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MMT, keynesismo e sostegno al capitalismo

Alberto Lombardo *

14/01/2014

«La speculazione di regola si presenta nei periodi in cui la sovrapproduzione è in pieno corso. Essa offre alla sovrapproduzione momentanei canali di sbocco, e proprio per questo accelera lo scoppio della crisi e ne aumenta la virulenza. La crisi stessa scoppia dapprima nel campo della speculazione e solo successivamente passa a quello della produzione. Non la sovrapproduzione, ma la sovraspeculazione, che a sua volta è solo un sintomo della sovrapproduzione, appare perciò agli occhi dell'osservatore superficiale come causa della crisi. Il successivo dissesto della produzione non appare come conseguenza necessaria della sua stessa precedente esuberanza, ma come semplice contraccolpo del crollo della speculazione".»
(K. Marx "Neue Rheinische Zeitung" maggio-ottobre 1850)

Nel dibattito sulla situazione economica oggi si assiste a vere e proprie contese dottrinarie in "luoghi" dove non ce lo si sarebbe mai aspettato: poco nei posti "accademici", che spesso introiettano acriticamente la scienza borghese dell'economia politica, e invece molto di più in ambienti, come i social network, dove si creano vere e proprie tifoserie contrapposte. Quella che sta ricevendo una grande attenzione, grazie forse alla presenza o sostegno di personalità accademiche che non si sono accodate al main stream, è la celebre MMT (Modern Monetary Theory).

Per dare conto di questa teoria, prenderemo a riferimento il celebre Il più grande crimine della storia (http://paolobarnard.info/docs/ilpiugrandecrimine2011.pdf, brevemente citato nel seguito  con PB) del giornalista Paolo Barnard, e Moneta e società di Nino Galloni, Edizioni SI, 2013 (citato con NG), anche se naturalmente la fioritura del tema è assai più vasta.

1. Come spendono gli stati a moneta sovrana

«Gli Stati a moneta sovrana spendono inventandosi la moneta e accreditando con essa i conti correnti di coloro che gli vendono beni o servizi...
Va compreso che i governi a moneta sovrana non spendono come i cittadini, cioè non devono mai, come invece i cittadini, trovare il denaro PRIMA di spenderlo (i cittadini lo trovano lavorando o facendo prestiti). Essi, ribadisco, se lo inventano di sana pianta e spendono PER PRIMI con denaro proprio. La cittadinanza, le aziende ecc. non possono in nessun modo ottenere quel denaro di Stato se prima il governo non l'ha emesso...» (PB)

vero, questa descrizione tecnicamente è assolutamente corretta.

«Il governo a moneta sovrana è l'unica entità esistente che può creare ricchezza al netto nella società o sottrarla. La crea quando spende appunto, e la sottrae quando tassa …» (PB)

questo punto è discutibile. La ricchezza cos'è? Il denaro mi permette di acquisire un bene (lavoro morto) o una forza-lavoro (lavoro vivo). Se ho più denaro questa capacità aumenta e quindi si è più ricchi. Ciò però vale nella microeconomia, cioè fino a quando le variazioni di queste quantità non sono di entità tali da modificare l'equilibrio generale del sistema economico. Ma se si immette nel mercato molta più moneta, che non corrisponde a un equivalente aumento di beni e forza-lavoro, questa inflazione (espansione) della base monetaria porta a un incremento dei prezzi. Si dice allora:

«… la spesa a deficit dello Stato conterrà l'inflazione perché stimolando la ricchezza nazionale stimola anche la produttività (inflazione è troppo denaro in giro e pochi prodotti, nda). L'inflazione è in effetti l'unico limite possibile alla spesa a deficit del governo a moneta sovrana, e vi aggiungo due parole ancora per tranquillizzare. Essa va tenuta d'occhio di sicuro, ma i limiti odierni imposti agli Stati sono assurdi...» (PB)

E qui appunto c'è il primo inghippo. Occupiamoci innanzitutto dell'equivoco che esiste tra incremento della produttività e della produzione. La produttività è quanto si può produrre in un'unità di tempo, essa si può misurare in unità di beni prodotti, ma di solito va misurata in valore della produzione al fine di poter sommare o comparare produttività di differenti produzioni. Aumentare la produttività significa che da un'ora di lavoro si estrae più valore. Se la produzione totale della società però resta la stessa di prima (a causa dei limiti di capacità di assorbimento del mercato), ovviamente occorre diminuire il numero dei lavoratori. Questo è quello che provoca normalmente l'incremento della tecnologia ed è alla base della disoccupazione di massa che oggi viviamo. Naturalmente quindi in questo passaggio del testo dobbiamo intendere che ciò che viene aumentato non è la produttività, ma la produzione, e quindi la massa di beni e servizi prodotti e quindi la quantità di forza-lavoro impiegata.

«Di fatto, lo Stato a moneta sovrana che desidera spendere dovrà solo badare che la spesa complessiva nell'economia di casa non superi ciò che essa può produrre quando è a pieno regime. Se però lo supera, lo Stato dovrà o abbassare la spesa o tassare i cittadini.

In parole povere, siccome l'inflazione nasce dalla presenza di troppo denaro a fronte di troppi pochi prodotti, se chi li sforna è al massimo della produzione e di più non può, allora è meglio che lo Stato smetta di sfornare soldi, oppure che ne tolga dalla circolazione tassandoci, così da mantenere un giusto equilibrio fra la masse del denaro in giro e i prodotti che girano.» (PB)

Siccome le società capitalistiche avanzate hanno una capacità produttiva di gran lunga superiore a quella usata, immettendo nuova moneta essa stimola l'acquisto delle merci e quindi la produzione e quindi assorbe automaticamente l'incremento di moneta immessa nel sistema.

