www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - antifascismo - 21-04-04

Intervista pubblicata nel mese di marzo 2001,sul giornale locale “Il Nostro giornale”, tiratura settemila copie

Walter Delfini intervista “Cucciolo” - il più giovane partigiano di Novi


Le ragioni dell’antifascismo.

Walter Delfini: “La storia va detta tutta, fuori dalle strumentalizzazioni ideologiche”

Da quando  la “nuova” destra, che ha le sue radici nel “Movimento Sociale” di Almirante, è rientrata prepotentemente nel gioco politico  grazie alla logica bipolare che tutto annebbia e confonde si è riacceso il dibattito sulle tematiche del fascismo e della resistenza,  sul percorso storico che ha portato alla nascita della nostra repubblica,  dibattito che a volte suona come un vero processo alla resistenza. E’ un confronto a cui non possiamo sottrarci perché le ragioni dell’antifascismo sono universalmente valide e necessarie. Soprattutto oggi, fascismo ed antifascismo non si possono ridurre a questione militare ma devono essere analizzati nei loro  contenuti culturali che hanno come conseguenza lo sviluppo o la negazione  della democrazia. Sappiamo che ovunque si può nascondere il germe dell’autoritarismo.

Una certa cultura fascistica può andare oltre i confini propri  di una formazione politica, invadere la società ed ispirare i comportamenti anche di chi si dichiara ideologicamente antifascista ( non per nulla il  ‘68 è stato anche ribellione contro la “democrazia autoritaria”, e per una parte della sinistra è stato critica e rifiuto dell’autoritarismo nel “socialismo reale”). Le forze della destra conservatrice e spesso reazionaria sono per natura esplicitamente autoritarie e per combatterne il tentativo di egemonia è necessario il confronto e la lotta delle idee. L’area cosiddetta progressista dovrebbe pensare meno ai tatticismi ed al crogiolarsi nei privilegi della politica e del potere per riscoprire  contenuti e  valori che diano un senso all’impegno individuale e collettivo per lo sviluppo della società. L’offensiva “clericofascista” per dirla alla Marco Pannella, assieme alle troppe indecisioni e ritardi dell’area progressista, pone un inaccettabile condizionamento che ritarda lo sviluppo dei diritti civili come stanno a dimostrare i temi in discussione in questo periodo: dalla pillola del giorno dopo, alla necessità, data dal buon senso, di rimuovere l’anacronistica e criminale politica proibizionista sulle droghe leggere , all’esigenza di rispondere positivamente ai diritti delle famiglie di fatto, ecc.  Tutto ciò fa del nostro il paese più arretrato d’Europa.

La disputa aperta dalla destra sui libri di testo di storia, lungi dal ricercare legittimamente verità nascoste, pare muoversi nell’ottica di acquisire una egemonia culturale attraverso una rivalutazione storica del fascismo che, criminalizzando  gli avversari , potrebbe avere come obiettivo ultimo, come qualcuno ha  denunciato, la messa in mora della stessa costituzione, nata  come compromesso tra le diverse componenti socio-politiche e garante dello spirito democratico e antifascista, cresciuto nella lotta contro la dittatura fascista e nella lotta di liberazione contro gli occupanti nazisti.
I libri di testo per cinquant’anni  hanno glissato su tantissimi accadimenti: dalla storia della resistenza armata e non armata, alla storia del movimento operaio, alle storie riguardanti le minoranze etniche e religiose,….

Solo un movimento di massa come quello del 68-69 è riuscito a cambiare l’approccio storico sviluppando una serrata critica ai libri di testo ed in generale alla scuola, luogo di riproduzione della divisione di classe e del sapere. In quegli anni, per la prima volta gli operai entrarono nelle scuole uniti agli studenti nella lotta per rinnovare questo paese.
Ma, tutto ciò pare non essere stato sufficiente. Il perché ho cercato di spiegarlo nella storia del dissenso di sinistra, nella rubrica “la sinistra trent’anni dopo” pubblicata su “il nostro giornale”.

Da tempo Andrea Guenna, che ho conosciuto  in modo occasionale, come persona piacevole e corretta,  sta conducendo una  ricerca  sulla vicenda della Benedicta, ricerca che, per molti aspetti, ho trovato interessante: ho il massimo rispetto per chi esprime pubblicamente il proprio pensiero e non mi importa se da posizioni di destra.

Non sono di Novi, vengo da Noli in provincia di Savona, vivo qui da 1956. Le cose che so sulle vicende accadute qui in quel periodo sono in parte ascoltate ed in parte lette sui libri.  Mi ha interessato lo scavare e il portare alla luce storie e particolari a me sconosciuti:  la storia va detta tutta,  non la si può usare strumentalmente per plasmare a piacere le coscienze e la formazione dell’individuo. Peccato però che questo tentativo di ricomporre un mosaico degli avvenimenti scada troppo spesso nella strumentalizzazione politico-ideologica , nel tentativo di criminalizzare la componente comunista all’interno delle forze della resistenza antifascista tentando, di riflesso, una sorta di riabilitazione del fascismo, umanizzandone l’immagine attraverso, ad esempio, quel richiamo bonario (che fa tanto arrabbiare  “ Cucciolo”) ai “ragazzi di Salò”.

E’ difficile occultare un dato storico che marchia in modo indelebile la nascita del regime fascista: il movimento fascista pur facendo sfoggio di massimalismo e populismo ha avuto il sostegno dei poteri forti, politici ed economici, diventando strumento per la  grande vendetta contro la classe operaia e le formazioni politiche e sindacali di classe che nel 1919,dettero vita al grande movimento dell’occupazione delle fabbriche e dei consigli operai, ed i fascisti, per avere aperte le vie di Roma, non esitarono a bruciare le camere del lavoro, a usare brutale violenza contro le avanguardie operaie e popolari.

La barbarie è qualcosa che ci trasciniamo dietro dagli albori  della nostra storia, nasce dalla profondità delle nostre paure, solo la ragione e il senso umano della solidarietà tra gli uomini può tenerla a bada. Per questo penso che chiunque  condivida del tutto o in parte le motivazioni e le idee, di coloro che hanno costruito  i presupposti  politici-religiosi-ideologici-razziali-  mettendo in moto i meccanismi che agiscono sulla paura inconscia degli individui, (come ha mostrato ampiamente Wilhelm Reich, nella sua “Psicologia di massa del fascismo”) per preparare la base di consenso necessaria a scatenare guerre di aggressione e  ad assoggettare i popoli , non può  ergersi a giudice di nulla.

Diventa poi  pretestuoso  sottolineare le atrocità degli alleati, come fa il signor Casalgrandi  (il nostro giornale del 2 dicembre 2000) se non si legge complessivamente quel periodo storico, partendo dalle precise responsabilità di chi, Hitler e Mussolini, ha iniziato il percorso di odio, orrore, barbarie:  guerra, campi di sterminio, milioni di morti, leggi razziali introdotte dal fascismo nel nostro paese, che non sono  una stupidaggine come irresponsabilmente qualcuno ha detto, ma un vero crimine contro l’umanità. Uomini, donne, bambini sono stati mandati a morire  perché Ebrei, zingari, omosessuali, comunisti. E’ sufficiente questo per una condanna totale del fascismo!

Hiroshima e Nagasaki  non furono purtroppo solo consequenziali ma anche preludio di nuove tragedie. Oggi, in nome della pace, si usano proiettili all’uranio impoverito, come in Iraq, in Kossovo, in Bosnia ecc. e  tutti fanno finta di non essere stati a conoscenza delle drammatiche conseguenze che potevano avere queste armi micidiali sulle popolazioni civili, sui militari, sull’ambiente. E’ il trionfo dell’ipocrisia! E se dal centro sinistra si balbetta e pare affacciarsi almeno il dubbio,  dal centro destra c’è solo un unanime coro di fedeltà alla NATO.

