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La donna come propaganda di guerra: Il caso di Cuba e del Venezuela

Ángeles Diez | Cubadebate
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

28/05/2014

Questo testo è stato presentato dalla Dott.ssa. Ángeles Diez all'inaugurazione del XI Incontro Ibero-americano di Genere e Comunicazione, a L'Avana, il 28 maggio 2014. L'incontro è stato organizzato dall'Unione dei Giornalisti di Cuba (UPEC), la Federazione delle Donne Cubane (FMC) e l'Associazione Cubana dei Comunicatori Sociali (ACCS).

Da quando le guerre si combattono fondamentalmente contro la popolazione civile, la donna occupa un posto prioritario come vittima e giustificazione, non solo delle bombe, ma anche della propaganda di guerra. Ma il cambio di forma nella rappresentazione della guerra, l'elaborazione dei racconti giustificatori, la manipolazione dell'opinione pubblica interna ed esterna e fondamentalmente le nuove forme di guerra - quella chiamata guerra di quarta generazione, guerra psicologica o guerra nascosta -, hanno prodotto trasformazioni nell'immagine della donna al servizio delle campagne di guerra. La sua immagine si è trasformata nell'asse articolatore dei racconti mediatici contro gli "Stati canaglia" in una nuova direzione, passando da vittima o istigatrice, all'essere rappresentazione più efficace della dissidenza interna adottando il ruolo di testimone e dell'opposizione pacifica.

Non ci sono guerre senza mezzi di comunicazione

Le guerre moderne sono soprattutto guerre nascoste o cominciano come guerre nascoste e quando non riescono ad abbattere i governi considerati nemici passano ad essere interventi armati diretti. La guerra totale in ogni parte del mondo promossa dall'amministrazione Bush è stata continuata dall'amministrazione Obama (Skahill 2013) con un maggiore livello di sofisticazione tecnica ed efficacia, rendendola a sua volta più redditizia economicamente avendo bisogno di un minore spostamento di soldati. Insieme a questa nuova configurazione degli interventi armati è accresciuto il ruolo assegnato alla propaganda di guerra. Non c'è dubbio che lo sviluppo, la specializzazione e la sofisticazione delle corporazioni mediatiche nel loro compromesso con l'espansione degli interessi delle potenze egemoniche, è andato aumentando. Non bisogna dimenticare che la forma in cui si espande il capitalismo dalla fine del XIX fino ad oggi, è indissolubilmente unita allo sviluppo del capitale mediatico[1], a questo tipo di strutture di imprese che denominiamo corporazioni mediatiche. Da anni le imprese che segnalano maggiori vantaggi economici sono le industrie di armi e quelle correlate ai mezzi di comunicazione.

Nella propaganda di guerra della I Guerra Mondiale, il professore Jo Fox (2013) [2] ci dice che le donne furono utilizzate simbologicamente come vittime che bisognava difendere, casalinghe che aspettavano gli eroi e donne che si univano al lavoro fuori casa per sostenere gli sforzi della guerra: "la Propaganda tendeva a rappresentare le donne come custodi della casa, la loro natura gentile e la vulnerabilità le rendeva contemporaneamente oggetti di attenzione e vittime di atti di barbarie del nemico , ma anche, in modo elastico, partecipanti attive nello sforzo bellico [3]". Gli uomini andavano alla guerra per difendere l'onore ed il modo di vivere, per proteggere dunque le proprie donne e i propri bambini e le donne si occupavano della casa mentre sostenevano gli sforzi bellici nell'ambito della produzione. Fox si occupa specialmente di analizzare il ruolo delle donne illustrando i manifesti pubblicitari e non tanto coi discorsi generati in altri ambiti non tanto circoscritti alla propaganda di guerra. Tuttavia, già nella I GM i mezzi di comunicazione di massa facevano parte di un sistema complesso di propaganda che abbracciava gli ambiti della pubblicità, dello svago, dell'educazione e dell'informazione[4].

Tradizionalmente l'immagine della donna nel capitalismo è stata associata ad immagini che stereotipavano il suo ruolo e che in ogni momento necessitava potenziare in qualche parte della popolazione. I valori ascritti al genere femminile compivano e compiono una funzione chiave nella riproduzione dell'insieme dei valori egemonici che sostengono il capitalismo. Col risultato che la propaganda di guerra sarebbe gonfiata in questo sistema generale di rappresentazioni della vita quotidiana.

