www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - antifascismo - 28-08-07

Giovanni Pesce, un comunista da non dimenticare
 
di Sergio Ricaldone
 
Gli abbiamo reso l’estremo saluto in quel caldo pomeriggio di fine luglio nella grande aula di Palazzo Marino.  E’ stato un momento di grande commozione e di infinita tristezza. Ma poi i giorni passano e il dolore per il compagno perduto si stempera e arriva il momento della riflessione sul come mantenere viva e integra la sua memoria.  
 
Abbiamo marciato insieme lungo la stessa strada per molti decenni, abbiamo attraversato momenti difficili.  Ma credo che Giovanni non sia mai stato sfiorato dal dubbio di dover tagliare le sue radici politiche e ideali.  Si è battuto per la libertà e la democrazia ma anche per qualcosa di molto, molto più ambizioso: il comunismo.  Una parola che oggi è persino difficile pronunciare e rivendicare – almeno in questa parte del mondo – ma che nella sua mente si è insinuata fin dai tempi lontani della sua adolescenza, non lo ha mai abbandonato e gli ha dato la speranza e la forza di combattere in condizioni estreme.
 
Cosi si diventava comunisti negli anni ‘30.
 
Sovente, senza che neppure ce ne accorgiamo, le cose accadono da sole.  Sembrano fatalità, coincidenze, ma sono in realtà vibrazioni, impulsi, trasmessi dal mondo reale che ci circonda, che si mettono in moto e che poi si riuniscono e formano un unico, razionale pensiero che ci guida nelle grandi scelte che la vita ci impone di compiere.
 
Ci siamo spesso domandati, insieme a Giovanni Pesce e ad altri compagni e compagne che vengono da quella storia, dove e quando siano nati questi impulsi e, siccome non siamo degli idealisti hegeliani, è stato facile convenire che il lavorare in miniera o al banco di aggiustaggio di un’officina negli anni 30, a fianco di operai comunisti, sia stato il luogo “ideale” che ha fatto nascere in noi il bisogno prepotente di cambiare il mondo.  E Giovanni il mondo un po’ l’ha cambiato, perdio se l’ha cambiato!   Solo che l’ha dovuto fare con le armi in pugno ed una taglia sulla testa in un’epoca tra le più terrificanti della storia del 20° secolo, quando le classi dominanti, minacciate dal dilagare di grandi movimenti rivoluzionari, non hanno esitato a consegnare la gestione del potere politico al nazifascismo. Il che ha significato l’inizio di una lunga stagione di terrore e di violenza sfociata negli orrori della seconda guerra mondiale.   Prima è toccato alla Spagna repubblicana poi all’Europa intera.  Ed è stato lì, in quel preciso contesto storico, quando troppe cose non potevano essere risolte altrimenti che col ferro e col fuoco, che si è formato politicamente e militarmente uno dei più coraggiosi guerriglieri antifascisti dell’Europa partigiana.  E’ sicuramente una storia scomoda da raccontare oggi, considerati i tempi che corrono.  Ma è proprio in quella realtà, in mezzo a quell’orrore, e non altrove, che va ricercata l’origine delle scelte di vita e di lotta che ha voluto e saputo compiere Giovanni Pesce.  Solo così si evita di dimenticare che dietro le spinte che hanno motivato quelle scelte c’erano grandi ideali, partiti, rivoluzioni, uomini in carne ed ossa, nonché giganti politici, con un nome ed un cognome, la cui leadership ha concorso a formare un agguerrito esercito di valorosi combattenti che hanno inflitto un colpo mortale al nazifascismo e cambiata la storia del 20° secolo.
 
Cosa ha significato essere un “soldato senza uniforme”.
 
Pesce appartiene a pieno titolo a quella nutrita schiera di eroi che ha salvato l’Europa battendosi per gli stessi ideali di libertà e di progresso dei popoli aggrediti dal nazifascismo, dalle rive del Volga alla Manica, da Capo Nord al Mediterraneo.  Un grande patriota ma sopratutto un comunista internazionalista.   Un vero “soldato rosso” che, dopo aver dato il meglio di sé sui campi di battaglia della Spagna repubblicana è diventato la punta di lancia della lotta armata in Italia contro l’occupante nazista, riuscendo a colpire con audacia e “senza tregua” il nemico nei suoi centri vitali rendendo insicure anche le sue munite retrovie di Torino e Milano.
 
Dunque, non un “giustiziere solitario” di stampo anarchico-ottocentesco, ma un “soldato senza uniforme” di formazione leninista le cui azioni, per quanto rischiose e temerarie, sono sempre state elaborate e decise da un comando politico-militare alla cui testa c’erano uomini del calibro di Luigi Longo, Pietro Secchia, Arturo Colombi.
 
Nel suo libro “Senza tregua” Giovanni ha raccontato, da comunista e da “soldato senza uniforme” come deve essere una guerra partigiana condotta alle spalle di un nemico spietato e crudele, che ha occupato militarmente il tuo paese e dispone di una potenza di fuoco mille volte più potente della tua che usa senza risparmio contro i tuoi inermi compatrioti.  Nessuna tregua può essere concessa a questo feroce nemico.  Al suo terrorismo di massa devi saper dare una dura risposta, più selettiva ovviamente, ma implacabile. Nessuno dei suoi delitti deve rimanere impunito.  Lo devi colpire ovunque, “senza tregua” e con qualsiasi mezzo.  Non c’è posto in quel contesto per la “friendly persuasion”, stile Luther King. E’ lo stesso generale Clark, comandante della 5° Armata americana in Italia, che in un suo libro di memorie esprime riconoscimento e gratitudine alla Resistenza italiana.  Sa, e lo dice, che la guerra partigiana in Italia è stata l’equivalente di una intera armata alleata operante alle spalle del nemico e sa anche che l’80% di quel potenziale militare è stato espresso dai comunisti italiani.  Sarà poi Gillo Pontecorvo che 20 anni più tardi ci racconterà nel suo splendido film “La battaglia di Algeri” il valore universale e senza tempo della parola “resistenza”, e ci spiegherà, senza l’ipocrisia di tante “anime belle”, i metodi e i mezzi necessari per combatterla.  
 