Diventa quindi banale parlare di pacificazione o dei  morti che  sono “tutti uguali”, o di  “eroi” da ambo le parti,  se non c’è una consapevolezza profonda ed una condanna convinta delle cause e delle idee che hanno elevato la morte, la persecuzione e la distruzione, a “nuovo ordine” dell’organizzazione umana. Il solo fatto di pensare ed esaltare l’eroismo come atto di massimo sacrificio, la negazione della vita come sublimazione totale, da’ un’idea della visione paranoica delle cose e della vita che accomuna  troppa gente, superando a volte le barriere ideologiche.

Perché non esaltare l’atto di eroismo di chi, conservando l’umana ragione, riesce a stare al di sopra del principio di guerra e,  mettendo a rischio la propria vita salva quella di altri, cosi come hanno fatto i partigiani in valle Borbera, salvando la vita ai propri nemici come ci racconterà “Cucciolo”, oppure  come hanno fatto alcuni fascisti che, inosservanti delle leggi e degli ordini , hanno salvato degli Ebrei da morte sicura. Forse a questi casi, più che agli atti di guerra, andrebbe dedicato tempo e studio per capire e imparare come anche nelle condizioni più disperate , aberranti e degradanti, sia possibile per alcuni conservare ragione e umanità.

Fin qui le mie riflessioni, ma ben più efficace è questa testimonianza lucida, concreta e pulita di “Cucciolo”, Alessandro Ravazzano, testimone e protagonista di tempi difficili. Una giovinezza trascorsa tra il coprifuoco ed un becero quanto criminale autoritarismo che lo hanno indotto alla via della resistenza armata. Scelta difficile se si tiene in considerazione che essere fascisti era normale, si era educati ad esserlo, mentre per essere antifascisti occorreva una grande capacità di elaborazione  critica della realtà e un grande coraggio per affrontarne le conseguenze.

Cucciolo, non si è mai tirato indietro davanti all’agire e dalle sue azioni emerge sempre una grande umanità. Nel suo raccontare non fa sfoggio di particolari atti eroici e di imprese vittoriose che pur ha vissuto, ma tende a valorizzare gli aspetti più umani,  le naturali difficoltà nel vivere quella eccezionale e drammatica  situazione, da ragazzo normale non da professionista della guerra. Inoltre appartiene a quella categoria di persone che pur avendo dato molto rischiando la  vita non si è mai avvalso della sua storia per acquisire privilegi o fare carriera politica.


I - Cucciolo: “L’insofferenza alle violenze ed ai soprusi si sono trasformate in deciso antifascismo”

D) Caro “Cucciolo”,  tu puoi parlare con cognizione di causa, delle vicende tra fascismo e resistenza
. Su questa storia si è riacceso, forse positivamente, un dibattito.  In quel periodo eri solo un ragazzo ed hai deciso di fare qualcosa per fare cessare quella situazione allucinante, ma  non sei andato con quelli di Salò, sei salito tra i monti della Valle Borbera, con i partigiani, come mai questa scelta, cosa ti ha spinto? Avevi già una precisa idea politica?

R)
No, assolutamente, nella mia famiglia c’era solo un generico antifascismo. Mio padre  non era un politico, non era un  comunista, ma non sopportava gli atti di prepotenza e di violenza. A volte rincasava e raccontava a mia madre che gli squadristi fascisti avevano picchiato quella o quell’altra persona solo perché non aveva salutato e tolto il capello al loro passaggio, io e i miei fratelli ascoltavamo quei discorsi e certo non potevamo essere d’accordo con questi comportamenti.  Mio padre non nascondeva quello che pensava e soleva dire ad alcuni conoscenti di fede fascista, che il fascismo si stava scavando la fossa da solo, che sarebbero intervenuti gli Americani ecc. Mia madre a rimproverarlo perché parlava troppo, perché fare certi discorsi con certe persone era pericoloso. Ma devo dire che quei conoscenti si comportarono bene, non fecero mai nessuna denuncia. 

Io invece avevo problemi con la scuola, perché era obbligatorio fare la tessera dei Balilla e costava dieci lire e per noi erano un problema,  così mia madre doveva fare la “cresta” alla spesa per racimolare poche lira alla volta per pagare la tessera e intanto passava qualche mese,  gli insegnanti pensavano che fosse a causa delle nostre idee contro il fascismo ed ero tenuto costantemente sotto tiro. Credo proprio che le maestre, gli insegnanti, siano stati l’ossatura del fascismo, erano in gran parte ossequiosi e ligi alle direttive del regime. Ma prima ancora avevo avuto una esperienza traumatica quando a tredici anni dopo la scuola frequentavo anche le professionali, l’arte e mestieri, una scuola fatta dal regime fascista, ma era una cosa buona dove si poteva imparare un mestiere: elettricista, falegname, meccanico.

Questo istituto era nei pressi della Bioindustria, tra l’attuale via Gramsci e via Marconi.  Ma c’era un problema, al giovedì  facevano educazione fascista! E io un giovedì non sono andato, ma non per motivi politici, semplicemente perché eravamo ragazzi e a volte si faceva “puccia” anche a scuola, era normale lo fanno anche adesso. Quella scuola di arte e mestieri era diretta da un squadrista della prima ora, quelli del ventidue, detti della marcia su Roma, questi si distinguevano per il fregio rosso che portavano davanti sulla giacca  a differenza di chi lo aveva nero o dorato. Questo direttore si chiamava Merendi, era un tecnico delle ferrovie, mi fece chiamare e portare in direzione e senza dirmi ne uno ne due, mi mollò un ceffone a mano chiusa, talmente potente che mi sbatté per terra, aveva due mani così…, poi mi gridò sovversivo! Rimasi una settimana con un orecchio gonfio e mia madre che voleva denunciarlo ai carabinieri, ma poi non se ne fece nulla, ti puoi immaginare cosa avrebbero potuto fare i carabinieri….

D) E’ in conseguenza di questi episodi che decidesti di prendere la via dei monti?

R)
Capisco che questi fatti possono sembrare piccole cose ma  facevano crescere il fastidio, l’ostilità, l’insofferenza, che a poco a poco si trasformava in deciso antifascismo. Poi in quel periodo bastava poco per essere marchiati come comunisti. Un po’ come adesso che c’è chi vede comunisti dappertutto!  E c’è chi da destra  minaccia di fare piazza pulita, hai sentito no!( il riferimento è ad una dichiarazione di Previti, fatta a dicembre 2000.n.r. )  Ma la scelta dei monti avviene anche per una serie di coincidenze negative, diciamo poco simpatiche e pericolose, anche se ora ci possiamo ridere sopra.

Una sera, era l’inverno del 1944, precisamente il mese di marzo, mi trovavo a casa di Repettino, Agostino Repetto, ci si vedeva per fare le caldarroste, poi col coprifuoco non ho potuto uscire e sono rimasto lì,  i tedeschi andavano e venivano, erano un po’ dappertutto quando una pattuglia si ferma e va  a mangiare dal Rico, l’albergo Amedeo, in vicolo Cravenna, dove in fondo c’era una porticina che andava a casa di Repettino, questi lasciano la macchina nel cortile dell’albergo con un mitra dentro, probabilmente si sentivano tranquilli e non volevano entrare nel locale con un mitra. Fatto sta che il mitra sparisce,  io devo sapere ancora oggi chi l’ha preso!