Nella cultura di massa contemporanea gli stereotipi di base che hanno predominato sarebbero tre. Il critico cinematografico Romá Gubern parlava nel 1984 di due di questi che rispondevano alle necessità settoriali "di rettori e gestori della cultura mosaico masmediatica"[5], da una parte la "Gran Tentatrice dell'uomo". Uno stereotipo che proviene dalla cultura giudeo-cristiana di carattere patriarcale e che porta implicita la colpevolezza della caduta o della perdita della felicità. Associato a questo mito ci sarebbe l'archetipo della "casta Susanna" (http://it.wikipedia.org/wiki/Susanna_%28Bibbia%29 ndt) che si situerebbe nell'altro estremo dell'asse della rappresentazione, mostrando la donna sottomessa, vulnerabile e dipendente. L'altro stereotipo di base della cultura di massa proverrebbe dalla produzione europea e sarebbe quello della "donna perfida, prepotente e castratrice." Secondo questo autore "Tra questi due poli, tra la donna che si offre ed è desiderata (Susanna) e la donna fallica ed antagonistica (Wanda), si muovono i sogni e i sognatori delle fabulazioni fantasmatiche della cultura di massa, prodotta dall'universo della rappresentazione maschile che non offre mai relazioni democratiche o simmetriche"[6]

Ognuna di queste due coordinate di base avrebbe un insieme di ruoli associati che sono sfruttati dalla propaganda di guerra. L'immagine della donna sottomessa e vulnerabile si svela nella sua massima espressione nelle contese belliche passando per essere la "vittima." Ma anche la donna perfida e castratrice compie il suo obiettivo con la colpevolizazione di quelli che rinunciano alla guerra o si mostrano indecisi.

Insieme ad entrambi gli stereotipi basilari bisognerebbe segnalarne un terzo, il quale concentrerebbe l'immagine della nuova donna integrata nella modernità che svolge qualunque tipo di ruolo tradizionalmente maschile, nell'impresa, nell'ambito politico o militare. Acquisisce così l'immagine di eroina capace di svolgere più di un ruolo contemporaneamente, molto lontano dell'eroina classica le cui attività sono effettuate nella retroguardia.

L'immagine di "vittima" si fonde con quella di eroina. Cambiare qualcosa affinché nulla cambi

L'incorporazione massiccia della donna nell'esercito e lo sviluppo delle nuove forme di guerra nella quale i mezzi di comunicazione rappresentano i dispositivi fondamentali, inaugurano apparentemente un nuovo ruolo della donna che prima era riservato agli uomini, quello di "eroe." L'irruzione della donna nell'ambito della guerra, non come parte della società civile che la collocava allo stesso livello dei bambini o degli anziani, bensì come donna-soldato, implica una trasformazione della sua immagine mediatica, cioè trasforma la sua immagine classica di vittima.

La donna irrompe in uno spazio fino a quel momento riservato agli uomini, è uno spazio pubblico, lo spazio del confronto. Ma questo nuovo ruolo che apparentemente l'equipara al maschile, è solo apparenza, come sostiene Deepa Kumar (2004)[7] nell'analisi della storia della liberazione della soldatessa Jewssica Lynch nella guerra dell'Iraq: la narrativa che si costruì a seguito della sua liberazione in un momento nel quale le cose non andavano bene per gli USA, permise di trasformarla in un simbolo dell'atteggiamento civilizzato dell'Occidente verso le donne, giustificando la motivazione che gli USA stavano liberando la popolazione dell'Iraq. Cioè, la storia servì da fondamento all'obiettivo della propaganda di guerra.

Questa storia, insieme alla bugia delle incubatrici nella prima guerra dell'Iraq (1991, nella quale si costruì l'immagine della donna testimone - la figlia dell'ambasciatore kuwaitiano negli USA) (http://ciptagarelli.jimdo.com/2011/06/21/disinformazione-di-guerra/ ndt), si inseriscono nella dottrina della guerra per motivi umanitari e fondono il ruolo della donna vittima con quello della donna eroina.

Effettivamente, il ruolo fondamentale della donna nelle storie di guerra classiche è stato quello di vittima, in modo che l'uomo potesse avere l'opportunità di sviluppare la sua immagine di eroe salvatore. Kumar cita Susan Jeffords (1991) nella sua analisi della narrativa circa le vittime in quello che chiama "scenario di protezione": per questa autrice ci sono tre attori in questa scena "la vittima/da proteggere", il "cattivo" dal quale bisogna proteggerla e "l'eroe/protettore." Questo schema può essere nitidamente visualizzato nella prima guerra dell'Iraq, anche nella guerra contro l'Afghanistan e nella guerra di occupazione dell'Iraq del 2003. A questo bisognerebbe aggiungere quello della donna istigatrice (Linda Grant Di Pauw 1998) che appartenendo al gruppo dell'uomo che va alla guerra, funge da ispirazione nella lotta o lo punisce o lo incolpa se non ci va.

