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da Global Research, 29 ottobre 2006
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Perché Bush sta cercando lo scontro con la Corea del Nord
di Gregory Elich
Il test nucleare della Corea del Nord e le sanzioni economiche dell’ONU hanno portato le relazioni tra Stati Uniti e Corea del Nord al loro punto più basso da quando il Presidente Bush in carica. Solo poco più di un anno fa, per un breve momento, si era accesa qualche speranza di una sistemazione diplomatica della controversia nucleare. Al dialogo dei sei del 19 settembre 2005 venne firmata una dichiarazione di principi sul disarmo nucleare tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Democratica della Corea (DPRK). Ma l’Amministrazione Bush considerò la propria firma sull'accordo solamente come una tattica diversiva. Durante i negoziati aveva fermamente respinto la dichiarazione e si persuase a firmare solamente quando la delegazione cinese ammonì che, se il dialogo a sei fosse fallito, avrebbe dichiarato che ne erano responsabili gli Stati Uniti.
L'inchiostro si era appena asciugato sul documento quando, immediatamente, gli Stati Uniti violarono uno dei suoi punti principali. Anche se secondo l'accordo gli Stati Uniti erano tenuti a cominciare a normalizzare le relazioni con la Corea del Nord, letteralmente proprio il giorno seguente, annunciarono l'imposizione di sanzioni sui conti nordcoreani depositati nella sede del Banco Delta Asia di Macao, con il pretesto che questa banca fosse usa mettere in circolazione valuta contraffatta.
Se ci fosse o no qualche fondamento all'accusa deve ancora essere dimostrato (anche se c’è più di un motivo di scetticismo). L’esperto di contraffazioni tedesco Klaus Bender crede che, dal momento che la valuta USA è stampata su carta esclusivamente prodotta in Massachusetts, usando inchiostro basato su una formula chimica segreta, “è inimmaginabile” che chiunque altro, oltre gli americani “potrebbe conseguire questi materiali”. Bender afferma che le macchine stampanti che la Corea del Nord ottenne tre decadi fa sono “antiquate e non in grado di produrre banconote di USD, un prodotto ad alta tecnologia”, insinuando decisamente che la fonte della valuta falsificata potrebbe essere la CIA, dal momento che “per la produzione delle banconote è necessaria una dotazione di installazioni segrete per la stampa, dalla tecnologia sofisticata”. Che la CIA abbia la capacità di stampare soldi non prova che lo abbia fatto; comunque ne avrebbe un motivo, e la pista non è stata seguita. Da qualsiasi parte vengano le banconote falsificate, l’Amministrazione Bush ha preso al balzo situazione, usandola come pretesto per intentare causa contro la Corea del Nord. Nonostante ciò Bender riferisce “l'opinione degli esperti” è che l’imputazione degli Stati Uniti contro la Corea del Nord “non è sostenibile”.
Il Banco Delta Asia fu tempestivo nel negare l’accusa, affermando che i suoi rapporti di affari con la Corea del Nord erano del tutto legittimi e commerciali. Un anno più tardi gli Stati Uniti devono ancora completare la loro investigazione: finché l'investigazione rimane irrisolta, gli Stati Uniti possono continuare a tenere congelati i fondi della DPRK. L’Ambasciatore russo nella Corea del Sud, Gleb Ivashentsov chiese agli Stati Uniti di fornire una prova a fondamento della loro accusa. Tutto ciò che i russi ne ricevettero furono “discorsi a livello di diceria”. Nel Marzo 2006 funzionari del Tesoro degli US si incontrarono a New York con una delegazione nordcoreana ma in merito all’accusa non fornirono nulla. Il capo della delegazione della DPRK, Ri Gun, rimarcò in seguito “non ci sono stati ne commenti ne discussioni” sulle prove. A quella riunione, egli propose di creare un corpo consultivo congiunto USA-DPRK per “scambiarsi informazioni sui crimini finanziari e preparare contromisure”. I nordcoreani hanno dichiarato che avrebbero risposto alla prova di contraffazione arrestando tutti quelli coinvolti e sequestrando la loro attrezzatura. “Nel corpo consultivo entrambe le parti avrebbero potuto cercare un dialogo, attraverso il quale poter costruire la fiducia. Inoltre, affermò Ri, avrebbe avuto un impatto molto positivo nell’indirizzare la questione nucleare nella penisola coreana”. La delegazione suggerì anche che venisse aperto un conto di transazione nordcoreano in un'istituzione finanziaria US, posto sotto la sorveglianza US, in modo da diminuire i sospetti.