Il ragionamento non fa una piega … in teoria, ossia in un mondo costruito solo tenendo conto delle varabili economiche che si prendono in considerazione. Purtroppo l'economia non è (solo) una scienza teorica, essa è anche e soprattutto una scienza politica, nel senso che – ma è banale dirlo – occorre vedere se le ricette che si propongono, applicate in situazioni simili, hanno dato risultati simili a quelli previsti.

Occorre notare per prima cosa che nel mondo l'ultima cosa che manca è il denaro. La quantità di moneta che gira nei computer di tutto il mondo è stratosferica. Si calcola che i soli "derivati" (queste mefitiche scommesse che si fanno sui titoli, che costituiscono l'ultima frontiera della "produzione" di denaro) sono pari a sedici volte il PIL mondiale, oppure a sei volte la ricchezza totale del pianeta; ossia ci vorrebbero sedici anni di lavoro di tutti gli esseri umani per produrre l'entità di denaro espressa da questi derivati, oppure la ricchezza già presente in sei pianeti come il nostro. D'altro lato è esperienza comune che non è la quantità di merci che manca nella nostra società, chiunque può vedere scaffali che traboccano di merci nei supermercati, vetrine strapiene di beni di consumo e in particolare di lusso, anzi il mercato dei beni di lusso è l'unico che sembra non soffrire la crisi. Anche l'altro bene primario, la forza-lavoro, è ben lungi dall'essere scarsa; negli ultimi anni il numero di disoccupati nell'Europa del sud è aumentato della spaventosa cifra di cinque milioni e inoltre il lavoro, quando c'è, è sempre meno caro, i salari (e i diritti dei lavoratori) sono in caduta libera e, per esempio in Italia,  il numero di lavoratori che vengono assunti a tempo determinato ha superato il numero di lavoratori a tempo indeterminato.

Dov'è quindi l'origine della crisi? Sembra che sia solo un fatto redistributivo, ossia la domanda, per un qualche motivo, non si incontra con l'offerta. Posto che ciò non può essere dovuto a una scarsa trasparenza del mercato (oggi in realtà le merci sono molto più raggiungibili in ogni angolo del pianeta grazie alle vendite on-line), dipenderà da un fatto economico che va ricercato nella natura stessa della produzione.

I sostenitori della MMT dicono che ciò dipende dalla bassa capacità che ha il mercato di assorbire i beni prodotti e quindi occorre aumentare con iniezione di denaro tale capacità.

Vediamo. In questa società chi produce perché produce? Per il profitto. La produzione non è finalizzata ai soddisfacimenti della popolazione, ma solo all'estrazione del massimo profitto dalla produzione. Quando la produzione non riesce a essere profittevole, allora il capitale si rivolge al mercato speculativo cercando di ottenere profitto dalla semplice circolazione monetaria. Siccome il semplice girare del denaro dentro i computer non genera nulla, si creano queste enormi catene di sant'antonio, ossia le gigantesche bolle speculative entro cui siamo oggi, una bolla di denaro che non esiste se non nei computer di chi ha il potere di far sì che esso esista. E perché costoro hanno il potere di far esistere quello che non esiste? Perché hanno in mano lo strumento più potente, la macchina oppressiva dello stato capitalistico, che impone di credere e sottomettersi al potere di ciò che non esisterebbe senza di esso.

Naturalmente questo potere, che è in mano dei possessori del denaro (ossia di quella cosa che esiste solo perché essi con questo potere ne impongono l'esistenza a coloro che non ce l'hanno), ha come finalità quello di far aumentare il denaro stesso in modo spasmodico, generando bolle ancora più grosse. Siccome la produzione di beni materiali non riesce più a essere fonte di plusvalore in misura tale da essere attraente, si cerca di dare sostanza a tali bolle, ossia di trovare un corrispondente reale a denaro generato dal nulla, facendo sì che sia anche lo Stato a generare beni materiali che generino plusvalore, oppure a rapinare le nazioni dei loro beni che possono essere quelli naturali o quelli statali che sono stati costruiti col sacrificio delle generazioni precedenti.

A questo proposito, occorre osservare che la spesa militare e le grandi opere inutili e dannose nei paesi capitalisti è alle stelle. Questa è la spaventosa iniezione di denaro che lo stato capitalista fa entro il sistema e poi impone ai cittadini di pagarne il costo (deve tassare perché se no altrimenti si creerebbe inflazione) in particolare ai ceti meno abbienti.

È questa la spesa pubblica che viene usata dal potere borghese per uscire dalla sua crisi.

È da molto tempo che questa strategia è stata teorizzata ed è appunto Keynes che ne ha dato una sistemazione teorica. Il più grande risultato si è avuto in realtà negli USA poco prima, durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, proprio perché accanto a una gigantesca produzione di beni c'era contemporaneamente una enorme distruzione e ricostruzione quindi si evitava in questo modo la crisi di sovrapproduzione. In realtà invece il risultato di queste politiche, quando adottate, come per esempio negli ani Trenta in USA, hanno avuto minor successo di quanto si creda.

In sintesi, la politica della spesa pubblica (a credito o a debito, vedremo dopo) viene usata per rimpinguare le casse dei capitalisti e arginare la tendenziale caduta del saggio di profitto, ossia la remunerazione del capitale che – a causa della concorrenza sempre più spietata e l'incremento della tecnologia della produzione – non riesce a ottenere i livelli desiderati.

