Intervista pubblicata nel
mese di marzo 2001,sul giornale locale “Il Nostro giornale”, tiratura settemila
copie
Walter
Delfini intervista “Cucciolo” - il più giovane partigiano di Novi
Le ragioni dell’antifascismo.
Walter Delfini: “La storia va detta tutta, fuori dalle strumentalizzazioni
ideologiche”
Da quando la “nuova” destra, che ha le
sue radici nel “Movimento Sociale” di Almirante, è rientrata prepotentemente
nel gioco politico grazie alla logica
bipolare che tutto annebbia e confonde si è riacceso il dibattito sulle
tematiche del fascismo e della resistenza,
sul percorso storico che ha portato alla nascita della nostra
repubblica, dibattito che a volte suona
come un vero processo alla resistenza. E’ un confronto a cui non possiamo
sottrarci perché le ragioni dell’antifascismo sono universalmente valide e
necessarie. Soprattutto oggi, fascismo ed antifascismo non si possono ridurre a
questione militare ma devono essere analizzati nei loro contenuti culturali che hanno come
conseguenza lo sviluppo o la negazione
della democrazia. Sappiamo che ovunque si può nascondere il germe
dell’autoritarismo.
Una certa cultura fascistica può andare oltre i confini propri di una formazione politica, invadere la
società ed ispirare i comportamenti anche di chi si dichiara ideologicamente
antifascista ( non per nulla il ‘68 è
stato anche ribellione contro la “democrazia autoritaria”, e per una parte
della sinistra è stato critica e rifiuto dell’autoritarismo nel “socialismo
reale”). Le forze della destra conservatrice e spesso reazionaria sono per
natura esplicitamente autoritarie e per combatterne il tentativo di egemonia è
necessario il confronto e la lotta delle idee. L’area cosiddetta progressista
dovrebbe pensare meno ai tatticismi ed al crogiolarsi nei privilegi della
politica e del potere per riscoprire
contenuti e valori che diano un
senso all’impegno individuale e collettivo per lo sviluppo della società.
L’offensiva “clericofascista” per dirla alla Marco Pannella, assieme alle
troppe indecisioni e ritardi dell’area progressista, pone un inaccettabile
condizionamento che ritarda lo sviluppo dei diritti civili come stanno a
dimostrare i temi in discussione in questo periodo: dalla pillola del giorno
dopo, alla necessità, data dal buon senso, di rimuovere l’anacronistica e
criminale politica proibizionista sulle droghe leggere , all’esigenza di
rispondere positivamente ai diritti delle famiglie di fatto, ecc. Tutto ciò fa del nostro il paese più
arretrato d’Europa.
La disputa aperta dalla destra sui libri di testo di storia, lungi dal
ricercare legittimamente verità nascoste, pare muoversi nell’ottica di
acquisire una egemonia culturale attraverso una rivalutazione storica del
fascismo che, criminalizzando gli
avversari , potrebbe avere come obiettivo ultimo, come qualcuno ha denunciato, la messa in mora della stessa
costituzione, nata come compromesso tra
le diverse componenti socio-politiche e garante dello spirito democratico e
antifascista, cresciuto nella lotta contro la dittatura fascista e nella lotta
di liberazione contro gli occupanti nazisti.
I libri di testo per cinquant’anni
hanno glissato su tantissimi accadimenti: dalla storia della resistenza
armata e non armata, alla storia del movimento operaio, alle storie riguardanti
le minoranze etniche e religiose,….
Solo un movimento di massa come quello del 68-69 è riuscito a cambiare
l’approccio storico sviluppando una serrata critica ai libri di testo ed in
generale alla scuola, luogo di riproduzione della divisione di classe e del
sapere. In quegli anni, per la prima volta gli operai entrarono nelle scuole
uniti agli studenti nella lotta per rinnovare questo paese.
Ma, tutto ciò pare non essere stato sufficiente. Il perché ho cercato di
spiegarlo nella storia del dissenso di sinistra, nella rubrica “la sinistra
trent’anni dopo” pubblicata su “il nostro giornale”.
Da tempo Andrea Guenna, che ho conosciuto
in modo occasionale, come persona piacevole e corretta, sta conducendo una ricerca sulla vicenda
della Benedicta, ricerca che, per molti aspetti, ho trovato interessante: ho il
massimo rispetto per chi esprime pubblicamente il proprio pensiero e non mi
importa se da posizioni di destra.
Non sono di Novi, vengo da Noli in provincia di Savona, vivo qui da 1956. Le
cose che so sulle vicende accadute qui in quel periodo sono in parte ascoltate
ed in parte lette sui libri. Mi ha
interessato lo scavare e il portare alla luce storie e particolari a me
sconosciuti: la storia va detta
tutta, non la si può usare
strumentalmente per plasmare a piacere le coscienze e la formazione
dell’individuo. Peccato però che questo tentativo di ricomporre un mosaico
degli avvenimenti scada troppo spesso nella strumentalizzazione
politico-ideologica , nel tentativo di criminalizzare la componente comunista all’interno
delle forze della resistenza antifascista tentando, di riflesso, una sorta di
riabilitazione del fascismo, umanizzandone l’immagine attraverso, ad esempio,
quel richiamo bonario (che fa tanto arrabbiare
“ Cucciolo”) ai “ragazzi di Salò”.
E’ difficile occultare un dato storico che marchia in modo indelebile la
nascita del regime fascista: il movimento fascista pur facendo sfoggio di
massimalismo e populismo ha avuto il sostegno dei poteri forti, politici ed
economici, diventando strumento per la
grande vendetta contro la classe operaia e le formazioni politiche e
sindacali di classe che nel 1919,dettero vita al grande movimento
dell’occupazione delle fabbriche e dei consigli operai, ed i fascisti, per avere
aperte le vie di Roma, non esitarono a bruciare le camere del lavoro, a usare
brutale violenza contro le avanguardie operaie e popolari.
La barbarie è qualcosa che ci trasciniamo dietro dagli albori della nostra storia, nasce dalla profondità
delle nostre paure, solo la ragione e il senso umano della solidarietà tra gli
uomini può tenerla a bada. Per questo penso che chiunque condivida del tutto o in parte le
motivazioni e le idee, di coloro che hanno costruito i presupposti
politici-religiosi-ideologici-razziali-
mettendo in moto i meccanismi che agiscono sulla paura inconscia degli
individui, (come ha mostrato ampiamente Wilhelm Reich, nella sua “Psicologia di
massa del fascismo”) per preparare la base di consenso necessaria a scatenare
guerre di aggressione e ad assoggettare
i popoli , non può ergersi a giudice di
nulla.
Diventa poi pretestuoso sottolineare le atrocità degli alleati, come
fa il signor Casalgrandi (il nostro
giornale del 2 dicembre 2000) se non si legge complessivamente quel periodo
storico, partendo dalle precise responsabilità di chi, Hitler e Mussolini, ha
iniziato il percorso di odio, orrore, barbarie: guerra, campi di sterminio, milioni di morti, leggi razziali
introdotte dal fascismo nel nostro paese, che non sono una stupidaggine come irresponsabilmente qualcuno
ha detto, ma un vero crimine contro l’umanità. Uomini, donne, bambini sono
stati mandati a morire perché Ebrei,
zingari, omosessuali, comunisti. E’ sufficiente questo per una condanna totale
del fascismo!
Hiroshima e Nagasaki non furono
purtroppo solo consequenziali ma anche preludio di nuove tragedie. Oggi, in
nome della pace, si usano proiettili all’uranio impoverito, come in Iraq, in
Kossovo, in Bosnia ecc. e tutti fanno
finta di non essere stati a conoscenza delle drammatiche conseguenze che potevano
avere queste armi micidiali sulle popolazioni civili, sui militari,
sull’ambiente. E’ il trionfo dell’ipocrisia! E se dal centro sinistra si
balbetta e pare affacciarsi almeno il dubbio,
dal centro destra c’è solo un unanime coro di fedeltà alla NATO.