Non sorprendentemente, le offerte nordcoreane furono respinte. Sollevando la questione delle presunte falsificazioni, l’Amministrazione Bush cercava di usarla come mezzo per giustificare la guerra economica contro la DPRK. Non era un accordo con la Corea del Nord che l’Amministrazione Bush voleva bensì il cambio di regime; ed altre azioni erano in serbo. Gli Stati Uniti seguitarono ad imporre sanzioni a molte ditte nordcoreane di import-export, con l’accusa non fondata che erano coinvolte nel commercio di armamenti. Furono poi annunciate ulteriori sanzioni economiche e, insieme a quelle verso altre società nordcoreane, questa volta anche contro diverse ditte indiane e russe che fanno affari con la DPRK.
Le misure prese contro il Banco Delta Asia hanno privato la Corea del Nord di un punto di accesso prioritario per lo scambio estero e sono anche servite come meccanismo per dilatare l'effetto delle sanzioni. Mettendo sulla lista nera il Banco Delta Asia, gli Stati Uniti indussero le altre istituzioni finanziarie a ridurre le trattative con la banca, finché questa fu costretta a troncare le relazioni con la Corea del Nord. La campagna assunse presto un significato globale. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti spedì a livello mondiale lettere di avvertimento alle banche, dando luogo presso le banche di tutto il mondo ad un'ondata di chiusura dei conti nordcoreani. Temendo una ritorsione americana, le banche giudicarono fosse più prudente chiudere i conti nordcoreani piuttosto che rischiare di finire sulla lista nera ed essere escluse dagli affari. Stuart Levey, Sottosegretario del Tesoro degli US, osservò che le sanzioni economiche e le minacce degli Stati Uniti avevano prodotto “un’enorme pressione” sulla DPRK, conducendo “dalla palla di neve… all’effetto valanga”. Le azioni degli Stati Uniti erano intese a minare ogni presupposto per una pacifica risoluzione. Un funzionario senior dell’Amministrazione Bush ha rivelato che da allora in poi la strategia sarebbe stata di “schiacciarli ma tenere aperti i negoziati”. Ma, il funzionario ha continuato, il dialogo non sarebbe servito ad altro che come un mezzo per conseguire la capitolazione della Corea del Nord. Un secondo funzionario americano ha descritto l’obiettivo del dialogo come un “meccanismo di resa”. Infatti, anche prima della firma dell'accordo del 19 settembre, gli Stati Uniti avevano già deciso di “muoversi verso misure più antagoniste”, secondo le dichiarazioni del precedente funzionario dell’amministrazione Bush.
