Pietro Secchia, a cura di Marcello Graziosi:
Il partito, le masse e l'assalto al cielo – scritti scelti
Di seguito la recensione di Ferdinando Dubla, ricercatore storico del movimento operaio, all’antologia di Pietro Secchia curata da Marcello Graziosi.
Red.Lavoro Politico, Taranto
L’assalto al cielo di un Comunista d’altri tempi
Ferdinando Dubla
“L’uomo rende quanto più il lavoro che esso compie risponde non solo all’obiettivo supremo per il quale esso agisce e lotta (che può essere obiettivo politico, scientifico, o di produzione) ma anche in quanto quel lavoro soddisfa le sue attitudini e la sua inclinazione ad una particolare attività. Questo principio organizzativo vale anche per i comunisti. Perché se è vero che i comunisti subordinano alla causa per cui lottano ogni vanità, ogni soddisfazione, ogni ambizione personale è anche vero che i comunisti sono uomini normali come tutti gli altri uomini, molti di essi temprati dalla lotta e dal sacrificio, ma pur sempre uomini con le stesse esigenze, con gli stessi difetti e le stesse qualità degli altri uomini.”[1945, pag.61]
La pubblicazione di alcuni scritti significativi di un comunista d’altri tempi come Pietro Secchia, è un avvenimento editoriale in controtendenza e dunque un evento politico-culturale di straordinaria rilevanza per chi vuol rivivere una passione rivoluzionaria contro l’egemonia imperial-capitalista e le sue nefaste conseguenze, nella vita materiale come nelle idee. Fondamentale, poi, per chi continua a credere nell’organizzazione comunista e cerca di legarla alle tumultuose contraddizioni dell’epoca presente.
D’altri tempi, abbiamo scritto, ma non per questo figura priva di cogente attualità.
Il paradosso è solo apparente: è proprio l’egemonia politico-culturale di stampo revisionista, conservatrice e reazionaria, a dettare l’agenda dell’attualità, fra il ‘sangue dei vinti’ e il pentitismo sui fatti d’Ungheria del ’56, e così anche la sinistra si trova ‘decentrata’ rispetto ai compiti cui è chiamata ad assolvere. Marcello Graziosi, il curatore del volume, ha scelto alcuni snodi storico-politici dirimenti della biografia di Secchia (a cui ha anteposto delle brevi note per certificarne la straordinaria contemporaneità) che è anche un pezzo consistente della parabola del PCI e dunque della storia del nostro paese: la “svolta” del 1929 e la lotta clandestina contro il fascismo, la Resistenza e il moto insurrezionale partigiano contro il nazifascismo, il secondo dopoguerra e la prima metà degli anni ’50, quando si consumò (1954) l’estromissione dal vertice dirigente nazionale di Secchia, fino agli anni ’60 e le battaglie che egli comunque continuò a condurre, in particolare contro l’eversione delle classi dirigenti italiane, contro i patti segreti della Nato e la difesa, l’attuazione materiale e il rilancio della Costituzione repubblicana. Al termine, una buona (anche se non esaustiva) bibliografia essenziale di e su questa importante personalità di comunista italiano, accusato da sempre di essere l’”ala dura” del partito, anche se occulta, di aver sognato improbabili impeti insurrezionali, di essere il mallevadore della politica di Mosca in Italia.
Una serie impressionante di stereotipi e pregiudizi che ogni tanto ritornano come luoghi comuni, assiomi da accettare senza dimostrazione in qualche articolo o presa di posizione di più o meno autorevoli esponenti della sinistra che oggi suole definirsi ‘radicale’. Ma è realmente esistita nel Partito Comunista Italiano, a partire dalla fine del fascismo e già durante la lotta di Liberazione della Resistenza, un'altra linea, alternativa a quella elaborata da Togliatti ed esposta a Salerno nel 1944, compendiata nelle formule del partito nuovo di massa e della 'democrazia progressiva'?