I tedeschi hanno  iniziato a fare perquisizioni , a fare scendere in strada gli abitanti della zona, verso le 22 , 22,30, vennero poi a bussare a casa di Repetto, scese sua madre ad aprire la porta , sentito che c’erano i tedeschi , Francesco che era del 1923, si nascose gettandosi  giù nel pozzo secco.  Io,  Pierino e Agostino , scendemmo e con la loro madre i tedeschi ci fecero uscire in strada  dove c’era già una ventina di persone. Tedeschi e carabinieri… perché c’erano ancora dei carabinieri che fino a quel momento avevano aderito alla repubblica di Salò. Alla fine del trambusto  tra tutti quelli che c’erano presero noi tre.

D) Ma allora è stata una trappola, qualcuno ha voluto incastrarvi ? Ti avevano visto quando andavi a casa di Repettino? Quanti anni avevi al momento di quell’arresto?

R)
Certo,  qualcuno mi avrà visto passare, so che li abitavano dei fascisti, li conoscevo, ma non credo siano stati loro, penso che abbiano preso noi perché eravamo i più giovani, lì in strada c’erano tutte donne e anziani, penso sia per questo. Ci presero e ci portarono nella caserma dei carabinieri, quel vecchio palazzo che ora hanno ristrutturato ,con la cancellata ,in via Collegio, ora via Gramsci, lo ricorderai è stata la caserma dei carabinieri fino a qualche decennio fa, ora ci abiterà qualche famiglia “in”, studi di medici ecc. Ma per me è sempre il posto dove ho passato i primi giorni di galera della mia vita, era marzo e avevo quindici anni , ne avrei compiuti  sedici  a luglio del 1944.

D) Insomma  non avevi fatto nulla ma  nelle prigioni di quel palazzo si è compiuta la svolta della tua vita.

R)
Sì , lì è accaduto qualcosa che non avrei potuto immaginare: in quel periodo i tedeschi volevano portare i carabinieri in Germania, per addestramento, come sai dopo l’otto settembre del 43, le forze armate Italiane erano nel marasma più assoluto e anche i carabinieri non sapevano che pesci pigliare, ma i più non avevano nessuna voglia di andare in Germania, avevano capito che rischiavano grosso. Una notte, alle due arriva il maresciallo Astori, che comandava la caserma dove eravamo prigionieri , viene ad aprirci e ci dice: ragazzi io scappo! I tedeschi ci vogliono portare in Germania, noi non siamo d’accordo, se volete faccio scappare anche voi ma sappiate che se fuggite passate per colpevoli anche se non lo siete. Un veloce scambio di idee  e decidemmo per la fuga, se fossimo rimasti c’era il rischio di diventare vittime della rabbia  dei fascisti  dopo la scoperta che nella caserma non c’erano più carabinieri.
Il maresciallo ci dette una pistola Spagnola, una 7,75, la presi io perché ero deciso ad andare in valle Borbera.

D) Avevi una idea precisa di dove andare, avevate contatti con le organizzazioni antifasciste e partigiane?

R)
No, dei partigiani se ne sentiva solo parlare, si sapeva in modo generico dell’esistenza di civili armati qua e là per le montagne, avevo quindi una vaga idea di questa possibilità. In valle Borbera, sarei andato a Sorli,  dove c’erano i miei fratelli che erano renitenti alla leva e non volevano aderire alla repubblica di Salò, uno era del 23 e l’altro del 24, mentre Agostino e Pierino , preferirono nascondersi in città.

Dopo un po’ di mesi precisamente a maggio, si aggrega al nostro gruppo Bricola, che era scampato all’eccidio della Benedicta. Quando i tedeschi e i fascisti, perché mi hanno detto che c’erano anche gli Italiani i fascisti  a sparare, lui e per fortuna anche altri, è riuscito a gettarsi nei boschi e a scappare.
Con Briccola, c’erano anche due carabinieri scappati anche loro per non andare in Germania, uno si chiamava Culicetto Franco, un siciliano e l’altro non ricordo, si fermarono un po’ a  Sorli, poi molti di noi  andarono con lui verso la terza zona, verso il Tobbio, perché Bricola conosceva meglio quelle zone, ci fermammo là un mese e mezzo, eravamo una ventina in quella cascina, c’era anche il povero  Piras, che poi è rimasto ucciso.

Ogni giorno, ci davamo il cambio, due di noi giravano per le campagne dai contadini a cercare qualcosa da mangiare, chi ci dava una pagnotta chi una formaggetta…. Poi un giorno che toccava a me e a “Saetta” ci siamo trovati nel bel mezzo di un rastrellamento. Era successo che dieci giorni prima un gruppo di partigiani avevano ucciso il podestà di San Cristoforo, erano andati per interrogarlo ma lui probabilmente si era spaventato e ha cominciato a sparare, ne è venuto fuori un conflitto a fuoco e il podestà è rimasto ucciso. Insomma che noi due ci siamo trovati isolati, il nostro gruppo ha dovuto  scappare e noi a nostra volta siamo scappati a Novi.

D) Ma come mai voi non eravate informati di quello che era successo a San Cristoforo, non c’era comunicazione tra i vari gruppi?

R)
In quel momento era tutto una gran confusione, non c’era una sufficiente  organizzazione, molti gruppi erano spontanei, improvvisati come il nostro, quello che ha fatto l’azione a San Cristoforo era probabilmente una formazione più organizzata ma che non sapeva neppure della nostra esistenza.

D) Quindi tu e “Saetta”, siete scappati a Novi, cosa avete fatto?

A  Novi ci siamo nascosti sotto le colonie solari, dietro il castello, che allora erano di legno, e noi eravamo nascosti sotto queste costruzioni e sai chi ci veniva a portare da mangiare? Tu lo hai conosciuto, Bruno Molinari! Un comunista impegnato da tempo nella lotta antifascista .Molinari è stato un grande antifascista!  Per dodici giorni ha continuato a portarmi da mangiare, verso sera passava e depositava un pacchetto con dei viveri che poi io verso la mezzanotte andavo a ritirare, perché dopo un paio di giorni ero rimasto da solo, “Saetta” si era stufato di stare lì e se n’era andato, io rimasi ancora   fino a quando Bruno Molinari non mi mise in contatto con il gruppo “Veniero.”  Era fine giugno primi di luglio, mi sono quindi aggregato al gruppo “Veniero” e sono andato su in valle Borbera, lì abbiamo trovato i primi partigiani organizzati, c’era “Kikirikì” ex tenente dei bersaglieri, lui era già stato in Russia, un ragazzo di 23, 24 anni   e “Marco” Anselmi Franco, il comandante, ex tenente dell’aviazione,  il distaccamento si trovava a Montebore, da lì facevamo la guardia a Riva Rossa. “Marco” ci fece distribuire delle armi e io scelsi  di fermarmi , mentre il resto del gruppo di “Veniero” dopo un po’ andò via, tornando nella zona tra il Novese e l’Ovadese


II - Cucciolo: “C’è chi vuole girare la frittata, confondere le vittime con i carnefici, ma io non ci sto”

D) Finalmente eri arrivato tra partigiani organizzati con gente che aveva una esperienza dal punto di vista militare. Però sarei curioso di sapere se dal tuo incontro con Bricola e poi con i partigiani della valle Borbera, sei venuto a conoscenza di fatti e particolari inerenti la triste vicenda della Benedicta? Avrai visto che Andrea Guenna ,sta facendo un lavoro di ricerca su quei fatti e mi pare si lasci intendere un possibile tradimento o delazione dall’interno.

