G.Pesce - F. Minazzi: Attualità dell'antifascismo
Prefazione di Tiziano Tussi
Questo libro sulla Resistenza scaturisce da un incontro avuto dal Comandante
Giovanni Pesce, medaglia d'oro al valore militare, con gli studenti del Liceo
Scientifico "Galileo Ferraris" di Varese. Un'occasione abbastanza usuale per i partigiani dell'ANPI.
Incontrare i giovani delle scuole, di ogni ordine e grado, rappresenta per
coloro che "hanno fatto la Resistenza" un'attività di punta. Si può
così invitare i giovani a ricordare, a non dimenticare quello che fu realmente
il fascismo e la conseguente reazione popolare che si è sostanziata dal 1943 al
1945 nella lotta armata di migliaia di giovani e meno giovani di allora contro
il regime oramai imputridito.
L'attività dei partigiani dell'ANPI nelle scuole non è sempre semplice ne
scontata. A volte impedimenti vengono dai dirigenti scolastici o dagli insegnanti, quando anche da gruppi di
genitori. Ma anche se questi problemi non si presentano, il tempo che passa
inesorabilmente tende ad offuscare quella che fu una scelta etica di fondo dei
partigiani di allora e spesso vengono proposte argomenti di pacificazione tra
chi combatteva il fascismo e chi fascista invece era a tutti gli effetti.
Vengono allora proposte azioni di "riconciliazione" in nome di
superiori valori umani.
Qui non vogliamo prendere in considerazione la cosiddetta "zona
grigia", che ultimamente è divenuta oggetto di alcuni studi e cioè la
parte degli italiani che non hanno preso apertamente posizione, quelli che, nel
primo romanzo di Alberto Moravia sono chiamati "gli indifferenti".
Questa parte di popolazione sempre si presenta in qualsiasi occasione storica.
Come diceva Don Abbondio, nei Promessi Sposi "uno il coraggio non se lo
può dare". Non è con costoro che viene richiesto un atto
"conciliativo". E' proprio verso il nemico più efferato e reale che a
volte scatta un insinuante richiamo al riabbraccio nazionale. I partigiani
dell'ANPI all'opposto credono che le differenze debbano essere rispettate,
sempre. Di fronte a certe stravolgimenti della civiltà, in atto nel ventennio
fascista, il coraggio fu messo in campo da persone, normali, che svolgevano
normali attività nella società di
allora, oppure da giovani che sfuggirono agli obblighi militari. Insomma da uomini
e donne che il coraggio "se lo sono dato".
Preme sottolineare la differenza, così come Pesce spesso fa nel suo intervento, tra la scelta di eticità dei
partigiani e l'antiumanesimo dei fascisti e dei nazisti. Pesce qui ripercorre
la sua esperienza di Comandante dei Gap (Gruppi di Azione Patriottica), prima
torinesi e poi a Milano. Con grande fermezza egli ricorda le ambasce ed i
timori che lo hanno da subito perseguitato. In primis se uccidere fascisti e
nazisti per strada, col rischio di ferire od uccidere inermi passanti, fosse
giusto. Una domanda di alto valore morale in una situazione in cui, siamo alla
fine del regime oramai, la disgregazione sociale dell'Italia settentrionale, in
particolare, era vissuta come se fosse una specie di lotta in una giungla, dove
la legge del più forte e del più violento trionfava spietatamente sugli altri.
Nazisti e fascisti, al loro servizio, non
si ponevano certo questo tipo di domande. L'accanimento contro i
partigiani o comunque contro tutti coloro che non appoggiavano "la belva
nera" era smaccato.
Delatori, doppiogiochisti, e stragi continue la facevano da padrone in quel
pezzo d'Italia. "Salò", un discusso film di Pier Paolo Pasolini,
rende comunque molto bene il senso di disfacimento umano che accompagnava quella
situazione. In questo quadro chiedersi se la probabilità di ferire od uccidere
innocenti fosse ostativa rispetto alla giusta punizione dei carnefici del
popolo italiano fa risaltare ancora di più la distanza tra i partigiani ed i
loro aguzzini. Se l'eticità deve segnare le nostre azioni, se uno Stato deve
essere etico, una comportamento che sia tale deve imporsi, sempre. Ecco perché
Pesce risponde in modo chiarissimo e radicale ad alcune domande di studenti che
pretenderebbero di avere, per farsi una chiara coscienza del fenomeno in
discussione, anche la presenza dei carnefici di ieri ad un "ideale"
contraddittorio.
Pesce ribadisce che lui non potrà mai scendere su un terreno dialettico e
dialogare con chi massacrava il popolo
italiano, con i fascisti. Viene a galla in queste richieste un
"moderno" ed errato senso di quello che dovrebbe essere la
democrazia. Pare che per essere democratici si debba sempre avere di fronte
almeno due posizioni che si confrontano, che dibattono. Solo così sarebbe
possibile, in teoria, "farsi una effettiva ragione" di qualsiasi
accadimento storico. Si dice che solo così, poi, sarebbe possibile
"scegliere". Se un racconto viene fatto da una sola parte questo
sembra non interessare alcuni giovani d'oggi, che sospettano subito una sorta
di "raggiro".
