www.resistenze.org
- osservatorio - mondo - politica e società - 25-11-08 - n. 251
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Il Golfo Persico arabo, capro espiatorio ideale per il fallimento del sistema finanziario occidentale
Le petromonarchie arabe affrontano una triplice minaccia: demografica, militare e nazionale
di René Naba
15/11/2008
Prima parte
I. Il G20, una nuova configurazione dell'ordine internazionale.
II. Le petromonarchie: una prefigurazione futurista delle città mercato del futuro, rivali contemporanee di Hong Kong e Montecarlo.
III. Il pericolo demografico: Abu Dhabi e Dubai, le due "città indiane" più belle del mondo.
Seconda parte
IV. Il pericolo militare: la presenza militare statunitense, parafulmine o detonatore?
V. Il pericolo domestico: le stravaganze delle monarchie, una cancrena che scava le fondamenta del potere delle petromonarchie.
I. Il G20, una nuova configurazione dell'ordine internazionale.
La "anglosfera wasp" (bianca, anglosassone, protestante) ormai non è il centro degli Stati Uniti, gli Stati Uniti ormai non sono il centro dell’Occidente, né l’Occidente è il centro del mondo.
Il G20, l’insieme delle venti maggiori potenze economiche del mondo, si celebra il 15 novembre a New York nel tentativo di rimediare al disordine del sistema bancario occidentale, con una politica che firma la cooptazione forzosa dei paesi extra occidentali e stabilisce un nuovo ordine finanziario internazionale.
Dei venti paesi membri di questo collegio, che segnerà una pietra miliare nella storia, il mondo occidentale è rappresentato da nove membri (Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Canada, Italia, Australia, Spagna e l'Unione Europea); l’Asia da cinque membri (Cina, India, Giappone, Indonesia e Corea del Sud); l’America Latina da tre (Brasile, Argentina e Messico); l’Oceania ed il mondo arabo da un membro ciascuno, Australia per l'Oceania ed Arabia Saudita per il mondo arabo. L’Africa, nonostante il grande prestigio morale del Sudafrica ed il potere economico della Nigeria, è assente da questo forum, contraddistinto da una "sovra rappresentazione” dell'Europa (sei membri su venti, vale a dire il 30 % del G20) ed una "sottorappresentazione" del mondo arabo musulmano, nonostante le molte cose che gli sono richieste per il risanamento dell'economia occidentale.
Sullo sfondo di un’accesa rivalità tra Regno Unito e Francia, il Primo Ministro britannico, con uno stile di pacata efficienza che contrasta con l'attivismo sciovinista del suo omologo francese, ha sollecitato le petromonarchie affinché contribuiscano al finanziamento di un nuovo fondo internazionale diretto ad aiutare l'economia dei paesi danneggiati dal fallimento bancario statunitense. Gordon Brown, che per molti osservatori internazionali è la rappresentazione dell'autentico salvatore del sistema economico occidentale per essere il primo sostenitore della ricapitalizzazione statale del sistema bancario europeo, ha avanzato questa proposta durante il suo viaggio nel Golfo agli inizi di novembre, mentre il Presidente Nicolás Sarkozy progettava di creare un fondo sovrano in Francia per fermare una nuova invasione saracena (questa volta economica, in sintesi una "Poitiers economica") con l’intento di evitare che i fondi sovrani arabi o asiatici s’impadroniscano dei gioielli dell'economia francese.
Presidente di turno dell'Unione Europea, Nicolás Sarkozy si è freneticamente speso nella preparazione di questo vertice, fino al punto da presentarsi come leader provvisorio del campo occidentale durante il crepuscolo dell’uscente governo USA di George Bush. Tuttavia, a causa del prestigio del neo arrivato sulla scena internazionale, il Presidente eletto statunitense Barack Hussein Obama, primo presidente afrostatunitense della storia, Sarkozy osserva come il naufragio della diversità culturale della sua guardia - Rachida Dati (Giustizia), Rama Yade (Diritti umani) e Fadela Amara (Abitazione ed inserimento sociale) - sia relegata al rango di un mero pettegolezzo sociale. Anche l'aura mediatica di Nicolás Sarkozy soffre per la prima volta di una diminuzione per la conferenza sul "dialogo delle religioni” che si celebra l’11 novembre a New York con la partecipazione congiunta del Re Abdullah dell’Arabia Saudita ed il Presidente israeliano Simon Peres.