Nigel Cowie, in quanto direttore generale della Banca di Credito Daedong (una banca con maggioranza di capitale estero che opera in Pyongyang e serve soprattutto agli importatori) si trovò in una posizione per poter testimoniare sull'effetto delle lettere del Dipartimento del Tesoro US: “Noi abbiamo sentito da clienti stranieri, che facevano qui legittimi affari, che sono stati ammoniti dai loro banchieri d’oltreoceano a smettere di ricevere le rimesse dalla DPRK, altrimenti i loro conti sarebbero stati chiusi”. Per illustrare fino a che punto i funzionari americani erano pronti ad andare, Cowie ha descritto un'operazione che ha coinvolto la sua stessa ditta, dalla quale si possono trarre le debite conclusioni. Venne aperto un conto con una banca mongola. Furono fatti accordi per legittime operazioni in contanti. Ma quando i corrieri della Banca di Credito Daedong arrivarono in Mongolia, questi furono trattenuti da ufficiali dell’intelligence mongoli ed i loro soldi confiscati, con l’accusa che i corrieri stavano trasportando dalla Corea del Nord valuta falsificata. Una fuga di notizie sui media di una fonte non identificata, ventilò l’accusa, poi divulgata, che “diplomatici nordcoreani” erano stati arrestati per contrabbando di valuta contraffatta. Dopo due settimane “finalmente gli ufficiali dell’intelligence mongoli, in un incontro con noi, ammisero che tutte le banconote erano regolari e i soldi furono restituiti”. Nella riunione finale, gli ufficiali dell’intelligence mongoli “apparvero piuttosto imbarazzati per aver dato informazioni non corrette”. Ci vuole poca immaginazione ad indovinare la fonte di quelle informazioni non corrette.
Le azioni degli Stati Uniti andarono incontro ad un successo risonante, che Cowie ha così spiegato “Da parte nostra stiamo conducendo solamente affari legittimi, nondimeno siamo stati seriamente colpiti da queste misure. Un grande ammontare di danaro nostro e dei nostri clienti- non solo in USD ma in tutte le valute- è stato forzosamente trattenuto, senza indicazione di quando ci verrà restituito”. La vicenda del Banco Delta Asia ha giocato come un forte ammonimento. “Banche con ogni genere di vincolo con gli US, sono terrorizzate dal solo avere qualcosa a che fare con qualche banca nordcoreana,” ha detto Cowie. Dopo che la quota di maggioranza nella Banca di Credito Daedong venne acquisita dalla britannica Koryo Bank, il nuovo proprietario, Colin McAskill, chiese ai funzionari americani di esaminare i registri della banca per provare che i suoi fondi erano legittimi e che potevano essere scongelati. “Vogliamo invitare gli Stati Uniti a lasciar perdere le sanzioni” disse, “Loro hanno avuto tutto il loro agio di operare senza che chiunque mettesse in dubbio ciò che stavano facendo”.
Alle lettere di avvertimento alle banche spesso fecero seguito visite personali di funzionari americani. Banchieri e funzionari americani dicono che le comunicazioni contenevano un insieme di minacce implicite ed azioni esplicite. Di conseguenza, di lì a poco quasi tutti i conti della Corea del Nord depositati in banche estere vennero chiusi, con un effetto deleterio sul commercio internazionale della DPRK. I funzionari degli US stavano infliggendo un serio danno economico alla Corea del Nord ma progettavano di fare molto più. “Stiamo solo cominciando” disse qualche mese fa il Sottosegretario al Tesoro US Stuart Levey. In molti casi, non venne più nemmeno fatta alcuna ipotesi che le azioni fossero riferite ad operazioni finanziarie illegali; i funzionari degli Stati Uniti ora premevano apertamente le istituzioni finanziarie a troncare tutte le relazioni economiche con la DPRK. “Il governo statunitense sta esortando le istituzioni finanziarie in tutto il mondo a considerare attentamente i rischi di fare qualsiasi affare relativo alla Corea del Nord” ha detto Levey. Dal settembre 2006, gli Stati Uniti hanno spedito dispacci ufficiali ad ogni stato membro dell’ONU dettagliando i piani per inasprire le sanzioni economiche. Le misure progettate erano così forti che diverse nazioni europee espressero preoccupazioni e si disse che i piani puntavano niente meno che a un blocco totale di ogni commercio ed operazione finanziaria nordcoreana.