Diventa quindi banale parlare di pacificazione o dei morti che sono “tutti
uguali”, o di “eroi” da ambo le parti, se non c’è una consapevolezza profonda ed
una condanna convinta delle cause e delle idee che hanno elevato la morte, la
persecuzione e la distruzione, a “nuovo ordine” dell’organizzazione umana. Il
solo fatto di pensare ed esaltare l’eroismo come atto di massimo sacrificio, la
negazione della vita come sublimazione totale, da’ un’idea della visione
paranoica delle cose e della vita che accomuna
troppa gente, superando a volte le barriere ideologiche.
Perché non esaltare l’atto di eroismo di chi, conservando l’umana ragione,
riesce a stare al di sopra del principio di guerra e, mettendo a rischio la propria vita salva quella di altri, cosi
come hanno fatto i partigiani in valle Borbera, salvando la vita ai propri
nemici come ci racconterà “Cucciolo”, oppure
come hanno fatto alcuni fascisti che, inosservanti delle leggi e degli
ordini , hanno salvato degli Ebrei da morte sicura. Forse a questi casi, più
che agli atti di guerra, andrebbe dedicato tempo e studio per capire e imparare
come anche nelle condizioni più disperate , aberranti e degradanti, sia
possibile per alcuni conservare ragione e umanità.
Fin qui le mie riflessioni, ma ben più efficace è questa testimonianza lucida,
concreta e pulita di “Cucciolo”, Alessandro Ravazzano, testimone e protagonista
di tempi difficili. Una giovinezza trascorsa tra il coprifuoco ed un becero
quanto criminale autoritarismo che lo hanno indotto alla via della resistenza
armata. Scelta difficile se si tiene in considerazione che essere fascisti era
normale, si era educati ad esserlo, mentre per essere antifascisti occorreva
una grande capacità di elaborazione
critica della realtà e un grande coraggio per affrontarne le
conseguenze.
Cucciolo, non si è mai tirato indietro davanti all’agire e dalle sue azioni
emerge sempre una grande umanità. Nel suo raccontare non fa sfoggio di
particolari atti eroici e di imprese vittoriose che pur ha vissuto, ma tende a
valorizzare gli aspetti più umani, le
naturali difficoltà nel vivere quella eccezionale e drammatica situazione, da ragazzo normale non da
professionista della guerra. Inoltre appartiene a quella categoria di persone
che pur avendo dato molto rischiando la
vita non si è mai avvalso della sua storia per acquisire privilegi o
fare carriera politica.
I - Cucciolo: “L’insofferenza alle violenze ed ai soprusi si sono trasformate
in deciso antifascismo”
D) Caro “Cucciolo”, tu puoi parlare con
cognizione di causa, delle vicende tra fascismo e resistenza. Su questa storia si è riacceso, forse
positivamente, un dibattito. In quel
periodo eri solo un ragazzo ed hai deciso di fare qualcosa per fare cessare
quella situazione allucinante, ma non
sei andato con quelli di Salò, sei salito tra i monti della Valle Borbera, con
i partigiani, come mai questa scelta, cosa ti ha spinto? Avevi già una precisa
idea politica?
R) No, assolutamente,
nella mia famiglia c’era solo un generico antifascismo. Mio padre non era un politico, non era un comunista, ma non sopportava gli atti di
prepotenza e di violenza. A volte rincasava e raccontava a mia madre che gli
squadristi fascisti avevano picchiato quella o quell’altra persona solo perché
non aveva salutato e tolto il capello al loro passaggio, io e i miei fratelli
ascoltavamo quei discorsi e certo non potevamo essere d’accordo con questi
comportamenti. Mio padre non nascondeva
quello che pensava e soleva dire ad alcuni conoscenti di fede fascista, che il
fascismo si stava scavando la fossa da solo, che sarebbero intervenuti gli
Americani ecc. Mia madre a rimproverarlo perché parlava troppo, perché fare
certi discorsi con certe persone era pericoloso. Ma devo dire che quei
conoscenti si comportarono bene, non fecero mai nessuna denuncia.
Io invece avevo problemi con la scuola, perché era obbligatorio fare la tessera
dei Balilla e costava dieci lire e per noi erano un problema, così mia madre doveva fare la “cresta” alla
spesa per racimolare poche lira alla volta per pagare la tessera e intanto
passava qualche mese, gli insegnanti
pensavano che fosse a causa delle nostre idee contro il fascismo ed ero tenuto
costantemente sotto tiro. Credo proprio che le maestre, gli insegnanti, siano
stati l’ossatura del fascismo, erano in gran parte ossequiosi e ligi alle
direttive del regime. Ma prima ancora avevo avuto una esperienza traumatica
quando a tredici anni dopo la scuola frequentavo anche le professionali, l’arte
e mestieri, una scuola fatta dal regime fascista, ma era una cosa buona dove si
poteva imparare un mestiere: elettricista, falegname, meccanico.
Questo istituto era nei pressi della Bioindustria, tra l’attuale via Gramsci e
via Marconi. Ma c’era un problema, al
giovedì facevano educazione fascista! E
io un giovedì non sono andato, ma non per motivi politici, semplicemente perché
eravamo ragazzi e a volte si faceva “puccia” anche a scuola, era normale lo
fanno anche adesso. Quella scuola di arte e mestieri era diretta da un
squadrista della prima ora, quelli del ventidue, detti della marcia su Roma,
questi si distinguevano per il fregio rosso che portavano davanti sulla
giacca a differenza di chi lo aveva
nero o dorato. Questo direttore si chiamava Merendi, era un tecnico delle
ferrovie, mi fece chiamare e portare in direzione e senza dirmi ne uno ne due,
mi mollò un ceffone a mano chiusa, talmente potente che mi sbatté per terra,
aveva due mani così…, poi mi gridò sovversivo! Rimasi una settimana con un
orecchio gonfio e mia madre che voleva denunciarlo ai carabinieri, ma poi non
se ne fece nulla, ti puoi immaginare cosa avrebbero potuto fare i carabinieri….
D) E’ in
conseguenza di questi episodi che decidesti di prendere la via dei monti?
R) Capisco che questi
fatti possono sembrare piccole cose ma
facevano crescere il fastidio, l’ostilità, l’insofferenza, che a poco a
poco si trasformava in deciso antifascismo. Poi in quel periodo bastava poco
per essere marchiati come comunisti. Un po’ come adesso che c’è chi vede
comunisti dappertutto! E c’è chi da
destra minaccia di fare piazza pulita,
hai sentito no!( il riferimento è ad una dichiarazione di Previti, fatta a
dicembre 2000.n.r. ) Ma la scelta dei
monti avviene anche per una serie di coincidenze negative, diciamo poco
simpatiche e pericolose, anche se ora ci possiamo ridere sopra.
Una sera, era l’inverno del 1944, precisamente il mese di marzo, mi trovavo a
casa di Repettino, Agostino Repetto, ci si vedeva per fare le caldarroste, poi
col coprifuoco non ho potuto uscire e sono rimasto lì, i tedeschi andavano e venivano, erano un po’
dappertutto quando una pattuglia si ferma e va
a mangiare dal Rico, l’albergo Amedeo, in vicolo Cravenna, dove in fondo
c’era una porticina che andava a casa di Repettino, questi lasciano la macchina
nel cortile dell’albergo con un mitra dentro, probabilmente si sentivano
tranquilli e non volevano entrare nel locale con un mitra. Fatto sta che il
mitra sparisce, io devo sapere ancora
oggi chi l’ha preso!
