www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società -

Da The Nation - 11 Feb 2005
http://www.thenation.com/doc.mhtml?i=20050131&s=cohen

La Nuova Guerra Fredda dei Media


di Stephen F. COHEN
31 Gennaio, 2005

Tredici anni dopo la fine dell'Unione Sovietica, la gerarchia della stampa americana è sembrata ansiosa di volgere la contestata elezione presidenziale del 21 Novembre in Ucraina in una nuova Guerra Fredda con la Russia. Ancora peggio, i più entusiasti non sono stati i soliti russofobi ma influenti opinion-makers e pubblicazioni reputate esemplari per equilibrio, moderazione, addirittura ‘liberal’e aperte

Un elemento essenziale della quarantennale Guerra Fredda è che il pensiero fu manicheo, doppio-standard su ambo i lati, che si ingiuriavano implacabilmente l’un l’altro, negando di avere alcun interesse nazionale fuori dai propri legittimi confini e biasimando ogni conflitto. Il risultato di massimizzare le differenze e minimizzare la reciproca comprensione è stato propriamente di ispirare una catastrofica corsa alle armi nucleari. Consideri, quindi, il recente commentario sulla principale stampa americana sul conflitto US-Russia sull'Ucraina, che la contesa potrebbe non essere finita con la vittoria del candidato favorito da Washington, Viktor Jushchenko, il 26 Dicembre.

La premessa fondamentale era che gli eventi in Ucraina erano, nella formulazione allarmista dell’editorialista del Washington Post, Jackson Diehl, “disturbanti  memorie del 1947- 48” (6 Dic.). La sua collega del Post, Anne Applebaum, più churchilliana: “Guardando indietro, possiamo vedere il 2004 come l'anno in cui una nuova cortina di ferro è calata attraverso l'Europa” (24 Nov.). Non  sorprende che si dica che la sola causa della fatale possibilità di una rinnovata Guerra Fredda- nelle parole ugualmente presaghe di un articolista del New York Time, Nicholas Kristof (15 Dic.)- sia stato “un massiccio e malefico intervento russo in Ucraina” per aiutare il candidato favorito di Mosca, Viktor Janukovich, come il Post ha ripetutamente denunciato in un torrente di editoriali (31Ott., 23 Nov., Nov. e 2 Dic.).

Considerando che il Presidente russo Vladimir Putin aveva corteggiato l'Ovest per cinque anni, facendo anche passi senza precedenti nel sostenere pubblicamente la rielezione del Presidente George W. Bush, come  può ora essere definibile come Guerra Fredda la campagna pro Janukovich del Cremlino, come denuncia la pagina editoriale del redattore del Post, Fred Hiatt (13 Dic.)? E’ stata completamente rimossa l’eventualità che la Russia possa avere una legittima sicurezza o altro interesse nazionale in Ucraina, paese al quale è stata per secoli strettamente e anche familiarmente legata da geografia, tradizioni, lingua, religione, legami matrimoniali ed economici. Infatti, secondo un rapporto firmato da Elisabeth  Bumiller sul Washington Time (30 Nov.), “Specialisti sulla Russia dicono che il coinvolgimento di Putin in Ucraina è ora la più seria ingiuria agli occhi degli americani.” (non sembra agli occhi degli ucraini: in un’indagine fatta a fine Dicembre 2004, l’83% degli ucraini ha espresso di avere una " buona" opinione della Russia, e il 50% rimpiangeva anche la fine dell’Unione Sovietica.)

Non è stato loro chiesto come Putin avrebbe potuto reagire al notorio (almeno al Cremlino) “coinvolgimento” degli US in Ucraina a favore di  Jushchenko. Per esempio, la protesta indignata che Mosca abbia organizzato un “afflusso di massa di celebrità russe" per promuovere Janukovich (Stephen Sestanovich, Post op-ed, 19 Nov.), suona particolarmente falsa alla luce della compiaciuta testimonianza di un ufficiale del Dipartimento di Stato, ad un comitato nazionale il 7 Dicembre, che il governo US aveva spedito in Ucraina una propria delegazione di notabili; che includeva i Senatori John McCain e Richard Lugar, il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld, l’ex Presidente George H.W. Bush, l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger, Madeleine Albright e l’ex Comandante Nato, nonché candidato presidenziale Democratico, Gen.Wesley Clark.