Selig Harrison, direttore del Programma per l’Asia del Centro per la Politica Internazionale, visitò la DPRK e riferì quello che vide riguardo alla direzione che gli eventi stavano prendendo: “Nella Corea del Nord ho rilevato casi, comprovati da uomini d'affari stranieri ed ambasciate estere, nei quali sono state bloccate legittime importazioni di attrezzature industriali per industrie leggere che producono beni di consumo. I nordcoreani considerano comprensibilmente questo come una politica di cambio di regime volta a provocare il crollo del loro governo attraverso la pressione economica”. Harrison riferì che il messaggio che sentiva dai funzionari nordcoreani era essenzialmente: “Noi vogliamo che gli Stati Uniti ci dimostrino di essere pronti a muoversi verso relazioni normali, secondo l'accordo del 19 settembre. Se gli Stati Uniti non toglieranno tutte le sanzioni finanziarie, tutte in una volta, dovranno poi dimostrarci in altri modi che vogliono operare insieme, rinunciando alla politica del cambio di regime.”
I funzionari nordcoreani furono comprensibilmente contrariati dall’immediata violazione dei principi dell'accordo del 19 settembre da parte della Amministrazione Bush. Siccome gli Stati Uniti continuarono a stringere le viti, la Corea del Nord annunciò che non sarebbe ritornata al dialogo a sei finché gli Stati Uniti non avessero onorato l'accordo che avevano sottoscritto. Le sanzioni dovevano essere tolte. Al minimo, avrebbe dovuto avere luogo un chiarimento su alcune questioni riguardo l'accusa di falsificazione. I funzionari degli Stati Uniti dissero che le sanzioni economiche non erano in discussione, pretendendo il ritorno della Corea del Nord al tavolo dei sei. L'immagine presentata al pubblico americano fu quella di un comportamento ostinato da parte dei nordcoreani e di un loro rifiuto a negoziare. Non venne detto come l’Amministrazione Bush aveva silurato intenzionalmente il dialogo.
Il Presidente sudcoreano Roh Moo-Hyun nel settembre 2006 fece visita a Washington, chiedendo che l'inchiesta US nel Banco Delta Asia fosse portata ad una rapida conclusione. Roh disse anche che era importante che gli US smettessero di imporre ulteriori sanzioni, in quanto con tali azioni rendevano impossibile la ripresa del dialogo a sei. Com’era prevedibile le sue richieste furono seccamente rifiutate. E invece il Dipartimento di Stato US stanziò $1 milione per tre stazioni radio, per trasmettere nella DPRK programmi ostili. Stuart Levey in un discorso di fronte all'American Enterprise Institute, solo un mese prima del test nucleare della DPRK, dichiarò “Penso che le nostre sanzioni economiche abbiano avuto un impatto concreto ma penso che la vera meta sia vedere un effettivo cambiamento nella Corea del Nord. Quindi, con quello che è accaduto finora, non siamo ancora soddisfatti ”.
Ogni speranza per una ripresa del dialogo dei sei era svanita. L’Amministrazione Bush voleva un cambio di regime nella Corea del Nord e quindi ci si poteva aspettare un aumento di tensione. I nordcoreani si erano guadagnati una reputazione per la loro attitudine a rispondere con trattative quando avvicinati diplomaticamente e con durezza quando minacciati. La Corea del Nord decise di procedere con un test nucleare in modo da scoraggiare Washington da ogni pensiero di azione militare. Fu diffusa una dichiarazione dal Ministero degli Esteri della DPRK che affermava che gli Stati Uniti stavano tentando “di internazionalizzare le sanzioni e i blocchi contro la DPRK”. Un test nucleare sarebbe stato una contromisura per “difendere la sovranità del paese” contro le “azioni ostili” dell’Amministrazione Bush.
