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da rebelion - 2/01/05 - http://www.rebelion.org/noticia.php?id=9483

Dalla CEE alla UE superpotenza mondiale (Roma 1957 - Roma 2004)


La complessità della costruzione dell’ "Europa" del capitale, ed i suoi impatti


Ramon Fernandez Duran


Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Europa era desolata, con un bilancio di milioni di morti, città distrutte, miseria generalizzata e una forte risposta sociale. A poco a poco, sotto la supervisione diretta di ciascuna delle nuove superpotenze, USA e URSS, gli Stati sono stati ricostruiti da entrambi i lati del confine tracciato a Yalta e Postdam.

Nell’area occidentale, gli USA all’inizio propiziano una certa confluenza dei nuovi Stati che concordavano in generale coi loro antichi territori storici, al fine di meglio coordinare gli aiuti del Piano Marshall di ricostruzione e sviluppo, che serviva anche ai loro interessi finanziari, dando luogo alla creazione dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico).

All’inizio "formale" della Guerra Fredda (blocco di Berlino 1948) alcuni paesi europei occidentali decidono di creare l’Unione Europeo Occidentale -UEO -, per coordinare la capacità di risposta militare davanti alla minaccia proveniente da Est. Di fronte a questa decisione che poteva supporre un maggior grado d’autonomia di questi paesi rispetto agli USA, la superpotenza spinge per la creazione della NATO (1949), cui l’URSS risponde con il Patto di Varsavia (1951).

La UEO, in pratica sparisce per quaranta anni, davanti ad una potente NATO chiaramente dominata dagli Stati Uniti.
Europa occidentale ed orientale si convertivano così, in due "protettorati" delle superpotenze.

In questa situazione di debolezza e dipendenza, in un momento in cui le antiche potenze coloniali europeo-occidentali perdevano a poco a poco i loro antichi imperi in Africa ed Asia, e quando i mercati nazionali erano ancora molto limitati per affrontare una crescente competizione da parte nordamericana, le élite economiche e finanziarie europeo-occidentali pressano i loro Stati per affrontare questo nuovo scenario di incertezza.

Alcuni Stati, pressati dalla situazione sociale e geopolitica, si trasformano quindi in garanti di un nuovo patto tra capitale e lavoro, per gestire il capitalismo keynesiano postbellico. Dopo cinquecento anni l’Europa occidentale aveva smesso di essere il centro del mondo. In queste circostanze incomincia formalmente il cosiddetto "progetto europeo", nel 1957, con la firma del Trattato di Roma, quando sei paesi dell’Europa occidentale continentale, si dotano di una Unione Doganale e creano la Comunità Economica Europea[2].

Era la reazione delle principali potenze d’Europa su questo lato della "cortina di ferro", Francia, Germania, Italia, più i paesi del Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo), per iniziare la creazione di un mercato sovrastatale con l’obiettivo di potenziare le loro grandi imprese, al fine di competere meglio su scala europea e mondiale. La CEE è un vero successo e suscita un’elevata crescita economica su base industriale, un’intensa urbanizzazione, motorizzazione, ed una parallela disarticolazione del mondo rurale tradizionale. Subito suonano alle sue porte altri paesi europei occidentali. Nel 1973 Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, la Norvegia dice "No", ma attraverso un referendum.

D’altra parte, dagli anni sessanta, le tensioni con gli USA continuano ad aumentare gradualmente. La crescente rivalità economica, le tensioni con la Francia di De Gaulle (abbandono della Francia della struttura militare della NATO), e soprattutto la crisi del sistema monetario progettato a Bretton Woods (BW), cioè, la fine del patrocinio dollaro-oro (1971), fanno che quella rivalità s’intensifichi. Ma sempre entro un certo limite, perché la bipolarità mondiale limitava le tensioni intercapitalistiche, inoltre il "progetto europeo" era solo ancora un mercato sovrastatale in gestazione, senza nessun’unione politica propria e ancora meno sul piano militare. Gli Stati europeo-occidentali erano enti "autonomi", incapaci di rivaleggiare con la superpotenza e dipendenti dalla sua protezione militare.