R) Purtroppo non so nulla sulla dinamica di quegli avvenimenti , ricordo che quando la cascina della Benedicta, fu attaccata e incendiata  io ero a Sorli,  da dove eravamo si è potuto  assistere a quello che pensavamo fosse solo un incendio , poi con Bricola, nome di battaglia “Dria”  e con altri se ne è parlato , sono stati colti di sorpresa e chi ha potuto è fuggito, ma troppi ragazzi sono stati massacrati. Il più anziano ed esperto che faceva da comandante o forse più da papà, era un maggiore dell’esercito, mi pare si chiamasse  Odino.  La loro posizione pare fosse incerta, la maggioranza di loro erano tutti giovani renitenti alla leva, erano indecisi se organizzarsi per combattere oppure no, pare che avessero rifiutato delle armi offerte loro dalla brigata partigiana “Liguria”, ogni tanto gli Inglesi facevano dei lanci,  ma loro pensavano che se fossero stati presi senza armi avrebbero rischiato di meno e purtroppo non è stato così. Ma queste sono cose che ho sentito e io preferisco parlare di quello che so e che ho visto con i miei occhi. Oggi tutti fanno un gran parlare, è facile farlo ora che si sta perdendo la memoria di come stavano le cose, c’è chi vuole girare la frittata, confondere le vittime con i carnefici, ma io non ci sto.

Poi per favore non parliamo di delatori, se c’erano degli specialisti in delazione erano proprio i fascisti. Parliamoci chiaro i tedeschi non sapevano neppure dell’esistenza di quella cascina della Benedicta, lo potevano sapere solo da gente del posto, i fascisti di quelle zone. Molti di quei ragazzi sarebbero presto diventati dei partigiani era inevitabile, per questo qualcuno ha pensato che era meglio stroncare sul nascere questo pericolo.
Gli squadristi  mostravano spesso una crudeltà indicibile, pensa che tra di noi partigiani ci si raccomandava , in caso di resa, di arrenderci ai tedeschi, non perché fossero più teneri , ma con loro almeno c’era qualche possibilità di sopravvivere , magari ti portavano in Germania o c’era la possibilità di uno scambio di prigionieri ...Perché con quei  “ragazzi di Salò” era facile essere trucidati in barba ad ogni regola e convenzione.

D) Hai qualche episodio a conferma di quello che stai denunciando?

R)
Sicuro! Non ho mai parlato di queste cose perché pensavo non fosse più necessario, ma oggi visto che qui tutti parlano a vanvera è giusto rimarcare i fatti come sono avvenuti. Il 24 di agosto del ‘44, ci fu in valle Borbera un grande rastrellamento, combattemmo per tre giorni consecutivi, era la famosa battaglia di Pertuso e per i primi due giorni e mezzo lo scontro fu sostenuto da  noi, della “banda” di “Marco” e “Kikirikì”, una sessantina di uomini in tutto, prima che arrivassero gli uomini di Scrivia, alla fine facemmo parecchi prigionieri, erano  bersaglieri, del terzo bersaglieri volontari, tutti allievi ufficiali della scuola di Novi Ligure, io ne ricordo 34, quelli presi proprio lì nel corso della battaglia, poi il numero è via via aumentato fino a raggiungere i 50 o 60,   ce li siamo portati dietro per un bel  po’, poi a Capanne di Cosola  li abbiamo mollati tutti , erano tutti ragazzi sui vent’anni, cosa fare? Non potevamo mica fucilarli !

Gli abbiamo fatto un po’ di predica, gli abbiamo detto di non presentarsi mai più con quella divisa, gli abbiamo dato anche dei  soldi, trecento lire a testa   come aiuto per tornare dalle loro famiglie e poi li lasciammo andare, e non è l’unico caso in cui i partigiani hanno curato e poi liberato dei prigionieri, poi capitava che qualcuno scegliesse di rimanere con noi, uno di questi che ricordo si era dato il nome di “Scampato”, ma dopo pochi mesi se ne andò, perché non reggeva a quella vita.

Quella è stata una azione dei partigiani “cattivi”, mentre i bravi “ragazzi di Salò” non risulta abbiano mai lasciato liberi dei partigiani. Questi” ragazzi di Salò” come il signor Guenna , continua a chiamarli in modo bonario e affettuoso, dopo che noi gli abbiamo liberato i loro  bersaglieri,  hanno preso il nostro comandante ; Arzani Virginio, “Kikirikì” ferito, poi il polacco “Cengio”, “Silurino” e “Aliotta”, tutti feriti e li hanno trucidati a colpi di mitraglia e bombe a mano.

D) E’ una cosa veramente atroce, come è andata?

R) Erano stati presi dai tedeschi ad Artana, poi a Zerba sono stati consegnati alle brigate nere di Sampierdarena, comandate da un capitano maggiore, certo Gibelli, avrebbero dovuto essere curati e interrogati, ma i “ragazzi di Salò”, li hanno sbattuti in un prato fuori della frazione di Zerba e massacrati a colpi di mitra e bombe a mano. Il racconto dell’accaduto fatto da “Olga” l’infermiera partigiana fatta prigioniera con i feriti, assieme a “Giulia” e a “Repubblica” (loro sono stati portati a Genova)  è qualcosa di veramente tremendo, un episodio che la dice lunga sul con chi avevamo a che fare. “Olga” “Giulia” e “Repubblica”, furono poi liberati con uno scambio di prigionieri.

Da notare che nella battaglia di Pertuso i fascisti, i “ragazzi di Salò” erano parecchie centinaia, i tedeschi saranno stati si e no una cinquantina e noi  eravamo sessanta, diventati quasi cento con gli uomini di “Scrivia”, e qualche altro piccolo gruppo. Voglio  dire che erano tanti i fascisti armati , ma dopo la liberazione quando sono tornato a Novi,  il 1° maggio, tutti avevano la fascetta tricolore, erano tutti partigiani!

D) Può darsi che molti fossero stati impegnati in attività clandestina in un lavoro più politico?

R)
Si è vero tanti antifascisti hanno operato nelle SAP, Squadre di Azione Partigiana, che svolgevano un lavoro  molto importante di informazione, tenevano collegamenti  organizzavano coperture e cose di questo tipo, come ha fatto nel mio caso Bruno Molinari,  ma le SAP non vanno confuse con i GAP, (Gruppi di Azione Patriottica) che erano gruppi operativi armati, di notevole capacità, per lo più  era tutta gente che aveva subito, che aveva pagato a duro prezzo il loro antifascismo con anni di galera.

Un gappista era stato Andrea Scano, (Elio) che anche tu  hai conosciuto,  ha lavorato nel PCI di Novi, alla fine degli anni 60 e i primi 70. Lui veniva dall’esperienza della guerra di Spagna e poi dalle carceri Francesi e pare che i GAP, fossero proprio di scuola Francese, perché lì la resistenza ha operato più in città e in pianura che in montagna.  A Novi non c’erano i Gap, questi operavano più che altro nelle grandi città. Comunque dopo la liberazione i partigiani nascevano come i funghi.

Ma tornando alla  battaglia di Pertuso dopo che abbiamo respinto l’attacco, “Scrivia” e “Marco” dettero l’ordine  di disperderci in piccoli gruppi di cinque o sei perché le truppe nemiche si stavano insinuando a cuneo per stanarci, venivano  dalla valle Trebbia, dalla valle Staffora , dove cera “l’Americano”, poi dalla valli Curone e Borbera . Nella fuga mi trovai tra gli ultimi, c’erano con me l’inglese “Fochen” e “Dottore”, poi “Sten”,  eravamo sei o sette, noi abbiamo scelto la zona della valle Curone, su verso il Giarolo, per poi andare verso Montacuto, ma nelle vicinanze del paese incontriamo una donna, una contadina del posto che ci avverte della presenza dei tedeschi e dei fascisti, ci dice di non andare al paese. Ci dice: ”aspettate qui!” Poi va alla sua cascina e torna con quattro magnifici salami e tre micche di pane, nonostante tutto era una festa, non mangiavamo da giorni, l’abbiamo ringraziata e abbiamo continuato la corsa in altra direzione  verso l’Ebro.