Il 9 ottobre il test nucleare ebbe luogo. C'è ancora qualche mistero sulla natura del test. Il prodotto era notevolmente piccolo, valutato essere tra mezzo kiloton e 0.9 kiloton di portata. I nordcoreani avevano notificato in anticipo agli ufficiali cinesi un incombente test da 4 kiloton, molto inferiore ai prodotti di altre nazioni quando queste condussero i loro primi test. E’ possibile che la DPRK abbia cercato di risparmiare il suo limitato approvvigionamento di plutonio e di ridurre l'estensione di emissioni radioattive. Si pensa diffusamente che il test sia stato un parziale fallimento, a causa di una detonazione incompleta della carica nucleare. Ufficiali dell’intelligence ed analisti di armamenti degli Stati Uniti credono che o sia stato testato un dispositivo nucleare (non una bomba) e abbia funzionato male, o che il test fosse fatto solamente su una componente nucleare. La DPRK è ancora lontana dall’essere in grado di sviluppare un'arma nucleare che funzioni. Se la DPRK voleva segnalare agli Stati Uniti di avere un deterrente nucleare, ha invece conseguito l'opposto, rivelando con il test che il suo programma nucleare era ancora nelle fasi iniziali.
L’obiettivo dell’Amministrazione Bush è sempre stato quello di guadagnare sostegno internazionale per le sanzioni dell’ONU contro la Corea del Nord. Nell’Amministrazione Bush taluni ammettevano di ‘tifare’ che i nordcoreani conducessero un test nucleare. Avendo manovrato la DPRK a mettere in atto l'unica opzione che avevano, gli Stati Uniti colsero rapidamente la loro opportunità.
Nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU gli Stati Uniti ottennero l’approvazione per le sanzioni internazionali contro la DPRK. La Cina e la Russia riuscirono ad eliminare alcune frasi che avrebbero potuto portare ad azioni militari ma nella decisione dell’ONU restano ancora pericoli inerenti. Per esempio, gli stati membri dell’ONU sono chiamati ad assumere “un’azione cooperativa anche attraverso ispezioni dei carichi verso e dalla DPRK”. Sia al Consiglio di Sicurezza, sia al comitato per le sanzioni economiche è stato conferito il diritto di estendere l'elenco dei beni e delle tecnologie che possono essere bloccati, ed il comitato deve riunirsi ogni 90 giorni per raccomandare “modi per rafforzare l'efficacia delle misure”. Ci si può aspettare che gli Stati Uniti premeranno per misure più draconiane. I funzionari US sono stati pronti a far notare che le sanzioni economiche dell’ONU permettevano l'ispezione delle navi nordcoreane; e hanno dato il via ad una campagna più aggressiva per costringere le istituzioni finanziarie a tagliare i legami con la DPRK. L’Amministrazione Bush guarda alla Proliferation Security l'Initiative (PSI), un programma che dice di essere mirato a limitare il flusso di armi nucleari, biologiche e chimiche, come al pilastro per l’imposizione.
Subito dopo il passaggio della decisione all’ONU, l’Ambasciatore US Alexander Vershbow e il Vice Segretario di Stato Christopher Hill chiesero alla Corea del Sud di rivedere le proprie relazioni economiche con il Nord, nell’ottica di limitare i contatti. Questo fu seguito da una visita del Segretario di Stato Condoleezza Rice per rafforzare il messaggio. In particolare, gli US chiedevano alla Corea del Sud di bloccare i progetti cooperativi nel nord al parco industriale del Kaesong e nella stazione turistica del Monte Kumgang. Va dato atto alla Corea del Sud di aver rifiutato di abbandonare i progetti, in quanto entrambi essenziali ai piani a lungo termine per la riunificazione della penisola coreana. “La decisione deve prenderla la Corea del Sud”, ha sottolineato Song Min-soon, addetto della sicurezza sudcoreana.
Lo stesso viaggio portò Condoleezza Rice anche a Tokio, Pechino e Mosca, dove esortò i funzionari a perfezionare misure per aumentare l'effetto delle sanzioni. Il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, ritenendo che la Rice andasse troppo oltre nelle sue richieste, poi commentò “Da parte di ognuno si dovrebbe dimostrare realismo e si dovrebbero evitare posizioni estreme, intransigenti”. Prevedibilmente, i funzionari US incontrarono maggior successo nel Giappone, che di recente aveva imposto un bando totale al commercio con la DPRK. I funzionari giapponesi parlarono di sottoporre una nuova decisione all'ONU se la Corea del Nord avesse condotto un secondo test. La nuova decisione prefigurata dal Giappone avrebbe costretto le nazioni membro dell’ONU a rendere impraticabile quasi tutto il commercio con la DPRK e, cosa ancor più allarmante, sarebbe stato invocato l’Articolo 42 in modo da permettere l’azione militare.