Oltre a questa febbre diplomatica, il G20 di Washington disegna in modo subliminale la nuova configurazione dell'ordine internazionale che prende le mosse alla fine del doppio mandato di George W. Bush, 2000-2008, e che si riassume nella seguente equazione: La "anglosfera wasp" (bianca, anglosassone, protestante) ormai non è il centro degli Stati Uniti, gli Stati Uniti ormai non sono il centro dell’Occidente, né l’Occidente è il centro del mondo.
II. Le petromonarchie: una prefigurazione futurista delle città mercato del futuro, rivali contemporanee di Hong Kong e Montecarlo
Il cambiamento strategico operato nella geoeconomia mondiale con l'irruzione dei fondi sovrani arabi nel capitale delle grandi società occidentali, ha evidenziato l'audacia degli investitori arabi nella loro volontà di diversificare le proprie economie, ma ha indicato le petromonarchie arabe come il capro espiatorio ideale del crollo del sistema finanziario occidentale e ne ha contemporaneamente rivelato la vulnerabilità dovuta alla loro configurazione. Una costellazione di staterelli che oscillano tra il gigantismo economico ed il nanismo politico, di fronte ad un triplo pericolo risultante dalla loro enorme dipendenza dalla manodopera straniera, dalla loro enorme dipendenza militare verso gli Stati Uniti e dalle costanti stravaganze dei monarchi che arrivano fino al punto di rafforzarne il discredito ed indebolire le sei petromonarchie del Golfo a causa del loro completo sfasamento con la lotta che portano avanti i movimenti contestatori arabi contro l'egemonia occidentale, tanto in Libano (Hezbollah), come in Iraq (Moqtada Sadr) o in Palestina (Hamas).
a) Arabia Saudita, la "King City Abdallah" ed il ponte sul Mar Rosso per la connessione fra Asia ed Africa
Stimolata dal nuovo boom petrolifero, la neo età dell’oro del Golfo si annuncia promettente, salvo inopportuni contrattempi che provocano gravi confusioni. Una fortuna di 1,9 miliardi di dollari (1) è destinata per investimenti nella zona fino al 2015, con lo scopo di diversificare le economie di rendita di quei paesi e prepararsi al "post petrolio". Cioè, investimenti dell'ordine di 271.000 milioni di dollari l'anno, per sette anni, per una zona che conta 35 milioni di abitanti ripartiti in sei stati (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar ed il Sultanato di Oman).
L’Arabia Saudita prevede di iniettare nella sua economia 855.000 milioni di dollari, il 39 % nel settore privato, 19 % per l'energia, 15 % in perforazione e prospezione ed il 13 % nell'industria petrolchimica. Così, Re Abdullah di Arabia Saudita ha deciso di creare un milione di posti di lavoro attraverso la costruzione di sei città economiche per attrarre industrie diversificate (2). La "King Abdullah City" sul Mare Rosso, a nord di Yida, dovrà essere terminata nel 2008 con un porto e tutte le infrastrutture ed accessori per attrarre 2.500 imprese ed i suoi dirigenti. Il costo di questo progetto si stima essere intorno ai 400.000 milioni di dollari.
Il Kuwait, da parte sua, ha dato il via ad un piano quinquennale (2009-2014) di 105.500 milioni di dollari, diretto a trasformare l'emirato in un centro finanziario di dimensioni internazionali. Alla luce della precedente esperienza relativa al primo boom petrolifero, quando lo sperpero e la cattiva gestione diventarono pratica corrente, la nuova manna petrolifera sembra essere gestita meglio. Il desiderio di preservare le risorse per le future generazioni è più presente, ma il principale handicap che subisce il mondo arabo rimane la totale assenza di critica rispetto alla sua balcanizzazione e alla sua permanenza sotto tutela statunitense, il che lega il proprio sviluppo a progetti di dimensione regionale. Le opere urbanistiche di Dubai, Qatar ed altri principati del Golfo, tanto lodate per la loro audacia architettonica, appaiono già come la prefigurazione futurista delle città mercato del futuro.
La concentrazione di grandi corporazioni di dimensione internazionale, come la società petrolifera statunitense "Halliburton", l'agenzia immobiliare degli USA "Donald Trump" ed una serie di società informatiche, elettroniche, automobilistiche o di telefonia mobile (Macintosh, Apple, Nokia, ecc.) nella zona franca di Yebel Ali al Dubai, confermano il ruolo dei principati petroliferi come centro di gravità del commercio intercontinentale tra Asia-Europa ed Asia-Africa, come intersezione tra l'istmo mediorientale e snodo di tre masse continentali, Africa, Asia ed Europa, con grandi vie di comunicazione terrestri e marittime e passaggi strategici (Stretto di Ormuz, Bâb el Mandeb, Canale di Suez).