In questi miti classici è sottostante la reificazione della donna, una rappresentazione che sostituisce l'essere umano e lo rende plasmabile in funzione degli interessi in gioco. Nel nuovo archetipo, la donna si trasforma apparentemente in individuo attivo. Passa allo spazio pubblico-politico nella sua espressione più estrema, la guerra.

Per alcuni movimenti femministi questa irruzione in uno spazio tradizionalmente maschile implicherebbe un empowerment femminile che, insieme alla sua partecipazione effettiva al campo di battaglia, sarebbe un passo verso la sua liberazione. La realtà, come segnala Kumar è che dal nuovo ruolo delle donne, occupando posti di potere nell'esercito, emerge la negazione della propria femminilità (Kumar,298) ed il caso di J. Lynch (vittima/eroina) in tanta costruzione mediatica e militare al servizio di un obiettivo di propaganda, rinforza le nozioni patriarcali di femminilità. Inoltre, questo tipo di storie sono la base delle argomentazioni pro-guerra emozionali. L'elezione della donna ad eroina serve anche per dimostrare la superiorità della civiltà occidentale, "Per oltre duecento anni, le nazioni coloniali ed imperialiste hanno giustificato le guerre brutali attraverso la logica della "liberazione", della "protezione" o dell'"umanitarismo" (Kumar, 2004; 310).

Tuttavia, nella nuova concezione della guerra, come ho segnalato precedentemente, coesistono tutti e due gli immaginari. Non si abbandona l'immagine di vittima che fornisce le ragioni per la guerra, ma ora questa avrà nome e cognome, per esempio il caso della bambina pachistana Malala Yousafza, oppure si identificherà con un gruppo culturale o etnico specifico. Di fronte alla donna astratta, la donna araba o le donne dei dissidenti a Cuba e in Venezuela. Precedentemente le donne kosovare vittime della pulizia etnica, dopo le donne afgane e pachistane sottomesse dai talibani, le donne che conducono le rivoluzioni arabe o le madri e mogli cubane e venezuelane che assumono la causa dei loro mariti.

La donna nella propaganda delle "nuove guerre umanitarie"

La forma delle guerre è cambiata e con lei le forme nelle quali la propaganda utilizza la rappresentazione della donna. In quelle chiamate guerre di quarta generazione, le corporazioni mediatiche acquisiscono una carta egemonica e la "vendita" delle azioni di guerra si adatta ai nuovi formati e ai nuovi contesti geografici. La liberazione della donna come paradigma di "soggetto-oggetto oppresso" insieme al discorso dell'empowerment, saranno il leitmotiv dei nuovi interventi umanitari. In entrambi i casi i discorsi continuano a rendere l'immagine di un Occidente civilizzato di fronte ad un mondo coloniale barbaro: liberare le donne e trasformarle in individui attivi della propria liberazione. In un certo modo le trasforma in agenti incoscienti al servizio di interessi altrui.

I nuovi interventi umanitari devono svolgere un ruolo più importante nell'ambito intellettuale ed artistico replicatore e diffusore delle immagini adeguate. Per Jean Bricmont, a partire dalla guerra della Yugoslavia nel 1999 si genera una coorte di clero secolarizzato che si mette al servizio della propaganda di guerra favorendo l'ingerenza ed appoggiandosi su chiavi di lettura morali. Secondo Bricmont, la propaganda bellica si sarebbe mossa in due direzioni: a) quello che chiama imperialismo umanitario, che si appoggia sul credere che i nostri "valori universali", (l'idea di libertà e democrazia) ci obbligano ad intervenire a qualunque costo. Sarebbe una specie di dovere morale (diritto di ingerenza); b) il "relativismo culturale", che afferma che non ci sono abitudini buone o cattive. I valori universali occidentali in relazione alla "liberazione" della donna, somministreranno gli alibi per gli interventi nel mondo arabo musulmano. Ma paradossalmente, una volta stabilito il governo adeguato, sarà il relativismo culturale quello che giustificherà il ritorno alla Sharia come fonte di diritto in Afghanistan e Libia o la promozione delle leggi restrittive per le donne nel caso di Tunisi col partito islamista Ennahda al potere.

