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Come si mantiene a galla il capitalismo

 

di Wadi’h Halabi (PCUSA)

 

Il ciclo economico statunitense, iniziato verso la metà del 2000, ha prodotto devastanti perdite di posti di lavoro specialmente nel settore manifatturiero; i redditi delle famiglie sono caduti e i profitti delle aziende sono precipitati. Ma il PIL degli USA è declinato di poco, le spese dei consumatori sono cresciute ed i profitti dei monopoli sono velocemente rimbalzati. Questo articolo cerca di capire come il capitalismo americano ha superato la crisi. La rapida crescita della Cina stabilizza l’economia globale nella misura in cui i suoi acquisti dalle economie capitaliste consentono il movimento del processo di circolazione del capitale. Il dominio dei mercati mondiali di Wall Street facilita il trasferimento delle perdite sui competitori minori. La guerra americana in Iraq, aumentando il prezzo del petrolio ha diminuito quello del lavoro, distrugge o limita il capitale produttivo inutilizzato e attira  grandi flussi di capitali negli Stati Uniti. Questi capitali sono stati ricircolati in mutui per le famiglie, i cui debiti sono cresciuti, ma ciò ha permesso ai consumatori di continuare a spendere nonostante i bassi salari e la perdita di benefici sociali. Le soluzioni di Wall Street preparano così le condizioni per crisi più profonde.

 

Probabilmente per i lavoratori americani i quattro anni precedenti al luglio 2004 sono stati i più difficili dagli anni ’30. Ben più di 60 milioni di persone hanno perso il posto di lavoro, sono in cassa integrazione, o licenziati per fallimento delle aziende, o perché costretti a lavori rivoltanti. I lavoratori dell’industria e i loro sindacati – il cuore della classe operaia degli Stati Uniti – hanno subito un colpo tremendo.

 

La maggior parte di questi 60 milioni ha alla fine trovato un altro lavoro. Ma l’economia americana ha registrato una perdita netta di 3 milioni di posti di lavoro nei 40 mesi precedenti la primavera del 2004. E anche un giorno senza lavoro comporta un alto stress sul piano sociale e personale. I nuovi impieghi sono pagati meno di prima e godono di benefici sociali minori o nulli. Molti disoccupati trovano lavoro solo come imprenditori privati, il che generalmente significa settimane lavorative di sei o sette giorni, redditi bassi, niente ferie o benefici sociali. 

Dieci milioni di lavoratori hanno subito perdite significative per la riduzione dei benefici sociali. I lavoratori espulsi dal settore dell’acciaio o dalle compagnie aeree e gli impiegati delle aziende fallite, vivono con pensioni e prestazioni assistenziali drasticamente ridotte. Le preoccupazioni per i tagli all’assistenza sanitaria possono togliere il sonno. Il costo della casa, dell’energia e dei trasporti, sono aumentati negli ultimi anni e si riflettono su stipendi più bassi. 

 

Due di questi anni non sono stati buoni neppure per le aziende. Ad iniziare dal luglio 2000, il settore manifatturiero ha subito 16 mesi consecutivi di declino delle vendite. Sono cessati gli investimenti. L’export è precipitato. Si sono verificate bancarotte senza precedenti – Enron, WorldCom, Kmart e United Airlines, per ricordarne alcune. Ci sono state crisi economiche nel mondo, come in Argentina o in Turchia. E i profitti dei monopoli americani nel 2001 e nel 2002 sono precipitati.

 

Ma la recessione Americana del 2001, se misurata in termini di PIL è stata eccezionalmente dolce. Il PIL è declinato nel  2001 per solo nove mesi. I consumi invece di scendere - come ci si sarebbe potuto aspettare considerando le perdite di lavoro, dei salari e dei profitti - sono cresciuti. Ed i profitti dei maggiori monopoli americani, i 500 di Fortune, sono tornati nel 2003 ai livelli del 2000.

 

Come è potuto accadere ciò?

 

Problemi del sistema

 

I capitalisti subiscono perdite considerevoli se una parte significativa delle loro fabbriche rimane inoperosa. Le fabbriche sono inoperose quando producono più beni di quelli che possono essere venduti, ossia quando l’offerta supera la domanda. Per questo motivo il governo USA riferisce sull’utilizzazione  delle capacità  industriali e, pubblica ogni due anni il  “Survey of Plant Capacity."