In Italia vediamo che il famoso boom economico degli anni Sessanta fu generato dalla spesa pubblica, ma fu possibile perché l'incremento della produzione reale aveva enormi spazi prima di raggiungere la saturazione, a causa della distruzione della guerra e dello stato di relativo sottosviluppo della produzione industriale italiana. Non neghiamo, anzi vogliamo sottolineare qui, come la stagione delle partecipazioni statali, quindi l'opera dirigista dello stato, fu di grande aiuto per lo sviluppo del Paese: si fecero opere infrastrutturali e grandi conglomerati industriali, che l'asfittico capitalismo italiano non avrebbe mai potuto fare, in quanto allora i capitali erano davvero scarsi. Inoltre fu la stagione, unica nella storia dall'Unità, in cui il divario di sviluppo industriale Nord/Sud non dico diminuì, ma non andò allargandosi[1]. Ma quella stagione (e con essa la stagione del riformismo in politica) è definitivamente tramontata, perché il capitalismo italiano ha raggiunto la sua piena maturità: si è raggiunto il livello di saturazione sia della produzione industriale che della produzione di capitale.

La perversione dello stato capitalista arriva a finanziare direttamente le banche, ossia chi genera le bolle speculative. Negli ultimi anni gli stati hanno finanziato le banche con 3500 miliardi di euro, ossia pari all'intero debito pubblico (non gli interessi che vanno pagati, ma l'intero stock!) dei quattro stati che graziosamente chiamano PIGS, ossia maiali: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. Quindi se davvero ci fosse una volontà politica di azzerare il debito pubblico lo si sarebbe potuto fare con un colpo di spugna, semplicemente emettendo denaro. Ma su questo punto torneremo.

2. La ricetta keynesiana

Naturalmente la ricetta dei sostenitori della MMT è diversa da questa, non nella tecnica, ma nell'applicazione. "Non si finanzino le grandi opere inutili o le spese militari, men che meno si diano soldi alle banche, ma si diano i soldi direttamente ai cittadini".

«La semplice rinazionalizzazione delle banche, senza introdurre criteri sostenibili della loro importante funzione sociale, infatti, potrebbe rivelarsi una trappola: l'influenza che le grandi istituzioni finanziarie esercitano attualmente nei confronti della politica e degli Stati non garantirebbe alcun vantaggio tangibile per la collettività. Con la ripresa del credito, la situazione generale migliorerebbe, ma il discorso della ripresa economica sarebbe ancora lontano in quanto i privati non investirebbero finché non ci fosse una adeguata rianimazione delle domanda, dovuta all'incremento dei consumi (del reddito delle classi meno agiate) e degli investimenti produttivi autonomi (pubblici, dell'Europa, degli Stati).» (NG, 92/93)

«Tecnicamente, e in sintesi, la piena occupazione pagata dallo Stato a moneta sovrana funziona così: il governo stabilisce uno stipendio cosiddetto di sopravvivenza – esso consente alla persona di soddisfare pienamente le esigenze di un vivere decoroso in quella data economia. Saranno creati posti di lavoro e percorsi di formazione al lavoro pagati con quel livello salariale, nei settori che realisticamente necessitano di presenza umana, dove lo Stato non risparmierà il meglio del training e dove vi saranno verifiche severe sulle capacità effettive sviluppate dal lavoratore.

Il settore privato sarà stretto in una morsa: da una parte gli converrà assumere personale proveniente dall'impiego/formazione dello Stato perché si tratterà di lavoratori già esperti in quelle mansioni e 'certificati', invece che, come oggi accade di frequente, gente assunta quasi alla cieca con curricula spesso vaghi o deficitari. Dall'altra non potrà più spingere i salari a livelli indecenti come oggi sta accadendo, poiché perderebbe frotte di lavoratori che emigrerebbero verso l'impiego/formazione dello Stato. I vantaggi aggiuntivi sono: la fine della disoccupazione con la sua mole devastante di danni sociali e umani che non dobbiamo neppure menzionare; la rete di sicurezza dell'impiego/formazione statale in cui i licenziati dal settore privato potranno ricadere con la sopravvivenza garantita, e non essere considerati quindi 'parassiti' di elemosine salariali senza lavorare; una collaborazione fra Stato e settore privato per permettere a quest'ultimo di rimanere competitivo sui mercati senza creare disastri sociali, mentre la cittadinanza gioverà della nascita di una serie d'impieghi ad alta utilità sociale/ambientale che oggi si stanno rendendo sempre più urgenti.» (PB, sottolineature nostre)

Ma questa ricetta in realtà non è affatto nuova, si è fatta in Italia durante l'epoca in cui le lotte operaie erano talmente forti e organizzate che imponevano ai padroni e al loro stato questa politica, che però, non essendo risolutiva del problema fondamentale del sistema capitalistico, portò a una situazione prima di stallo e poi a un ribaltamento. Infatti: 1) la maggior parte di questa spesa se ne andò in rivoli clientelari che solidificò il potere borghese e disgregò quello dei lavoratori; 2) l'organizzazione politica e sindacale dei lavoratori a un certo punto fu sconfitta e si dissolse.