Anche Chomsky ne "Il nuovo umanesimo militare. Lezioni dal Kosovo", afferma che il presidente Clinton giustificò i bombardamenti della NATO alla Repubblica Federale della Yugoslavia per fermare la pulizia etnica e restituire la stabilità all'Europa "dell'Est" (Chomsky 2002), la guerra venne venduta per propiziare i valori occidentali di libertà e democrazia convertendosi, parole di Clinton, in "una guerra giusta e necessaria." Cyril Capdevielle nel suo articolo sulla guerra dell'informazione, segnala che un documento desecretato dell'Archivio Nazionale di Sicurezza rendeva conto che nel 2003 c'era già una strategia del Pentagono per controllare l'informazione, che andava dalla guerra elettronica all'avvelenamento massiccio dei media, passando per la "guerra ad Internet" e per molteplici operazioni psicologiche. Un documento desecretato del 2006 indicava nuovamente l'importanza delle Operazioni di Informazione che dovevano essere complementari rispetto alle forze aeree, terrestri, navali e delle forze speciali[8].

Non c'è dubbio che in queste particolari forme di controllo dell'informazione, la rappresentazione della donna che fecero i media in questi conflitti fu una delle chiavi dell'intossicazione informativa, cosa che non vuol dire che non sia appoggiata su elementi di realtà che sono la base per la strumentalizzazione degli stereotipi di genere (lo vedremo più avanti).

Specialmente nel caso della guerra contro l'Afghanistan, la campagna preliminare all'intervento fu molto prolifica in immagini che sintetizzavano magistralmente il racconto della necessità dell'intervento umanitario. Donne coperte col burka completo, sedute ed in atteggiamento passivo, circondate da uniformi e uomini armati dei quali non si vede neanche il viso, donne coperte riprese di schiena con per mano bambini, occhi di donne ingabbiati nella finestra del proprio burka... tutte queste immagini hanno inondato i media, le reti sociali, Internet, gli articoli accademici trasformandosi in un grido disperato verso le popolazioni occidentali per giustificare l'intervento. Da una parte si riaffermavano i valori universali rispetto alle donne, apparentemente assunti e difesi dall'Occidente di fronte al mondo musulmano, dall'altra si fornivano i principali argomenti per sostenere lo sforzo di guerra.

Nell'articolo di Julien Levesque pubblicato in Globale Reserch "From Afghanistan to Syria: Women's Rights, War Propaganda and the CIA"[9], questa autrice ci segnala che il caso delle donne afgane è stato utilizzato dagli Stati uniti e dai loro alleati per legittimare l'intervento, con l'obiettivo reale di difendere i propri interessi. Nell'ottobre del 2001.

"I capi di stato occidentali, i funzionari ONU ed i portavoce militari elogeranno invariabilmente la dimensione umanitaria dell'invasione principale USA-NATO dell'ottobre 2001 in Afghanistan, presumendo di combattere i fondamentalisti religiosi, aiutare le bambine ad andare a scuola, liberare le donne sottoposte al giogo dei Talebani"[10].

Come sappiamo furono gli Stati Uniti che nel 1996 instaurarono il regime Taliban in Afghanistan, che diede luogo nel 1996 ad una soppressione dei diritti delle donne.

Come afferma Levesque, gli Stati Uniti distrussero l'educazione secolare dell'Afghanistan.[11] E in più spesero ingenti quantità di denaro per favorire l'educazione religiosa nelle scuole:

"I libri di testo editi nelle principali lingue afgane dari e pashtún, si svilupparono nel decennio '80 grazie ad una sovvenzione di aiuto dell'Università del Nebraska-Omaha e del loro centro di studi in Afghanistan. L'Agenzia (AID) spese 51 milioni di dollari in programmi di Educazione dell'Università in Afghanistan dal 1984 al 1994"(Washington Post, 23 marzo 2002). E' interessante come questa stessa autrice raccolga immagini della vita quotidiana delle donne afgane prima della salita dei talibani. In esse, come vediamo, la rappresentazione delle donne si incastrava perfettamente negli standard occidentali e nella politica sovietica rispetto all'educazione e all'uguaglianza tra donne e uomini. Vediamo in queste donne universitarie condividere riunioni e gruppi di studio, andare a spasso per Kabul indossando minigonne. Ma queste immagini furono cancellate da tutti i racconti sull'Afghanistan, perfino da quelli più critici che cercavano di contestualizzare con più dettaglio la situazione del paese. Affinché funzionasse la propaganda bellica, nessuna immagine dissonante poteva uscire allo scoperto

FOTO 1 - FOTO 2

Nel 1979, segnala Levesque, c'è una direttiva del presidente Carter di copertura degli aiuti agli oppositori del regime, con la finalità di minare l'influenza sovietica. Cioè, la guerra nascosta utilizzando l'aiuto economico per incidere sulle mentalità. L'operazione segreta ebbe abbastanza successo, come sappiamo.