I tedeschi hanno iniziato a fare
perquisizioni , a fare scendere in strada gli abitanti della zona, verso le 22
, 22,30, vennero poi a bussare a casa di Repetto, scese sua madre ad aprire la
porta , sentito che c’erano i tedeschi , Francesco che era del 1923, si nascose
gettandosi giù nel pozzo secco. Io,
Pierino e Agostino , scendemmo e con la loro madre i tedeschi ci fecero
uscire in strada dove c’era già una
ventina di persone. Tedeschi e carabinieri… perché c’erano ancora dei
carabinieri che fino a quel momento avevano aderito alla repubblica di Salò.
Alla fine del trambusto tra tutti
quelli che c’erano presero noi tre.
D) Ma
allora è stata una trappola, qualcuno ha voluto incastrarvi ? Ti avevano visto
quando andavi a casa di Repettino? Quanti anni avevi al momento di
quell’arresto?
R) Certo, qualcuno mi avrà visto passare, so che li
abitavano dei fascisti, li conoscevo, ma non credo siano stati loro, penso che
abbiano preso noi perché eravamo i più giovani, lì in strada c’erano tutte
donne e anziani, penso sia per questo. Ci presero e ci portarono nella caserma dei
carabinieri, quel vecchio palazzo che ora hanno ristrutturato ,con la
cancellata ,in via Collegio, ora via Gramsci, lo ricorderai è stata la caserma
dei carabinieri fino a qualche decennio fa, ora ci abiterà qualche famiglia
“in”, studi di medici ecc. Ma per me è sempre il posto dove ho passato i primi
giorni di galera della mia vita, era marzo e avevo quindici anni , ne avrei
compiuti sedici a luglio del 1944.
D)
Insomma non avevi fatto nulla ma nelle prigioni di quel palazzo si è compiuta
la svolta della tua vita.
R) Sì , lì è accaduto
qualcosa che non avrei potuto immaginare: in quel periodo i tedeschi volevano
portare i carabinieri in Germania, per addestramento, come sai dopo l’otto
settembre del 43, le forze armate Italiane erano nel marasma più assoluto e
anche i carabinieri non sapevano che pesci pigliare, ma i più non avevano
nessuna voglia di andare in Germania, avevano capito che rischiavano grosso.
Una notte, alle due arriva il maresciallo Astori, che comandava la caserma dove
eravamo prigionieri , viene ad aprirci e ci dice: ragazzi io scappo! I tedeschi
ci vogliono portare in Germania, noi non siamo d’accordo, se volete faccio
scappare anche voi ma sappiate che se fuggite passate per colpevoli anche se
non lo siete. Un veloce scambio di idee
e decidemmo per la fuga, se fossimo rimasti c’era il rischio di
diventare vittime della rabbia dei
fascisti dopo la scoperta che nella
caserma non c’erano più carabinieri.
Il maresciallo ci dette una pistola Spagnola, una 7,75, la presi io perché ero
deciso ad andare in valle Borbera.
D) Avevi
una idea precisa di dove andare, avevate contatti con le organizzazioni
antifasciste e partigiane?
R) No, dei partigiani
se ne sentiva solo parlare, si sapeva in modo generico dell’esistenza di civili
armati qua e là per le montagne, avevo quindi una vaga idea di questa
possibilità. In valle Borbera, sarei andato a Sorli, dove c’erano i miei fratelli che erano renitenti alla leva e non
volevano aderire alla repubblica di Salò, uno era del 23 e l’altro del 24,
mentre Agostino e Pierino , preferirono nascondersi in città.
Dopo un po’ di mesi precisamente a maggio, si aggrega al nostro gruppo Bricola,
che era scampato all’eccidio della Benedicta. Quando i tedeschi e i fascisti,
perché mi hanno detto che c’erano anche gli Italiani i fascisti a sparare, lui e per fortuna anche altri, è
riuscito a gettarsi nei boschi e a scappare.
Con Briccola, c’erano anche due carabinieri scappati anche loro per non andare
in Germania, uno si chiamava Culicetto Franco, un siciliano e l’altro non
ricordo, si fermarono un po’ a Sorli,
poi molti di noi andarono con lui verso
la terza zona, verso il Tobbio, perché Bricola conosceva meglio quelle zone, ci
fermammo là un mese e mezzo, eravamo una ventina in quella cascina, c’era anche
il povero Piras, che poi è rimasto
ucciso.
Ogni giorno, ci davamo il cambio, due di noi giravano per le campagne dai
contadini a cercare qualcosa da mangiare, chi ci dava una pagnotta chi una
formaggetta…. Poi un giorno che toccava a me e a “Saetta” ci siamo trovati nel
bel mezzo di un rastrellamento. Era successo che dieci giorni prima un gruppo
di partigiani avevano ucciso il podestà di San Cristoforo, erano andati per
interrogarlo ma lui probabilmente si era spaventato e ha cominciato a sparare, ne
è venuto fuori un conflitto a fuoco e il podestà è rimasto ucciso. Insomma che
noi due ci siamo trovati isolati, il nostro gruppo ha dovuto scappare e noi a nostra volta siamo scappati
a Novi.
D) Ma
come mai voi non eravate informati di quello che era successo a San Cristoforo,
non c’era comunicazione tra i vari gruppi?
R) In quel momento
era tutto una gran confusione, non c’era una sufficiente organizzazione, molti gruppi erano
spontanei, improvvisati come il nostro, quello che ha fatto l’azione a San
Cristoforo era probabilmente una formazione più organizzata ma che non sapeva
neppure della nostra esistenza.
D) Quindi
tu e “Saetta”, siete scappati a Novi, cosa avete fatto?
A Novi ci siamo nascosti
sotto le colonie solari, dietro il castello, che allora erano di legno, e noi
eravamo nascosti sotto queste costruzioni e sai chi ci veniva a portare da
mangiare? Tu lo hai conosciuto, Bruno Molinari! Un comunista impegnato da tempo
nella lotta antifascista .Molinari è stato un grande antifascista! Per dodici giorni ha continuato a portarmi
da mangiare, verso sera passava e depositava un pacchetto con dei viveri che
poi io verso la mezzanotte andavo a ritirare, perché dopo un paio di giorni ero
rimasto da solo, “Saetta” si era stufato di stare lì e se n’era andato, io
rimasi ancora fino a quando Bruno
Molinari non mi mise in contatto con il gruppo “Veniero.” Era fine giugno primi di luglio, mi sono
quindi aggregato al gruppo “Veniero” e sono andato su in valle Borbera, lì
abbiamo trovato i primi partigiani organizzati, c’era “Kikirikì” ex tenente dei
bersaglieri, lui era già stato in Russia, un ragazzo di 23, 24 anni e “Marco” Anselmi Franco, il comandante, ex
tenente dell’aviazione, il
distaccamento si trovava a Montebore, da lì facevamo la guardia a Riva Rossa.
“Marco” ci fece distribuire delle armi e io scelsi di fermarmi , mentre il resto del gruppo di “Veniero” dopo un po’
andò via, tornando nella zona tra il Novese e l’Ovadese
II - Cucciolo: “C’è chi vuole girare la
frittata, confondere le vittime con i carnefici, ma io non ci sto”
D)
Finalmente eri arrivato tra partigiani organizzati con gente che aveva una
esperienza dal punto di vista militare. Però sarei curioso di sapere se dal tuo incontro con Bricola e poi con i
partigiani della valle Borbera, sei venuto a conoscenza di fatti e particolari
inerenti la triste vicenda della Benedicta? Avrai visto che Andrea Guenna ,sta
facendo un lavoro di ricerca su quei fatti e mi pare si lasci intendere un
possibile tradimento o delazione dall’interno.
