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Sulla guerra climatica
Juan Gelman
21/12/2007
Il premio Nobel per la Pace 2007, come noto, è stato assegnato ad Al Gore e al Tavolo Intergovernativo sulla Mutazione Climatica delle Nazioni Unite (IPCC, sigla in inglese).
Si noti che né il discorso del vicepresidente statunitense, né le note informative del IPCC, mostrano menzione dello sviluppo delle armi climatiche in cui gli USA sono impegnati da più di mezzo secolo. Bisogna dire che questi studi sono stati iniziati anche da Europa e Russia.
Si tratta di un tema che compare ben raramente nelle discussioni e/o ricerche sul cosiddetto riscaldamento globale o effetto serra patito dalla terra.
Sappiamo dalla relazione finale della Forza Aerea nordamericana circa le alternative difensive del paese, che alla fine degli anni 40’, in piena guerra fredda, il Pentagono studiava la possibilità di generare “forme di guerra climatica inimmaginabili” (csat.au.af.mil, 2005).
Da quegli inizi si è sviluppata una tecnologia che Washington sta perfezionando, seguendo il Programma di Ricerca di Aurora Attiva di Alta Frequenza (il sistema Haarp) stabilito nel 1992.
Che non è una sciocchezza.
I fini dichiarati di Haarp sono innocentemente scientifici, ma sembrerebbe che si cerchi di ottenere un’arma di distruzione di massa capace di destabilizzare il sistema ecologico mondiale.
Lo dice l’informativa citata: “La modifica del clima formerà parte della sicurezza nazionale ed internazionale e si potrebbe condurre unilateralmente.. Offre un’ampia gamma di opzioni possibili per sconfiggere o frenare un avversario.. Può avere applicazioni offensive e difensive ed anche essere utilizzato con propositi dissuasivi. La capacità di generare piogge, nebbie e tormente a livello terrestre o di modificare il clima esterno.. e la produzione di un clima artificiale sono elementi di un insieme integrato di tecnologie [militari] ”.
A Gakona, Alaska, l’USAAF, la Marina e l’Ufficio di ricerca dei progetti avanzati di difesa del Pentagono hanno installato 180 antenne che funzionano come una sola, e sono capaci di emettere fino ad un bilione di onde radio ad alta frequenza che introducono un’ingente massa d’energia nella ionosfera, o strato superiore dell’atmosfera, che rinvia queste radiazioni che aumentano la sua temperatura. Si può in tal modo indurre un cambiamento nella ionosfera che permette di alterare il clima di una zona prescelta della superficie terrestre, con conseguenze disastrose: piogge eccessive, inondazioni, moltiplicazioni di uragani, siccità prolungate, terremoti, l’interruzione dell’erogazione dell’energia elettrica e delle comunicazioni via cavo, gravi incidenti in acquedotti, gasdotti e oleodotti, ecc. Sarà un arma della guerra geofisica? Nel sito ufficiale che spiega il progetto si può leggere; ”Haarp è un impegno scientifico destinato a studiare le proprietà ed il comportamento della ionosfera, con particolare enfasi sulla sua comprensione ed uso per incrementare i sistemi di comunicazione e vigilanza, tanto con fini civili che con fini difensivi (www.haarp.alaska.edu). Sembra chiaro.
L’economista canadese Michel Chossudovsky segnala che la manipolazione del clima permetterebbe agli USA di dominare intere regioni: “sarebbe l’arma preventiva per eccellenza.
Si può dirigere contro paesi nemici o “nazioni amiche” senza che quelli lo sappiano, usarlo per destabilizzare economie, ecosistemi e l’agricoltura. Potrebbe anche devastare i mercati finanziari e commerciali. Un’agricoltura destabilizzata crea maggior dipendenza dell’aiuto alimentare e dell’importazione di grano proveniente dagli USA e da altri paesi occidentali” (www.theecologist.net, dicembre 2007).
Ma c’è di più: i suoi effetti possono essere gravi per il cervello ed il comportamento umano.
Il Pentagono ha reso pubblico, per la prima volta, l’uso bellico delle tecniche di modificazione del clima nel 1974: per sette anni aveva concentrato masse nuvolose sul Vietnam e la Cambogia per aumentare le piogge in aree definite, provocare smottamenti del terreno e rendere intransitabili le strade con cui Hanoi inviava rifornimenti ai Vietcong (english.prav da.ru, 15-1-03). Questo primo passo condusse l’Assemblea Generale dell’ONU ad approvare una convenzione che proibiva “l’uso militare e ostile delle tecniche di modificazione ambientale che causano effetti gravi, generalizzati e durevoli”.
Questo principio fu incorporato nel progetto di convenzione sul cambio climatico dell’ONU dibattuto a Rio nel 1992, ma la questione è diventata una specie di tabù.
Anche se si accetta la sua esistenza, i dibattiti ONU si concentrano sul protocollo di Tokyo, che gli USA rifiutano. Il resto è silenzio.
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org di FR