Il consulente statunitense Zbigniew Brzezinski in un'intervista nel 1998, segnala che la causa della distruzione dell'Afghanistan come nazione è precisamente in questa direttiva presidenziale (12). Anche Carol Stabile e Deepa Kumar (13) analizzando l'attenzione dei mezzi di comunicazione statunitensi ed i discorsi presidenziali del momento in relazione alle donne e ai bambini in Afghanistan, affermano che ciò rispondeva ad un trattamento cinico ed interessato, il cui obiettivo era quello di servire da pilastro ideologico mediante il quale le elite potessero vendere alla popolazione, la guerra. Segnalano inoltre che viene data visibilità alle donne proprio da una società tanto sessista come quella statunitense, appoggiandosi sulle due narrative tradizionali che diedero forza retorica al discorso imperiale: lo scenario della protezione e l'Orientalismo.

La donna potenziata a capo delle "primavere"

Attualmente la storia sembra ripetersi per il caso della Siria, dove possiamo trovare non solo la stessa strategia di alimentare il conflitto interno appoggiando i gruppi jihadisti (Chossudovsky[14]), ma anche il sorgere di grandi quantità di pagine web di Ong, che diffondono attraverso le reti sociali ed Internet le "petizioni delle donne siriane" a proposito di una "transizione e riconciliazione"[15]. Ovviamente l'USAID partecipa promuovendo gli incontri delle donne siriane, alle quali raccomanda si uniscano al suo lavoro in un'agenda comune che le renda più potenti. [16]. A gennaio del 2013, in quello che loro chiamano l'anniversario della "rivoluzione siriana", si organizzò un incontro nel quale emerse concretamente l'articolazione e la creazione di una struttura in rete di gruppi di donne che venivano incoraggiate ad avere un ruolo rilevante nella "transizione siriana". Non soltanto gli USA attraverso USAID, ma anche i suoi partner europei, in questo caso l'Olof Palme International Center, crearono la Rete delle donne per la democrazia col patrocinio del U.S. Department of State's Office of Globale Women's Issues. E si presentarono in Qatar così "Noi, un gruppo eterogeneo di donne siriane, che si sono riunite per discutere il ruolo delle donne nella transizione della Siria verso una democrazia pacifica vincolata dalla norma di legge ... cercheremo di creare una rete di donne indipendenti ed inclusiva." In questo caso, il filo del discorso supporrà una ridefinizione del ruolo della donna, con una funzione chiara di spostare l'immagine negativa e delegittimata dei gruppi dissidenti in esilio.

Tuttavia questa rappresentazione della donna nei conflitti, come figura di consenso che risveglia più simpatie e funziona meglio per conformare favorevolmente un'opinione pubblica ai cambiamenti di governo, è da anni operativa per il caso di Cuba e più recentemente anche per la destabilizzazione in Venezuela.

Nei conflitti denominati eufemisticamente guerre di bassa intensità, i media al servizio della propaganda di guerra infilano le loro rappresentazioni della donna nelle rappresentazioni tradizionali di questi paesi. Così succede che nel caso di Cuba e per contrasto col caso dell'Est, si dà gioco all'immaginario della donna caraibica in un doppio senso: liberazione rispetto alla prostituzione e potenziamento della società civile capace di ribellarsi. Il caso della blogera Yoani o quello delle Damas de Blanco, sono costruzioni stereotipate al servizio del discorso del "protagonismo della società civile" guidata dalle donne.

Lo sfruttamento mediatico di questi stereotipi si adatta al contesto della conoscenza europea e statunitense ed agli obiettivi dell'intervento. Così la condizione della donna in questi paesi è irrilevante, si sopprimono dal discorso tutti quei dati che potrebbero entrare in contraddizione con l'immagine di una donna che soffre con maggiore rigore la repressione o la mancanza di libertà. Quindi questa rappresentazione è staccata dal resto delle condizioni che vive la popolazione cubana. Specialmente a Cuba qualsiasi rappresentazione che rifletta minimamente la condizione sociale della donna, toglierebbe dell'importanza alla funzione propagandista negativa che deve compiere l'immagine della donna costruita come arma di pubblicità contro il governo:

"..la forza di un stereotipo, il suo accorgimiento ed uso come concetto comunicativo, si misura in relazione diretta al grado in cui questo è percepito dai suoi uditori come rappresentazione valida della realtà" (Robyn Quin).