Si dice nel testo riportato: "Il settore privato sarà stretto in una morsa", domanda: da chi? Questo potrebbe essere fatto da un governo popolare che smetta di servire gli interessi del capitalismo, ma sia frutto di un movimento di massa talmente esteso e organizzato e cosciente da imporre ciò ai padroni, i quali non hanno nessuna convenienza a sottostare a questa politica, anzi pretendono che lo stato spenda sì, ma li dia direttamente a loro facendo ottimi profitti, anziché doverseli andare a cercare sul mercato. Per esempio, una pallida imitazione di questa politica potrebbe essere quella degli incentivi al consumo, che è stata praticata in Italia, che dovrebbe vivificare l'asfittico mercato interno. Naturalmente questo è stato un contentino che si è potuto dare alla piccola e media borghesia produttiva italiana ma che è stato del tutto insufficiente, sia per l'esigua entità, sia per il fatto che questi incentivi andavano a favorire principalmente i concorrenti esteri (vedi per esempio gli incentivi alla rottamazione delle auto). I più attenti sostenitori si pongono questo problema:

«In altri termini, il ritorno all'economia implica un forte impulso allo sviluppo produttivo di ciascun Paese, capace di ridurre le importazioni ai soli beni non approntabili all'interno: importazioni che sarebbero finanziate con la esportazione di eccedenze.» (NG p. 119)

Questa visione è del tutto astratta perché non tiene conto della totale globalizzazione dei mercati. Una limitazione alle importazioni in un sistema capitalistico basato sui liberi scambi si può realizzare solo alzando barriere protezionistiche, che tutti negano di volere. Abbiamo visto infatti che nella recente guerra dei pannelli solari i cinesi sono penetrati facilmente nel mercato europeo, molto appetibile e in crescita, con una politica di prezzi bassi e qualità alta. Le proteste degli europei a nulla sono servite e anzi, alle minacce di dazi doganali, i cinesi hanno risposto minacciando di rendere la pariglia alzando dazi su vino (colpendo quindi Italia e Francia) e prodotti chimici (Germania). Il risultato è stato l'immediata resa europea. Cosa ci insegna questo esempio? Che non basterebbe introdurre la MMT, ma si dovrebbe essere pronti ad affrontare una guerra commerciale con tutto il resto del mondo che ancora non ha adottato la MMT.

In ogni caso ora i nuovi governi della grossa borghesia monopolistica del conglomerato imperialista europeo non ne vogliono più sapere di disperdere la spesa pubblica in questi rivoli. Ora le priorità sono la TAV, gli F35, insomma cose grosse, cose in cui a fare profitto sono solo i grossi conglomerati monopolistici e non c'è più spazio per null'altro. Infatti la media e piccola borghesia produttiva italiana è alla canna del gas, tranne quelle aziende che ancora riescono a esportare.

3. Le vere cause della crisi capitalistica

Il problema non è di elaborare una "ricetta" economica che funzioni astrattamente. Non è affatto vero che le politiche della UE e nella UE sono frutto di errori, di mancanza di conoscenza dei meccanismi economici. Anzi, i meccanismi economici si stanno usando magnificamente per ottenere il risultato che è sotto gli occhi di tutti: sostenere i profitti delle grandi imprese e della speculazione finanziaria a tutti i costi, a costo dell'impoverimento generale dei popoli.

Anche la gestione del debito è funzionale a questo. Perché l'euro? In tempi di crisi una delle fonti di rapina del profitto è sempre stato il debito pubblico, quindi una moneta che, per essere generata, deve creare un debito è semplicemente perfetta per chi ha in mano la stampante del denaro, ossia le banche private. Pertanto il punto discriminante non è produrre denaro a credito o a debito. È vero che il sistema dell'euro è particolarmente sfavorevole alle economie deboli (i soliti PIGS) che ne fanno parte, mentre sta favorendo le economie più forti; è vero che se non ci fosse l'euro la moneta tedesca verrebbe rivalutata di un buon 30%, mettendo i prodotti tedeschi fuori mercato, mentre la nostra finalmente otterrebbe la tanto sospirata svalutazione di un 15%; è vero che la bilancia dei pagamenti tedesca sta in piedi e il tasso di disoccupazione è inferiore a quello degli altri paesi, solo perché tutti gli altri stiamo sott'acqua[2]. Ma la domanda è: questa situazione, se sfavorisce l'Italia come paese, come media statistica, favorisce qualche italiano? Certo che sì, ci sono tanti che si arricchiscono col debito pubblico e con le commesse pubbliche. Facciamo un rapido calcolo "statistico", senza fare la "media del pollo" di Trilussa. Ammettiamo che il PIL italiano negli ultimi anni sia calato del 5%. Bene, se a ognuno di noi decurtassero il reddito del 5%, certo saremmo arrabbiati, ma nulla più. Se invece ci sono tante e tante persone che sono semplicemente disperate, vuol dire che ci sono (poche) persone che si stanno arricchendo spropositatamente. Questa situazione viene pagata anche da qualche tedesco? Eccome! Per quanto siano aumentati i posti di lavoro (mentre da noi crollano) questi posti di lavoro (si parla di oltre un milione e mezzo di mini-job a 400/500 euro al mese) sono precari a tempo parziale senza diritti e senza futuro.

Quindi è necessario spostare il discorso da astratte ricette economiche, che siamo tutti bravi a fare, a capire come si può sovvertire questo stato borghese e cosa sostituire a esso.

Immaginiamo per un attimo che siamo riusciti a prendere il Palazzo d'Inverno e ci sediamo al comando nella stanza dei bottoni. In questo caso le ricette della MMT sono applicabili, sono utili per un potere popolare? È importante saper dare la risposta giusta, perché da ciò deriva la formulazione del programma politico e le proposte.

Come è del tutto evidente la MMT è una ricetta del tutto interna al sistema di produzione capitalistico. Crede di poter risolvere i problemi della società semplicemente aumentando i consumi: "aumentando la disponibilità economica dei ceti meno abbienti, si orienterebbe la produzione verso i settori di più largo consumo rendendoli più remunerativi e quindi facendo ripartire il ciclo economico capitalistico". Abbiamo visto le enormi contraddizioni che questa ricetta porterebbe con sé, se applicata in un sistema di libero mercato.