R) Purtroppo non so nulla sulla
dinamica di quegli avvenimenti , ricordo che quando la cascina della Benedicta,
fu attaccata e incendiata io ero a
Sorli, da dove eravamo si è potuto assistere a quello che pensavamo fosse solo
un incendio , poi con Bricola, nome di battaglia “Dria” e con altri se ne è parlato , sono stati
colti di sorpresa e chi ha potuto è fuggito, ma troppi ragazzi sono stati
massacrati. Il più anziano ed esperto che faceva da comandante o forse più da
papà, era un maggiore dell’esercito, mi pare si chiamasse Odino.
La loro posizione pare fosse incerta, la maggioranza di loro erano tutti
giovani renitenti alla leva, erano indecisi se organizzarsi per combattere
oppure no, pare che avessero rifiutato delle armi offerte loro dalla brigata
partigiana “Liguria”, ogni tanto gli Inglesi facevano dei lanci, ma loro pensavano che se fossero stati presi
senza armi avrebbero rischiato di meno e purtroppo non è stato così. Ma queste
sono cose che ho sentito e io preferisco parlare di quello che so e che ho
visto con i miei occhi. Oggi tutti fanno un gran parlare, è facile farlo ora
che si sta perdendo la memoria di come stavano le cose, c’è chi vuole girare la
frittata,
confondere le vittime con i carnefici, ma io non ci sto.
Poi per favore non parliamo di delatori, se c’erano degli
specialisti in delazione erano proprio i fascisti. Parliamoci chiaro i tedeschi
non sapevano neppure dell’esistenza di quella cascina della Benedicta, lo
potevano sapere solo da gente del posto, i fascisti di quelle zone. Molti di
quei ragazzi sarebbero presto diventati dei partigiani era inevitabile, per
questo qualcuno ha pensato che era meglio stroncare sul nascere questo
pericolo.
Gli squadristi mostravano spesso una
crudeltà indicibile, pensa che tra di noi partigiani ci si raccomandava , in
caso di resa, di arrenderci ai tedeschi, non perché fossero più teneri , ma con
loro almeno c’era qualche possibilità di sopravvivere , magari ti portavano in
Germania o c’era la possibilità di uno scambio di prigionieri ...Perché con
quei “ragazzi di Salò” era facile
essere trucidati in barba ad ogni regola e convenzione.
D) Hai
qualche episodio a conferma di quello che stai denunciando?
R) Sicuro! Non ho mai
parlato di queste cose perché pensavo non fosse più necessario, ma oggi visto
che qui tutti parlano a vanvera è giusto rimarcare i fatti come sono avvenuti.
Il 24 di agosto del ‘44, ci fu in valle Borbera un grande rastrellamento,
combattemmo per tre giorni consecutivi, era la famosa battaglia di Pertuso e
per i primi due giorni e mezzo lo scontro fu sostenuto da noi, della “banda” di “Marco” e “Kikirikì”,
una sessantina di uomini in tutto, prima che arrivassero gli uomini di Scrivia,
alla fine facemmo parecchi prigionieri, erano
bersaglieri, del terzo bersaglieri volontari, tutti allievi ufficiali
della scuola di Novi Ligure, io ne ricordo 34, quelli presi proprio lì nel
corso della battaglia, poi il numero è via via aumentato fino a raggiungere i
50 o 60, ce li siamo portati dietro
per un bel po’, poi a Capanne di Cosola li abbiamo mollati tutti , erano tutti
ragazzi sui vent’anni, cosa fare? Non potevamo mica fucilarli !
Gli abbiamo fatto un po’ di predica, gli abbiamo detto di non presentarsi mai
più con quella divisa, gli abbiamo dato anche dei soldi, trecento lire a testa
come aiuto per tornare dalle loro famiglie e poi li lasciammo andare, e
non è l’unico caso in cui i partigiani hanno curato e poi liberato dei
prigionieri, poi capitava che qualcuno scegliesse di rimanere con noi, uno di
questi che ricordo si era dato il nome di “Scampato”, ma dopo pochi mesi se ne
andò, perché non reggeva a quella vita.
Quella è stata una azione dei partigiani “cattivi”, mentre i bravi “ragazzi di
Salò” non risulta abbiano mai lasciato liberi dei partigiani. Questi” ragazzi
di Salò” come il signor Guenna , continua a chiamarli in modo bonario e
affettuoso, dopo che noi gli abbiamo liberato i loro bersaglieri, hanno preso
il nostro comandante ; Arzani Virginio, “Kikirikì” ferito, poi il polacco
“Cengio”, “Silurino” e “Aliotta”, tutti feriti e li hanno trucidati a colpi di
mitraglia e bombe a mano.
D) E’ una cosa veramente atroce, come è andata?
R) Erano stati presi dai tedeschi
ad Artana, poi a Zerba sono stati consegnati alle brigate nere di
Sampierdarena, comandate da un capitano maggiore, certo Gibelli, avrebbero
dovuto essere curati e interrogati, ma i “ragazzi di Salò”, li hanno sbattuti
in un prato fuori della frazione di Zerba e massacrati a colpi di mitra e bombe
a mano. Il racconto dell’accaduto fatto da “Olga” l’infermiera partigiana fatta
prigioniera con i feriti, assieme a “Giulia” e a “Repubblica” (loro sono stati
portati a Genova) è qualcosa di
veramente tremendo, un episodio che la dice lunga sul con chi avevamo a che
fare. “Olga” “Giulia” e “Repubblica”, furono poi liberati con uno scambio di
prigionieri.
Da notare che nella battaglia di Pertuso i fascisti, i “ragazzi di Salò” erano
parecchie centinaia, i tedeschi saranno stati si e no una cinquantina e
noi eravamo sessanta, diventati quasi
cento con gli uomini di “Scrivia”, e qualche altro piccolo gruppo. Voglio dire che erano tanti i fascisti armati , ma
dopo la liberazione quando sono tornato a Novi, il 1° maggio, tutti avevano la fascetta tricolore, erano tutti
partigiani!
D) Può
darsi che molti fossero stati impegnati in attività clandestina in un lavoro
più politico?
R) Si è vero tanti
antifascisti hanno operato nelle SAP, Squadre di Azione Partigiana, che
svolgevano un lavoro molto importante
di informazione, tenevano collegamenti
organizzavano coperture e cose di questo tipo, come ha fatto nel mio
caso Bruno Molinari, ma le SAP non
vanno confuse con i GAP, (Gruppi di Azione Patriottica) che erano gruppi
operativi armati, di notevole capacità, per lo più era tutta gente che aveva subito, che aveva pagato a duro prezzo
il loro antifascismo con anni di galera.
Un gappista era stato Andrea Scano, (Elio) che anche tu hai conosciuto, ha lavorato nel PCI di Novi, alla fine degli anni 60 e i primi
70. Lui veniva dall’esperienza della guerra di Spagna e poi dalle carceri
Francesi e pare che i GAP, fossero proprio di scuola Francese, perché lì la
resistenza ha operato più in città e in pianura che in montagna. A Novi non c’erano i Gap, questi operavano
più che altro nelle grandi città. Comunque dopo la liberazione i partigiani
nascevano come i funghi.
Ma tornando alla battaglia di Pertuso
dopo che abbiamo respinto l’attacco, “Scrivia” e “Marco” dettero l’ordine di disperderci in piccoli gruppi di cinque o
sei perché le truppe nemiche si stavano insinuando a cuneo per stanarci,
venivano dalla valle Trebbia, dalla
valle Staffora , dove cera “l’Americano”, poi dalla valli Curone e Borbera .