Nonostante tutto, i paesi che allora formavano la CEE davanti alla crisi in gestazione di BW decidono, nel 1970, di lanciare una moneta unica per la fine degli anni settanta. Gli USA lo considerano un « casus belli », ed obbligano la Francia di Pompidou a ritirare quella proposta (conferenza delle Azzorre tra USA e Francia, fine del 1971). De Gaulle era sparito. I paesi della CEE accettano, ma in cambio ottengono di eliminare il sistema di cambi fissi esistenti dal 1945 (un altro dei puntelli del sistema di BW). Così, a partire dal 1973, il dollaro si sarebbe misurato con altre valute mondiali (di cornice) come lo yen, ma dalla sua posizione egemonica.

Dalla fine degli anni settanta, e specialmente con la presidenza Reagan, gli USA, seguiti dalla Gran Bretagna della Thatcher, spingono sempre di più un nuovo capitalismo globalizzato, basato sul crescente predominio dei loro mercati finanziari (specialmente Wall Street), ed una profonda ridefinizione del ruolo dello Stato e del rapporto capitale-lavoro: è il neoliberalismo.

La prima tappa della rivoluzione conservatrice che stava cominciando, andava a smontare le conquiste sociali raggiunte dopo il ciclo di lotte partite intorno al 1968. La CEE in una situazione recessiva e di forte paralisi dopo le crisi energetiche ed economiche degli anni settanta e principio degli ottanta, si vede obbligata a reagire. Le sue principali imprese transnazionali riunite nella lobby di pressione European Round Table of Industrialists (ERT) appoggiate anche dalle élite finanziarie, reclamano a Bruxelles di iniziare il ciclo neoliberale spingendo per un Mercato Unico e, più tardi, una moneta unica. Solo così potevano sussistere e prosperare nel nuovo mondo selvaggio della "globalizzazione" produttiva e finanziaria imposta nell’area occidentale da USA, e Gran Bretagna.

La Commissione Europea prende nota e promuove il "progetto europeo." Ed il Consiglio Europeo, ad istanze della Commissione, approva nel 1985 i Verbali Unici che istituiscono un Mercato Unico (MU) per merci, servizi, capitali e persone, Schengen (1993). Questo è l’inizio del ciclo neoliberale del "progetto europeo" che si approfondisce col Trattato di Maastricht, (1991-93) quando si approva la creazione dell’Unione Economica e Monetaria, UEM. Si arriva all’instaurazione di una moneta unica comunitaria per la fine degli anni novanta.

Nel frattempo, la CEE aveva continuato ad ampliarsi (Grecia nel 1981, Spagna e Portogallo nel 1986) superando l’ambito del puramente economico. Coi Verbali Unici, diventa Comunità Europea, e più tardi, con Maastricht, adotta la sua denominazione attuale: Unione Europea.

Il ciclo neoliberale del MU e Maastricht, s’intensifica ancora più negli anni novanta, e specialmente a partire dall’anno 2000 con la cosiddetta “Strategia di Lisbona”. Tutto questo permette di rilanciare una crescita economica che genera alcune disuguaglianze sociali e territoriali in aumento tendenziale, attivando una vera esplosione urbanizzatrice, con una crescente dispersione (ristrutturazione- terziarizzazione) metropolitana, la parallela esplosione della mobilità motorizzata, ed il totale predominio dell’agrobusiness sul mondo rurale. Cioè, un modello ogni giorno più ingiusto, energívoro ed insostenibile.

Ma Maastricht è già molto di più che la UEM, benché il conseguimento della moneta unica fosse la pietra angolare del Trattato. Per la prima volta si apre, in modo chiaro, ma molto incipiente, la strada per la costruzione della "Europa" politica e militare. Era la risposta al nuovo mondo che si apriva dopo la caduta del Muro di Berlino (1989), le Rivoluzioni di Velluto nell’Europa dell’Est (1990), la prima Guerra del Golfo (1991), ed il collasso dell’URSS (1991).