Questa è solo una delle contraddizioni a cui conduce ogni tipo di politica di tipo (neo)keynesiano che resta interna al sistema capitalistico. La seconda, ancora più grave, è la seguente. La crisi dovuta alla tendenziale caduta del saggio di profitto viene risolta dalla MMT? Ossia il fatto che i profitti relativi sono sempre più scarsi a causa della concorrenza e delle innovazioni tecnologiche come può essere risolto semplicemente dando più soldi a quelle persone che comprano prodotti a basso contenuto tecnologico ossia a basso saggio di profitto? Nel testo di Barnard si immagina che basti aumentare la domanda in un settore per renderlo più profittevole, ma ciò non basta perché in un mercato mondiale la richiesta verrebbe subito a essere saturata prima che i prezzi possano salire.

Sottolineiamo ancora una volta la differenza di visione col marxismo. La crisi non una crisi di sottoconsumo ma di sovrapproduzione sia di beni materiali ma oggi ancor di più di capitale.

Si veda a tal proposito il libro di Marco Rizzo Il golpe europeo. I comunisti contro l'Unione, Baldini&Castoldi (2012) e il saggio Guardando indietro ai cinque anni di crisi economica: bruciore di stomaco o attacco di cuore? di Zoltan Zigedyin tradotto e pubblicato su http://www.resistenze.org/sito/os/ec/osecea06-013808.htm.

4. Ulteriori contraddizioni delle teorie keynesiane

Vogliamo ora, quasi come inciso, avanzare un'ulteriore critica proprio nel campo della teoria economica. Questo punto potrebbe essere saltato dal lettore che non è interessato a queste "dotte" schermaglie.

Se si introduce nel sistema una quantità monetaria, essa non crea inflazione (o meglio crea un aumento della massa monetaria che non si scarica sui prezzi) in due casi: o essa viene sequestrata nel risparmio (e ciò avviene solo se si danno i soldi ai ricchi o alle banche), o si producono beni che aumentano in pari misura i beni materiali offerti sul mercato. Ora se questi beni sono beni durevoli e non sono di lungo investimento (ossia un bene che resta commerciabile), è chiaro che questa massa monetaria aggiuntiva continuerà a essere bilanciata da quei beni che restano sul mercato; ma se i beni prodotti sono beni che escono dal mercato, (ossia sono sottratti al mercato, come per esempio succede con i beni alimentari), dopo la transazione monetaria vi sono più soldi in circolazione rispetto ai beni materiali ancora sul mercato che li compensano, quindi l'"inflazione" (ossia, ancora una volta più correttamente: la pressione sui prezzi) si crea, eccome. In sostanza (come anche ci ha ricordato in una conferenza all'Università la Sapienza il Governatore Draghi il 24 maggio 2012) i soldi dati ai ricchi, ossia quelli che sono meno "liquidi" (M2 o M3 per gli appassionati) non fanno inflazione, i soldi dati ai poveri, ossia quelli più "liquidi" (M1 o M0) sì. Infatti perché si sono potuti dare 3500 miliardi alle banche senza creare tensioni sui mercati? Perché con quei soldi non si vanno a comprare carciofi o auto o cellulari, ma restano all'interno del sistema bancario, oppure vanno a fissarsi in beni di lungo investimento, come immobili o beni rifugio come l'oro.

(A proposito quindi del debito pubblico per esempio dell'Italia, esso potrebbe essere risolto dal sistema capitalistico con un semplice colpo di spugna, dicendo ai possessori del debito: "ecco, qui ci sono i vostri soldi, fatene quello che ne volete", tanto di quei nuovi numeri che si genererebbero nei computer del mondo non si avrebbe alcun particolare effetto, venendosi a sommare a una massa molto ma molto più grande che è presente nel mondo. Ma allora chiediamoci, perché non si fa? Perché il debito pubblico è stato trasformato nella migliore idrovora di profitto sicuro dal capitalismo internazionale e in particolare quello EU.)

Il problema di cosa succede alla moneta aggiuntiva, dopo che essa ha compiuto il proprio ciclo ed è stata spesa, non viene mai accennato dai teorici della MMT, sembra che la produzione di moneta di esaurisca nel momento dell'immissione e non ci si chiede cosa succede dinamicamente nei cicli successivi. Quindi o è un'immissione istantanea e non iterata, oppure al ciclo successivo ci si ritrova messi peggio di prima. Infatti, la massa di denaro immessa nel sistema, che ora non ha una contropartita in beni materiali, è affluita nelle tasche dei capitalisti che hanno venduto i loro beni; questa massa monetaria ora cerca una collocazione nel mercato ed anzi una sua valorizzazione, aumenta cioè la bolla monetaria. Abbiamo dato una dose di droga al drogato che ora ne richiede una ancora maggiore. Se invece è iterata le cose non possono che essere peggiori perché è un sistema che si deve sostenere con immissioni sempre più forti. Vediamo come risponde a queste critiche Barnard:

«... l'inflazione è l'unico limite vero alla spesa a deficit ma si controlla agevolmente con l'aumentata produzione derivante da quella spesa, o tassando.» (PB)

Quindi la ricetta è quella di Robin Hood, si dà ai poveri e poi si assorbe l'eccesso di moneta tassando i ricchi … che naturalmente saranno ben felici di questo e lasceranno fare in nome della giustizia sociale e dell'umanità, o no?

Quindi abbiamo delineato un sistema che è in tutto e per tutto un sistema capitalistico, perché il motore è sempre il profitto, non eliminando quindi le cause che provocano le crisi, ma pensiamo di metterci una pezza con uno stato che "regola" il mercato e le sue distorsioni, dando un po' di soldi qui e tassando un po' là. Non c'è altro, la MMT è tutta qui.

Si devono nazionalizzare le banche, che devono essere sottoposte a un controllo sociale, si deve mettere sotto stretto controllo il mercato interno ed evitare le importazioni che possono essere sostituiti da prodotti nazionali, si devono tassare i ricchi.