 

In un’economia moderna è normale che il 5 o il 10% delle capacità degli impianti non venga utilizzata. Ma nel 1999, anno del boom, non fu utilizzato ben il 26% delle capacità industriali. Alla fine del 2001, con un’economia che si supponeva in recupero, tale capacità risultava inutilizzata per il 36%. Secondo il rapporto citato del gennaio 2004, l’uso della capacità industriale è rimasto su questi livelli per i tre-quarti del 2002. Stime più recenti, basate sui dati della Federal Riserve, indicano che per metà del 2004 le capacità industriali sono rimaste inattive per il 35%.

Per tre anni, dunque, in uno dei cicli economici peggiori nella storia degli Stati Uniti, circa il 35% delle capacità produttive non sono state utilizzate. Questo dato riassume il maggior problema del capitalismo: la produzione corre più velocemente della domanda. Si crea uno squilibrio tra domanda ed offerta. Il sistema è incapace di sviluppare la domanda – nonostante  l’urgente bisogno di cibo, abitazioni e di molte altre cose di prima necessità esistente negli Stati Uniti e nel resto del mondo. La disoccupazione è il risultato dell’inattività delle fabbriche. Quando nel 2000, cadde l’utilizzazione degli impianti, milioni di lavoratori dell’industria persero il lavoro.

 

La speculazione o gli investimenti estremamente rischiosi fatti nella speranza di rapidi profitti sono un’altra evidenza di tale squilibrio. Quando i capitalisti non ottengono profitti dagli investimenti nella produzione, come ha spiegato Marx, ripiegano sulla speculazione per rapinare la ricchezza degli altri. La speculazione è un gioco pesante che favorisce le maggiori famiglie capitaliste.

Secondo l’ente di Supervisione delle Banche Nazionali, la speculazione è in aumento. Il portafolio derivativo delle banche statunitensi, un gioco d’azzardo sui tassi di interesse futuri, sui prezzi delle merci e sui tassi di scambio, è cresciuto dai 7mila mld di dollari del 1990 a 51 mila mld nel settembre 2001, col 95% nelle mani di sei banche come la Citi and Chase. Solo la speculazione sulle monete e sui tassi di interesse “derivativi” supera attualmente i 3 mila mld di $ al giorno. La speculazione sul grano ed su altre merci primarie supera 1 mila mld di $ al giorno.

 

Profitti declinanti, crescita delle perdite, e debiti pesanti, riflettono anch’essi la crescita dello squilibrio economico. I profitti calano quando le merci non possono essere vendute. Secondo Fortune, i profitti delle 500 maggiori Corporations del mondo sono caduti del 54% nel 2001 rispetto al livello del 2000 e hanno perso un altro 66% nell’anno seguente. La caduta dei profitti era coerente con la sottoutilizzazione degli impianti industriali, la disoccupazione e la speculazione.

 

Come è stato allora possibile il rimbalzo del PIL degli Stati Uniti  e dei profitti dei monopoli? Normalmente, quando c’è un forte aumenti della sottoutilizzazione degli impianti e dei fallimenti delle aziende, segue una crisi brutale con un declino dei profitti, perdite e debiti pesanti. Invece il PIL è sceso dolcemente ed i profitti sono rimbalzati rapidamente. I debiti pesanti sono rimasti relativamente bassi. E le economie della Turchia e dell’Argentina che soffrivano  crisi, si sono riprese. Il peso dell’economia degli Stati Uniti potrebbe aver portato il capitalismo del mondo alla sua festa.

Cosasuccede?

 

Fattori di stabilizzazione

 

Un fattore di stabilizzazione dell’economia degno di nota consiste nel fatto  che l’economia del mondo non è completamente capitalista. Rimangono i maggiori stati e le economie create dalle rivoluzioni socialiste. L’economia cinese che cresce rapidamente da decenni, quella del  Vietnam che cresce con quasi la stessa rapidità,  quelle di Cuba, del Laos e della Corea del Nord. Questi 5 paesi rappresentano oggi il 15% della produzione mondiale, dal 10% del 1991. la grande maggioranza di questa crescita dipende dalla forza dell’economia cinese nell’ultimo decennio. 

Grazie alla natura socialista delle loro rivoluzioni, le economie di questi stati non sono cicliche e senza impedimenti possono mantenere quell’equilibrio tra la produzione e la domanda che il capitalismo non è in grado di sostenere.