La nuova UE, in questo caso con la Germania unificata (1990), doveva agire davanti a questo nuovo scenario che colpiva in pieno il suo confine orientale, e davanti alla sfida che supponeva un nuovo mondo nel quale il capitalismo diventava davvero globale, e finiva con l’essere dominato da una sola superpotenza: gli USA. In questo nuovo scenario, una volta evaporata la bipolarità della Guerra Fredda, le tensioni intercapitaliste andavano probabilmente a crescere, e il non avere quella dimensione politico-militare diventava un handicap per la proiezione mondiale della UE. Inoltre, una volta scomparso il vincolo delle monete con l’oro, le principali valute mondiali si sostentano orami solo sulla fiducia, e questa è un bene fragile, che si garantisce principalmente con un forte potere politico e militare. Questo era il caso chiaro del dollaro che era la valuta egemonica mondiale. Ma la futura moneta unica che più tardi si sarebbe chiamata euro, per consolidarsi e poter arrivare a competere a suo tempo col dollaro aveva bisogno di un componente politico-militare di cui il "progetto europeo" mancava fino ad allora.

Maastricht, dunque, apre timidamente quella porta, creando due nuovi pilastri intergovernativi: la Politica Estera e di Sicurezza Comune, (praticamente si "ripristina" l’UEO), e la Politica Interna e di Giustizia Comune. Gli Stati si impegnano a cominciare a mettere in comune, sulla base dell’unanimità, queste loro competenze, fino ad allora fuori dell’ambito comunitario. Cioè, ad approfondire il "progetto europeo." Ma i vari interessi nazionali ed il diritto di veto facevano che questo fosse un compito molto arduo.

Nel frattempo, il nuovo "progetto europeo" si continua ad ampliare. Nel 1995, entrano per mezzo di referendum Svezia, Finlandia ed Austria, la Norvegia continua a dire "No". Insomma, l’antica Europa occidentale, praticamente, è già parte della UE. E nel 1993 si decide a Copenhagen di iniziare una gigantesca ampliazione della UE verso Est, per accogliere nel suo seno paesi dell’ex Patto di Varsavia, e piccoli Stati insulari (Cipro) Malta. Le ragioni di questa ampliazione ad Est sono chiare: incrementare il mercato della UE (quasi 100 milioni di nuovi consumatori) avvantaggiarsi di una forza di lavoro qualificata e molto economica (di fronte a un futuro di delocalizzazioni), appropriarsi delle loro imprese e risorse, e disattivare il pericolo che poteva supporre il loro potenziale militare, mentre questi paesi sono sottratti all’influenza della Russia.

Tuttavia, la scommessa era tremendamente rischiosa e complessa. Le forti differenze di reddito e culturali, la difficoltà del transito di un’economia pianificata ad un’altra di libero mercato, la debolezza ed assenza di beni immobili delle sue strutture statali, ed anche i suoi forti vincoli con gli USA, il suo nuovo e principale protettore di fronte alla Russia, facevano che questa ampliazione fosse di difficile digestione per una UE che era anche immersa nel progetto. Obbligata dalle circostanze, l’Unione decide di assalire contemporaneamente entrambi i processi: cioè, approfondire il "progetto europeo" mentre lo ampliava. Per ciò era imprescindibile cambiare le regole del gioco, quella del "caffè per tutti", cioè d’uguaglianza formale degli Stati, ed aprire la creazione di una "Europa" a varie velocità, con un centro forte, probabilmente l'Eurogruppo, e altre periferie, nella quale gli Stati vanno a perdere il diritto di veto. Questo è ciò che bene o male cerca di ottenere in primo luogo il Trattato di Amsterdam (1997), completato dopo in parte con quello di Nizza (2000), e finalmente articolato nel progetto di nuova Costituzione Europea a Roma (2004).