Tra i progetti emblematici sauditi figura, d'altra parte, quello di Tariq Bin Laden, fratello di Osama Bin Laden, il capo dell'organizzazione clandestina panislamica "al Qaeda", che prevede di mettere in comunicazione Asia ed Africa per mezzo di un ponte sospeso nello stretto di Bab el Mandeb con l'unione del Mare Rosso e dell'Oceano Indiano, per una connessione diretta della rotta Gibuti-Yemen. Questo progetto di 200.000 milioni di dollari prevede la mobilitazione di 850.000 lavoratori per la costruzione di detto ponte, di 28 chilometri.
b) Dubai e la zona franca di Yebel Ali
Dubai, che ospita un importante mercato di metalli preziosi nel quale le transazioni, per ampiezza, competono con Singapore e la Svizzera, e che si propone come zona franca dei mezzi di comunicazione fungendo da sede per una quarantina di network via satellite, servizi annessi, ospiterà inoltre da qui alla fine del decennio, l'aeroporto più importante del mondo con una piattaforma (HUB), destinato a decongestionare e deviare il traffico degli aeroporti europei (Heathrow e Roissy- Charles de Gaulle, in particolare).
In cantiere c’è anche l'edificazione della torre più alta del mondo "Bourj al Arab”, dall’altezza di 1.200 metri per 140 piani, ed uno scalo con un importante porto sportivo strappato al mare che proteggerà un'isola artificiale dalla forma di palma, un complesso immobiliare di lusso con 200 ville, 40 hotel di alta categoria ed un gigantesco centro commerciale con più di mille negozi per la vendita dei prodotti esenti da imposte "Duty Free Shop". In effetti, i propositi di Dubai fino al 2015, sono di attrarre 200.000 visitatori giornalieri, per viaggi commerciali e di turismo, mentre il maggiore principato, Abu Dhabi, sede della Federazione, si lancia in un ambizioso programma di industria alberghiera di gran lusso affidato alla compagnia alberghiera "Al Jumeirah" per la costruzione di cento hotel in tutto il mondo, alcuni a sette stelle, una classificazione di recente creazione concepita specialmente per questo gruppo e che potrebbe servire da norma alberghiera nel XXI secolo.
c) Abu Dhabi, capitale della cultura, sport e cinema
Abu Dhabi che accoglie una copia del Museo del Louvre e prevede installare una copia del Guggenheim nel 2009, si è lanciato anche sullo sport professionale ed il cinema, con l’intento di fortificare la posizione dell'emirato come capitale culturale, sportiva e dello sviluppo economico e, attraverso queste realizzazioni, spostare l’attenzione verso questo principato petrolifero. Un fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, "AbuDhabi United Group" (Adug), si è trasformato anche in azionista di maggioranza del club di calcio inglese di prima divisione "Manchester City", per un importo di 245 milioni di euro destinati a trasformarlo nel “principale club della lega". Facendo seguire le azioni alle parole, il fondo ha annunciato l'ingaggio di Robinho, che nella stagione passata ha giocato nelle fila del Real Madrid, per circa 32,5 milioni di lire (42 milioni di euro), un record per il campionato britannico. Abu Dhabi dirige il suo sguardo anche verso Hollywood con un progetto di investimento di 1.000 milioni di dollari nella produzione di film. Si è costituita una compagnia apposita, la "Abu Dhabi Media Company", che finanzierà otto film l’anno, per cinque anni (5).