Nella fuga mi trovai tra gli ultimi, c’erano con me l’inglese “Fochen” e
“Dottore”, poi “Sten”, eravamo sei o sette,
noi abbiamo scelto la zona della valle Curone, su verso il Giarolo, per poi
andare verso Montacuto, ma nelle vicinanze del paese incontriamo una donna, una
contadina del posto che ci avverte della presenza dei tedeschi e dei fascisti,
ci dice di non andare al paese. Ci dice: ”aspettate qui!” Poi va alla sua
cascina e torna con quattro magnifici salami e tre micche di pane, nonostante
tutto era una festa, non mangiavamo da giorni, l’abbiamo ringraziata e abbiamo
continuato la corsa in altra direzione
verso l’Ebro.
Siamo rimasti nascosti per diversi giorni, non si sapeva dove andare ,sono
stati quindici giorni di marasma. Ci trovammo poi come aveva ordinato “Marco” in una frazione di cui non ricordo
il nome tra il Giarolo e Monteacuto, per riorganizzarci. Dei nostri feriti alla
battaglia di Pertuso, si sarebbero occupati il gruppo diciamo di soccorso dove
c’erano “Repubblica” (un grande amico di “Chicchirichi”) “Olga” e “Giulia”, le
coraggiosissime infermiere partigiane. Di come è andata a finire ti ho già raccontato. E vorrei ricordare un’altra
donna molto coraggiosa, impegnata
nell’ospedale partigiano di Rocchetta , “Lola,” Aurora Pertica, diventata poi
moglie di Lazagna (Carlo).
D) Dopo
la battaglia di Pertuso ci fù però un salto qualitativo dell’organizzazione
partigiana? E’ vero come
qualcuno insinua che i comunisti
cercavano di controllare la guerriglia partigiana magari imponendo dei
comandanti comunisti o vicino ai comunisti,
nella tua realtà esisteva questo problema?
R) Il numero dei partigiani
aumentò notevolmente in tutte le zone, per quanto riguardava noi, il terzo
giorno della battaglia di Pertuso si aggregò
“Scrivia”, col suo distaccamento “Peter” di trentotto uomini e altri
gruppi presenti in valle Borbera. Ci furono diverse fasi di riorganizzazione
delle formazioni partigiane, ma la più significativa è quella decisa dal
comando di zona nell’inverno 44-45.
Prima c’era tutta una divisione “Cichero,” e il comandante era Bisagno,
( una figura quasi leggendaria tra i partigiani, estremamente geloso della
autonomia del movimento partigiano)
poi è stata divisa in Cichero e Pinan-Cichero. Noi nella valle Curone, valle Borbera, valle Sisola fino a Cosola, eravamo “Pinan-Cichero. Invece di là verso Zerbe che poi si va giù
verso Torriglia e la valle Trebbia, c’era la divisione “Cichero.” Mentre dal Brallo, in valle Staffora, c’era la
divisione “Aliotta,” comandata “dall’Americano”, un tipo in gamba, l’area
d’azione comprendeva anche Voghera e
Pavia.
Per quanto riguarda i comunisti e i comandanti non credo che ci fosse una
stretta relazione, anche perché poi
contava la capacità sul campo. Gli appoggi politici avranno avuto il loro peso
ma si doveva dimostrare di essere all’altezza. Nessuno può negare che i
comunisti fossero stati una nervatura fondamentale per la crescita e
l’organizzazione del movimento
partigiano e antifascista e certamente c’erano dei comandanti che
avevano già una storia di perseguitati politici perché comunisti come “Moro”,
che è stato commissario della Pinan-Cichero, lo stesso GB Lazagna “Carlo” aveva
già fatto parte della cellula universitaria del P.C.I. a Genova. Ma altrettanti comandanti di prestigio
come “Bisagno” e ” Scrivia” erano
cattolici, “Marco” era un liberale,
qualcuno diceva Monarchico-liberale.
Anche per quello che riguarda Arzani Virginio,
“Chicchirichi” che era stato mio comandante e che mi sono portato via
ferito, una brutta ferita al ginocchio,(altro che ferito al piede o alla spalla
come qualcuno racconta per sentito
dire) passato da parte a parte con un proiettile prima che fosse fatto
prigioniero dai tedeschi e poi ucciso dai fascisti, siamo stati insieme fino all’ultimo ma non saprei dire se fosse
stato comunista, socialista, o democristiano, in realtà non c’era mai tempo per
fare discussioni, quello che univa tutti era l’antifascismo, il bisogno di
uscire a testa alta da quella situazione che il fascismo aveva creato.
Come sai le forze politiche antifasciste erano tutte presenti nei CLN e non
credo avessero interesse a creare divisioni all’interno del movimento
partigiano che si era in gran parte costituito autonomamente con dei capi
riconosciuti perché avevano organizzato
i primi gruppi armati, le cosiddette “bande,” poi è chiaro man mano che il movimento
cresceva era necessario unificare i gruppi e accentrare i comandi .Se qualche
forzatura politica c’è stata è avvenuta quando era chiaro che la liberazione si
stava compiendo e forse in quel momento un po’ tutti hanno cercato di tirare la
coperta dalla propria parte.
Ma nel momento della lotta l’essenziale era l’unità! L’unico fatto di rilevanza politica era stata la decisione non so
se dei comandi di zona o del CLN di Genova, di costituire la figura dei
commissari. Questi commissari, avrebbero dovuto organizzare dei momenti di
discussione di approfondimento politico, ma in realtà io non ricordo che si sia
mai fatto, c’era sempre da stare all’erta, fare azioni, e trovare da mangiare,
eravamo tutti giovanissimi con alle spalle anni di oscurantismo politico, i più
non sapevano neppure cosa fossero i comunisti o i democristiani. Solo quei
pochi che avevano già trenta o trentacinque anni erano più politicizzati. Certo
è che l’esperienza di vita e di lotta, dividere le difficoltà, l’aiuto
reciproco, produceva un modo d’essere e
di pensare più di sinistra, questo è quello che posso dire sul piano politico.
Ricordo invece che c’era sempre da arrampicarsi in alto e di corsa come quella volta che era giunta notizia di
un rastrellamento, i bersaglieri cercavano di prenderci alle spalle passando
da Fontana, allora ci danno l’ordine di andare sul cucuzzolo a Riva Rossa, per
controllare la situazione, partiamo io e altri sette o otto, andiamo su in
ordine sparso, tutto di corsa da sfiancarci, arrivato quasi sopra una voce
dietro un cespuglio mi intima l’alt: “chi va là, parola d’ordine”, io mi
blocco, pancia a terra e penso: ma noi
non abbiamo parole d’ordine. Che siano già qua! Faccio un tentativo grido:
”Marco!” Il nome del nostro comandante ,per vedere che effetto faceva. Da
dietro quel cespuglio una voce risponde: “Marco” o “San Marco”! Io rimango
allibito non avrei mai pensato alla San Marco, ma in effetti esisteva.
Mentre cercavo di capire cosa stesse succedendo la voce chiede ancora: “parola
d’ordine!” Io ripeto: “Marco!” La voce
da dietro il cespuglio dice: “avanti!!” A quel punto mi alzo piano e vado
avanti col mio moschettino con la palla in canna, dall’altra parte una figura
armata mi viene incontro, appena riusciamo a vederci ci riconosciamo ed
esplodo: “Cristo! Sei tu!” E lui: “Sei
tu!” Scaricando la tensione gridai: belin! Ma Brunetto! Accidenti! A momenti me
la fai fare addosso! Ma cosa diavolo ci fate qua! Non avete visto i
bersaglieri!….. Loro si trovavano lì per caso mandati su da “Gallo” o da
“Raffica”. Erano una diecina che salivano per aggregarsi a noi. Conoscevo di vista Brunetto, era di Novi. Questa
storia per dire come in realtà stavano le cose, con tutti questi limiti se
vogliamo, ma anche con tanta voglia di darci da fare perché quella situazione finisse, e anche tanto
coraggio, perché ora giustamente ci
siamo fatti una bella risata, ma li era strizza, ci voleva anche del coraggio.
