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- osservatorio - mondo multipolare - 28-06-09 - n. 280
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura di FR del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
L’impegno cinese in Africa cambia la geopolitica del continente
di Joan Canela i Barrull
Berria
27/06/09
"Un’azienda cinese costruirà il terzo ponte di Barnako"... "S’inaugura il Fondo Cina - Africa di Sviluppo con 5.000 milioni di dollari"... "Due feriti negli scontri con la polizia durante lo sciopero in un’azienda cinese". Titoli come questi si leggono quotidianamente nei giornali africani, il continente africano è contagiato da una vera e propria "febbre gialla" in cui sembra che tutte le speranze e tutte le paure provengano dal lontano oriente.
Ci sono motivi fondati, infatti nel 2007 il gigante cinese ha investito in Africa 4.500 milioni di dollari in infrastrutture, più di tutti i paesi del G8 messi insieme, ed il commercio cinoafricano aumenta a un ritmo vertiginoso anno dopo anno (fra il 30 e il 50%), fino a superare gli 80.000 milioni di euro nel 2008. Un altro esempio: il numero di aziende cinesi presenti nel continente negli ultimi due anni è raddoppiato, e sono ormai duemila.
Ma non si tratta solo di una crescita quantitativa, ma qualitativa, come segnala Ryaan Meyer, direttore del Progetto Cina e Africa dell’Istituto Sudafricano di Rapporti Internazionali: "Le banche cinesi si sono concentrate nel finanziamento di progetti energetici, infrastrutture e risorse primarie, ma sono sicuro che ora si muoveranno verso altri settori come l’agricoltura o le banche commerciali". E con la crisi internazionale - da cui la Cina sembra rimanere un po’ in disparte "questo processo può accelerare ancora", dichiara Jing Gu, ricercatrice dell’Università di Sussex, inoltre, "gli investimenti europei e statunitensi stanno ritraendosi verso i paesi d’origine".
Di questo passo la Cina supererà in pochi anni i paesi occidentali come primo socio economico della maggior parte dei paesi africani.
Ma l’influenza cinese nel sud del Sahara non è solo commerciale. Crescono anche i progetti di cooperazione, gli scambi culturali, la presenza militare e l’influenza politica. Quest’ultima è più evidente con il recente rifiuto sudafricano verso il Dalai Lama, a cui è stato negato l’ingresso nel paese. Questa influenza politica sta cominciando a creare tensione fra la Cina e i paesi occidentali, Stati Uniti in testa.
Solo alla luce della competizione fra potenze - una sorta di nuova “guerra fredda”- secondo le parole del giornalista William Engdahl- si possono capire i conflitti locali come quello sudanese, quello zimbabwese o la prolungata e sanguinosa guerra nell’est del Congo, che ha già fatto più di cinque milioni di morti. La Cina offre un’alternativa politica, economica e di sicurezza all’Occidente per molti paesi africani - spiega l’analista David Shinn- soprattutto per regimi condannati all’ostracismo, come per il regime del Sudan o dello Zimbabwe.
A differenza degli Stati Uniti e dell’Unione Europea che condannano con l’embargo certi paesi
non democratici - ma non tutti -, la Cina stabilisce semplicemente un "potere soffice", secondo, l’espressione del ricercatore Stephen Marks, che non esclude nessuno. Ad eccezione dei paesi che riconoscono Taiwan.
Ma l’influenza cinese in Africa può aiutare lo sviluppo del continente dimenticato?
Su questo punto gli analisti divergono completamente. La ricercatrice del Gruppo di Studi Africani
Iraxis Bello ritiene che "la crescita africana del 7% degli ultimi anni sarebbe stata impossibile senza l’aiuto cinese" e che ora "gli africani hanno nuove infrastrutture fondamentali come strade, aeroporti e ospedali". Mentre Stephen Muyakwa, economista e presidente della Rete Commerciale della Società Civile dello Zambia, avverte del "pericolo del basso credito e senza condizioni cinese", che a suo parere può "generare una nuova bolla di debito estero" e "più corruzione".
Il fatto che i paesi africani abbiano un’alternativa al commercio unico coi paesi occidentali, sia la Cina l’India o il Brasile, è visto come un’"opportunità" per gli economisti. "Se alla fine questo commercio risulta positivo non dipende da come ne approfittano gli africani", sentenzia William Engdahl.
Il FMI blocca l’accordo minerario più caro della storia dei paesi africani
Può l’Africa usare il suo potenziale minerario per garantirsi lo sviluppo?
Vista la storia del primo mezzo secolo d’indipendenza la risposta sarebbe "no". Per lo meno fino alla data dell’accordo per lo sviluppo minerario più caro della storia del continente, mediante il quale due aziende cinesi s’impegnano a investire 6.600 milioni di euro in Congo in cambio dei diritti di sfruttamento di ricchi giacimenti di rame e cobalto. L’investimento non sarà solo in infrastrutture industriali, ma include anche la costruzione di strade, scuole e ospedali, direttamente e senza passare attraverso la gestione del governo congolese. E’ accettabile? E’ una questione difficile. L’avvocato e attivista per i diritti umani congolese Laurent Okitonembo non dubita nel qualificare il contratto "leonino" e individua l’incongruenza denunciando: "la rapina di imprese occidentali mentre si permette alla Cina di fare lo stesso".
E’ della stessa opinione il FMI, che ha congelato un condono di debito pari a migliaia di milioni fino a quando non sia rivisto "l’ingiusto" contratto minerario. Questa decisione ha causato stupore e il malcontento nel governo di Kinshasa, dove ricordano che il debito è stato contratto dal dittatore Mobutu Sese Seko senza che il FMI gli chiedesse conto di nulla.
Allora é facile capire i cinesi, quando dicono: "gli occidentali sono stati in Africa per 50 anni, e cosa hanno fatto?"
Al riguardo, dichiarava recentemente un alto funzionario congolese al Financial Times: "Non è un caso che non ci sia una strada fra Kinshasa e Goma".