I recenti tentativi di abbattere il governo legittimo del Venezuela hanno messo in moto una campagna di propaganda simile a quella di Cuba. Secondo Cubainformación:

"Sembrerebbe che la Cia cerchi in Venezuela di clonare una delle sue creature create per Cuba: le Damas de Blanco. Lilian Tintori, coniuge del leader conservatore venezuelano detenuto, Leopoldo López, sarebbe l'esponente principale di questa operazione (…) Giorni fa faceva un appello sui media "all'unità delle donne venezuelane che marciano per le strade" che "non vogliono più violenza, ne sangue, né morti". Curioso. Parla di pace in Venezuela e dice di portare il messaggio di suo marito, Leopoldo López"[17]

In modo simile, l'immagine violenta dell'opposizione al governo di Nicolás Maduro cerca di essere contrastata da quella gentile delle giovani mogli che manifesta pacificamente chiedendo "un cambiamento di governo". In questo caso, anche la condizione sociale delle donne venezuelane che si presentano a capo del movimento, sparisce dalla scena. Dedurre che si tratta di donne di estrazione sociale alta, che hanno visto toccati i propri interessi di classe per le politiche sociali del governo venezuelano, entrerebbe in contraddizione con la propaganda elaborata, in modo che l'immagine costruita attraverso le fotografie ed i discorsi perde così ogni tratto contestuale.

Donne vestite di bianco, senza nessun tratto nel vestire che denunci la propria condizione sociale. Fotografate con fiori e colombe, tentando di forzare mediante la simbologia più semplice la costruzione di un'immagine di pace e dialogo. La funzione principale di queste rappresentazioni, sarà sostituire lo stereotipo classico della dissidenza interna.

Lo stereotipo precedente prioritariamente maschile giocava ugualmente con la semplificazione, ma nel campo dei contenuti politici e generava dubbi e questioni relazionate al confronto di ideologie. La costruzione dell'immagine della dissidenza cubana ha avuto serie difficoltà per l'evidenza obiettiva di essere una realtà molto marginale. Tuttavia, le costruzioni recenti, utilizzando l'immagine della donna, sembrano stare dando migliori risultati davanti all'opinione pubblica europea e statunitense.

Se gli stereotipi sono tanto efficaci come propaganda di guerra, è perché una delle loro principali funzioni è quella di sostenere o legittimare le nostre opinioni su "buoni e cattivi": organizzare le informazioni che si vanno producendo, che si assembleranno in queste cornici di riferimento, a modo di sistema cognitivo selettivo e rinforzare i nostri pregiudizi, che si trasformano nel "senso comune valutativo" di un governo.

Citando Robyn Quin,

"uno stereotipo è frequentemente una rappresentazione ripetuta, che trasforma qualcosa di complesso in qualcosa di semplice. È spesso un processo riduzionista che normalmente causa distorsione, perché dipende dalla sua selezione, categorizzazione e generalizzazione, ponendo enfasi su alcuni attributi, in detrimento di altri."

Questa definizione ci permette di intendere l'utilità dell'abile maneggio della rappresentazione della donna nei conflitti e la sua necessaria stereotipizzazione. Lo stereotipo compie la funzione ideologica di demonizzare il governo al quale si è dichiarato ostile e ha una relazione molto stretta, nei casi che analizziamo, con la diffusione e l'introduzione dell'ideologia liberale.

Le immagini diffuse attraverso i media, che siano quelle di una bloguera o quelle di una Dama de Blanco, manifestandosi saranno piene di connotazioni negative verso Cuba, derivate dell'ideologia liberale rispetto alla libertà di espressione, per esempio. Egualmente l'ideologia anticomunista permetterà di spiegare la repressione delle "manifestazioni pacifiche", sulla base dell'immaginario precostruito del comunismo come regime totalitario e senza libertà.

Il caso specifico delle Damas de Blanco: un'immagine con molte cartucce da sparare

Il caso delle Damas de Blanco emerge come una costruzione propagandistica con due assi articolatori: il pacifismo (per contrastare l'immagine negativa delle campagne statunitensi contro Cuba e Venezuela) ed i valori umanitari. Nel caso concreto di Cuba sono due le rappresentazioni della donna che funzionano come propaganda di guerra: la bloguera Yoani (giovane e tecnologica) che si trasforma nel caso tipico (Zizek) e generalizzabile della situazione delle giovani cubane e le damas de blanco, madri e spose, che si dirige a cambiare l'immaginario sul "dissenso cubano."