Anche tralasciando la replica di Putin- che un’elezione più democratica di quella contestata in Ucraina, può difficilmente essere attesa questo mese nell’Iraq occupato dagli US- vi è un altro precedente americano, evidentemente dimenticato. In una reiterata “analisi di notizie”, un corrispondente del Time ( Steven Lee Myers, 24 Nov. e similmente, 19 Dic.) assicura i lettori che la grande offesa del leader del Cremlino,  è di aver superato “il protocollo diplomatico sottoscritto, facendo una campagna così apertamente in favore di Janukovich”. Può darsi che Putin abbia pensato che la sua condotta sarebbe stata accettata, seguendo il protocollo basato sulla flagrante campagna dell’Amministrazione Clinton per la rielezione, nel 1996, del Presidente russo ‘amico dell’America’ Boris Yeltsin. Tale ‘intervento’- che includeva esagerate ‘spinte’ poco diplomatiche, come 10 miliardi di $ di prestito del Fmi, che strateghi politici degli Stati Uniti inviarono a Mosca per informare la campagna di Yeltsin- cercava di premere un concorrente liberal a ritirarsi in suo favore, e profondeva giustificazioni sia per le sue politiche economiche pro-oligarchiche, sia per la sua guerra criminale in Cecenia.

(Un importante nota: la nostalgia per Yeltsin “che abbracciò l'Occidente”- come Erin Arvedlund ricorda nel Time del 2 Dicembre- ha informato molto di questo commentario americano. Secondo Kristof infatti “l'Ovest è  stato imbrogliato da Putin; lui non è una versione sobria di Boris Yeltsin”. Non viene notato, ed ancora meno spiegato, che oggi Yeltsin è probabilmente la figura politica più disprezzata in Russia, mentre Putin è certamente di gran lunga il più popolare.)

Invece di considerare il ruolo degli interessi nazionali della Russia e il comportamento degli US, molti commentatori, specialmente del Post, hanno insistito  implacabilmente  che la condotta di Putin in Ucraina è stata guidata da un “rude  neo-imperialismo, alla base di una concertata e pericolosa strategia imperiale russa in tutti gli stati vicini, una volta parte dell'Unione Sovietica”(editoriale del Post op-ed, 2 e 6 Dic.; similmente gli editoriali del 23 Nov., 25 Nov., 21 e 26 Dic., op-ed, 3 Gen.). E’ qui che la stampa a doppio standard abbandona ogni pretesa di obiettività: nella maggior parte di queste regioni ex sovietiche, nelle quali il Cremlino è accusato di ‘intromissione imperiale’, dal Baltico ad Ovest, alla Georgia a Sud, agli stati dell'Asia Centrale, ora vi sono basi militari US e Nato, ed altre sono programmate. E nemmeno hanno menzionato, tra le questioni essenziali, discusse estesamente da studiosi, se queste province facciano parte di un impero americano in continua espansione.

Il doppio standard può produrre strane conseguenze. Visitando Mosca, Applebaum fu stupita perché persino una diciottenne russa che studia in un’università americana restò davvero sconvolta dalla prospettiva un governo filo-US in Ucraina. La giovane tentò di spiegare: “Se tutti questi paesi intorno a noi si congiungono alla Nato... la Russia sarà isolata”. Ma Applebaum restò ferma nel tradurre la preoccupazione della studentessa come una “convinzione che la Russia abbia diritto ad un impero” (Post, 15 Dic.). Che genere di ragionamento porta una giornalista americana a scambiare la preoccupazione di una giovane russa sull'accerchiamento militare del suo paese come ‘nostalgia imperiale’? (Potrebbe essere detto lo stesso delle ansie degli Stati Uniti se cominciassero a comparire basi russe in Canada, Messico e in America Latina?)

Se Washington, a differenza di Mosca, non è impegnata in una penetrazione imperiale degli ex territori sovietici, perché è stata così coinvolta nelle politiche dell'Ucraina? La risposta ufficiale e standard della stampa è che i motivi degli US sono totalmente altruistici; come ci assicurano molti editoriali e attivisti ben consolidati della democrazia, gli US “non stanno cercando di arruolare un nuovo cliente all’Occidente ma di difendere la democrazia e l’indipendenza che la maggior parte di ucraini vogliono" (editoriale del Post, 25 Nov. e similmente, Michael McFaul op-ed, 21 Dic.). Il Post continua: “La vera lotta in Ucraina non è sull’orientamento geopolitico; è sulla democrazia”, insistendo che pensare altrimenti è “un’assurdità”( 2 e 26 Dic.) Di tono simile ma più paternalistico un editoriale del Time (4 Dic.) consiglia Putin di “abbandonare la sciocca nozione che qualcuno stia tentando di rubare la ‘sua’ Ucraina”; e un editoriale del Boston Globe (28 Dic.) liquida il comportamento di Putin come ‘paranoia’.

