www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - scienza - 17-03-05

da: <vocedelgamadi@yahoogroups.com>

L'articolo che segue è apparso sul numero di Marzo 2005 de La Voce del G.A.MA.DI. (Gruppo Atei Materialisti Dialettici)

Questioni della Scienza - a cura di A. Martocchia

Fermi e la fisica moderna


E' recentemente andato alle stampe il testo di Bruno Pontecorvo "Fermi e la fisica moderna". Esso apparve originariamente come introduzione alla raccolta "Le opere scientifiche di Enrico Fermi", pubblicata a Mosca nel 1971.

Questa breve biografia di Enrico Fermi e' stata scritta da uno dei suoi piu' brillanti allievi, quel Bruno Pontecorvo che e' stato definito anche "il cucciolo di Via Panisperna" e che ha dato tra le altre cose un contributo essenziale alla teoria dei neutrini. Già nello stile, essa getta chiara luce sulle personalità intellettuali, anzi sulla comune "deformazione professionale" dell'autore e del protagonista. Scritto con stile preciso, con continui riferimenti alle fonti, questo testo si legge infatti proprio come un "report" scientifico, con la sua prosa quasi piatta dal punto di vista narrativo.

L'Enrico Fermi che viene qui lucidamente, "scientificamente" descritto  da Pontecorvo è certo un fenomeno scientifico in se. Ragazzo prodigio,  certo, ma anche fortunato per aver potuto realizzare i suoi desideri e  le sue aspirazioni di bambino: quasi un esempio vivente di concorso  dialettico tra qualità interne ed occasioni esterne propizie. Ma questo  Enrico Fermi è anche una persona umile, un artigiano del suo mestiere:  uno che si sveglia la mattina prestissimo per occuparsi "del lavoro  teorico dalle cinque e mezzo alle sette e mezzo", proprio come un  panettiere, o un contadino. Fermi è pragmatico, non ha pregiudizi e  nemmeno velleità. Spirito pratico, frugale, senza grandi interessi  letterari ne' d'altro tipo, Fermi - pure animato da grande curiosità  intellettuale - non nutre alcun desiderio di complicazione, di  virtuosismo gratuito o di autocompiacimento nelle sue ricerche sulla  natura della materia. Egli rifugge dagli astrattismi, ed intende teoria  ed esperimento come due momenti inscindibili del suo lavoro e della  scienza in generale. Nella sua officina dirige anche il lavoro manuale  e la cura degli strumenti. Primo fisico della Storia ad usare il  calcolatore elettronico, Enrico Fermi ha ricevuto numerosi titoli ed  onoreficenze, è diventato premio Nobel e membro dell'Accademia delle  Scienze dell'URSS... Ma è morto giovane, a causa - potremmo dire - di  una malattia professionale (per lui pioniere delle radiazioni  neutroniche): il cancro. Proprio come il minatore muore di silicosi o  il carpentiere precipita dall'impalcatura.

La figura di Ettore Majorana gli fa da contraltare assoluto: Majorana è  introverso, aristocratico, un virtuoso della matematica, un cervello e  non un lavoratore di bottega. La sua morte (raccontata anche qui ma  soprattutto, con uno stile per certi versi analogo, nel noto testo di  Sciascia) ne esemplifica certi tratti esasperati della personalità,  contrari a quelli di Fermi. La storia dei "ragazzi di Via Panisperna" è  poi diventata epica: Segre ed Amaldi, in primis, ci hanno raccontato di  quell'epoca pionieristica, quando i laureati in Fisica erano uno o due  all'anno:

"L'esiguo numero di laureati si spiegava con la mancanza di prospettive  che i giovani fisici avevano allora in Italia. Per quanto riguarda i  mezzi necessari per condurre il lavoro di ricerca la situazione era la  seguente: il governo fascista, che aiutava generosamente i grossi  industriali, era molto avaro quando si trattava di finanziare  l'attività scientifica".

