la prima dose necessaria ad iniziare il meccanismo patogeno persiste indefinitamente nel tessuto ed è pertanto in grado di influenzare tutte la fasi del meccanismo successivo fino a promuovere l’esplosione finale della proliferazione tumorale e poiché è noto da tempo che il mesotelioma può essere provocato da esposizioni brevi e lontane nel tempo, si deve affermare che mancano prove scientifiche documentate che ulteriori esposizioni oltre a quella innescante abbiano rilievo nell’aumentare la probabilità di comparsa del tumore”.

Tradotto in parole semplici, una volta che il lavoratore, nei primi due anni, ha respirato proprio quella fibra, non ha nessuna importanza se ne respirerà altri milioni nel corso dei trenta o quaranta anni  successivi: ormai è condannato e nessuno – meno che mai i padroni – può farci più niente!. Anzi, è del tutto inutile che gli forniscano mascherine o aspiratori.

Il consulente tecnico afferma inoltre che, negli anni ’70, i medici del lavoro non si curavano di questo rischio, relativo al mesotelioma, poiché i dati relativi a questa specifica patologia da amianto sono emersi solo alla fine degli anni ’80… e pur riconoscendo che questo tumore era sicuramente di natura professionale, esclude che fosse prevedibile o prevenibile: “il caso di mesotelioma riscontrato non era prevedibile, ed era prevenibile soltanto con un abbattimento delle concentrazioni atmosferiche tanto spinto da non essere ancora stato raggiunto neppure oggi in molti ambienti di lavoro e di vita. Infatti soltanto la legge n. 257/1992 tenta di eliminare alla radice il rischio specifico” .

Con l’affermazione che la malattia si contrae nei primi due anni di esposizione,  tutti i dirigenti processati non sono imputabili, in quanto quelli dei primi due anni della vita lavorativa del lavoratore Mangione erano ormai deceduti.

L’argomentazione  era troppo ghiotta perché anche i consulenti della difesa non la sfruttassero. In questo modo i dirigenti Breda avevano trovato un alleato insperato nel consulente della pubblica accusa e cercarono di sfruttare la situazione.

Naturalmente tutti i consulenti della difesa sostenevano quella tesi, che salvava i loro clienti. Prima fra tutti la dott.ssa Piga dell’istituto di Medicina Legale dell’Università degli Studi di Milano che - nonostante dal ’92 collabori con il Tribunale per l’accertamento del nesso causale tra patologie professionali ed esposizioni lavorative - come molti altri suoi colleghi, in mancanza di un codice deontologico, lavora indistintamente al servizio di interessi contrapposti.

 

 

L’11 marzo 2004, mentre il processo continua, accade un fatto importante.

Durante i lavori di smantellamento di un capannone l’ASL mette sotto sequestro per l’alta concentrazione di amianto alcuni capannoni della ex Breda, ora Metalcam, dove lavoravano prima della chiusura della fabbrica centinaia di lavoratori della Forgia e della Fonderia, molti dei quali  sono morti ed altri sono malati.

Così - ora che i reparti sono vuoti - si scopre che la situazione è talmente pericolosa da costringere l’ASL a mettere i sigilli sull’area… se la situazione non fosse tragica, ci sarebbe da ridere.

Così Patrizia Longo scrive  su Il Giorno dell’11 marzo 2004: “Uno stabilimento ex Breda sotto sequestro, per presenza di amianto ben superiore ai limiti di legge. La prova provata, secondo gli operai sestesi, di quanto urlato invano da anni: in fabbrica i lavoratori morivano e ancora muoiono di tumore, causato da quella sostanza cancerogena. I sigilli nell’ex capannone Forgia della Breda Fucine, attualmente di proprietà della Metalcam e dimesso da un anno, sono stati apposti dal Dipartimento di Prevenzione dell’ASL Milano 3 a seguito di un controllo effettuato durante i lavori di smantellamento dell’edificio industriale. La concentrazione di fibre di amianto, infatti, superava i limiti consentiti dalla legge, le procedure seguite per lo smaltimento del silicato non erano corrette e la proprietà deve presentare un apposito piano di bonifica… Il fantasma della morte aleggiava in quei reparti e spaventa ancora i lavoratori della Metalcam, l’azienda bresciana che dal ‘96 ha acquistato parte degli impianti produttivi (dai trattamenti termici alle lavorazioni a caldo di forgiatura) dell’ex Breda Fucine. “Un anno fa lavoravo in quel capannone dimesso, sigillato dall’ASL – racconto Rocco Daraio, 43 anni – e prima di me ci lavorava mio padre, che è morto di tumore ancor prima di arrivare alla pensione. Fino a un mese fa, con i miei compagni, ci andavamo a bere il caffè: c’era la macchinetta delle bevande calde, ci fermavamo lì in pausa, anche quando erano iniziati i lavori di smantellamento”. Gli operai non nascondo la loro paura: “Preoccupato?