Tutti i principati petroliferi nel complesso, attraverso una serie di manifestazioni internazionali di prim’ordine, intendono dotarsi di un'aura culturale (installazione di una succursale dell'Università parigina Pantheon-Sorbonne, París I, oltre alla replica del Louvre in Abu Dhabi) per accedere al rango di città mondiali del XXI secolo. Aspirano e già si considerano rivali di Hong Kong e Montecarlo. A guisa di richiamo, gli Emirati hanno messo a disposizione delle celebrità mondiali della politica e dello spettacolo lussuosi appartamenti, specialmente in uno dei maggiori complessi immobiliari del mondo, il "Jumeirah Beach Complex". Il campione mondiale di Formula I, il pilota tedesco Michael Schumacher e specialmente le celebrità di Hollywood si sono avvantaggiate di queste agevolazioni, un gesto ossequioso che si colloca nella grande tradizione dell'ospitalità araba. Con un segno premonitore, nello scorso mese di luglio il Qatar ha lanciato un attacco finanziario diretto ad impadronirsi della minoranza del blocco della "Societé des bains de mer" di Monaco, che gestisce le installazioni portuali ed i centri relax del principato. Il fallimento di quel tentativo non esclude che possano insistere. I 79.000 abitanti degli emirati possiedono fortune nette superiori al milione di dollari, oltre la residenza principale, cioè un aumento del 14 % nel 2008 rispetto al 2007. Nell'insieme del Medio Oriente, il numero dei miliardari è aumentato di 200 unità in un anno, passando dai 1.300 del 2007 ai 1.500 nel 2008, inducendo modelli di consumo di lusso (4).
III. Il pericolo demografico: Abu Dhabi e Dubai, le due "città indiane" più belle del mondo
Certamente le "royalties", le entrate petroliere, costituiscono senza dubbio il motore dello sviluppo economico regionale, ma il boom immobiliare e la considerevole espansione del settore terziario di questi stati rentier non avrebbero mai raggiunto la loro attuale espansione senza la costante collaborazione dei lavoratori anonimi dell'economia dei servizi, gli abbandonati della società dell'abbondanza, la manodopera straniera plasmabile e servile, originaria principalmente dei paesi asiatici, fino al punto che il nuovo ambasciatore dell'India negli Emirati recentemente, durante la presentazione delle sue credenziali nell’aprile 2008, si è spinto ad affermare che “Abu Dhabi e Dubai sono le due città indiane più belle del mondo", rendendo un omaggio indiretto al contributo dei suoi compatrioti (5).
I principati del Golfo presentano, in effetti, la singolarità unica al mondo di contare più su lavoratori stranieri che nazionali, ed il numero di operai supera abbondantemente il numero dei cittadini, fino al punto che il Kuwait ha preteso nel luglio scorso di staccarsi, anche esso, dai suoi "sans papier" proponendo alle Comore di accogliere 4000 persone in cambio di grandi investimenti kuwaitiani nel settore economico, mentre Abu Dhabi, per dissuadere gli immigrati asiatici dall’insediarsi in modo permanente, ha proposto di limitare ad un unico periodo di sei anni i permessi di lavoro e residenza. L'offerta del Kuwait è stata respinta dalle autorità delle Comore perché ritenuta pericolosa per la coesione nazionale, così come è accaduto per la proposta di Abu Dhabi perché risulterebbe controproducente e dannosa per l’accoglienza degli investitori economici e danneggerebbe la motivazione sul piano dell'efficienza economica (6). D'altra parte, il problema ha raggiunto una tale rilevanza che un alto responsabile della polizia del Golfo, con la pretesa di scuotere l’indolenza dei dirigenti delle petromonarchie, non ha esitato a sfidare la proibizione legata a questo tema tabù ed ha promosso l'elezione, a medio termine, di un indiano alla presidenza della Federazione dei principati del Golfo.
"Barack Obama è solo il preludio di un grande cambiamento per l'ambiente della politica mondiale che vedrà, a medio termine, un indiano presentarsi come candidato alla presidenza della Federazione" ha esternato il generale Dhafi Jalfan, capo della polizia del Dubai, di fronte ad un auditorio sbalordito, durante un "Forum dell'identità nazionale" celebrato ad Abu Dhabi nell’aprile 2008, primo forum di questo genere di argomento dall'indipendenza dei principati nel 1970, trent’otto anni fa. Il numero di lavoratori asiatici nel Golfo si stima in quindici milioni di persone, vale a dire più della metà della popolazione della zona, secondo una relazione del segretario generale del Consiglio di Cooperazione del Golfo, Yamil Huyeilan, presentata nell'ultimo vertice dei dirigenti del Golfo del 2008. La situazione degli Emirati al riguardo è caricaturale. Gli immigrati rappresentano l’85 % della popolazione totale. Su 3,8 milioni di abitanti, i nazionali non sono che il terzo gruppo della popolazione (640.000), dopo gli indiani (1,2 milioni di abitanti), che in questo senso sono pari ai pachistani. Dell'insieme delle nazionalità, gli asiatici rappresentano più del 60 % della popolazione totale del Golfo ed una percentuale molto più elevata nella popolazione attiva (7).