Quando storia e politica vengono separate.
 
Sfortunatamente le orazioni funebri che abbiamo ascoltato, nel giorno delle sue esequie, nonché i commenti e le varie dichiarazioni del giorno dopo, sebbene ineccepibili nella forma, hanno preferito ignorare il contesto storico entro il quale “Visone” ha formato il baricentro della propria identità diventando un grande eroe popolare.  E così l’estremo saluto è stata una sorta di giubilazione, sicuramente dovuta all’eroe partigiano, ma seguendo un copione rigorosamente bipartisan, condizionato più dalla motivazione della medaglia d’oro al valor militare – non certo banale, ma strettamente connessa ad un coraggioso episodio – piuttosto che dalla sua lunga storia di militante comunista.  Si è avvertito, nei vari discorsi di coloro che lo hanno celebrato, il pesante fardello dello stress politico di una sinistra cosidetta “radicale” e “moderata” che, avendo rotto col passato comunista deve far finta che Pesce arrivi da un altro pianeta.  E così le sue imprese sono state vivisezionate e scomposte e la sua storia raccontata in modo che l’immaginario la possa percepire come un tassello compatibile con il nuovo mosaico postcomunista e postresistenziale che oggi comprende a pieno titolo, in nome della “non violenza”, oltre che i parà della Folgore celebrati in Libano come campioni della pace, anche i martiri fascisti delle foibe.  Insomma, riesce sempre più difficile capire se le imprese del nostro audace gappista siano state ispirate dalla ideologia di Gandhi o da quella di Antonio Gramsci.
 
Giovanni Pesce, in quanto medaglia d’oro al valor militare, sarà perciò deposto con tutti gli onori nel prestigioso Famedio del Cimitero Monumentale, mentre, paradossalmente, i grandi ideali che hanno alimentato le sue imprese militari sono stati rinchiusi sotto chiave nel “museo degli orrori” del comunismo novecentesco.  E ancora una volta la parola Resistenza viene spogliata del suo significato universale, ed associata al “patriottismo” e alla “libertà” di modello rigorosamente “occidentale”, ma nel contempo la si nega come sacrosanto diritto di tutti i popoli, che l’hanno praticata, e la praticano tuttora, “senza tregua”, in ogni angolo del pianeta contro gli aggressori imperialisti e gli squadroni della morte.
 
Il commosso e sincero addio popolare.
 
Sebbene mi sia costata un po’ di sofferenza, ho seguito con paziente rassegnazione le varie orazioni funebri in quel caldo giorno di luglio.  Poi, quando i discorsi sono finiti e la bara di Giovanni Pesce è stata portata verso l’uscita, mi sono fermato a riflettere un attimo nel silenzio di quella grande sala di Palazzo Marino rimasta improvvisamente vuota. E ho pensato: Giovanni se ne è andato e domani del suo massiccio corpo non resterà che un piccolo mucchietto di cenere.  Concedendogli l’onore del Famedio (più che meritato) credono di seppellirlo una volta per tutte nel silenzio eterno ma si sbagliano.  Ho sentito che là fuori, in piazza Scala, migliaia di voci stavano salutando il “comandante Visone” con intenti molto diversi da quelli del nostro eclettico “ceto politico”.  In grande maggioranza erano giovani con la memoria salda.  Hanno letto i suoi libri e si sono appassionati ai suoi racconti di gappista ascoltati nelle aule di molte scuole.    Quando esco in mezzo a loro uno di questi giovani compagni mi saluta e mi abbraccia.  La sua tesi di laurea sulla Resistenza (110 e lode) l’ha preparata con Pesce e sa quali siano le vere radici ideali che stavano dietro le pistole con le quali ha seminato il terrore nelle file del nemico.  Sarà difficile seppellirli quegli ideali. A ricordarli ci saranno sempre i nomi delle migliaia di uomini e donne torturati, massacrati o caduti in battaglia contro il nazifascismo.  Ma questo, la folla che ha accolto la bara del gappista comunista, lo ha capito, eccome se lo ha capito!  Con gli occhi lucidi e i volti tesi, è scoppiato un lungo applauso liberatorio, poi gli inni partigiani accompagnati da quella sorta di impegno morale che abbiamo udito risuonare tante volte nelle piazze d’Italia: “Ora e sempre Resistenza !”.  E infine le note dell’Internazionale, l’inno che più di ogni altro ha simboleggiato e accompagnato per tutta la vita l’impegno ideale e politico di Giovanni Pesce. Ascoltando quelle note la sua figura assume da oggi un valore e una dimensione che lo collocano tra i grandi eroi che, in ogni epoca, hanno liberato il mondo dagli oppressori rendendolo migliore. Puoi riposare in pace Giovanni, Ovunque, in giro per il mondo ci sono ancora moltissimi “soldati senza uniforme” che, incuranti, come tu lo sei stato, dell’accusa di essere dei “terroristi”, reggono con altrettanto coraggio i movimenti di liberazione e la resistenza antimperialista.