Un anno senza Angelo
E’ trascorso un anno: un anno senza Angelo, Angiolo Gracci,
il ‘Gracco’ della lotta di liberazione partigiana, il nostro compagno politico,
uno dei nostri maestri prediletti. Ad ogni evento particolarmente significativo
era nostra abitudine sentire cosa ne pensasse Angelo ed ogni volta, oltre il
parere contingente, seguiva un profluvio di scadenze, progetti, proposte,
appuntamenti cruciali. Nella sua voce stentorea scorgevamo sempre il legame tra
l’impegno militante nelle fila del movimento operaio e comunista e la forte
accezione morale data al significato di una vita.
Il profilo dei Gracchi, Tiberio e Gaio, tribuni della plebe romani (133-122
a.C.) che cercarono di alleviare le pene e le sofferenze dei proletarii senza
terra e che pagarono con la vita, erano l’emblema di questo grandissimo slancio
politico di tipo morale. Di qui il soprannome utilizzato durante la lotta di
liberazione partigiana da Angiolo, scelta facilitata dall’assonanza con il
cognome reale.
In quest’anno trascorso senza la sua presenza, più e più volte ci siamo
ritrovati a domandarci come lui avrebbe affrontato la questione, quali azioni
avrebbe intrapreso, che posizione precisa avrebbe assunto e ci è sempre stata
chiara la nostra insufficienza e la nostra inadeguatezza. Un limite che noi
scontiamo con tutta la generazione dei resistenti: i comunisti della “guerra di
movimento” avevano un contesto storico-ambientale ben diverso da noi, che ci
sforziamo di esserlo ai tempi della “guerra di posizione”, e conseguentemente
anche un diverso modo di realizzazione della propria passione, che diventava
irreversibilmente scelta di vita, integrale e senza pause.
L’indignazione di Angelo per quello che definiva il tradimento nei confronti
della Carta costituzionale della classe dirigente italiana era, appunto, oltre
che politica, di natura morale. Una caratteristica tipica dei patrioti
risorgimentali, che continuava a prendere ad esempio, insegnandoci che il
termine “patria” non doveva essere lasciato alla destra, che l’aveva svenduta e
vilipesa nei fatti, per poi appropriarsene in termini nazionalistici e
reazionari, ma che doveva essere coniugata con il popolo e con il necessario
rivolgimento rivoluzionario. Nessuna rivoluzione è possibile senza questo
valore e in nessuna latitudine del mondo. Proprio Patria era il nome della
testata pubblicata a Firenze nel novembre 1943 a cui aveva offerto la propria
collaborazione e che Pavolini aveva subito chiuso.
Il revisionismo storico-politico oggi tenta la “parificazione” tra i combattenti
come Angelo e i repubblichini di Salò: un’altra pugnalata tentata contro la
Resistenza e che copre di un’ulteriore patina di ignominia la destra
berlusconian-fascista al governo. Come il libello della Regione Lazio prefato
da Storace e pagato con i soldi dei contribuenti in cui si arruola Mazzini
nella destra ante-litteram; o come la campagna mediatica orchestrata sulle
foibe e l’occultamento delle responsabilità del fascismo italiano sul
rastrellamento e genocidio delle popolazioni slave e degli oppositori. O come
la canagliesca operazione di riapertura unilaterale del processo pubblico sul
rogo di Primavalle, in cui stavolta si tentano di bruciare le idee, le lotte,
le battaglie, le speranze del movimento del ‘68/’69, a cui Angelo partecipò in
pieno con la sua immutata passione resistenziale.
E di fronte a questo attacco una sinistra che balbetta, che non organizza una
controffensiva strategica, che muove o da un pentitismo opportunista o da un
idealistico romanticismo che inorridisce degli “errori” ed “orrori” e continua
a poetare dall’alto di un comodo scranno mentre Falluja e Ramadi bruciano.
Un anno senza Angelo, un anno sicuramente peggiore. Ma con lui per tutti i
giorni che verranno.
Ferdinando
Dubla, marzo 2005