www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - seminari e convegni - 13-06-05

Convegno su Pietro Secchia - Torino 16/04/05

Intervento di :
Nori Brambilla Pesce,

al convegno
LA RESISTENZA ACCUSA- Pietro Secchia antifascista, partigiano, comunista, Torino, 16 aprile 05

Le donne partigiane


Ricorre il 60° anniversario della Resistenza, se ne parla molto, numerose le iniziative, ma spesso si dimentica o si sottovaluta il grande contributo dato da centinaia, migliaia di donne.

La lotta antifascista, la guerra di Liberazione infatti videro la partecipazione delle donne italiane come fenomeno di massa, non pù limitata a ristrette elites.
Operaie, impiegate, intellettuali, contadine, casalinghe, artigiane infermiere, donne medico, studentesse, cuoche.

Furono tante, anche se di poche di loro si parla nei libri si storia.
Vorrei brevemente soffermarmi su un aspetto, quello che riguarda le famose “staffette”, forse la figura più leggendaria di tutta la Resistenza, come le definisce Pietro Secchia in una famosa lettera: “il Partito Comunista alle compagne staffette” nell’ottobre 1944.

Permettetemi una curiosità.
Nel dizionario italiano alla voce “staffetta” si legge: “messaggero a cavallo motorizzato che porta ordini” oppure “treno, quello formato spesso dalla sola locomotiva che precede il convoglio speciale”. Certo, le nostre staffette non andavano né a cavallo (e invece ci fu proprio una staffetta che a cavallo in Piemonte raggiunse in montagna la base della sua Brigata) né erano motorizzate, erano combattenti partigiane come gli uomini.

Ma torniamo a Pietro Secchia, alla sua lettera alle staffette dove scrive: “il tuo lavoro è indispensabile, senza di te le direttive resterebbero lettera morta, le informazioni non potrebbero giungere nelle diverse regioni d’Italia, ai milioni di combattenti che lottano nelle officine, nelle città, negli uffici, nelle valli e sui monti, ovunque lottano i patrioti  i volontari della libertà”.

La staffetta, quasi sempre una giovane ragazza, che per questo a volte forse può muoversi, passare più facilmente in mezzo alle forze del nemico, è la struttura portante, il cuore dell’intera organizzazione delle forze di combattimento e il suo lavoro, come dice Secchia, è indispensabile alla vita delle Brigate.

Nelle sue sporte vengono nascoste le armi, il materiale di propaganda, la stampa.
In sella all’inseparabile bicicletta nelle città o a piedi in montagna, percorre chilometri e chilometri per portare a termine le missioni affidate, i messaggi, le disposizioni dei Comandi. Una di loro scrive nelle sue memorie: “la vita della staffetta non era una vita comoda e c’era ben poco di romantico”.

Un lavoro delicato e duro, quasi sempre pericoloso.
Secchia ha anche parole di riconoscimento: “tu devi essere orgogliosa del tuo lavoro quando sotto il peso ingombrante del materiale che tu porti, sali per scoscesi pendici di un monte, attraversi un torrente in piena, talvolta sotto la pioggia e l’infuriare del vento, quando pigiata in un treno trascorri in piedi lunghe ore e giornate intere costretta sovente a passare le notti nelle stazioni o in aperta campagna, sfidando anche i pericoli dei bombardamenti oltre che del nemico nazista in agguato. Magari ti chiedi: a che cosa ti serve questa faticosa corvee alla quale mi sottopongono per portare questi pacchi e talvolta anche solo una busta?
Compagna corriera, tu devi pensare che il tuo lavoro è più che importante, è indispensabile. Spesso in quella piccola busta che tu nascondi, vi  è la salvezza, la vita di centinaia di uomini, di partigiani. Una informazione giunta a tempo può essere alle volte decisiva per un’azione vittoriosa, per assestare un duro colpo al nemico, per evitare una attacco di sorpresa ai nostri valorosi partigiani. Spesso nel pacco che tu porti vi sono i mezzi necessari ai nostri eroici gappisti per compiere e portare a buon fine le loro azioni”.

Qui Secchia ricorda i Gappisti, la figura ancora più particolare infatti è quella della staffetta gappista.
Si sa chi erano i GAP, gruppi di patrioti, di combattenti che non diedero mai tregua al nemico, lo colpirono sempre in ogni circostanza, nelle strade delle città, nel cuore dei loro fortilizi. Con le loro azioni i gappisti sconvolsero più volte l’organizzazIone nemica, giustiziando ufficiali nazisti e repubblichini, spie, delatori, attaccando convogli stradali, distruggendo parchi di locomotori, incendiando parchi di aerei sui campi di aviazione.

Era necessario possedere coraggio, freddezza, audacia, tempestività, anche astuzia, tutte qualità che le componenti femminili dei GAP ebbero in vasta misura, così scrive un famoso comandante dei GAP.
E dice: “le gappiste svolgevano un servizio attivissimo d’informazione, di approvvigionamenti, d’infermeria, ed anche una specifica attività militare, non solo studiando le abitudini di fascisti e nazisti, i particolari topografici di un posto, fornivano ai gappisti elementi indispensabili per elaborare un piano di attacco, spesso partecipavano direttamente alle azioni armate.
Nei compiti che svolgevano, non si scostavano molto dai quelli degli uomini, ma a differenza di questi, era loro preciso impegno il trasporto delle armi.
Ciò significava rischiare quotidianamente la vita ancor più dell’uomo perché coloro che venivano presi con le armi addosso c’era la fucilazione immediata o l’arresto e le torture.
Furono numerose. Come quelle che parteciparono a Bologna alla battaglia a Porta Lame.
Per tutte vorrei ricordare Carla Cappone e Marisa Musu che parteciparono a Roma all’azione di Via Rasella.

Fra le donne che scelsero l’azione armata vorrei ricordare che il 1° distaccamento di donne combattenti sorse in Piemonte alla metà del ’44 presso la Brigata garibaldina “Eusebio Giamone”; a Genova se ne costituì un altro che prese il nome di una patriota fucilata da fascisti; un battaglione femminile fu organizzato nel biellese nell’inverno ’44 tra le operaie tessili della Brigata “Nedo”.

Abbiamo detto che non tutte parteciparono direttamente ai sabotaggi o alla liquidazione delle spie e gerarchi, ma i loro compiti non furono certamente meno importanti dei loro compagni che combatterono con le armi alla mano.
Poi nella Resistenza sappiamo che vi sono state quelle centinaia di donne dei “Gruppi di difesa”, che, senza armi assicurarono la vita delle Brigate con raccolta di denaro, indumenti, cibi, cure in caso di malattie o di feriti in combattimento, recapiti per le Brigate, rifugi in caso di bisogno.

Concludendo, ricordare questa storia non vuol dire limitarsi a rievocare una storia lontana, vuol dire intendere meglio il presente oggi che è in atto nel paese una profonda crisi sociale e di valori per i quali noi abbiamo combattuto e molti dei nostri compagni sono caduti.
Una svolta a destra o peggio rivela ogni giorno il pericolo che minaccia le istituzioni democratiche, la stessa sorte della democrazia ed è minaccia che incombe sulla vita di ogni giorno.

Assistiamo al tentativo sistematico di distruzione della Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza. Vorrei finire ricordando le parole di Pietro Calamandrei: “La Costituzione è il testamento di centomila morti”.

Nori Brambilla Pesce