È sconvolgente constatare come la scarsità di risorse per la ricerca  scientifica sia lamentata tuttora; e non più solo nel nostro paese -  che ereditava all'epoca una tradizione culturale prettamente umanistica  ed anti-scientifica, frutto di secoli di pesante influenza clericale -  ma addirittura, oramai, nella gran parte dei paesi a capitalismo  avanzato. Una crisi di risorse, questa odierna, da interpretare nel  quadro globale, e cioè in un sistema, quello delle grandi industrie  transnazionali, il cui carattere monopolistico uccide la ricerca. La  fine della concorrenza rende sconveniente l'investimento in ricerca ed  innovazione; l'esclusiva sulle tecnologie e sui brevetti genera  schiavitù ed ingiustizie; la corsa folle verso il massimo profitto  immediato porta al soffocamento da iperproduzione, al consumismo cieco,  allo sfruttamento dissennato delle risorse naturali. La scienza,  sottomessa a questa logica profondamente, intimamente irrazionale, non  può svolgere il suo compito: ad essa viene chiesto solo di perpetuare  il delirio presente - una missione chiaramente destinata a fallire.

Enrico Fermi viene descritto nella sua etica scientifica, che diremmo  d'altri tempi: "sottolineava con forza l'eccezionale responsabilità  morale che lo scienziato aveva nel pubblicare... Disprezzava  profondamente l'avventurismo scientifico, il soggettivismo nelle  scienze, la tendenza di alcuni sperimentatori a cercare di ottenere  proprio quei risultati che volevano raggiungere, 'a priori'. Egli  riteneva assolutamente antiscientifici e dannosi per lo sviluppo della  fisica la fretta nel pubblicare i lavori scientifici (fretta provocata  dal desiderio di conquistare una priorità) e l'atmosfera di 'caccia  alle scoperte' che regnava in alcuni laboratori... Si battè sempre  affinché il criterio di scelta degli studiosi per le cattedre  universitarie e per altri incarichi si basasse esclusivamente sui  meriti scientifici e non sui servigi resi al governo fascista". Una  etica rigorosa e dignitosa, che sconfina però nella concezione ingenua  di una neutralità del proprio mestiere. Neutralità impossibile, ed  infatti clamorosamente sbugiardata dai fatti storici che lo stesso  Enrico Fermi dovette testimoniare in prima persona. Egli visse il  Fascismo, con il suo connaturato servaggio e clientelismo; visse le  leggi razziali, dovendo forzatamente abbandonare l'Italia per  proteggere la moglie ebrea; visse la guerra nucleare: il ruolo di Fermi  a Los Alamos, nei lavori per la costruzione della bomba atomica, è  universalmente noto.

Con Hiroshima e Nagasaki, nessuna innocenza è più ammissibile. Lo  stesso Bruno Pontecorvo accetta di assumersi in pieno, in quegli anni,  le sue responsabilità: si trasferisce in Unione Sovietica, partecipa al  programma nucleare sovietico, si schiera da una delle due parti nel  confronto - innanzitutto ideologico - che durerà per tutta la Guerra  Fredda, e che ancora oggi non è certo terminato. Il tema della responsabilità dello scienziato nella nostra epoca è  cruciale: in saggistica come nell'arte esso è stato e continua ad  essere affrontato (si pensi a "I fisici" di Dürrenmatt). Questo scritto  ha altre motivazioni: eppure quel tema ritorna, ineludibile. Proprio  quella di Fermi e di Pontecorvo, d'altronde, è l'epoca in cui, per la  prima volta, all'orizzonte dell'umanità si affacciano nubi nere, enormi  come quella - non solo metaforica - del fungo nucleare.


Bruno Pontecorvo
FERMI E LA FISICA MODERNA
Introduzione di Andrea Martocchia
Edizioni La Citta' del Sole, Napoli 2004
6 euro -- ISBN 88-8292-260-X

(Nota: il testo di questo articolo e' liberamente tratto dalla Introduzione al libro)

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