E come faccio a non esserlo – aggiunge Daraio – Ci sono stati tanti morti, chissà quanti altri ce ne saranno”. Nessuno può saperlo: una sola fibra di amianto inalata può scatenare un tumore, anche a distanza di decenni.

 

 

 

Nell’udienza del 5 maggio 2004 viene chiamato a deporre - per la parte civile - il teste Totire Vito, medico del lavoro dal 1978, dirigente medico presso l’ A.S.L. città di Bologna, che esprime pareri scientifici  profondamente diversi.

Sulle tre questioni: latenza, conoscibilità e effetti delle esposizioni multiple nel tempo.

Latenza: i tumori, e i tumori professionali in particolare, hanno abitualmente una latenza abbastanza lunga rispetto alle altre malattie però è ovvio che esistono delle variazioni da sostanza a sostanza e da tumore a tumore. In questo quadro i tumori da amianto hanno latenze diverse a seconda della sede dell’organo bersaglio, quindi volendo limitare l’organo bersaglio all’apparato polmonare, che non è in realtà l’unico organo bersaglio dell’amianto, per quanto riguarda specificamente l’apparato polmonare i tempi di latenza sono, anche in questo caso, differenti nel senso sono più brevi per quanto riguarda il carcinoma, il tumore polmonare e più lunghi per  quel che riguarda il mesotelioma della pleure. Nello specifico la latenza del mesotelioma della pleura, o dei mesoteliomi in genere, perché ovviamente ci sono mesoteliomi che colpiscono anche altri distretti corporei oltre che alla pleure polmonare, direi  che la latenza, intendendo per latenza il tempo trascorso tra l’inizio dell’esposizione e il manifestarsi della malattia, è abitualmente dell’ordine di qualche decennio.

Anche qui ovviamente ci sono delle grosse variazioni che sono in rapporto ad alcune variabili, le variabili possono essere il livello di esposizione, le modalità dell’esposizione se continua o alternata, c’è qualche fattore di suscettibilità individuale… di solito la media è di 20/30 anni, naturalmente ci sono casi nei quali la latenza può essere inferiore o superiore.

La conoscibilità: il primo elemento certo di una azione cancerogena dell’amianto, in questo caso sul polmone, risale al 1935… Gloyne, Linch e Smith, questi tre studiosi descrivono, in particolare Linch e Smith, un tumore polmonare in un soggetto già ammalato precedentemente di asbestosi, però non correlano il tumore, non considerano il tumore come una complicanza dell’asbestosi, cioè come una patologia che si può installare solo su un polmone ammalato di asbestosi. Associano invece l’insorgenza del tumore all’azione irritativa prima, nel caso specifico parlavano di un lavoratore esposto a fibre ed azioni irritanti di tipo vegetale e poi ad azione irritante costituita dalle fibre di amianto. … Oggi possiamo dire che l’asbestosi è sicuramente una patologia dose - dipendente, cioè che insorge quasi sempre per esposizioni massicce all’amianto; la stessa cosa non si può dire per il tumore polmonare e non si può dire per il mesotelioma della pleure, che sono due patologie per la cui insorgenza non è necessario che la persona sia stata esposta ad un tale livello, più o meno alto, di esposizione a fibre di amianto.

Gli effetti delle esposizioni successiva di amianto… In maniera lampante per il mesotelioma della pleura, per i mesoteliomi in genere, in maniera chiara anche per il tumore polmonare, non esiste un livello di esposizione, per quanto basso, che possa essere considerato sicuro. Tuttavia la comunità scientifica mi pare che oggi concluda in maniera unanime sul fatto che, salvo questo principio, all’aumentare della dose aumenta la risposta oncogena. Quindi se io sono esposto a un livello più alto di amianto, se una coorte di lavoratori o di cittadini viene esposta a un livello più alto di amianto, una soglia di sicurezza verso il basso non esiste, ma più aumenta l’esposizione e più sarà alta l’incidenza di tumori polmonari o di mesotelioma della pleura o del peritoneo.

… purtroppo dal momento in cui si è già manifestata la patologia in poi quello che succede … può avere una influenza non apprezzabile, perché la storia naturale della malattia non riesce ad essere contrastata da interventi terapeutici. Allora siccome dal momento in cui viene fatta la diagnosi la speranza di vita, insomma detto brutalmente, magari non lo diciamo con la stessa franchezza al paziente, la speranza di vita è estremamente breve, la durata di vita media non supera i due anni, ecco… in quel momento diciamo non si riesce ad apprezzare se una ulteriore esposizione può avere una influenza, perché ormai la persona ha perso la sua capacità lavorativa, viene allontanata inevitabilmente da tutte le fonti di rischio anche meno aggressive.