Generalmente celibi, originari principalmente dell'India, Pakistan, Sri Lanka, Filippine e Bangladesh, ed in questo senso supposti essere apolitici od in ogni caso non implicati nei conflitti interarabi, gli asiatici rappresentano circa il 20 % della popolazione in Oman, un terzo in Bahrein ed Arabia Saudita, due terzi in Kuwait e Qatar che sempre più subiscono le pressioni di organizzazioni internazionali, specialmente le organizzazioni non governative come Human Rights Watch o l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), dirette a migliorare le condizioni di lavoro, particolarmente pietose, degli immigrati asiatici. La principale paura dei dirigenti del Golfo è che questi lavoratori stranieri possano un giorno rivendicare la nazionalità del loro paese di accoglienza. Un autentico rompicapo per i principi del petrolio, che non possono prescindere dalla manodopera straniera se vogliono assicurare la crescita economica, ma che tuttavia negano loro la concessione della nazionalità a causa del rischio di poter snaturalizzare il carattere arabo delle petromonarchie. Una soluzione arriverebbe attraverso la sostituzione della manodopera asiatica con manodopera araba e la sua conseguente naturalizzazione, ma in quel caso il rischio di contagio politico della manodopera araba graverebbe pesantemente sulla stabilità dei regimi delle petromonarchie. Oltre a questo pericolo, la manodopera araba è prigioniera dei conflitti interarabi. Il Kuwait ha espulso quasi 500.000 palestinesi nel 1990, stessa cosa ha fatto Abu Dhabi per punire Yasser Arafat, capo dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, per avere favorito prima la mediazione che il confronto tra Iraq e Kuwait durante l'invasione irachena del principato nell’agosto del 1990, e l'Arabia Saudita che agì nella stessa maniera con quasi un milione di yemeniti per rappresaglia verso una posizione identica del presidente Ali Abdala Saleh
Note
(1) «L’opulence financière incite le Golfe à la diversification», Hassan Chakrani nel quotidiano libanese Al Akhbar, 23 luglio 2008.
(2) Le Monde, 14 giugno 2006, «Le nouveau recyclage des pétrodollars», Eric le Boucher.
(3) «Les pétrodollars a l’assaut du football et du cinéma», Le Monde,fr, 3 settembre 2008.
(4) Il numero di persone che dispongono di più di un milione di dollari di reddito netto, a parte la residenza principale, ha superato la barriera dei dieci milioni nel 2007 e la classifica dei multi miliardari per zona geografica nel 2007 è la seguente: Africa 1.000, un aumento di 200 in relazione al 2006; Medio oriente 1.500, cioè, un aumento di 200 in un anno; America Latina 6.200, rispetto a 4.200 nel 2006; Europa 10.650, rispetto a 9.400 nel 2006; Stati Uniti 11.700, rispetto a 11.200 nel 2006; e per la prima volta nella storia il numero di miliardari a Mosca (74) supera quello di New York (71); Stefen Theil (Newsweek) e Margaret Colsen (Wall Street Journal), Courrier international nº 932 del 11-17 settembre 2008.
(5) Editoriale di Abdel Bari Atwane cf Al Qods al-Arabi, periodico transnazionale arabo a Londra, 19 aprile 2008.
(6) «La limitation du séjour des étrangers dans le Golfe, un coup fatal à la croissance» periodico Al Ittihad, Abu Dhabi, 2 agosto 2006.
(7) Monarchies du Golfe, les micro-états de la peninsule arabique, opera collettiva diretta da Rémy Leveau e Fréderic Charillon in Documentation Française nº 5217, giugno 2005.
*René Naba, è un giornalista francese di origine libanese. Già responsabile del mondo arabo-musulmano nel servizio diplomatico dell'Agencia France Presse ed ex consigliere del Direttore Generale di RMC/Moyen-Orient, addetto all'informazione. Ha pubblicato i seguenti libri : Il était une fois la dépêche d’agence, Editions l’Armoise- 8, Rue des Lions Saint-Paul, 75004 Paris, settembre 2007. Aux origines de la tragédie arabe, Éditions Bachari 2006. Du bougnoule au sauvageon, voyage dans l’imaginaire français, L’Harmattan 2002. Rafic Hariri, un homme d’affaires, Premier ministre, L’ Harmattan 2000. Guerre des ondes, guerre de religion, la bataille hertzienne dans le ciel méditerranéen, L’Harmattan 1998.