Siamo rimasti nascosti per diversi giorni, non si sapeva dove andare ,sono stati quindici giorni di marasma. Ci trovammo poi come aveva ordinato  “Marco” in una frazione di cui non ricordo il nome tra il Giarolo e Monteacuto, per riorganizzarci. Dei nostri feriti alla battaglia di Pertuso, si sarebbero occupati il gruppo diciamo di soccorso dove c’erano “Repubblica” (un grande amico di “Chicchirichi”) “Olga” e “Giulia”, le coraggiosissime infermiere partigiane. Di come è  andata a finire ti ho già raccontato. E vorrei ricordare un’altra donna molto coraggiosa,  impegnata nell’ospedale partigiano di Rocchetta , “Lola,” Aurora Pertica, diventata poi moglie di Lazagna (Carlo).

D) Dopo la battaglia di Pertuso ci fù però un salto qualitativo dell’organizzazione partigiana? E’ vero come qualcuno  insinua che i comunisti cercavano di controllare la guerriglia partigiana magari imponendo dei comandanti comunisti o vicino ai comunisti,  nella tua realtà esisteva questo problema?

R) Il numero dei partigiani aumentò notevolmente in tutte le zone, per quanto riguardava noi, il terzo giorno della battaglia di Pertuso si aggregò  “Scrivia”, col suo distaccamento “Peter” di trentotto uomini e altri gruppi presenti in valle Borbera. Ci furono diverse fasi di riorganizzazione delle formazioni partigiane, ma la più significativa è quella decisa dal comando di zona nell’inverno 44-45.  Prima c’era tutta una divisione “Cichero,” e il comandante era Bisagno, ( una figura quasi leggendaria tra i partigiani, estremamente geloso della autonomia del movimento partigiano)   poi è stata divisa in Cichero e Pinan-Cichero.  Noi nella valle Curone, valle Borbera, valle Sisola  fino a Cosola, eravamo “Pinan-Cichero.  Invece di là verso Zerbe che poi si va giù verso Torriglia e la valle Trebbia, c’era la divisione “Cichero.” Mentre  dal Brallo, in valle Staffora, c’era la divisione “Aliotta,” comandata “dall’Americano”, un tipo in gamba, l’area d’azione comprendeva anche  Voghera e Pavia.

Per quanto riguarda i comunisti e i comandanti non credo che ci fosse una stretta relazione, anche perché  poi contava la capacità sul campo. Gli appoggi politici avranno avuto il loro peso ma si doveva dimostrare di essere all’altezza. Nessuno può negare che i comunisti fossero stati una nervatura fondamentale per la crescita e l’organizzazione del movimento  partigiano e antifascista e certamente c’erano dei comandanti che avevano già una storia di perseguitati politici perché comunisti come “Moro”, che è stato commissario della Pinan-Cichero, lo stesso GB Lazagna “Carlo” aveva già fatto parte della cellula universitaria del P.C.I. a Genova.  Ma altrettanti comandanti di prestigio come  “Bisagno” e ” Scrivia” erano cattolici,  “Marco” era un liberale, qualcuno diceva  Monarchico-liberale. Anche per quello che riguarda Arzani Virginio,  “Chicchirichi” che era stato mio comandante e che mi sono portato via ferito, una brutta ferita al ginocchio,(altro che ferito al piede o alla spalla come qualcuno racconta  per sentito dire) passato da parte a parte con un proiettile prima che fosse fatto prigioniero dai tedeschi e poi ucciso dai fascisti, siamo stati insieme  fino all’ultimo ma non saprei dire se fosse stato comunista, socialista, o democristiano, in realtà non c’era mai tempo per fare discussioni, quello che univa tutti era l’antifascismo, il bisogno di uscire a testa alta da quella situazione che il fascismo aveva creato.

Come sai le forze politiche antifasciste erano tutte presenti nei CLN e non credo avessero interesse a creare divisioni all’interno del movimento partigiano che si era in gran parte costituito autonomamente con dei capi riconosciuti perché  avevano organizzato i primi gruppi armati, le cosiddette “bande,” poi è chiaro man mano che il movimento cresceva era necessario unificare i gruppi e accentrare i comandi .Se qualche forzatura politica c’è stata è avvenuta quando era chiaro che la liberazione si stava compiendo e forse in quel momento un po’ tutti hanno cercato di tirare la coperta dalla propria parte.

Ma nel momento della lotta l’essenziale era l’unità!  L’unico fatto di rilevanza politica era stata la decisione non so se dei comandi di zona o del CLN di Genova, di costituire la figura dei commissari. Questi commissari, avrebbero dovuto organizzare dei momenti di discussione di approfondimento politico, ma in realtà io non ricordo che si sia mai fatto, c’era sempre da stare all’erta, fare azioni, e trovare da mangiare, eravamo tutti giovanissimi con alle spalle anni di oscurantismo politico, i più non sapevano neppure cosa fossero i comunisti o i democristiani. Solo quei pochi che avevano già trenta o trentacinque anni erano più politicizzati. Certo è che l’esperienza di vita e di lotta, dividere le difficoltà, l’aiuto reciproco, produceva  un modo d’essere e di pensare più di sinistra, questo è quello che posso dire sul piano politico.

Ricordo invece che c’era sempre da arrampicarsi in alto e di corsa  come quella volta che era giunta notizia di un rastrellamento,  i bersaglieri  cercavano di prenderci alle spalle passando da Fontana, allora ci danno l’ordine di andare sul cucuzzolo a Riva Rossa, per controllare la situazione, partiamo io e altri sette o otto, andiamo su in ordine sparso, tutto di corsa da sfiancarci, arrivato quasi sopra una voce dietro un cespuglio mi intima l’alt: “chi va là, parola d’ordine”, io mi blocco,  pancia a terra e penso: ma noi non abbiamo parole d’ordine. Che siano già qua! Faccio un tentativo grido: ”Marco!” Il nome del nostro comandante ,per vedere che effetto faceva. Da dietro quel cespuglio una voce risponde: “Marco” o “San Marco”! Io rimango allibito non avrei mai pensato alla San Marco, ma in effetti esisteva.

Mentre cercavo di capire cosa stesse succedendo la voce chiede ancora: “parola d’ordine!” Io ripeto: “Marco!”  La voce da dietro il cespuglio dice: “avanti!!” A quel punto mi alzo piano e vado avanti col mio moschettino con la palla in canna, dall’altra parte una figura armata mi viene incontro, appena riusciamo a vederci ci riconosciamo ed esplodo: “Cristo! Sei tu!”  E lui: “Sei tu!” Scaricando la tensione gridai: belin! Ma Brunetto! Accidenti! A momenti me la fai fare addosso! Ma cosa diavolo ci fate qua! Non avete visto i bersaglieri!….. Loro si trovavano lì per caso mandati su da “Gallo” o da “Raffica”. Erano una diecina che salivano per aggregarsi a noi. Conoscevo  di vista Brunetto, era di Novi. Questa storia per dire come in realtà stavano le cose, con tutti questi limiti se vogliamo, ma anche con tanta voglia di darci da fare perché  quella situazione finisse, e anche tanto coraggio,  perché ora giustamente ci siamo fatti una bella risata, ma li era strizza, ci voleva anche del coraggio.