La funzione strumentale di queste rappresentazioni può analizzarsi in funzione degli effetti di penalizzazione del governo cubano e di quello venezuelano come paesi comunisti, cioè, una ricostruzione dello stereotipo del comunismo come dittatura. L'immagine della donna che prende il testimone del suo sposo o figlio di fronte alla repressione delle dittature, era già stata importante precedentemente nel contesto latinoamericano: Las Madres de la Plaza de Mayo. Quindi conformare un'immagine con alto potere connotativo specifico in relazione ai governi latinomericani, non è stato troppo complicato.

Allo stesso tempo, l'inversione causa-effetto propria degli stereotipi si realizza in entrambi i casi. Le azioni dei governi riferite alle manifestazioni di queste donne, li pongono nella situazione o di rinunciare alle proprie funzioni per garantire l'ordine sociale o di essere stigmatizzati come "governi totalitari." Nel primo caso, le donne che manifestano sono "duramente soffocate" dalla polizia cubana, benché le immagini non riflettano detta brutalità, ma così i testi che accompagnano queste immagini le qualificano. L'inversione si produce perché la causa degli arresti non è a causa di nessun atto illegale - spesso promosso da una potenza straniera - ma è la propria natura del governo cubano o venezuelano (repressivi) quello che spiega gli arresti.

Per contrasto, le immagini immacolate delle donne contribuiscono alla demonizzazione dei governi cubano e venezuelano. I continui tentativi, specialmente in Venezuela, di creare forum di dialogo con l'opposizione e favorire l'utilizzo delle vie istituzionali, sono costantemente negati dalle immagini dei media. Allo stesso tempo, di fronte all'immagine sterotipata già abituale di manifestazioni con un grande carico di violenza delle popolazioni latinoamericane - ad esempio quelle più recenti nel Cile o in Brasile -, i media lanciano un doppio messaggio associato alla condizione delle donne di madri e spose: la pace ed il dialogo

Un altro degli aspetti che rinforza l'efficacia dell'immagine della donna come nuova rappresentazione della "opposizione", è la possibilità di ottenere un riconoscimento internazionale. La concessione dei premi Sakharov alle Damas de Blanco cubane o i premi di giornalismo a Yoani, proiettano un'immagine "omologata" della protesta sociale a Cuba. Proteste "pacifiche" - e collateralmente vincolate con il "religioso" - sono due immaginari delle popolazioni europee e statunitensi che inoltre, si allacciano subliminalmente con le campagne istituzionali contro la violenza di genere.[18]

Come succede per i casi delle cosidette primavere arabe, l'opposizione capeggiata da donne permette più facilmente di ricorrere al sentimento dell'aiuto, cioè l'intervento. Sono le proprie donne come rappresentanti dell'opposizione che chiedono l'intervento straniero[19]. L'immagine della nuova leader delle Damas de Blanco, Berta Soler, una donna nera che appare vestita di bianco immacolato e con un fiore in mano, sembra dire "Berta Soler chiede pugno duro col governo di Cuba." Nello stesso modo come nel caso della Siria per esempio, i rifugiati sono coloro che hanno chiesto l'intervento della NATO. Mentre l'immagine tradizionale della "opposizione" non poteva permettersi di chiamare l'intervento straniero, essendo vincolato al suo ruolo di denuncia, l'immaginario potente di donne come simbolo di pace, permette questo tipo di chiamate.

A mo' di chiusura

Studiare le nuove rappresentazioni della donna nella propaganda delle guerre nascoste ci aiuta a capire come funziona il nesso tra l'immagine e l'ideologia. Se come dice V. Dijk, le "ideologie si relazionano coi sistemi di idee e specialmente con le idee sociali, politiche o religiose che condivide un gruppo o un movimento" e non danno solo senso al mondo (dal punto di vista del gruppo), ma sono le basi anche delle pratiche sociali dei suoi membri", l'uso e il controllo della "immagine" della donna in relazione ai conflitti bellici costituisce un pezzo chiave della trasmissione ideologica e motivante del posizionamento in relazione ad un determinato conflitto.

Considerate le ideologie come "sistemi di base" di credenze, ci sarebbe un insieme di credenze più specifiche che si organizzerebbero intorno ai pregiudizi e agli atteggiamenti negativi verso Cuba e Venezuela, che si assemblerebbero nell'insieme di credenze condivise dalle popolazioni statunitensi ed europee. Col risultato che il cambiamento di ruoli della donna in questi contesti, ha provocato anche una riconfigurazione dell'utilizzo delle immagini delle donne nei conflitti.