 

Gli acquisti della Cina e del Vietnam dai paesi capitalisti agiscono come aspirine, o come anticoagulanti che stabilizzano l’economia del mondo e impediscono alla circolazione capitalista di subire  un “infarto” e di precipitare nella crisi. Anche economisti favorevoli all’economia capitalista come  Stephen Roach della Morgan Stanley, ammettono che gli acquisti cinesi sono stati fondamentali per il recente recupero dell’economia giapponese dopo un decennio di perdite.

L’import dai paesi capitalisti di Cina e Vietnam è cresciuto più del 350% dal 1989-90, quando cominciò ad evidenziarsi la crisi di “sovrapproduzione”. Quest’anno i loro acquisti raggiungeranno circa i 500 mld di dollari. La domanda cinese è la maggior fonte di export degli Stati Uniti, del Giappone e della Germania ed ha anchepermesso direttamente o indirettamente, il rimbalzo delle economie dell’Argentina, della Turchia, della Tailandia, dell’Indonesia e di molti altri paesi. Poiché queste economie hanno ripreso a produrre hanno anche potuto pagare gli interessi sui loro debiti diretti o indiretti con Wall Street.

 

Tuttavia da solo il ruolo della Cina non spiega completamente la stabilità del PIL degli Stati Uniti fin dagli anni ’80, la sua recessione “dolce” del 2001 e il netto rimbalzo dei profitti del monopoli americani. 

 

D’altro canto le economie dei paesi come il Giappone e la Germania, la seconda e la  terza economia capitalista, non hanno registrato crescite e tassi di profitto delle dimensioni di quelle degli Stati Uniti. Perché?

 

Per rispondere a questa domanda bisogna esaminare i rapporti di forza tra gli Stati Uniti e gli altri paesi capitalisti, Giappone e Germania inclusi.

A partire dal sesto anno dopo il D-Day, gli Stai Uniti hanno installato rilevanti basi militari in Giappone ed in Germania, per non parlare dell’Inghilterra, dell’Italia ed di altri 20 paesi. Questo dato da solo descrive i rapporti di forza.

Per decenni i monopoli statunitensi hanno dominato la maggior parte delle industrie e hanno registrato maggiori profitti di quelli dei più giovani partner europei e giapponesi. La dimensione ed i profitti sono molto importanti per determinare la forza economica.

 

Dunque, il secondo fattore della relativa stabilità degli Stati Uniti è nel dominio che Wall Street esercita nel mondo capitalistico e nella conseguente capacità di trasferire i problemi sugli altri partner. I capitalisti giapponesi, i tedeschi, ecc. non sono evidentemente troppo felici di ciò. Non possiamo ignorare le contraddizioni tra loro. Ma i capitalisti giapponesi non sono in grado di modificare questi rapporti.

 

La guerra per rincarare il prezzo del petrolio

 

Quando i profitti dei monopoli americani iniziarono a cadere nel 2001, fu evidente che gli Stati Uniti sarebbero andati in  guerra, in patria ed all’estero,  per diminuire il costo del lavoro e per attaccare i capitalisti più deboli. Questo è ciò che accadde. Un testimone della Commissione sull’11 settembre disse, “Non  avremmo potuto andare in guerra senza un attacco come quello dell’11 settembre”. Naturalmente, egli si riferiva alla guerra contro i terroristi. Ma l’11 settembre fornì il pretesto all’imperialismo americano per limitare, in patria e all’estero,  i diritti democratici e del lavoro allo scopo di facilitare la guerra.

 

La guerra è allora il terzo fattore di stabilità e di fatto recupera la crisi economica dei primi anni ’90.

 

Una volta il capitalismo faceva la guerra per assicurarsi il petrolio a basso prezzo. Ma la I Guerra del Golfo (alla quale seguì un declino dei profitti dei monopoli americani) e la II Guerra del Golfo non furono fatte per diminuire, ma per aumentare il prezzo del petrolio. Non c’è nessun settore industriale nel mondo più “monopolizzato” da Wall Street di quello del petrolio in tutti i suoi aspetti – esplorazione, produzione, distribuzione. Anche la British Petroleum e la anglo-olandese Shell, sono oggi controllate da Wall Street, attraverso i debiti e la proprietà delle scorte.

Il “caro-petrolio” ha l’effetto di diminuire il costo del lavoro in tutto il mondo, ma il superprofitto derivante dal minor costo del lavoro non raggiunge i capitalisti che impiegano direttamente i lavoratori e rimane, invece, nelle mani delle “famiglie” americane che monopolizzano il petrolio. Il “caro-petrolio” depreda i capitalisti più deboli e può diminuire la “sovrapproduzione” scacciando dal mercato i produttori più deboli.