III - Cucciolo: “La mia fortuna è di non essere finito nelle mani dei “ragazzi” di Salò

D) Hai incontrato altri Novesi su in montagna?

R)
  Di Novi  come ti ho  raccontato, ho trovato Carlo Bricola, nome di battaglia “Dria,” (che era stato per me un punto di riferimento e nella prima metà del giugno 44, io, “Mameli”, e due carabinieri, lo abbiamo seguito nella terza zona). Brunetto Serra “Boia”,  poi ” Morgan,”  Franco Pollarolo “Franco,” Carlo Manildo “Dinamite,”  Tagliafico, ”Ramon”, che era con me alla battaglia di Pertuso e assieme abbiamo portato via “Chicchirichi ” ferito. Ho raccolto e messo a tracolla la   Mascin Pistol, tedesca  ( Machine Pistol,) di “Chicchirichi”, poi con “Ramon” lo abbiamo tirato su  e lo abbiamo portato  a villa Gazzani, sopra a Pertuso, fuori dalla zona degli   scontri, in frazione Crogni, dove c’erano già altri feriti.   Nella prima puntata ho accennato a “Piras,” ma dobbiamo specificare che “Piras” era il nome di battaglia di Orlando Armando, anche lui abitava a Novi.  

D) C’è qualche episodio a cui sei  particolarmente legato con la memoria?

Sono tanti i ricordi che mi vengono alla mente specialmente ora che  stiamo  parlando di questa storia e  mi sembrano così vicine le situazioni e le persone con cui ho vissuto quella avventura ………ad esempio “Raffica” che forse in certe  situazioni era un po’ avventato,  lo ricordo come un combattente eccezionale….Ero arrivato a Pertuso poco dopo l’inizio del primo scontro, venivo da Montebore, i compagni mi hanno subito raccontato che “Raffica” era nel posto di blocco che avevamo costruito con dei grossi massi, dopo il curvone, prima del ponte, quando arriva un Leoncino OM, carico di bersaglieri , “Raffica” gli si fa incontro e chiede: ”dove andate ?”  Loro stupiti rispondono: “a fare un posto di blocco a Rocchetta Ligure!”  Allora “Raffica” risponde: “qui ci siamo già noi, andatevene!”
E inizia sparare. Lo hanno visto che saltava da un cespuglio all’altro sparando a più non posso, sembrava che la battaglia di Pertuso dovesse combatterla da solo. Quello era stato l’assaggio, poi nel pomeriggio bersaglieri e tedeschi   arrivarono in forze. Era l’inizio della battaglia di Pertuso ,ed  erano già stati fatti  i primi prigionieri.

Questo episodio  mi riporta al ricordo della  mattina del terzo giorno della battaglia di Pertuso, quando è stato colpito “Chicchirichi,” a cui ero molto affezionato, una forte personalità e, il suo coraggio non era secondo a nessuno. In un momento di pausa  durante la battaglia, dopo avere respinto alcuni tentativi di sfondamento e la zona verso la strada e verso Fontana era sotto controllo, in una quindicina  eravamo in quello che era il nostro   campo base, la vecchia fornace di Pertuso,( dove ora c’è la stele, ma il vero monumento è quella ciminiera ) ci stavamo rifocillando alla bella meglio, quando arriva di corsa “Biancaneve”, che grida i fascisti hanno sfondato a Lemi , Stanno arrivando! Vedo “Chicchirichi” alzarsi di scatto e a gridare: forza ragazzi, avanti dobbiamo fermare i fascisti! Tutti in piedi ma lui era già avanti trenta quaranta metri, il primo colpo che si sentì nell’aria lo colpì in pieno al ginocchio, lui stramazzò a terra e su di noi calò il gelo, per un momento  ci siamo sentiti persi, non era possibile vedere  “Chicchirichi” a terra e la sua rabbia per quella ferita che lo immobilizzava. Mi sembra di sentirlo quando gridò ai fascisti che si preparavano ad uccidere lui e i suoi compagni: "fate presto vigliacchi!”

Mi vengono alla mente tanti ricordi che ci sarebbe da scrivere un libro,  vorrei ad esempio ricordare il dottor Trucco, anche se la sua figura di antifascista è nota per essere stato membro del CLN di Novi. Io lo ricordo con affetto, perché mi ha ospitato e curato una ferita al braccio che stava facendo infezione. La ferita è stata causata da un colpo di pistola  partito accidentalmente al partigiano “Vento”.  Era il settembre del 44, scesi dalla Valle Borbera e arrivato a Novi  presi contatto con Inverardi “Franchein” nome di battaglia “Acuto,” che a sua volta contattò il dottor Trucco, che mi nascose e mi curò alla Grimalda. Rimasi da lui una settimana.

Quel giorno mentre andavo alla Grimalda , prendendo la salita della Maina  a porta Genova, poi percorrendo la strada delle ville fino in fondo dove c’è la cappelletta  e poi la discesa  che va alla vecchia strada per Tassarolo, proprio a metà della discesa, quindi senza possibilità di fuga,  incontro i “mongoli” con dei tedeschi, francamente non me l’aspettavo è stata una brutta sorpresa, ho temuto il peggio. Come era mia abitudine tenevo una pistola dietro la schiena, anche se in quel caso non sarebbe servita a molto. Passammo fianco a fianco, erano una quarantina, mi guardarono, ma la mia faccia da ragazzo senza barba per fortuna non li insospettì, così passai andando via. Se ti prendevano con un’arma addosso ti facevano fuori subito!

D)  Avevi accennato a GB. Lazagna “Carlo”, la vostra amicizia dura da tempo, quando vi siete incontrati?

R)
Alla battaglia di Pertuso, in agosto c’era anche “Carlo”, era arrivato assieme a “Scrivia”, con il distaccamento “Peter” eravamo lì tutti e due ma ancora non ci si conosceva. Poi dopo la riorganizzazione quando “Scrivia”  è stato fatto comandante, lui “Carlo” è stato nominato , vice comandante della Pinan-Cichero, io ero il più giovane e si era affezionato, tanto che mi cercava spesso per andare in azione. E’ stato un buon combattente e buon comandante. Non era il tipo che si rintanava al comando, per questo ho sempre pensato a lui un po’ come al braccio e la mente del nostro  comando, aveva una visione generale della situazione come deve avere un comandante, ma andava volentieri in azione e io ne ero spesso coinvolto.

Devo anche dire che “Carlo” era di quelli che in azione non mollavano facilmente l’osso, anche quando la situazione era estremamente difficile tentava il tutto per tutto. A differenza di chi il partigiano lo faceva per forza di cose, “Carlo” lo faceva con passione, se si può usare questa parola, ed è forse questo aspetto, questo spirito, che ci univa di più.   Dopo la liberazione ha scritto uno dei  libri più belli sulla resistenza:” Ponte Rotto.”

D) A proposito di “Ponte Rotto” come è andata che lo avete fatto saltare?

R) Quello era il famoso ponte di Pertuso,  è stato Scrivia, a dare l’ordine di farlo saltare. Dopo la  battaglia di Pertuso con il continuo pericolo di rastrellamenti e incursioni, si è deciso che la strada delle strette che poteva essere percorsa da mezzi pesanti come i carri armati andava  interrotta, per garantire una maggiore sicurezza della zona liberata.  Così nell’autunno inoltrato del 44, la squadra  di esperti in esplosivi, sotto il comando di “Mina” ( Giovanni Volante, un ex Maresciallo che aveva prestato servizio nel Genio a Novi Ligure.) eseguirono l’ordine e al posto del ponte rimase una profondo dirupo  che si poteva superare solo a piedi. Credimi, “Scrivia” aveva veramente della stoffa!