Protezioni? … indubbiamente nei decenni passati non si poteva contare su dispositivi di protezioni individuali per le vie respiratorie che avessero l’efficienza di quelli che oggi chiamiamo filtri assoluti o filtri a protezione P3. … questa ricostruzione ci dice che dagli anni ’30, soprattutto anche come ricaduta del tipo di ricerca che si faceva sull’utilizzo in condizioni belliche, dagli anni ’30 in poi c’è stata una crescita progressiva.

… dico,  da ufficiale di polizia giudiziaria… io lavoro in un servizio territoriale che fa vigilanza nei luoghi di lavoro e lavoro dal ’78,  l’impostazione che noi abbiamo sempre seguito coerentemente in particolare col DPR 303 del ’56, è stata orientata sempre non al non superamento di un certo limite proposto da questa o quest’altra agenzia istituzionale, ma a quello di ridurre il più possibile verso lo zero l’inquinamento”.    

    

La richiesta di condanna dei P.M.

 

Il 1° luglio 2004 la procura di Milano, rappresentata dai Pubblici Ministeri dott. Poniz e dott. Basilone, chiede la condanna a 18 mesi di reclusione per 9 dei 12 dirigenti sotto processo.

Le udienze successive sono monopolizzate dai numerosi difensori dei dirigenti che cercano di smontare le nostre tesi e guadagnarsi le parcelle pagate dai loro clienti. Le argomentazioni sono sempre le stesse, le conosciamo ormai bene (i dirigenti non c’entrano, non sapevano, non era loro competenza…), salvo l’ultima: le testimonianze della vedova e della figlia del lavoratore deceduto, seppure in buona fede, sarebbe falsate, perché si sa… i soldi dell’eventuale risarcimento  possono far gola e spingere a dire cose non vere… A questo punto è davvero troppo, lasciamo l’aula per protesta.

Nell’ottobre 2004, dopo aver negato per anni l’esistenza dell’amianto nella ex Breda Fucine, (azienda i cui dirigenti - portati in tribunale nel primo processo - erano stati assolti  perché secondo il giudice non era provato che ci fosse una quantità di amianto tale da creare un nesso tra l’amianto stesso e le morti dei lavoratori) l’amministratore delegato della Metalcam (ditta che aveva  rilevato nel 1996 la Nuova Breda Fucine), avendo la necessità di ridurre il personale in “esubero”, così scrive in una lettera indirizzata all’INAIL di Sesto e alla RSU della fabbrica:

 

«… Con riferimento alle richieste di benefici previdenziali, a voi presentate, per i lavoratori esposti ad amianto art.13 comma 8, della legge n. 257/92 modificato dalla legge N. 271/93, si vogliano prendere in considerazione le seguenti chiarificazioni e formulazioni, al fine di riconoscere i benefici previdenziali a tutte le figure aventi diritto:

La società Metalcam S.p.A. con sede in Breno (Bs) via L. da Vinci, 3 con la presente dichiara d’aver rilevato, nel mese di gennaio 1996, la ditta “Nuova Breda Fucine” con sede a Sesto San Giovanni in via Venezia 3/7, in liquidazione coatta amministrativa.

Contemporaneamente ha assunto, con passaggio diretto, 48 lavoratori provenienti dalla stessa ditta.

Verosimilmente nel periodo antecedente l’acquisizione, sulla base di ricostruzioni storiche e conoscenze approfondite di settori produttivi omogenei con quelli svolti nelle fabbriche di Sesto San Giovanni, negli anni ’70 e fino alla fine degli anni ’80 si può tranquillamente desumere che vi fosse un’alta concentrazione di materiale in fibra d’amianto.

Peraltro tracce residuali, sia pur molto al di sotto delle soglie previste dalle normative vigenti, sono state rintracciate e regolarmente smaltite anche negli anni di nostra gestione.

Sempre valendosi di testimonianze e ricostruzioni storiche si evince che i dipendenti, nei suddetti periodi (anni ’70-80), erano stati edotti dall’azienda sui potenziali rischi annessi all’utilizzo di materiali contenenti amianto.

All’interno dell’azienda si è effettuata una bonifica degli impianti contenenti amianto conclusasi nel 1991-1992 e sempre in tali date si è definitivamente sospeso l’impiego di prodotti a base d’amianto.

Sulla base di quanto esposto si ritiene possano essere ammessi a godere dei benefici di legge tutti i dipendenti impiegati nella ditta “Nuova Breda Fucine” prima dell’anno 1992 e più nel dettaglio, per quanto di ns. competenza, tutti i lavoratori ex Breda con tali requisiti oggi dipendenti Metalcam.

Distinti saluti

Metalcam S.p.A.

Amministratore Delegato

Rag. Mario Cocchi

 

 

Dopo che per anni i padroni della Breda Fucine e i loro dirigenti hanno negato o minimizzato l’esistenza del pericoloso minerale cancerogeno perché riconoscerlo andava contro i loro interessi, è proprio un altro padrone - sempre per i suoi interessi, stavolta contrapposti - che lo riconosce.

 

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