Nessuno nella classe politica della Russia crede a tali assicurazioni, nemmeno la sua fazione filo-americana che sta rapidamente diminuendo, e con buon ragione. Nelle stesse pagine editoriali del Washington Post, che sono diventate l’avanguardia della crociata della nuova Guerra Fredda, l'articolista Charles Krauthammer ha rivelato un  significato molto diverso del conflitto ucraino: “Riguarda in primo luogo la Russia, solo secondariamente la democrazia.... L'Occidente vuole finire il lavoro cominciato con la caduta del Muro di Berlino e continuare la marcia nell'Europa dell’Est.... il grande premio è l’Ucraina”(3 Dic.).

L’ineffabile candore di Krauthammer conferma l’allarme crescente del Cremlino 
per il proliferare di basi Occidentali che si stringono attorno alla Russia come un cappio. Ma se aveva bisogno di conferme più consistenti, la Russia le ha avute da Richard Holbrooke, già candidato a Segretario di Stato per il Partito Democratico e principale portavoce  per la presunta politica estera di quel che resta di quel partito, che ora parla in veste bipartisan.

Appena di ritorno da Kiev, Holbrooke esultò sull’imminente “rottura  finale con Mosca” dell’Ucraina ed esortò Washington ad ‘accelerare’ la sua adesione alla Nato che “definisce virtualmente la nostra zona di pertinenza della sicurezza in metà del 
mondo" (Post op-ed, 14 Dic.). Con tale esperta diplomazia, certo di riassicurare Mosca circa questa ulteriore violazione (non-imperialista), Holbrooke disse a Chris Matthews su Hardball (13 Dic.) che un Presidente Jushchenko dovrebbe essere invitato immediatamente a Washington a “rivolgersi alla sessione congiunta del Congresso”. Holbrooke non stava lavorando indipendentemente. Gli editoriali del Post, sull’orientamento ‘non geopolitico’ sono stati incoerenti o doppi, proclamando allo stesso tempo il benvenuto in Ucraina, con ‘porte aperte’ della Nato, a Jushchenko (10 Dic.; similmente, 31Ott. e 26 Dic.); una politica che viene ancora spinta nelle pagine del nuovo anno.
(Steven Pifer, 1 Gen.).

Il solo contenzioso sull’Ucraina non può essere sufficiente per lanciare una nuova Guerra Fredda contro la Russia, ma l'accusa della stampa statunitense a Putin, un leader una volta salutato per il suo “impegno a costruire una democrazia” (Michael Wines, Time, 9 Lugl. 2000), cresce rapidamente da più di un anno. Iniziò nell’Ottobre 2003, quando il Cremlino incarcerò Mikhail Khodorkovsky, l'oligarca più ricco della Russia, proprietario della maggior società petrolifera del paese, la Jukos, con accuse di frode, appropriazione indebita ed evasione fiscale. L’Ucraina e la Jukos, prima separate e poi ritornate nel controllo dello stato, vengono citate regolarmente insieme come eccellente prova che Putin, e la stessa  Russia, siano senza speranza autoritari e privi degli ‘standard minimi’ di democrazia, norme di diritto e proprietà privata (Myers, Time, 19 Dic.). L’articolista del Globe Thomas Oliphant e l’editorialista del Wall Street Journal  Holman Jenkins Jr.,erano ancora più accusatori. Il primo anatemizzava il Cremlino di Putin come “ delinquenti russi che si mascherano come un governo" (21 Dic.), mentre il secondo associava Putin a Saddam Hussein (5 Gen.); associazione che implica la necessità di intervento US.

E non solamente questo. Putin, secondo l’articolista del Time Kristof, “sta guidando la Russia ... al fascismo”, una linea promossa anche da un neo-con della Guerra Fredda, come l’ex direttore CIA James Woolsey. Per paura che i lettori pensino che farebbero meglio a piantarla con l'Unione Sovietica, il cui leader Mikhail Gorbachev fece più di chiunque altro per chiudere l'ultima Guerra Fredda nel 1989, Kristof aggiunge prontamente: “sarebbe tuttavia molto meglio una Russia fascista di una Russia Comunista”.(Tralasciando altre questioni, penso istintivamente ai molti ebrei che scamparono alla morte nei campi dei fascisti nell'Europa orientale solamente perché furono liberati da soldati ‘Comunisti’) Infine i lettori di The Nation non pensino che solamente i giornalisti americani siano capaci di commentari così iperbolici; lo storico inglese alla moda, Niall Ferguson, ora ad Harvard, ammonisce i lettori del Daily Telegraph (1 Gen.) che Putin potrebbe trasformarsi in un Hitler, “un ben scafato fuhrer russo… una minaccia per il resto del mondo”.