D) Non ho ancora chiaro dove si trovi il ponte che avete fatto saltare ?

R)
Il ponte è quello che trovi andando a Pertuso prima della lapide dei partigiani. Tra l’altro una notte che ero di turno alla guardia del ponte rotto, è successo che il partigiano che faceva la guardia prima di me è stato ucciso da un gruppo di “ mongoli” che avevano il loro quartier generale a Borghetto Borbera .  Il partigiano era rivolto verso il ponte rotto e quelli sono riusciti a prenderlo alle spalle  nascosti  dietro i muri parapetto sul ciglio della strada e favoriti dal rumore dello scorrere tumultuoso del Borbera. Abbiamo sentito i colpi, arriviamo sul posto e troviamo il partigiano a terra, setacciammo tutt’intorno ma non c’era più nessuno, trovammo poi i bossoli e da lì capimmo quello che era successo.

Mentre alcuni partigiani portavano via il corpo del compagno caduto, il caposquadra tira fuori dalla tasca l’ordine di guardia chiede: “a chi tocca adesso il turno di guardia ?”  “A me!” risposi. Erano le due di notte, tirava un vento gelido che fischiava lungo le gole e faceva accapponare la pelle,  con quello che era appena successo poi!  Mi sono detto: “A me non mi beccate alle spalle”, e mi infilai in una insenatura con lo Sten, spianato e due occhi così.

D) Andrea Guenna, scrive  di azioni di vendetta che sarebbero  avvenute anche dopo il 25 aprile e io a questo proposito mi sono ricordato di un racconto di mia madre che parlava di giovani che conosceva, nascosti  perché non volevano andare in guerra, ma un bel giorno un amico della famiglia di uno dei ragazzi, un fascista, ”persona per bene” scoprì il nascondiglio o aveva avuto confidenze in proposito, tant’è che li fece prendere, forse egli era convinto che fosse giusto andassero a morire per lui e per la patria, non immaginava che la loro giovane vita sarebbe finita subito, fucilati dalle camice nere. Così, un giorno un gruppo di partigiani scese dalle montagne dietro Noli, presero il “signore per bene” e lo giustiziarono. Forse oggi qualcuno ricorderà che i partigiani  lo uccisero, chiamandolo spia, e qualcuno avrà continuato a pensare che era “una persona così per bene”! Quanti di questi casi saranno accaduti? Quante di queste” persone per bene” saranno state giustiziate e per altri assassinate?   Parliamo di cose tremende, che però non sono nate per caso.

R) Guarda, parliamoci chiaro, i fascisti ne hanno fatte di cotte e di crude, poi la guerra e la guerra civile, queste cose producono odio, producono mostri , non si può fare finta di nulla e andare poi a spulciare qua e là per vedere se anche gli altri hanno commesso delle brutte azioni, certamente ce ne saranno state, qualcuno avrà anche approfittato della confusione per vendette personali , per torti o violenze subite, chi lo sa! Mentre ci sono state delle vere e proprie spie  giustiziate, anche proprio in quegli ultimi giorni, ma questi a loro volta avevano come hai detto tu fatto prendere della gente fatta mandare in galera o nei campi di concentramento, uccisi!

Se pensi che anche qui nelle nostre valli, quando fascisti ,tedeschi e “mongoli,” (la gente li chiamava così perché erano tutti di origine asiatica, ex prigionieri dei tedeschi e poi  “volontari”)  riuscivano a forzare la resistenza dei partigiani ed entravano nei paesi si abbandonavano ad imprese da briganti, terrorizzavano la gente, la derubavano ed in particolare i mongoli stupravano donne sposate e ragazze.
Quindi è del tutto normale che  fino alla fine si sia tentato di colpire chi aveva responsabilità in stragi e crimini di vario tipo.

Personalmente,  non ero mosso da un odio particolare, perché nessuno della mia famiglia è stato ucciso o incarcerato, ero più tranquillo rispetto a tanti miei compagni che erano stati colpiti nei loro affetti e alcuni di loro addirittura torturati dai fascisti. A me è capitato addirittura di aiutare e di salvare la vita a qualche fascista che sapevo essere solo idealista, come ad esempio quel tassista di Arquata. Alla battaglia di Pertuso, mi è capitato di trovarmi davanti un bersagliere ferito, tutto insanguinato al volto, era a cinque metri, potevo ucciderlo, per un attimo ci siamo guardati,  poi lo lasciato scappare, certo che se fosse successo dopo che i fascisti avevano ucciso “Chicchirichi”  “Cengio,” Silurino,” e “Aliotta”  feriti, francamente non so cosa avrei fatto!

Un’altra volta  i partigiani avevano preso dei prigionieri, tra loro c’era un avvocato, era il comandate delle brigate nere di Novi. Questi, aveva assunto un atteggiamento provocatorio, si rivolgeva ai partigiani chiamandoli ribelli, banditi, criminali, a gente che ne aveva passato di tutti i colori. Si era già preso qualche sonoro ceffone e continuava, sono intervenuto dicendo “ragazzi lasciatelo stare, non abbassiamoci al loro livello,” poi mi rivolgo all’avvocato parlando in  Novese: ”la smetta di provocare, perché vuole continuare a prenderle?” Lui sentendo che ero di Novi ha rivolto contro di me la sua rabbia: “Anche tu che sei un mio compaesano sei un ribelle, un bandito!”  Con questo avvocato c’erano le brigate nere di Arquata Scrivia, Serravalle, Novi Ligure e Tortona, presi prigionieri dopo la battaglia di  Garbania, nel marzo del 1945, dove il comandante di distaccamento “Argo” è stato ucciso a tradimento. Ad un certo punto della battaglia i fascisti hanno sventolato la bandiera bianca e quando “Argo” è andato per parlamentare gli hanno sparato uccidendolo.

Conoscevo solo uno di questi prigionieri, era un fascista di Novi, non sapevo che fosse una brigata nera, non avrei mai pensato di trovarmelo lì,  fatto sta che anche lui mi riconosce e mi chiama: Sandrino! “Per favore vai a comprarmi qualcosa da mangiare e delle sigarette”. Mi aveva dato due lire. Io vado a Cabella, gli prendo del pane e del formaggio, poi del tabacco, il  trinciato perché non c’erano sigarette, quando sono tornato  mi hanno quasi processato moralmente, ”Siamo in guerra! Non devi farti prendere dal sentimentalismo!” Mi disse il comandante, “Marco secondo”, (Comandante del S.I.P, servizio informazione polizia) e continuò : “Cucciolo, non penserai che se tu fossi stato prigioniero dei fascisti, loro ti andavano a comprare da mangiare!”.

Per fortuna che mi conoscevano, ero un ragazzo, ma avevo già partecipato alla battaglia di Pertuso e a tante altre azioni se no non so come sarebbe finita e vista la situazione non potevo certo dagli torto. Questa intransigenza era  coerente con la disciplina militare. Purtroppo la guerra, i morti, le persecuzioni avevano creato una situazione che  non permetteva molti atti di distensione.

Dopo il 25 aprile 45, quel tal Merendi, che mi aveva picchiato, lo squadrista, si era nascosto per parecchi mesi, io sapevo dov’era, ma non sono mai andato a prenderlo e a dirgli: “Ora ti do quello che mi hai dato!” Il fatto è che dopo pochi mesi nessuno è più andato a cercare i fascisti, sono tornati tutti in circolazione anche quelli che avevano fatto delle porcherie e poi c’è stata anche l’amnistia, più pacificazione di così! Una cosa è certa che se avessero vinto loro la caccia all’uomo sarebbe durata fino ad oggi, sarebbe stata una vera e propria tragedia. A volte ci vorrebbe  la dignità di tacere. Speriamo solo che queste cose non si ripetano più!