Oppure è più da parlarsi di un'interpretazione di classe della stessa linea politica, interpretazione che però avrebbe avuto come conseguenza un diverso sviluppo della stessa azione del partito, un'organizzazione meno permeabile rispetto all'elaborazione di differenti obiettivi strategici, una tattica meno spregiudicata, guidata per questo da principi teorici più fermi e più legati alle possibilità di una controffensiva rivoluzionaria che invertisse il corso della ristrutturazione monopolistica del capitalismo italiano e il rimodellamento dello Stato e delle sue funzioni, in uno con il processo di modernizzazione e di continuità sostanziale con il regime fascista. La lettura di questi scritti documenta questa seconda chiave di interpretazione.
In effetti, per come il Partito Comunista era strutturato in quegli anni, non si può assolutamente intendere la linea di classe come un'"altra linea": d'altra parte, il forte centralismo ereditato per necessità dalla lotta clandestina, ma che era proprio delle origini e terzinternazionalista, semmai accentuato dalle rigidità imposte sia dal fascismo-regime sia dalla Resistenza, era proprio di chi concepiva la linea politica togliattiana come non disgiunta dal più complessivo processo rivoluzionario, che doveva inverare la Resistenza.
L'anima di questa linea di classe, fu proprio Pietro Secchia, responsabile dell'organizzazione dal dopoguerra al 1954: la sua sconfitta personale fu la sconfitta di un altro modo di intendere funzioni, compiti e composizione di classe del partito dei comunisti proprio di un’intera leva generazionale che legava sempre le tattiche contingenti al respiro strategico della linea politica e l’organizzazione al necessario radicamento popolare finalizzato alla più ampia prospettiva socialista. Una linea di classe che, contrariamente alla ‘vulgata’ corrente, non partiva dall’ideologia per la comprensione dei bisogni delle masse: ma che partiva dai bisogni materiali per fare del partito il fulcro fondamentale per una accresciuta coscienza emancipativa ‘pedagogica’ in direzione di un altro assetto sociale, conquistando gramscianamente ‘trincee’ e ‘casematte’ per un’egemonia anche sul piano della ‘riforma intellettuale e morale’.
“Non si tratta, (..), di restare fedeli a dei dogmi, ma di restare noi stessi, di restar fedeli contro tutte le pressioni che vengono dal di fuori, che vengono dal nemico di classe, di restare fedeli non alla lettera, ma ai principi fondamentali del marxismo e del leninismo che sono i principi della lotta per il socialismo, quella lotta e quei principi che hanno dato a intere generazioni di operai, di lavoratori, una passione rivoluzionaria, un dinamismo, un coraggio, che hanno maturato una coscienza socialista in milioni e milioni di lavoratori di ogni paese.” [1965, pag.120]
Un partito di autentici quadri rivoluzionari, dunque, come premessa indispensabile per potersi radicare nel popolo e configurarsi come 'partito di massa': ma non, appunto, una qualsiasi formazione politica di massa.
La formazione dei quadri è vitale in un partito comunista: la selezione dei gruppi dirigenti, l'organizzazione, non può che avvenire nella lotta di classe e per la lotta di classe, attraverso la capacità di dirigere l'azione politica, aborrendo il burocratismo che deriva dall'inazione e dalla passività. E inoltre, non può non avere inscritto la capacità della sua organizzazione di portare all'offensiva il movimento proletario e antagonista al sistema di sfruttamento capitalista, e quindi di essere pronto a rintuzzare in ogni momento le forme palesi, ma sovente occulte in cui si esprime la reazione delle classi dominanti minacciate nei loro atavici e parassitari privilegi.
Questo è il filo che lega le riflessioni e la concreta azione politica di Secchia in tutte le fasi della sua vicenda all'interno del Partito Comunista.
“La realtà è sempre assai più complessa e difficile di tutte le tesi e risoluzioni. (..)E’ vero che l’albero della realtà e della vita è sempre assai più verde, complicato ed originale di tutte le teorie, ma non c’è nessun albero che possa nasconderci la foresta e farci di colpo dimenticare la nostra concezione del mondo (..)”, [1963, pp.94 e 102]
La vicenda del PCI e dei suoi gruppi dirigenti, così come quella del corpo vivo dei suoi militanti, è davvero irriducibile a tipologie semplificatrici di corto respiro.
fe.d., novembre 2006
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