Quanto sia impraticabile questa ricetta politicamente lascio giudicare al lettore, ricordando che non c'è una minima attenzione né agli aspetti riguardanti la sovrastruttura (la politica, lo stato, le forze che devono imporre questo), né gli aspetti che riguardano le relazioni di questo sistema artificiale con tutto il resto del mondo che invece funziona diversamente (almeno fino a quando la MMT non verrà applicata a tutti i paesi del mondo). Del resto non poteva che essere così, essendo la MMT pensata da alcuni economisti americani e partorita nel chiuso dei loro studioli.

Ciò che stupisce è come mai essa possa generare un tale entusiasmo nei social network e non solo, perché ci sono stati anche affollati convegni sul tema, anche in Italia.

5. Le proposte dei comunisti

Torniamo quindi alla presa del Palazzo d'Inverno e immaginiamoci di delineare una proposta da fare ai lavoratori italiani, ossia usciamo dal gioco delle proposte più o meno attuabili, e vediamo come deve essere fatto un programma di un Partito che si candida a dirigere la rivoluzione in Italia, perché di questo si deve parlare.

La ricetta marxista sta nella socializzazione immediata di tutti i mezzi di produzione, a cominciare da quelli più grandi. Ossia uscire il più velocemente possibile dall'economia di mercato, ossia dalla produzione di merci per lo scambio con altri soggetti, per entrare in un'economia socialista, in cui non c'è bisogno di "produrre" moneta da distribuire a questo o a quello o di tassare questo o quello. Si tratta di pianificare a livello centrale i bisogni e i beni necessari al popolo e distribuire i compiti alle varie unità operative per raggiungere i risultati del piano.

Facciamo un esempio semplice semplice. L'ILVA di Taranto come si risolve? Si danno i soldi a lavoratori disoccupati e poi si tassa Riva costringendolo a mettere in sicurezza la fabbrica? Neanche per sogno! Riva viene espropriato e i lavoratori si occupano di rimettere in sesto l'azienda. Essa va risanata? Lo stato mette in campo tutte le sue energie per questo scopo. Chi paga i lavoratori nel frattempo, chi paga i tecnici che dovranno risanare? Questo è un problema che nella società socialista non esiste più perché, non dovendo lavorare per il mercato ma solo per raggiungere gli obiettivi proposti, ognuno avrà un compito e qualcun altro si occuperà di rifornirgli quanto serve.

Altro esempio, cosa diciamo ai lavoratori delle aziende che delocalizzano? Che quelle aziende vanno espropriate immediatamente e i lavoratori devono diventare i gestori della produzione.

Questa ricetta va estesa a tutti i mezzi di produzione, a cominciare dai più grandi.

Se l'Italia fosse un paese povero, in via di sviluppo, privo di risorse umani, culturali e materiali, il problema ci potrebbe essere, come l'ebbero i sovietici durante l'inizio dell'edificazione del socialismo: la Russia stava uscendo dal medioevo e soprattutto dopo anni di guerre era allo stremo, eppure i bolscevichi ce la fecero a superare il sottosviluppo e a portare quel paese a diventare la seconda potenza industriale e la prima potenza culturale del Pianeta, un paese dove non c'era la disoccupazione, i lavoratori non solo erano garantiti, ma erano padroni del proprio destino e lo sentivano, come dimostrano gli irripetibili successi che attuò l'URSS dal 1929 al 1956.

L'Italia non avrebbe nessuno di questi problemi, noi abbiamo una sovraccapacità produttiva spaventosa, potremmo lavorate tutti (se lavorassimo tutti) per quattro ore al giorno per soli vent'anni  per produrre molto di più di quello che noi e potremmo mai consumare nella nostra vita. In sostanza potremmo passare in breve tempo, dal socialismo già all'attuazione del comunismo. Questo è quello che noi intendiamo per socialismo-comunismo: una fase transitoria che potrebbe durare davvero poco.

Queste non sono ricette che sono state elaborate nello studio di un qualche studioso di economia o il parto della fantasia di insonni amici dell'umanità. Sono ciò che si fece in URSS e si può fare oggi in Italia molto più facilmente di quanto non si fece allora là.

In conclusione possiamo tornare alla iniziale citazione di Marx, che già 150 anni fa spiegavano che la crisi è originata nella produzione e non nella distribuzione e meno che mai nella finanza e che quindi la soluzione non può essere ricercata attraverso azioni che girano attorno al problema cardine, non affrontandolo direttamente: il motore della produzione capitalistica delle merci, ossia il profitto. Operazioni che invece sviano dalla corretta comprensione del problema, inventano soluzioni a tavolino – peraltro già utilizzate nel passato dal capitalismo – fanno il gioco del nostro nemico di classe.

Noi abbiamo la fortuna che non dobbiamo inventarci nulla di nuovo, dobbiamo solo studiare bene l'enorme patrimonio di esperienza di lotte politiche, sociali e culturali che i classici del marxismo ci hanno lasciato e attualizzarlo.


Decrescita o sostegno al capitalismo?

Alberto Lombardo *

Considerazioni generali.

Il punto fondamentale che differenzia il marxismo dalla teoria della decrescita è che questa teoria non si interessa proprio dei rapporti sociali di produzione, noi abbiamo una visione anticapitalistica ed antiimperialistica fondamentalmente diversa.

Il punto è il seguente: la teoria della decrescita vuole abbattere il capitalismo o suggerisce una forma di sviluppo capitalistico che possa mai essere 'compatibile' con i limiti ambientali? In fondo anche il capitalismo opera storicamente una periodica 'decrescita' traumatica: essa si chiama distruzione delle forze produttive, attraverso la crisi e la guerra. Queste cose ce le ha spiegate bene Lenin e c'è poco da aggiungere. La decrescita può quindi essere vista come il tentativo di rendere 'permanente' e non traumatico il movimento distruttivo del capitalismo.