D) Cucciolo, come mai sei arrivato a Novi soltanto il 1°Maggio e non prima….


R) Questa è una cosa che mi è dispiaciuta, ma è andata che nell’ultimo periodo ero con il “Vestone”, eravamo su a Prato, poi in previsione della imminente liberazione ci venne chiesto di tornare con le brigate di provenienza perché non si creasse eccessiva confusione. Così io tornai alla brigata ”Arzani” con la segreta convinzione che da li saremmo poi scesi verso Novi. Invece a noi toccò la liberazione di Arquata e Serravalle. Sono sceso col distaccamento “Repetti” forse proprio il giorno del 25 aprile, arrivati a Vignole Borbera, prendiamo la strada per Serravalle, ma arrivati nei pressi della tenuta Percipiano, troviamo ancora parecchi tedeschi che oppongono resistenza, ci sparano addosso  e non vogliono saperne di arrendersi, perdiamo infatti parecchie ore nello scontro, poi ci dividiamo, una parte prosegue per Serravalle, tra questi cera  Carlo Manildo di Novi, “Dinamite”, comandante della “squadra volante.”

Io con l’altra parte di partigiani con a capo “Tremos”, (un ragazzo in gamba,  era di Ronco Scrivia ,dopo la guerra andò a lavorare in ferrovia e poi morì in un incidente sul lavoro)  andiamo verso Arquata, ma arrivati al ponte della ferrovia prima dello Scrivia, siamo nuovamente bloccati da uno sbarramento di fuoco. Infatti da sopra il ponte della ferrovia un gruppo  di fascisti, ultimo residuo di un esercito in ritirata, spara su di noi impegnandoci in una  scaramuccia, ma questa volta riusciamo a metterli in fuga abbastanza velocemente.

Finalmente arriviamo ad Arquata, di fascisti e tedeschi non ce più presenza, la gente accoglie festosa i partigiani, ma pioveva che dio la mandava e ci rifugiammo tutti in situazioni di fortuna. Nella notte fino alla mattina inoltrata la città fù attraversata da un interminabile colonna di carri armati, autoblindo, camion con soldati, era l’esercito tedesco in ritirata, ricevemmo l’ordine dal comando di non sparare, di lasciarli passare per evitare inutili spargimenti di sangue in attesa della resa generale dei tedeschi. Dopo Arquata sono andato a Genova, alla grande parata partigiana, poi finalmente il 1° maggio ero tornato a Novi.

D) “Cucciolo”  come ti consideri, fortunato o sfortunato dopo avere passato una giovinezza così avventurosa?

R)
Se penso che la mia infanzia l’ho dovuta passare così come ti ho raccontato tra i problemi della scuola, il correre tra i monti, girare con la pistola e con lo Sten, a sparare e vedere tanti morti e feriti , ti dico che sono stato sfortunato, ma se penso che ho rischiato tante volte la vita e sono ancora qua a parlarne non posso che considerarmi fortunato. Ad esempio penso spesso a quella bomba a mano tedesca, sai quelle a martello, me l’hanno lanciata a quattro o cinque metri e non è esplosa è rimasta lì su un mucchio di neve.

Era un giorno del marzo del 1945, verso sera  con “Carlo”, il Francese “Parigi,” “Stelvio” “Bill”  il Polacco “Nicola” “Fido,”  l’alpino “Gechin e “Milan” sono sceso per una delle tante azioni notturne, quella volta si andava a Cassano,  per entrare in una casermetta tedesca a prelevare  delle armi. “Carlo” aveva mandato “Milan” che era il più anziano e aveva un’aria mite, in perlustrazione ed egli tornò a riferire  che dentro ad un’osteria  c’erano due fascisti, due “ragazzi di Salò”.  Allora “Carlo”, chiamò me e “Parigi”  e ci avviammo dentro il paese verso l’osteria, raggiunto il locale  io e “Parigi” ci appostiamo ai lati della porta, mentre “Carlo” apre lentamente  ed entra cogliendo di sorpresa i fascisti che si alzano con le mani in alto. Dopo averli interrogati li consegnammo a “Milan” e “Gechin” perché li portassero in montagna.

Il resto della storia sarebbe lunga da raccontare, ma ad un certo punto io, “Stelvio,” ”Nicola” e “Parigi” mentre salivamo la strada per il cimitero  ci siamo trovati  di fronte i tedeschi e nonostante l’ordine di “Carlo” di evitare di sparare per non essere individuati dalla luce delle  esplosioni ci siamo trovati costretti a difenderci  non era più possibile scappare. .Mentre “Carlo”, “Fido” e “Bill” erano già fuori tiro perché avevamo deciso due percorsi diversi, loro erano già su di un’altra strada e volendo potevano salvarsi senza rischiare, ciò nonostante “Carlo”, sentito gli spari capì che eravamo nei guai, così tornarono indietro a dare manforte correndo un grosso rischio, è stato un comportamento da vero comandante che non abbandona i suoi uomini.

Abbiamo dovuto affrontare uno scontro a fuoco  durissimo, i tedeschi erano armati fino ai denti, e pensa che il Gibì, ”Carlo” nel tentativo di coglierli di sorpresa, ha avuto il becco di chiedere la loro resa, in un tedesco improvvisato grida: “arrendetevi! Sarete trattati da prigionieri di guerra!“ la risposta è stata una pesante scarica di fuoco. Le bombe a mano esplodevano  ovunque,  perdiamo di vista “Parigi” che non conosceva il paese e per errore  entra in un vicolo chiuso dove viene colpito da una lunga raffica di mitra e muore, purtroppo non riuscimmo a portare via il suo corpo che fu lasciato da i tedeschi a terra per  due giorni, esposto come monito contro i partigiani. (Venni poi a sapere che il comando della Pinan-Cicchero, intervenne presso il podestà di Cassano Spinola, affinché provvedesse immediatamente a dare degna sepoltura al partigiano caduto in combattimento, minacciando in caso contrario una dura rappresaglia.)

Anche i nemici ebbero forti perdite, venimmo a sapere che erano almeno otto i tedeschi che caddero sotto il nostro fuoco e nello scontro schegge di  bombe a mano hanno ferito “Carlo,” “Bill” e “Fido,”  a me è andata bene mi hanno lanciato una  bomba, mi sono gettato a terra, ma per fortuna la bomba è rimasta lì sulla neve senza esplodere, il destino! Se penso a questo non posso che considerarmi fortunato.
Soprattutto sono fortunato di non essere finito nelle mani dei “ ragazzi di Salò”!

Ho voluto ricordare con te questi avvenimenti perché ritengo necessario specie per le nuove generazioni trasmettere la memoria. Per non dimenticare.

Cosi come ci ha insegnato la medaglia d’oro della resistenza Carla Capponi:”Scrivere le proprie esperienze credo sia un dovere civile per chiunque abbia da testimoniare del suo tempo.”


aprile 2001
A sinistra, Giambattista Lazagna “Carlo”- a destra Walter Delfini
Fotografia scattata in casa Lazagna dalla moglie Aurora
aprile 2001
Manifestazione all'Europa Metalli di Serravalle Scrivia
a sinistra, Giambattista Lazagna, Comadante "Carlo"
a destra con gli occhiali Alessandro Ravazzano "Cucciolo"
(vedi Intervista a “Cucciolo”)

(foto W.D.)