I monopoli americani vendono a tutto il mondo a 50 dollari il petrolio che, alla  produzione, costa circa 2,20 dollari al barile. Altri monopolisti americani comprano caffè – la seconda merce di scambio nel mondo – ed altri prodotti, pagandoli sotto il loro costo di produzione. Questi ed altri tipi di “scambio disuguale” (inclusa la vendita delle armi) assicurano il massiccio bottino di Wall Street ai danni del resto del mondo.

 

Si deve aggiungere che il debito verso le banche di Wall Street viene ripianato con la vendita del petrolio, così se il Messico vende un milione di barili di petrolio a 50 dollari il barile, Chase o Citibank raccolgono 30 dei 40 milioni di dollari ricavati per ripagare i debiti di quel paese. Sia  Chase che Citibank registrano profitti record, secondi solo a  quelli di ExxonMobil. L’imperialismo ha un profondo interesse a mantenere alto il prezzo del greggio.

 

Il “caro-petrolio” ed il tentativo di impossessarsi delle risorse del petrolio irakeno hanno implicazioni strategiche importanti negli sforzi dell’imperialismo di destabilizzare la Cina socialista, e conseguentemente di ridurre il costo del lavoro. Fin dagli inizi degli anni ’90 la Cina da paese esportatore è diventato un grande importatore di petrolio, secondo solo agli Stati Uniti. Questi intendono impedire alla Cina di assicurarsi forniture di petrolio a lungo temine dal Medio Oriente e dalle ex-repubbliche sovietiche. Fin dall’11 settembre, gli Stati Uniti hanno stabilito nuove basi militari in Afganistan e nelle repubbliche ex-sovietiche che circondano la Cina.

 

L’esportazione di capitali negli Stati Uniti

 

Un quarto fattore di stabilità dell’economia americana è costituito dal flusso dei capitali che arriva negli Stati Uniti dal resto del mondo. Wall Street ha imparato che l’instabilità e la guerra, combinate con i bassi profitti degli altri paesi, fanno affluire capitali negli Stati Uniti. Ciò in parallelo all’emigrazione delle persone che raggiungono gli Stati Uniti, per sfuggire alla guerra ed alla miseria.

 

Il massiccio flusso di capitali negli Stati Uniti iniziò con depositi al tempo della I Guerra del Golfo. Secondo la "Flow of Funds Accounts" della Federal Riserve, nel 2003 arrivarono negli Stati Uniti dal resto del mondo 881 mld di dollari,. Nei primi 3 mesi del 2004, affluirono negli USA risorse finanziarie al tasso di 945 mld di dollari l’anno.

I mercati finanziari seguono ora il rapporto mensile "Treasury International Capital" (TIC). Secondo l’ultimo rapporto TIC del 16 luglio 2004 “gli acquisti netti stranieri di valori nazionali hanno raggiunto i 56,4 mld di dollari”. Questo dato è minore di  quello di 76 mld del mese precedente ma – come ha riportato con evidenza in prima pagina il Wall Street Journal“è sufficiente per finanziare la rata del deficit corrente”.

 

Inoltre gli USA praticamente non pagano al resto del mondo i loro 3mila mld di dollari di debiti.

 

Sono sufficienti tutti questi fattori per evitare una crisi maggiore dopo il calo della produzione, della manodopera impiegata e dei profitti del 2001? L’opinione di chi scrive è che si deve considerare un quinto fattore: l’aumento dei consumi. Ma attenzione!  Si sono persi milioni di posti di lavoro, senza contare i tagli alle pensioni e allo stato sociale. I redditi medi delle famiglie americane sono caduti mediamente del 2,2% nel 2001 e dell’1,1% nel 2002.

Come hanno allora potuto i consumatori americani aumentare le loro spese?In una parola, indebitandosi.

I capitalisti, a caccia di capitali da razziare, li hanno prestati ai consumatori.

 

Il  massiccio afflusso di capitali dall’estero non va direttamente al consumatore. Arriva ai capitalisti USA attraverso governi e banche. A causa della grande capacità industriale inutilizzata, avrebbe avuto poco senso investire il capitale per espandere e modernizzare la produzione, come negli ultimi anni ’90.Così i capitalisti hanno prestato alle famiglie i soldi per acquistare, rifornire, ristrutturare e rifinanziare le abitazioni, con mutui sempre più a lungo termine e agevolazioni per far fronte ai prezzi crescenti delle abitazioni.