Una domanda che non dovremmo smettere di farci rispetto alla funzione che compiono queste rappresentazioni, è a chi portano beneficio e a chi lo pregiudicano e in che grado. Le rappresentazioni stereotipate possono essere utilizzate per stigmatizzare e trasformare una minaccia al gruppo che è rappresentato, ma nel caso dell'immagine della donna come propaganda di guerra il gruppo che rimane stigmatizzato e che si vuole "demonizzare", normalmente è un governo, un sistema, come nel caso del comunismo nella guerra fredda o determinate altre politiche.

Bibliografia

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NOTE

1] Con l'aggettivo mediatico non pretendiamo più una distinzione analitica rispetto al termine generico Capitale. In realtà non c'è un capitale industriale, un capitale finanziario o un capitale mediatico, si tratta di distinte forme nelle quali si concretizza il processo di accumulazione e tutte sono mescolate dunque non ci sono corporazioni che si dedichino unicamente ed esclusivamente all'area dei media e la maggioranza delle imprese, soprattutto grandi, investono importanti somme di denaro in queste aree.

2] Jo Fox, Women in World War One Propaganda,http://www.bl.uk/world-war-one/articles/women-in-world-war-one-propaganda

3] "la propaganda tendeva a rappresentare le donne come custodi della casa, la loro natura gentile e la loro vulnerabilità faceva di esse doppiamente oggetti delle attenzioni degli uomini, da una parte come vittime degli atti barbari del nemico e nella misura in cui rimanevano a casa, partecipanti attive degli sforzi di guerra."

[4] normalmente si segnala specialmente la stampa nordamericana durante la guerra ispanico-americana col caso del magnate Randolph Hearst, proprietario del New York Journal che cominciava a dare indici di costituire un sistema più integrato con la politica internazionale.

[5] R. Gubert, Estereotipos femeninos en la cultura de la imagen contemporánea; Análisis, nº 9, 1984, 33-40

[6] op.cit, p. 35

[7] Deepa Kumar, War propaganda and the (ab)uses of women. Media constructions of the Jessica Lynch story; Feminist Media Studies, Vol. u, No. 3, 2004)

[8] Cyrille Capdeville, La Guerra de la información, «The importance of dominating the information spectrum explains the objective of transforming IO into a core military competency on a par with air, ground, maritime and special operations»).

[9]http://www.globalresearch.ca/from-afghanistan-to-syria-womens-rights-war-propaganda-and-the-cia/5329665

[10] "I capi di stato occidentali, funzionari delle Nazioni Unite e portavoce militari, hanno elogiato la dimensione umanitaria dell'invasione dell'Afghanistan. In modo ipotetico doveva combattersi contro il fondamentalismo religioso, aiutare i bambini ad andare a scuola e liberare alle donne sottoposte al giogo dei taliban"

[11] The number of CIA sponsored religious schools (madrassas) increased from 2,500 in 1980 to over 39,000 [in 2001]. (I

[12]http://www.globalresearch.ca/articles/BRZ110A.html

[13] Profesoras de la Universidad de Wisconsin y Rutgers en Unveiling imperialism: media, gender and the war on Afghanistan, Media, Culture & Society © 2005 SAGE Publications (London, Thousand Oaks and New Delhi), Vol. 27(5): 765-782

[14] Michel Chossudovsky, Syria: Women's Rights and Islamist Education in a "Liberated" Area of Aleppo, Global Research, March 27, 2013.)http://www.globalresearch.ca/syria-womens-rights-and-islamist-education-in-a-liberated-area-of-aleppo/5328510

[15]http://www.wdn.org/news-events-press-center/events/women-demand-role-syria%25E2%2580%2599s-transition-and-reconciliation

[16] In her remarks, Carla Koppell, senior coordinator for Gender Equality and Women's Empowerment at the United States Agency for International Development, advised, "If the most diverse group of women can find a common agenda, it will have enormous strength."

[17] Cubainformación, "La CIA intenta clonar las Damas de Blanco en Venezuela",http://www.cubainformacion.tv/index.php/objetivo-falsimedia/55287-ila-cia-intenta-clonar-a-las-damas-de-blanco-en-venezuela

[18] El País, Cuba detiene a 70 Damas de Blanco en vísperas de la visita del papa, 18/03/2012http://internacional.elpais.com/internacional/2012/03/18/actualidad/1332105094_812293.html

[19] El País, Berta Soler pide "mano dura" con el gobierno de Cuba; 1/o5/2013http://internacional.elpais.com/internacional/2013/05/01/actualidad/1367361654_823778.html


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