In parallelo, dalla fine degli anni novanta, gli USA propongono l’espansione. La NATO, che non si dissolve come il Patto di Varsavia, continua a rinforzare il suo ambito di proiezione mondiale e le cause e modalità di possibile intervento internazionale. I paesi dell’est entrano prima nella NATO che nell’UE, fatto che introduce altre tensioni. Attraverso questo strumento, gli USA irrompono come un vero Cavallo di Troia dentro la dinamica della "costruzione europea", ostacolando il suo già difficile consolidamento politico-militare. E’così soprattutto dopo l’11-S, sotto la presidenza di Bush, in questa nuova tappa che si è venuto a denominare come "globalizzazione armata", caratterizzata dall’attuazione unilaterale aggressiva degli USA su scala mondiale, ed un forte controllo e repressione interna.

Una seconda fase della rivoluzione conservatrice segnata anche dal fondamentalismo religioso ed il rafforzamento delle strutture di dominio patriarcale che sta mettendo apertamente in questione le conquiste delle donne negli ultimi trenta anni. È in questo contesto che incomincia l’elaborazione della Costituzione Europea, Laeken (dicembre 2001), la cui approvazione diventa ancora più perentoria di fronte a questo nuovissimo scenario globale. Scenario che si complica enormemente con la guerra preventiva di USA e Gran Bretagna contro l’Iraq, che riesce dividere la "Vecchia" e la "Nuova" "Europa." Con le tensioni interne e specialmente i freni che pongono in particolare la Gran Bretagna, accompagnata dall’Italia e dalla Spagna di Aznar, e la situazione nei paesi dell’Est.

La situazione attuale fa intravedere una futura configurazione della UE, enormemente complessa, con assenza di una struttura di comando chiara che compromette la sua costruzione come superpotenza politico-militare di proiezione mondiale. La Costituzione Europea è un accordo di minimo che blinda ed approfondisce la "Europa" neoliberale esistente, e che suppone un passo importante, ma limitato, per costruire la "Europa" politico e militare di cui necessita il capitale continentale in questa tappa, di crescente rivalità nordatlantica. Inoltre, una UE in costante espansione (prossima entrata di Bulgaria, Romania e Croazia e futura adesione della Turchia), senza alcune future frontiere delimitate e chiare, può ipotecare ancora più la spaccatura interna, la difficoltà di costruire un "dentro" ed un "fuori", un "noi" su cui si basa un progetto esclusivo per alcuni, e con enormi differenzi interne per i cittadini dei vari Stati dell'Unione.

In questo modo, il "progetto europeo" è angosciato da una forte e crescente mancanza di legittimità. Nei suoi primi anni, fino agli anni ottanta, durante i trenta anni di capitalismo dal "viso umano", mentre si costruiva lo "Stato del Benessere” e si creava una situazione di pieno impiego (fordista), la "costruzione europea" di allora ha goduto di una relativa buona immagine pubblica.

In questa tappa, la forte risposta sociale ed antipatriarcale esistente, si sviluppava nel quadro dello Stato-nazione. Tuttavia, da metà degli anni ottanta, quando incomincia il ciclo neoliberale del "progetto europeo", e si vanno imponendo da Bruxelles le ricette all’insieme dei paesi membri, col graduale smantellamento dello "stato sociale", mentre la UE si accaparra crescenti competenze statali, e si creano la disoccupazione cronica e la precarietà postfordista, nelle società europee, la "costruzione europea" affronta un rifiuto cittadino in crescendo.