Negli USA i debiti ipotecari sono saliti del 40% tra l’inizio del 2000 e la fine del 2003, da 5mila a 7mila mld di dollari.

Il debito medio delle famiglie è salito dall’85% del reddito disponibile a circa il 118% in meno di dieci anni.

 

Bush ed i neocons promovendo la cultura della proprietà privata hanno giocato sulla crescente insicurezza economica e sociale della gente per incoraggiare pesanti indebitamenti per l’acquisto della casa. Il mito che propagano è la sicurezza nella proprietà della casa. Ma non ci sono soluzioni personali alle contraddizioni del capitalismo, solo soluzioni di classe e quelle internazionali sono tra queste. Neppure la proprietà statale delle abitazioni dell’Unione Sovietica fu in grado di opporsi alla predazione dell’imperialismo. Ma questa sistemazione privatistica serve a Wall Steet per pagare i suoi debiti!

 

Le banche ventilano la bolla speculativa sulle abitazioni. Nel 2002 il Wall Street Journal ha scritto, “I periti immobiliari lamentano di subire pressioni per rilasciare alte valutazioni sugli acquisti della casa in modo che gli agenti reali potessero maggiorare le commissioni ed i banchieri concedere mutui più dilazionati”

 

Il risultato è una popolazione più indebitata che mai che, in più, deve fare i conti con l’aumento del tasso di interesse, dei costi dell’energia e delle imposte regressive (che includono tasse rigide di proprietà che crescono con il prezzo della casa), con un lavoro più insicuro, che rende meno e con pochi benefici sociali.

 

Dove vanno allora tutte le perdite?

 

Se i disequilibri economici persistono – e con tutta evidenza si rafforzano – dove finiscono le perdite del sistema? Chi paga i debiti delle bancarotte di Enron, di Worldcom e di Kmart? Come hanno potuto le grandi banche nascondere i grandi debiti di Enron, Worldcom e Kmart?

 

La risposta è che Citi, Chase ed i loro partners hanno criminalmente trasferito queste perdite ai fondi pensione, alle compagnie di assicurazione e ad altri enti più deboli, negli Stati Uniti e all’estero. Queste perdite possono prendere tempo per venire a galla. Fortune, nel marzo 2004, scrisse che nel 2000 i fondi pensione dello stato o municipali, sono stati derubati di 245 mld di dollari  e di altri 366 nel 2003. lo stesso giornale  denunciò i “sindacati avidi di danaro” per questo straordinario rovescio di 610 mld di dollari. In un altro articolo dello stesso numero, Fortune riferì che Citibank aveva messo da parte 9 mld di dollari per coprire la vertenza giudiziaria circa le sue attività criminali con Enron e WorldCom.

 

Così, a causa delle crescenti contraddizioni e le conseguenti perdite, le “famiglie” di Wall Street stanno saccheggiando i fondi pensione, i fondi per l’assistenza, le famiglie, i risparmi individuali, le compagnie di assicurazione, i piccoli imprenditori e praticamente tutto ciò che si muove. I milionari stanno cercando di trasferire i costi dei pensionamenti, dell’assistenza medica, della cura degli anziani e così via, dal governo e dalle società per azioni alle persone. Per sopravvivere economicamente, i lavoratori devono lottare per la pace, per un buon lavoro, per maggiori stipendi, per espandere i benefici sociali, per la protezione delle loro pensioni, per l’assistenza sanitaria universale e per salvare il sistema pubblico dello stato sociale, per l’educazione pubblica e la sicurezza sociale.

 

Riassumendo, il capitalismo è stato capace di superare la crisi degli anni ’90:

a.                  Commerciando con la Cina;

b.                  Usando  il dominio di Wall Street sull’economia mondiale per trasferire i suoi problemi altrove;

c.                  Con la guerra in generale ed in particolare con le guerre per aumentare il prezzo del petrolio;

d.                  Con il flusso dei capitali esteri negli Stati Uniti;

e.                  Attraverso un massiccio aumento dei consumi, incoraggiando un enorme indebitamento delle persone.

 

Le soluzioni di Wall Street preparano solo crisi più profonde. Solo la classe operaia può conseguire un’autentica soluzione.



traduzione di Giuliano Cappellini