Quanto all'antimperialismo, non si trovano tracce di questo impegno né negli scritti di Latouche, né in quelli di Pallante (ma sono pronto a fare ammenda, perché certo non ho letto tutto di questi scrittori). Anche i 'marxisti' nostrani decrescisti (Marino Badiale e Massimo Bontempelli) evitano con cura il problema di inquadrare questa teoria in un ambito internazionale, cogliendone solo alcuni aspetti che la mettono in contraddizione con lo sviluppo capitalistico allargato e mettendosi in aperto conflitto con Engels (seguendo peraltro un vecchio filone revisionista/economicista ben noto).

Quanto alla sensibilità ai problemi ecologici, i sistemi socialisti hanno sempre tenuto in alta considerazione la crescita culturale di tutto il popolo e quindi il tema ambientale non avrebbe potuto rimanere a lungo escluso da queste preoccupazioni. I disastri ambientali avvenuti nei regimi dell'est Europa, dopo la loro caduta, potremmo piuttosto ascriverli alla generale degenerazione revisionista che investì quei paesi negli anni della 'destalinizzazione'. Cuba, come il Living Planet Report ha indicato, è l'unico paese sulla Terra ad alto sviluppo umano con footprint ecologica sostenibile (World Wildlife Fund, Living Planet Report, 2006, http://panda.org.); non foss'altro, potrebbero dire i detrattori, per il feroce embargo che subisce da decenni. È finito da tempo l'accettazione supina del ricatto che il capitalismo ha sempre esercitato sul sindacato e sulle organizzazioni politiche dei lavoratori: salute contro lavoro. Sono errori che sono stati commessi anche dal PCI e dalla CGIL (Taranto, Priolo, Gela, per citare le più dolorose), ma occorre ribadire ancora che erano ben altre le informazioni disponibili negli anni '60 e '70. Si pensi solo al caso dell'asbestosi.

Non dobbiamo mai mancare di citare l'insanabile contraddizione tra capitalismo e limitatezza delle risorse. Ma certo che la questione ambientale dev'essere al centro dell'azione dei comunisti, per mostrare a chi ne avesse ancora bisogno che il capitalismo non è sostenibile, se non a prezzo della distruzione del Pianeta! Ma questa è solo la premessa, l'osservazione oggettiva di ciò che sta succedendo. Bisogna capire qual è la cura.

Non bisogna essere certo decrescista per abbracciare i temi sociali-ambientali. Il punto, ancora una volta, però è: come si fa tutto questo? Chi lo fa? Affastellare belle intenzioni, pensando che si possa creare un Fronte Unito dei Volenterosi (una classe genericamente intellettualmente evoluta che si renda conto della necessità di tutto ciò e ne paghi anche i prezzi) è utopistico. Il materialismo storico ci insegna che il motore della storia è la lotta di classe e la lotta di classe è fatta da idee che camminano però sulle gambe degli uomini. Perché il marxismo-leninismo è una dottrina scientifica? Perché individua nella classe operaia il 'motore' del cambiamento globale. Le contraddizioni di questa società (capitale-natura, uomo-donna, vecchi-giovani, nord-sud, …) da dove originano? Potremo risolverne una senza risolverne tutte? Questa è la domanda che il socialismo scientifico ha posto all'umanità e ha dato una risposta, che si è dimostrata vincente nella storia (dal 1928 al 1953 in URSS). È la contraddizione capitale-lavoro, che non può essere risolta senza porsi il problema della 'presa del potere', ossia della guida politica.

Se il contributo di idee del decrescismo si limita a "modalità tecno-ecologiche", pare che sia un po' poco.

Approfondiamo ora alcuni temi che emergono dalla lettura di un paio di brevi saggi di Maurizio Pallante: La decrescita felice e Decrescita e welfare state, facilmente reperibile sul web.

Dopo la brillante esposizione «Non tutti i beni sono merci e non tutte le merci sono beni», che dispone ogni marxista in modo positivo, perché richiama l'inizio del Capitale, la prima metà di questo articolo è costellata da esempi più o meno sagaci (i babbi natale, lo yoghurt autoprodotto, i servizi alla persona, il valore del dono e della reciprocità) che culminano nella tesi «In realtà i programmi di sviluppo aggravano la povertà dei popoli poveri anche quando realizzano incrementi del loro reddito pro capite, perché distruggono le economie di sussistenza…». In effetti questa tesi buttata così lascia un po' perplessi. Se è vero che i programmi di sviluppo imposti dal FMI e squali internazionali vari sono finalizzati a depredare i paesi del terzo mondo (perché solo del terzo? Si sono chiesti da un po' di tempo a questa parte), non si può affermare tout court che i livelli di benessere che la tecnologia moderna offre oggi siano disprezzabili. Sta a vedere chi, come e perché li ottiene.

«Il passaggio dalla produzione di beni alla produzione di merci è una trappola da cui i paesi sottosviluppati non riescono a liberarsi se non ritornando, con molta fatica, a un'economia di sussistenza, alle conoscenze, alle tecnologie, ai rapporti sociali, ai valori, alla cultura su cui si è fondata nel corso dei secoli e su cui, con le necessarie implementazioni, può continuare a fondarsi in futuro… Anche se di primo acchito può sembrare un paradosso, solo una economia fondata sulla decrescita consente ai popoli poveri di uscire dalla povertà.».

Quindi o sviluppo tecnologico perverso o ritorno al 'buon selvaggio'? non c'è un'alternativa per questi poveri popoli. Sono condannati per sempre a restare o schiavi dell'imperialismo o fuori dall'era tecnologica?