III - Cucciolo: “La mia fortuna è di non essere finito nelle mani dei “ragazzi”
di Salò
D) Hai
incontrato altri Novesi su in montagna?
R) Di Novi
come ti ho raccontato, ho
trovato Carlo Bricola, nome di battaglia “Dria,” (che era stato per me un punto
di riferimento e nella prima metà del giugno 44, io, “Mameli”, e due
carabinieri, lo abbiamo seguito nella terza zona). Brunetto Serra “Boia”, poi ” Morgan,” Franco Pollarolo “Franco,” Carlo Manildo “Dinamite,” Tagliafico, ”Ramon”, che era con me alla
battaglia di Pertuso e assieme abbiamo portato via “Chicchirichi ” ferito. Ho
raccolto e messo a tracolla la Mascin
Pistol, tedesca ( Machine Pistol,) di
“Chicchirichi”, poi con “Ramon” lo abbiamo tirato su e lo abbiamo portato a
villa Gazzani, sopra a Pertuso, fuori dalla zona degli scontri, in frazione Crogni, dove c’erano
già altri feriti. Nella prima puntata
ho accennato a “Piras,” ma dobbiamo specificare che “Piras” era il nome di
battaglia di Orlando Armando, anche lui abitava a Novi.
D) C’è
qualche episodio a cui sei
particolarmente legato con la memoria?
Sono tanti i ricordi che mi vengono alla mente specialmente ora
che stiamo parlando di questa storia e
mi sembrano così vicine le situazioni e le persone con cui ho vissuto
quella avventura ………ad esempio “Raffica” che forse in certe situazioni era un po’ avventato, lo ricordo come un combattente
eccezionale….Ero arrivato a Pertuso poco dopo l’inizio del primo scontro,
venivo da Montebore, i compagni mi hanno subito raccontato che “Raffica” era
nel posto di blocco che avevamo costruito con dei grossi massi, dopo il
curvone, prima del ponte, quando arriva un Leoncino OM, carico di bersaglieri ,
“Raffica” gli si fa incontro e chiede: ”dove andate ?” Loro stupiti rispondono: “a fare un posto di
blocco a Rocchetta Ligure!” Allora
“Raffica” risponde: “qui ci siamo già noi, andatevene!”
E inizia sparare. Lo hanno visto che saltava da un cespuglio all’altro sparando
a più non posso, sembrava che la battaglia di Pertuso dovesse combatterla da
solo. Quello era stato l’assaggio, poi nel pomeriggio bersaglieri e
tedeschi arrivarono in forze. Era
l’inizio della battaglia di Pertuso ,ed
erano già stati fatti i primi
prigionieri.
Questo episodio mi riporta al ricordo
della mattina del terzo giorno della
battaglia di Pertuso, quando è stato colpito “Chicchirichi,” a cui ero molto
affezionato, una forte personalità e, il suo coraggio non era secondo a
nessuno. In un momento di pausa durante
la battaglia, dopo avere respinto alcuni tentativi di sfondamento e la zona
verso la strada e verso Fontana era sotto controllo, in una quindicina eravamo in quello che era il nostro campo base, la vecchia fornace di Pertuso,(
dove ora c’è la stele, ma il vero monumento è quella ciminiera ) ci stavamo
rifocillando alla bella meglio, quando arriva di corsa “Biancaneve”, che grida
i fascisti hanno sfondato a Lemi , Stanno arrivando! Vedo “Chicchirichi”
alzarsi di scatto e a gridare: forza ragazzi, avanti dobbiamo fermare i
fascisti! Tutti in piedi ma lui era già avanti trenta quaranta metri, il primo
colpo che si sentì nell’aria lo colpì in pieno al ginocchio, lui stramazzò a
terra e su di noi calò il gelo, per un momento
ci siamo sentiti persi, non era possibile vedere “Chicchirichi” a terra e la sua rabbia per
quella ferita che lo immobilizzava. Mi sembra di sentirlo quando gridò ai
fascisti che si preparavano ad uccidere lui e i suoi compagni: "fate
presto vigliacchi!”
Mi vengono alla mente tanti ricordi che ci sarebbe da scrivere un libro, vorrei ad esempio ricordare il dottor
Trucco, anche se la sua figura di antifascista è nota per essere stato membro
del CLN di Novi. Io lo ricordo con affetto, perché mi ha ospitato e curato una
ferita al braccio che stava facendo infezione. La ferita è stata causata da un
colpo di pistola partito
accidentalmente al partigiano “Vento”.
Era il settembre del 44, scesi dalla Valle Borbera e arrivato a Novi presi contatto con Inverardi “Franchein”
nome di battaglia “Acuto,” che a sua volta contattò il dottor Trucco, che mi
nascose e mi curò alla Grimalda. Rimasi da lui una settimana.
Quel giorno mentre andavo alla Grimalda , prendendo la salita della Maina a porta Genova, poi percorrendo la strada
delle ville fino in fondo dove c’è la cappelletta e poi la discesa che va
alla vecchia strada per Tassarolo, proprio a metà della discesa, quindi senza
possibilità di fuga, incontro i
“mongoli” con dei tedeschi, francamente non me l’aspettavo è stata una brutta
sorpresa, ho temuto il peggio. Come era mia abitudine tenevo una pistola dietro
la schiena, anche se in quel caso non sarebbe servita a molto. Passammo fianco
a fianco, erano una quarantina, mi guardarono, ma la mia faccia da ragazzo
senza barba per fortuna non li insospettì, così passai andando via. Se ti
prendevano con un’arma addosso ti facevano fuori subito!
D) Avevi accennato a GB. Lazagna “Carlo”, la
vostra amicizia dura da tempo, quando vi siete incontrati?
R) Alla battaglia di
Pertuso, in agosto c’era anche “Carlo”, era arrivato assieme a “Scrivia”, con
il distaccamento “Peter” eravamo lì tutti e due ma ancora non ci si conosceva.
Poi dopo la riorganizzazione quando “Scrivia”
è stato fatto comandante, lui “Carlo” è stato nominato , vice comandante
della Pinan-Cichero, io ero il più giovane e si era affezionato, tanto che mi
cercava spesso per andare in azione. E’ stato un buon combattente e buon
comandante. Non era il tipo che si rintanava al comando, per questo ho sempre
pensato a lui un po’ come al braccio e la mente del nostro comando, aveva una visione generale della
situazione come deve avere un comandante, ma andava volentieri in azione e io
ne ero spesso coinvolto.
Devo anche dire che “Carlo” era di quelli che in azione non mollavano
facilmente l’osso, anche quando la situazione era estremamente difficile
tentava il tutto per tutto. A differenza di chi il partigiano lo faceva per
forza di cose, “Carlo” lo faceva con passione, se si può usare questa parola,
ed è forse questo aspetto, questo spirito, che ci univa di più. Dopo la liberazione ha scritto uno dei libri più belli sulla resistenza:” Ponte
Rotto.”
D) A proposito di “Ponte Rotto” come è andata che lo avete fatto saltare?
R) Quello era il famoso ponte di
Pertuso, è stato Scrivia, a dare
l’ordine di farlo saltare. Dopo la
battaglia di Pertuso con il continuo pericolo di rastrellamenti e
incursioni, si è deciso che la strada delle strette che poteva essere percorsa
da mezzi pesanti come i carri armati andava
interrotta, per garantire una maggiore sicurezza della zona
liberata. Così nell’autunno inoltrato
del 44, la squadra di esperti in
esplosivi, sotto il comando di “Mina” ( Giovanni Volante, un ex Maresciallo che
aveva prestato servizio nel Genio a Novi Ligure.) eseguirono l’ordine e al
posto del ponte rimase una profondo dirupo
che si poteva superare solo a piedi. Credimi, “Scrivia” aveva veramente
della stoffa!