Si assiste quindi ad un curioso fraintendimento: nei libri di scuola, nei
manuali si ricerca la verità. Si parla di oggettività, di neutralità di alcune
fonti. Si pensa veramente che, a certi livelli, possa esistere l'oggettività. In campo giornalistico si divide
infatti tra la cronaca, si dice oggettiva,
ed il commento ai fatti, che riporta considerazioni personali. Come se
anche la cronaca non fosse al contempo già scelta di dati, un certo tipo di
scelta. Poi comunque quando la situazione cambia, quando si passa al racconto
orale, alla testimonianza, non ci si accontenta più della sola voce di un
protagonista. La si vuole mettere a confronto con altre, ad essa contrastanti,
senza indagare che livello di testimonianza sia, senza certificare la sua
attendibilità comunque. Sarebbe quindi curioso che, esemplificando per assurdo,
si richiedesse che ad una persona scampata ai campi di sterminio, e poter
essere certi della sua testimonianza, venisse richiesto un accostamento con chi
materialmente procurava in quei luoghi la morte come responsabile
dell'organizzazione delle camere a gas. Solo così si potrebbe ottenere un
passaporto di certificazione di quanto sopportato allora.
Insomma i giovani sono a volte confusamente dibattuti tra istanze tra loro di
diversissima configurazione
concettuale, contraddittorie. Pesce taglia corto dicendo a chiare lettere che
con i fascisti non è possibile nessun contraddittorio. Che non è possibili
mettere sullo stesso piano chi uccideva e chi all'opposto si difendeva. Chi
opprimeva e chi lottava per togliere quell'oppressione. Chi prevaricava
crudelmente e chi rispondeva spesso con atti di eroismo. E' commovente e
"bellissimo" nello stesso tempo il ricordo che Pesce, anche in questa
occasione, ci propone di Dante di Nanni, un valorosissimo partigiano torinese,
che non a torto viene nel suo intervento qualificato come eroe. Questi resiste
per ore ad un soverchiante gruppo di fascisti e nazisti a Torino e poi,
terminate la munizioni, gravemente ferito, si porta sul balcone della casa dove
stava asserragliato e allargate le braccia saluta a pugno chiuso e si lascia
cadere dal balcone schiantandosi al suolo in un silenzio attonito ed imbelle
degli assalitori che non immaginavano certo che a contrastarli fosse un solo
uomo. Sarebbe quindi un delitto, ulteriore, mettere sullo stesso piano questa
situazione, questi uomini.
La Resistenza ha forgiato la nostra repubblica, la prima ed unica che ci sia
mai stata in Italia. Su quel prolungato atto di rinascita civile, hanno poi
lavorato i politici che sono sopravvissuti al periodo fascista, nell'Assemblea
Costituente.
Un problema profondo nel passaggio guerra-dopoguerra è stato il processo di
epurazione statale dall'incrostazione fascista e di (ri)nascita di uno stato
democratico. Su questa questione si apre l'intervento di Fabio Minazzi, che
prende le mosse sempre dagli incontri tematici che avvengono al Liceo di
Varese, sopra citato, e di cui lo stesso è organizzatore. Minazzi propone una
tesi radicale, con ampi ricorsi a sponde culturali oramai consolidate in campo
storiografico e testimoniale - Claudio Pavone, Vittorio Foa, Ludovico Geymonat,
per citarne solo alcuni. In soldoni si dice che la trasformazione democratica
dell'Italia, dopo il regime fascista, non è stata affatto un atto compiuto sino
in fondo. L'infrastruttura statale, per molti aspetti, è rimasta tale e quale
prima e dopo il Ventennio e poco ha inciso il processo di epurazione avviato
subito dopo la fine della guerra. Impressionante appare l'elenco di sentenze
della magistratura che scagionano crimini e criminali fascisti con motivazioni
veramente paradossali, e che giungono sino all'inizio degli anni '50.
Il trasformismo di fondo degli uomini dell'apparato dello Stato ha interessato
anche la Resistenza. Lo scaricare le colpe sul "capo" è stato, per
esempio, un elemento di costante scusa
politica e personale di molti burocrati e militari. In questo senso cogliere
l'incompiutezza della Resistenza è solamente un dato di fatto. Ma la situazione
allora (come ora) era molto frammentata e la fine del conflitto armato fece
scatenare tutte le distinzioni politiche che nel pieno delle battaglie erano
sopite, anche se non del tutto. Minazzi
ricostruisce tale periodo addebitando responsabilità e limiti un poco a
tutte le parti che concorsero all'attuazione di quel momento.
Ma è da tenere presente che oltre al panorama nazionale e personale - le
volontà dei singoli - vi erano anche costrizioni internazionale che
accerchiavano il fenomeno resistenziale. Gli stesi rapporti politici, oltre a
quelli militari, del campo Alleato, none erano certo piani ed idilliaci. Lo si
vedrà subito dopo il conflitto mondiale con la Guerra di Corea, la "guerra
fredda", la costruzione del "muro di Berlino". Quindi una tesi
che presa per la sua "pars construens" ci spinge a considerare che
l'opera dei partigiani dell'ANPI non sia certo terminata con il 25 aprile 1945,
ma deve proseguire anche oggi.
Ed è proprio in questo direzione che vanno le presenze degli stessi fra i
giovani, nelle scuole. La discussione attorno a queste tematiche deve e può
essere oggetto di ampi dibattiti, anche aspri. Ma occorre evitare la faziosità
e la menzogna.
Noi crediamo che anche questo libro
contribuisca a portare avanti un lavoro di chiarificazione che pare mai finito
e che deve, purtroppo a volte, ricominciare da zero (o quasi) proprio perché la
storia non è mai un dato assodato, ma in essa agiscono forze che la fanno
sempre ribollire, che la fanno diventare, sempre , "storia d'oggi".
Tiziano Tussi.
Consiglio Nazionale dell’ANPI
La Città del Sole Via Giovanni Ninni, 34 - 80135 - Napoli 2004 Pagine 202 Prezzo di copertina: 10.00 Euro Vendibile ai soci Ccdp |