E andiamo al secondo punto più politico.

«La destra e la sinistra, in tutte le configurazioni che hanno assunto nel corso della storia, dalle più moderate alle più estremiste, sono due varianti di un identico paradigma culturale che ha come capisaldi la crescita, l'innovazione e il progresso. ... La destra sostiene che il mercato e la concorrenza sono gli strumenti migliori per favorire lo sviluppo delle innovazioni e la crescita economica. La sinistra ritiene che l'intervento statale sia indispensabile per guidare le innovazioni e la crescita economica verso obbiettivi che armonizzino gli interessi individuali col benessere collettivo. Il prerequisito è che la torta cresca, altrimenti non ce n'è per nessuno, e il mercato opportunamente indirizzato è lo strumento migliore per farla crescere, ma se si lasciasse al mercato anche il compito di dividerne le fette, i più forti lascerebbero ai più deboli solo quanto basta per sopravvivere. Affinché il progresso economico diventi fattore di un progresso sociale generalizzato, la politica ha il compito di fare in modo che le fette siano suddivise con maggiore equità. Ma se le fette si ripartiscono più equamente, ribatte la destra, si accresce la quota di reddito destinata ai consumi e si riducono gli investimenti in innovazioni tecnologiche, per cui la torta cresce di meno e le fette più grandi di una torta che resta più piccola diventano più piccole delle fette più piccole di una torta che diventa sempre più grande. Non è successo così nei paesi del socialismo reale?»

Questa freccia scagliata contro il socialismo reale cade totalmente nel vuoto perché Pallante scambia per "socialismo reale" la sua vulgata propagandistica anticomunista, o la versione occidentale socialdemocratica. Il socialismo non è finalizzato a una redistribuzione delle fette, ma a un totale sovvertimento delle finalità della produzione: dalle merci ai beni. Quindi, se c'è qualcuno che può realizzare le finalità dei decrescisti, ma non confliggere con le aspirazioni di sviluppo dei popoli, è il socialismo, quello vero, quello dei piani quinquennali di staliniana memoria.

«Le città sono luoghi in cui l'autoproduzione di beni e la prestazione non mercificata di servizi alla persona trovano difficoltà difficilmente sormontabili.».

Le città sono i luoghi dove la civiltà umana ha prodotto la filosofia, la scienza, praticamente tutta l'arte che conosciamo. L'alternativa qual è?

«La costruzione di edifici in grado di assicurare il benessere col minimo consumo di risorse, la progettazione di oggetti fatti per durare nel tempo, la riparazione invece della sostituzione, il riciclaggio e la riutilizzazione delle materie prime di cui sono fatti.»

È questa la decrescita? Ma allora basta andare in Germania, lì lo stanno facendo da anni, con grandi ecologici profitti, nella più grande nazione manifatturiera d'Europa.

«Ma le scelte delle pubbliche amministrazioni ispirate a criteri di sobrietà non possono ottenere risultati significativi senza la partecipazione consapevole dei cittadini… La sobrietà può essere perseguita come scelta di benessere individuale, ma se si traduce in proposte e scelte politiche, i suoi benefici diventano incomparabilmente maggiori.».

Quindi l'impegno politico dei cittadini (una melassa interclassista in cui tutti hanno lo stesso interesse) deve orientarsi a imporre norme di buona educazione civica? Un po' poco, direi! Se è vero che dobbiamo formulare un nuovo paradigma sociale, scontrandoci con potenze economiche colossali, come faremo a vincere armati solo della nostra "razionalità"?

In Capitalism and Degrowth: an impossible theorem di J. B. Foster, apparso sulla rivista marxista Monthy Review, apparso originariamente come Degrow or die? su Red Pepper nel gennaio del 2011 si critica correttamente la teoria di Latouche come "volontaristica", ma si sottolinea come essa è dichiaratamente finalizzata a trovare una via d'uscita sostenibile all'accumulazione capitalistica infinita.

In conclusione, nella teoria della decrescita vi sono tante cose buone e tante cose nuove, ma vien da citare Rossini: "…peccato che quelle nuove non siano buone e quelle buone non siano nuove".

In un altro articolo Pallante risponde a una obiezione sollevata riguardante che fine fa il welfare delle società moderne, basato prevalentemente sulle tasse che si estraggono dalla produzione di merci, rispetto a una decrescita della produzione e quindi della tassazione, ossia delle risorse destinabili al welfare.

Dopo la riproposizione dell'erronea teoria che il socialismo sia solo un problema di distribuzione, che già abbiamo commentato, si passa a soluzioni fai-da-te molto interessanti, quali: "non fate lavorare vostra moglie ma tenetela a casa a badare ai figli, saranno tutti molto più contenti". Quindi "meno Mercato e meno Stato".

Che dire? Il personaggio storico che mi viene in mente è Maria Antonietta alla vigilia della Rivoluzione francese: "Di che si lamentano? Non hanno pane? Mangino le brioches"

In conclusione, forse le elaborazioni teoriche di Latouche e di Pallante siano molto più complesse di quelle che si possono evincere da loro scritti riassuntivi. Ma nei dibattiti e nelle conferenze non appare molto di più di quello che si riporta in queste brevi note qui.

* Alberto Lombardo, responsabile formazione Partito Comunista


[1] Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004) di Vittorio Daniele e Paolo Malanima, http://www.rivistapoliticaeconomica.it/2007/mar-apr/Daniele_melanima.pdf, Graff. 8 e 9

[2] http://www.scenarieconomici.it/studio-sulle-prospettive-in-italia-germania-francia-e-spagna-e-simulazione-di-dissulazione-delleuro-e-ritorno-alle-valute-nazionali


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