D) Non ho
ancora chiaro dove si trovi il ponte che avete fatto saltare ?
R) Il ponte è quello
che trovi andando a Pertuso prima della lapide dei partigiani. Tra l’altro una
notte che ero di turno alla guardia del ponte rotto, è successo che il
partigiano che faceva la guardia prima di me è stato ucciso da un gruppo di “
mongoli” che avevano il loro quartier generale a Borghetto Borbera . Il partigiano era rivolto verso il ponte
rotto e quelli sono riusciti a prenderlo alle spalle nascosti dietro i muri
parapetto sul ciglio della strada e favoriti dal rumore dello scorrere
tumultuoso del Borbera. Abbiamo sentito i colpi, arriviamo sul posto e troviamo
il partigiano a terra, setacciammo tutt’intorno ma non c’era più nessuno,
trovammo poi i bossoli e da lì capimmo quello che era successo.
Mentre alcuni partigiani portavano via il corpo del compagno caduto, il
caposquadra tira fuori dalla tasca l’ordine di guardia chiede: “a chi tocca
adesso il turno di guardia ?” “A me!”
risposi. Erano le due di notte, tirava un vento gelido che fischiava lungo le
gole e faceva accapponare la pelle, con
quello che era appena successo poi! Mi
sono detto: “A me non mi beccate alle spalle”, e mi infilai in una insenatura
con lo Sten, spianato e due occhi così.
D) Andrea Guenna, scrive di azioni di vendetta che sarebbero avvenute anche dopo il 25 aprile
e io a questo proposito mi sono ricordato di un racconto di mia madre che
parlava di giovani che conosceva, nascosti
perché non volevano andare in guerra, ma un bel giorno un amico della
famiglia di uno dei ragazzi, un fascista, ”persona per bene” scoprì il
nascondiglio o aveva avuto confidenze in proposito, tant’è che li fece
prendere, forse egli era convinto che fosse giusto andassero a morire per lui e
per la patria, non immaginava che la loro giovane vita sarebbe finita subito, fucilati
dalle camice nere. Così, un giorno un gruppo di partigiani scese dalle montagne
dietro Noli, presero il “signore per bene” e lo giustiziarono. Forse oggi
qualcuno ricorderà che i partigiani lo
uccisero, chiamandolo spia, e qualcuno avrà continuato a pensare che era “una
persona così per bene”! Quanti di questi casi saranno accaduti? Quante di
queste” persone per bene” saranno state giustiziate e per altri
assassinate? Parliamo di cose
tremende, che però non sono nate per caso.
R) Guarda, parliamoci chiaro, i
fascisti ne hanno fatte di cotte e di crude, poi la guerra e la guerra civile,
queste cose producono odio, producono mostri , non si può fare finta di nulla e
andare poi a spulciare qua e là per vedere se anche gli altri hanno commesso
delle brutte azioni, certamente ce ne saranno state, qualcuno avrà anche
approfittato della confusione per vendette personali , per torti o violenze
subite, chi lo sa! Mentre ci sono state delle vere e proprie spie giustiziate, anche proprio in quegli ultimi
giorni, ma questi a loro volta avevano come hai detto tu fatto prendere della
gente fatta mandare in galera o nei campi di concentramento, uccisi!
Se pensi che anche qui nelle nostre valli, quando fascisti ,tedeschi e
“mongoli,” (la gente li chiamava così perché erano tutti di origine asiatica,
ex prigionieri dei tedeschi e poi
“volontari”) riuscivano a
forzare la resistenza dei partigiani ed entravano nei paesi si abbandonavano ad
imprese da briganti, terrorizzavano la gente, la derubavano ed in particolare i
mongoli stupravano donne sposate e ragazze.
Quindi è del tutto normale che fino
alla fine si sia tentato di colpire chi aveva responsabilità in stragi e
crimini di vario tipo.
Personalmente, non ero mosso da un odio
particolare, perché nessuno della mia famiglia è stato ucciso o incarcerato,
ero più tranquillo rispetto a tanti miei compagni che erano stati colpiti nei
loro affetti e alcuni di loro addirittura torturati dai fascisti. A me è
capitato addirittura di aiutare e di salvare la vita a qualche fascista che
sapevo essere solo idealista, come ad esempio quel tassista di Arquata. Alla
battaglia di Pertuso, mi è capitato di trovarmi davanti un bersagliere ferito,
tutto insanguinato al volto, era a cinque metri, potevo ucciderlo, per un
attimo ci siamo guardati, poi lo
lasciato scappare, certo che se fosse successo dopo che i fascisti avevano
ucciso “Chicchirichi” “Cengio,”
Silurino,” e “Aliotta” feriti,
francamente non so cosa avrei fatto!
Un’altra volta i partigiani avevano
preso dei prigionieri, tra loro c’era un avvocato, era il comandate delle
brigate nere di Novi. Questi, aveva assunto un atteggiamento provocatorio, si
rivolgeva ai partigiani chiamandoli ribelli, banditi, criminali, a gente che ne
aveva passato di tutti i colori. Si era già preso qualche sonoro ceffone e
continuava, sono intervenuto dicendo “ragazzi lasciatelo stare, non
abbassiamoci al loro livello,” poi mi rivolgo all’avvocato parlando in Novese: ”la smetta di provocare, perché vuole
continuare a prenderle?” Lui sentendo che ero di Novi ha rivolto contro di me
la sua rabbia: “Anche tu che sei un mio compaesano sei un ribelle, un
bandito!” Con questo avvocato c’erano
le brigate nere di Arquata Scrivia, Serravalle, Novi Ligure e Tortona, presi
prigionieri dopo la battaglia di
Garbania, nel marzo del 1945, dove il comandante di distaccamento “Argo”
è stato ucciso a tradimento. Ad un certo punto della battaglia i fascisti hanno
sventolato la bandiera bianca e quando “Argo” è andato per parlamentare gli
hanno sparato uccidendolo.
Conoscevo solo uno di questi prigionieri, era un fascista di Novi, non sapevo
che fosse una brigata nera, non avrei mai pensato di trovarmelo lì, fatto sta che anche lui mi riconosce e mi
chiama: Sandrino! “Per favore vai a comprarmi qualcosa da mangiare e delle
sigarette”. Mi aveva dato due lire. Io vado a Cabella, gli prendo del pane e
del formaggio, poi del tabacco, il
trinciato perché non c’erano sigarette, quando sono tornato mi hanno quasi processato moralmente, ”Siamo
in guerra! Non devi farti prendere dal sentimentalismo!” Mi disse il
comandante, “Marco secondo”, (Comandante del S.I.P, servizio informazione
polizia) e continuò : “Cucciolo, non penserai che se tu fossi stato prigioniero
dei fascisti, loro ti andavano a comprare da mangiare!”.
Per fortuna che mi conoscevano, ero un ragazzo, ma avevo già partecipato alla
battaglia di Pertuso e a tante altre azioni se no non so come sarebbe finita e
vista la situazione non potevo certo dagli torto. Questa intransigenza era coerente con la disciplina militare.
Purtroppo la guerra, i morti, le persecuzioni avevano creato una situazione
che non permetteva molti atti di
distensione.
Dopo il 25 aprile 45, quel tal Merendi, che mi aveva picchiato, lo squadrista,
si era nascosto per parecchi mesi, io sapevo dov’era, ma non sono mai andato a
prenderlo e a dirgli: “Ora ti do quello che mi hai dato!” Il fatto è che dopo
pochi mesi nessuno è più andato a cercare i fascisti, sono tornati tutti in
circolazione anche quelli che avevano fatto delle porcherie e poi c’è stata
anche l’amnistia, più pacificazione di così! Una cosa è certa che se avessero
vinto loro la caccia all’uomo sarebbe durata fino ad oggi, sarebbe stata una
vera e propria tragedia. A volte ci vorrebbe
la dignità di tacere. Speriamo solo che queste cose non si ripetano più!
