Convegno
su Pietro Secchia - Torino 16/04/05
Intervento di :
Nori
Brambilla Pesce,
al convegno
LA RESISTENZA ACCUSA- Pietro Secchia antifascista, partigiano, comunista,
Torino, 16 aprile 05
Le donne partigiane
Ricorre
il 60° anniversario della Resistenza, se ne parla molto, numerose le
iniziative, ma spesso si dimentica o si sottovaluta il grande contributo dato
da centinaia, migliaia di donne.
La lotta antifascista, la guerra di Liberazione infatti videro la
partecipazione delle donne italiane come fenomeno di massa, non pù limitata a
ristrette elites.
Operaie, impiegate, intellettuali, contadine, casalinghe, artigiane infermiere,
donne medico, studentesse, cuoche.
Furono tante, anche se di poche di loro si parla nei libri si storia.
Vorrei brevemente soffermarmi su un aspetto, quello che riguarda le famose
“staffette”, forse la figura più leggendaria di tutta la Resistenza, come le
definisce Pietro Secchia in una famosa lettera: “il Partito Comunista alle
compagne staffette” nell’ottobre 1944.
Permettetemi una curiosità.
Nel dizionario italiano alla voce “staffetta” si legge: “messaggero a cavallo
motorizzato che porta ordini” oppure “treno, quello formato spesso dalla sola
locomotiva che precede il convoglio speciale”. Certo, le nostre staffette non andavano
né a cavallo (e invece ci fu proprio una staffetta che a cavallo in Piemonte
raggiunse in montagna la base della sua Brigata) né erano motorizzate, erano
combattenti partigiane come gli uomini.
Ma torniamo a Pietro Secchia, alla sua lettera alle staffette dove scrive: “il
tuo lavoro è indispensabile, senza di te le direttive resterebbero lettera
morta, le informazioni non potrebbero giungere nelle diverse regioni d’Italia,
ai milioni di combattenti che lottano nelle officine, nelle città, negli uffici,
nelle valli e sui monti, ovunque lottano i patrioti i volontari della libertà”.
La staffetta, quasi sempre una giovane ragazza, che per questo a volte forse
può muoversi, passare più facilmente in mezzo alle forze del nemico, è la
struttura portante, il cuore dell’intera organizzazione delle forze di
combattimento e il suo lavoro, come dice Secchia, è indispensabile alla vita
delle Brigate.
Nelle sue sporte vengono nascoste le armi, il materiale di propaganda, la
stampa.
In sella all’inseparabile bicicletta nelle città o a piedi in montagna,
percorre chilometri e chilometri per portare a termine le missioni affidate, i
messaggi, le disposizioni dei Comandi. Una di loro scrive nelle sue memorie:
“la vita della staffetta non era una vita comoda e c’era ben poco di
romantico”.
Un lavoro delicato e duro, quasi sempre pericoloso.
Secchia ha anche parole di riconoscimento: “tu devi essere orgogliosa del tuo
lavoro quando sotto il peso ingombrante del materiale che tu porti, sali per
scoscesi pendici di un monte, attraversi un torrente in piena, talvolta sotto
la pioggia e l’infuriare del vento, quando pigiata in un treno trascorri in
piedi lunghe ore e giornate intere costretta sovente a passare le notti nelle
stazioni o in aperta campagna, sfidando anche i pericoli dei bombardamenti
oltre che del nemico nazista in agguato. Magari ti chiedi: a che cosa ti serve
questa faticosa corvee alla quale mi sottopongono per portare questi pacchi e
talvolta anche solo una busta?
Compagna corriera, tu devi pensare che il tuo lavoro è più che importante, è
indispensabile. Spesso in quella piccola busta che tu nascondi, vi è la salvezza, la vita di centinaia di
uomini, di partigiani. Una informazione giunta a tempo può essere alle volte
decisiva per un’azione vittoriosa, per assestare un duro colpo al nemico, per
evitare una attacco di sorpresa ai nostri valorosi partigiani. Spesso nel pacco
che tu porti vi sono i mezzi necessari ai nostri eroici gappisti per compiere e
portare a buon fine le loro azioni”.
Qui Secchia ricorda i Gappisti, la figura ancora più particolare infatti è
quella della staffetta gappista.
Si sa chi erano i GAP, gruppi di patrioti, di combattenti che non diedero mai
tregua al nemico, lo colpirono sempre in ogni circostanza, nelle strade delle
città, nel cuore dei loro fortilizi. Con le loro azioni i gappisti sconvolsero
più volte l’organizzazIone nemica, giustiziando ufficiali nazisti e
repubblichini, spie, delatori, attaccando convogli stradali, distruggendo
parchi di locomotori, incendiando parchi di aerei sui campi di aviazione.
Era necessario possedere coraggio, freddezza, audacia, tempestività, anche
astuzia, tutte qualità che le componenti femminili dei GAP ebbero in vasta
misura, così scrive un famoso comandante dei GAP.
E dice: “le gappiste svolgevano un servizio attivissimo d’informazione, di
approvvigionamenti, d’infermeria, ed anche una specifica attività militare, non
solo studiando le abitudini di fascisti e nazisti, i particolari topografici di
un posto, fornivano ai gappisti elementi indispensabili per elaborare un piano
di attacco, spesso partecipavano direttamente alle azioni armate.
Nei compiti che svolgevano, non si scostavano molto dai quelli degli uomini, ma
a differenza di questi, era loro preciso impegno il trasporto delle armi.
Ciò significava rischiare quotidianamente la vita ancor più dell’uomo perché
coloro che venivano presi con le armi addosso c’era la fucilazione immediata o
l’arresto e le torture.
Furono numerose. Come quelle che parteciparono a Bologna alla battaglia a Porta
Lame.
Per tutte vorrei ricordare Carla Cappone e Marisa Musu che parteciparono a Roma
all’azione di Via Rasella.
Fra le donne che scelsero l’azione armata vorrei ricordare che il 1°
distaccamento di donne combattenti sorse in Piemonte alla metà del ’44 presso
la Brigata garibaldina “Eusebio Giamone”; a Genova se ne costituì un altro che
prese il nome di una patriota fucilata da fascisti; un battaglione femminile fu
organizzato nel biellese nell’inverno ’44 tra le operaie tessili della Brigata
“Nedo”.
Abbiamo detto che non tutte parteciparono direttamente ai sabotaggi o alla
liquidazione delle spie e gerarchi, ma i loro compiti non furono certamente
meno importanti dei loro compagni che combatterono con le armi alla mano.
Poi nella Resistenza sappiamo che vi sono state quelle centinaia di donne dei
“Gruppi di difesa”, che, senza armi assicurarono la vita delle Brigate con
raccolta di denaro, indumenti, cibi, cure in caso di malattie o di feriti in
combattimento, recapiti per le Brigate, rifugi in caso di bisogno.
Concludendo, ricordare questa storia non vuol dire limitarsi a rievocare una
storia lontana, vuol dire intendere meglio il presente oggi che è in atto nel
paese una profonda crisi sociale e di valori per i quali noi abbiamo combattuto
e molti dei nostri compagni sono caduti.
Una svolta a destra o peggio rivela ogni giorno il pericolo che minaccia le
istituzioni democratiche, la stessa sorte della democrazia ed è minaccia che
incombe sulla vita di ogni giorno.
Assistiamo al tentativo sistematico di distruzione della Costituzione
Repubblicana, nata dalla Resistenza. Vorrei finire ricordando le parole di
Pietro Calamandrei: “La Costituzione è il testamento di centomila morti”.
Nori Brambilla Pesce