Si incrementa chiaramente l’"euroescetticismo" che si vede rinforzato dall’incorporazione di nuovi Stati membri, proprio là dove si ottiene un forte rifiuto (Svezia, Finlandia ed Austria), che si sommano alle reticenze di Gran Bretagna e Danimarca. Più tardi, dal Trattato d’Amsterdam (1997) ad una crescente mobilitazione cittadina contro le istituzioni comunitarie che si rafforza alla fine del secolo, Nizza (2000), Goteborg (2001), Barcellona (2002), in parallelo all’auge del cosiddetto “movimento antiglobalizzazione", perché la UE comincia ad essere considerata come uno dei principali attori mondiali del nuovo capitalismo globale. E nei due ultimi anni hanno proliferato mobilitazioni di massa contro le privatizzazioni della sanità, l’educazione e le pensioni in molti paesi dell’Unione.Inoltre, l’inclusione dei paesi dell’Est ha introdotto più di un elemento nella disaffezione verso le strutture comunitarie. Non a caso nelle ultime elezioni al parlamento europeo ha votato solamente il 45 % della popolazione della UE, il 25 - 26 % se si considerano solo i paesi dell’Est. I cittadini, quelli più colpiti dalle ristrutturazioni in marcia, si allontanano soprattutto sempre di più dalla UE, e quelli dell’Est considerano se stessi come di "seconda categoria", da lì il loro dissenso per il "progetto europeo."

Non esiste un immaginario comune "europeo", e le strutture comunitarie, appoggiate negli Stati, stanno tentando di crearlo sulla base della paura dell’ "altro" (interno ed esterno) presentandosi davanti alla cittadinanza come la migliore garanzia di sicurezza, interna ed esterna, al fine di guadagnare legittimità. Con la nuova Costituzione, la UE cavalca forme di "dominio dolce" e forme di "dominio forte" caratteristiche di questa nuova tappa di "globalizzazione armata", mentre promuove anche un rafforzamento delle strutture di dominio patriarcale (pur se a ritmo "europeo") per meglio adeguarsi ai nuovi scenari di progressivo predominio della forza nella gestione e risoluzione di conflitti, ed adattarsi ugualmente allo smantellamento dello "Stato sociale”. Sicuramente l'immagine di "polizia buona" della "globalizzazione" di cui godeva fino ad ora la UE su scala globale, s’incomincia ad appannare, e continuerà così nei prossimi anni dovendo sempre più garantire col potere politico-militare l’imposizione degli interessi economici dell’Unione nel mondo intero; l’accesso a risorse naturali sempre più scarse che si trovano in spazi periferici, per saziare la domanda in salita di un modello urbano-agro-industriale ogni giorno più predatore ed inquinante, ed appoggiare su quelli pilastri la necessaria fiducia monetaria e finanziaria.

È in questo contesto avverso nel che deve essere ratificata la Costituzione Europea dai venticinque Stati membri, affinché la futura UE raggiunga una minima legittimità. Questo quadro può vedersi ancora più rarefatto se la nuova amministrazione Bush intensifica le sue pressioni per dividere la "Vecchia Europa" dalla “Nuova”, per far saltare il consolidamento di una UE superpotenza che rinforzi l’euro, e che possa mettere in pericolo l’egemonia mondiale del dollaro e l’egemonia globale USA. In realtà, la rivalità tra il dollaro e l’euro non fa altro che intensificarsi. La ratifica della Costituzione può trasformarsi in un calvario. In nove paesi membri si contempla la realizzazione di referendum, non vincolanti.

In Spagna si svolgerà il primo di essi. Il PSOE presenta la consultazione sapendo di vincere, ma è preoccupato dall’astensione, il suo è un atto di "europeismo" per trascinare altri paesi in cui le popolazioni dubitano.
In Francia e Gran Bretagna può arrivare a trionfare il "No", e in ogni modo, sembra che la partecipazione cittadina possa raggiungere quote ancora più basse di quelle già le registrate nelle recenti elezioni europee. In alcuni parlamenti dell’Est non è nemmeno certo il trionfo del "Sì."
I governi hanno detto "Se" alla Costituzione a Roma nell’ottobre di quest’anno, ma i popoli ed i parlamenti possono sorprenderli con un "No" o con un’astensione massiccia.

Madrid, dicembre, 2004

Ramón Fernández Durán è membro di «Ecologista in Azione»

traduzione dallo spagnolo di FR