D) Cucciolo, come mai sei arrivato a Novi soltanto il 1°Maggio e non prima….
R) Questa è una cosa che mi è
dispiaciuta, ma è andata che nell’ultimo periodo ero con il “Vestone”, eravamo
su a Prato, poi in previsione della imminente liberazione ci venne chiesto di
tornare con le brigate di provenienza perché non si creasse eccessiva
confusione. Così io tornai alla brigata ”Arzani” con la segreta convinzione che
da li saremmo poi scesi verso Novi. Invece a noi toccò la liberazione di
Arquata e Serravalle. Sono sceso col distaccamento “Repetti” forse proprio il
giorno del 25 aprile, arrivati a Vignole Borbera, prendiamo la strada per
Serravalle, ma arrivati nei pressi della tenuta Percipiano, troviamo ancora
parecchi tedeschi che oppongono resistenza, ci sparano addosso e non vogliono saperne di arrendersi,
perdiamo infatti parecchie ore nello scontro, poi ci dividiamo, una parte
prosegue per Serravalle, tra questi cera
Carlo Manildo di Novi, “Dinamite”, comandante della “squadra volante.”
Io con l’altra parte di partigiani con a capo “Tremos”, (un ragazzo in
gamba, era di Ronco Scrivia ,dopo la
guerra andò a lavorare in ferrovia e poi morì in un incidente sul lavoro) andiamo verso Arquata, ma arrivati al ponte
della ferrovia prima dello Scrivia, siamo nuovamente bloccati da uno
sbarramento di fuoco. Infatti da sopra il ponte della ferrovia un gruppo di fascisti, ultimo residuo di un esercito
in ritirata, spara su di noi impegnandoci in una scaramuccia, ma questa volta riusciamo a metterli in fuga
abbastanza velocemente.
Finalmente arriviamo ad Arquata, di fascisti e tedeschi non ce più presenza, la
gente accoglie festosa i partigiani, ma pioveva che dio la mandava e ci
rifugiammo tutti in situazioni di fortuna. Nella notte fino alla mattina
inoltrata la città fù attraversata da un interminabile colonna di carri armati,
autoblindo, camion con soldati, era l’esercito tedesco in ritirata, ricevemmo
l’ordine dal comando di non sparare, di lasciarli passare per evitare inutili
spargimenti di sangue in attesa della resa generale dei tedeschi. Dopo Arquata
sono andato a Genova, alla grande parata partigiana, poi finalmente il 1°
maggio ero tornato a Novi.
D)
“Cucciolo” come ti consideri, fortunato
o sfortunato dopo avere passato una giovinezza così avventurosa?
R) Se penso che la
mia infanzia l’ho dovuta passare così come ti ho raccontato tra i problemi
della scuola, il correre tra i monti, girare con la pistola e con lo Sten, a
sparare e vedere tanti morti e feriti , ti dico che sono stato sfortunato, ma
se penso che ho rischiato tante volte la vita e sono ancora qua a parlarne non
posso che considerarmi fortunato. Ad esempio penso spesso a quella bomba a mano
tedesca, sai quelle a martello, me l’hanno lanciata a quattro o cinque metri e
non è esplosa è rimasta lì su un mucchio di neve.
Era un giorno del marzo del 1945, verso sera
con “Carlo”, il Francese “Parigi,” “Stelvio” “Bill” il Polacco “Nicola” “Fido,” l’alpino “Gechin e “Milan” sono sceso per
una delle tante azioni notturne, quella volta si andava a Cassano, per entrare in una casermetta tedesca a
prelevare delle armi. “Carlo” aveva
mandato “Milan” che era il più anziano e aveva un’aria mite, in perlustrazione
ed egli tornò a riferire che dentro ad
un’osteria c’erano due fascisti, due
“ragazzi di Salò”. Allora “Carlo”,
chiamò me e “Parigi” e ci avviammo
dentro il paese verso l’osteria, raggiunto il locale io e “Parigi” ci appostiamo ai lati della porta, mentre “Carlo”
apre lentamente ed entra cogliendo di sorpresa
i fascisti che si alzano con le mani in alto. Dopo averli interrogati li
consegnammo a “Milan” e “Gechin” perché li portassero in montagna.
Il resto della storia sarebbe lunga da raccontare, ma ad un certo punto io,
“Stelvio,” ”Nicola” e “Parigi” mentre salivamo la strada per il cimitero ci siamo trovati di fronte i tedeschi e nonostante l’ordine di “Carlo” di evitare
di sparare per non essere individuati dalla luce delle esplosioni ci siamo trovati costretti a
difenderci non era più possibile
scappare. .Mentre “Carlo”, “Fido” e “Bill” erano già fuori tiro perché avevamo
deciso due percorsi diversi, loro erano già su di un’altra strada e volendo
potevano salvarsi senza rischiare, ciò nonostante “Carlo”, sentito gli spari
capì che eravamo nei guai, così tornarono indietro a dare manforte correndo un
grosso rischio, è stato un comportamento da vero comandante che non abbandona i
suoi uomini.
Abbiamo dovuto affrontare uno scontro a fuoco
durissimo, i tedeschi erano armati fino ai denti, e pensa che il Gibì,
”Carlo” nel tentativo di coglierli di sorpresa, ha avuto il becco di chiedere
la loro resa, in un tedesco improvvisato grida: “arrendetevi! Sarete trattati
da prigionieri di guerra!“ la risposta è stata una pesante scarica di fuoco. Le
bombe a mano esplodevano ovunque, perdiamo di vista “Parigi” che non conosceva
il paese e per errore entra in un
vicolo chiuso dove viene colpito da una lunga raffica di mitra e muore,
purtroppo non riuscimmo a portare via il suo corpo che fu lasciato da i tedeschi
a terra per due giorni, esposto come
monito contro i partigiani. (Venni poi a sapere che il comando della
Pinan-Cicchero, intervenne presso il podestà di Cassano Spinola, affinché
provvedesse immediatamente a dare degna sepoltura al partigiano caduto in
combattimento, minacciando in caso contrario una dura rappresaglia.)
Anche i nemici ebbero forti perdite, venimmo a sapere che erano almeno otto i
tedeschi che caddero sotto il nostro fuoco e nello scontro schegge di bombe a mano hanno ferito “Carlo,” “Bill” e
“Fido,” a me è andata bene mi hanno
lanciato una bomba, mi sono gettato a
terra, ma per fortuna la bomba è rimasta lì sulla neve senza esplodere, il
destino! Se penso a questo non posso che considerarmi fortunato.
Soprattutto sono fortunato di non essere finito nelle mani dei “ ragazzi di
Salò”!
Ho voluto
ricordare con te questi avvenimenti perché ritengo necessario specie per le
nuove generazioni trasmettere la memoria. Per non dimenticare.
Cosi come ci ha insegnato la medaglia d’oro della resistenza Carla
Capponi:”Scrivere le proprie esperienze credo sia un dovere civile per chiunque
abbia da testimoniare del suo tempo.”
aprile 2001 A sinistra, Giambattista Lazagna “Carlo”- a destra Walter Delfini Fotografia scattata in casa Lazagna dalla moglie Aurora |
aprile 2001 Manifestazione all'Europa Metalli di Serravalle Scrivia a sinistra, Giambattista Lazagna, Comadante "Carlo" a destra con gli occhiali Alessandro Ravazzano "Cucciolo" (vedi Intervista a “Cucciolo”) (foto W.D.) |