La maggior parte di russi vede tutto ciò in modo molto diverso. Sentendo gli addebiti degli US contro Putin, si domandano perché, negli anni‘90 Washington appoggiò così entusiasticamente il filo-occidentale Yeltsin quando questi distrusse a cannonate, con i tank, un Parlamento eletto, organizzò svariate elezioni ‘fraudolente’ almeno come quella contestata in Ucraina, e predispose l'illegale saccheggio oligarchico delle proprietà di Stato. (gli Ucraini, incidentalmente, potevano chiedersi perché il loro iniziale presidente, Leonid Kuchma, pur maltrattato dalla stampa americana, sia stato così grandiosamente festeggiato dal governo Stati Uniti a Washington nel 1996 e ora invece venga conferito l’annuale ‘Premio per la Libertà’, alla Casa della Libertà anti-Kuchma.)

Soprattutto, dietro alle proclamazioni di ‘partnership strategica’ di Washington, i russi vedono una politica trionfalistica, del chi-vince-prende-tutto, nei confronti della Russia post-sovietica. L’Ucraina e le altre repubbliche sovietiche erano parte della loro sicurezza; ora Washington sta esigendole come “zona centrale della propria sicurezza” (infatti adesso Diehl, scrivendo sul Post ,3 Gen., esorta gli US ad una politica che potrebbe dar luogo a qualcosa ben oltre la mera Guerra Fredda, promuovendo una ‘lotta’ sul tipo di quella ucraina, non solo in Bielorussia, un paese ex sovietico ancora in relazione molto stretta con la Russia, ma anche nella Russia medesima.) La stessa cosa anche con il petrolio Jukos. Una volta apparteneva allo stato russo, i cui cittadini impoveriti lo consideravano parte della ricchezza nazionale che poteva essere una garanzia per loro; ma Khodorkovsky era sul punto di vendere il suo controllo ‘privatizzato’, legandolo ad un gigante del petrolio degli Stati Uniti.

È giusto desiderare la democrazia ovunque e, in questo senso, è facile essere critici verso le politiche nazionali e in Ucraina di Putin. (Ma il modo in cui in realtà la democrazia ha trionfato attualmente in Ucraina, come annunciato da quasi tutti i media degli US, dipende dal fatto che la molto nutrita e ben organizzata folla nelle strade pro-Jushchenko, la ‘rivoluzione arancione’, è riuscita ad intimidire la Corte Suprema a deliberare in suo favore e il Parlamento e a cambiare le leggi elettorali mentre il processo elettorale era ancora in corso.) Ma l'adagio americano “ci sono due aspetti in ogni storia” non viene mai applicato anche alla Russia post-Comunista.  E’ stato davvero Putin, o solamente Putin, che ha “rispolverato la Guerra Fredda dal vocabolario” (Arvedlund, Time, 2 Dec.); ripreso gli “anacronistici termini Est-Ovest”( Post editoriale 2 Dic.); trattato l’Ucraina “come un premio geo-strategico” (Bumiller, citando un ufficiale dell’Amministrazione Bush  Time, 30 Nov.); e rappresentato lo “spettro di questa nuova cortina di ferro" (Applebaum, Post, 24 Nov.)?

Le dichiarazioni manichee sono un presagio di Guerra Fredda, come qualcosa altro. Fra le pratiche più odiose della quarantennale Guerra Fredda- sempre in nome della libertà e della democrazia- era mettere in dubbio il patriottismo di chiunque sfidasse le sue ortodossie. Quando la redattrice di The Nation cita resoconti che sia la Russia, sia gli Stati Uniti, sono stati profondamente coinvolti nelle politiche dell'Ucraina, l'editorialista del Post Applebaum la discredita come un “nemico della libertà”(Post, 1Dic.). McFaul, un crociato della ‘democrazia’, in un istruttivo esempio di pronunciamento antidemocratico, mette insieme l’ala-sinistra di The Nation, con Putin ed il dittatore della Bielorussia (Post op-ed, 21 Dic.). E in un commento sul NewYorker (20/27 Dic.), il ‘liberal’ George Packer riapre in pieno la pratica: “The Nation sta prendendo ancora una volta le parti della Russia nella Guerra Fredda".

Quale ‘Guerra Fredda’ Packer e gli altri hanno in mente? Evidentemente una nuova e già in corso- almeno negli influenti circoli americani. Se è così, è molto probabile che non segua nulla di buono per la democrazia in Ucraina, in Russia o da altre parti.

Traduzione dall’inglese Bf