Il furore solamente contro il parziale fallimento del debole test nucleare della Corea del Nord costituisce un curioso contrasto con l'indifferenza che ha salutato invece gli arsenali nucleari di altre nazioni. Gli Stati Uniti, chiaramente, hanno a loro disposizione un grandioso arsenale di armi nucleari. Non c'è nessuna proposta che gli stati nucleari prestabiliti debbano disarmare, né sono state invocate sanzioni contro gli stati nucleari più recenti, India, Pakistan e Israele. Gli Stati Uniti, anche recentemente, hanno firmato un patto nucleare con l'India. I programmi nucleari in tutti questi casi rendono irrisorio quello della Corea del Nord. Ma solo la Corea del Nord è stata fatta oggetto di punizioni e oltraggio. I fondamenti per un tale eclatante doppio standard sono ovviamente che nessuna delle altre potenze nucleari è un potenziale obiettivo per le forze militari degli Stati Uniti. Il principio operativo è che a nessuna nazione che gli Stati Uniti cercano di schiacciare possano essere consentiti i mezzi per contrastare un attacco.
Il test nucleare della Corea del Nord è stato guidato dal bisogno di ridurre il rischio percepito di un attacco dagli Stati Uniti: una considerazione abbastanza verosimile, visto il destino di Iraq, Afganistan e Jugoslavia, armati convenzionalmente. Allo stesso tempo il test ha fatto gioco nelle mani dell’Amministrazione Bush. Le armate degli Stati Uniti sono coinvolte in larga scala nell’occupazione dell’Iraq e dell'Afganistan; ma le sanzioni dell’ONU sono un'alternativa ad effetto economico per portare alla rovina la Corea del Nord e il suo popolo. Come l’Amministrazione Bush interpreti tutto quello che le sanzioni economiche le permettono di fare è una domanda con conseguenze potenzialmente profonde. Ci sono anche state indicazioni che gli Stati Uniti possono andare ben oltre la lettera della decisione e promuovere misure che rappresentano una vera minaccia alla pace. La decisione dell’ONU dà alle nazioni l’appoggio legale per fermare le navi nordcoreane nei porti e nelle acque straniere. Ma l’ambasciatore US all'ONU John Bolton ha suggerito la possibilità di fermare e perquisire le navi nordcoreane in acque internazionali, un atto che manca di alcun fondamento legale. Se gli Stati Uniti decidono di intraprendere questo corso di azioni, rischiano di provocare un scontro militare in mare. Il Giappone sta considerando di offrire al piano US cacciatorpediniere ed aerei da perlustrazione per disturbare le navi nordcoreane. Questo sarebbe considerato un atto particolarmente provocatorio, date le amare e aspre memorie associate ai molti anni che la Corea ha passato sotto regime coloniale giapponese.
Ma alla fine, quello che vuole l’Amministrazione Bush è certamente lo scontro, vedendolo come l'opportunità per un’ulteriore punizione della DPRK. Fin dalla demolizione degli Accordi Quadro del 1994, l’Amministrazione Bush ha continuato a fare tutto ciò che poteva per aggravare le tensioni. “Gli Stati Uniti non hanno mai inteso onorare gli Accordi Quadro e non hanno adempiuto pienamente a nessuno dei suoi provvedimenti” nota Alexander Zhebin dell'Istituto dell'Estremo Oriente della Russia “Gli Stati Uniti amerebbero piazzare un focolaio in fiamme alla soglia della Russia; gli americani se ne starebbero seduti a guardarlo esplodere alla Tivù, e lascerebbero i russi, i cinesi e i coreani a subirne le conseguenze.”
Traduzione dall’inglese Bf per reistenze.org