www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - scienza - 08-02-14 - n. 485

A 110 anni dalla morte di Antonio Labriola (12/02/1904), riportiamo il lavoro svolto per il centenario della sua morte da Ferdinando Dubla di dubladidattica.it

La pedagogia della prassi

Calendario del Popolo-Lavoro Politico on-line- dubladidattica.it

A cento anni dalla morte di Antonio Labriola, uno dei lasciti più fecondi è la sua riflessione pedagogica: che influenzò Gramsci, nonostante alcune critiche, e tese un filo ideale con l'esperienza successiva della didattica del collettivo di A.S.Makarenko
Ferdinando Dubla

Un intellettuale "organico" alla classe

Antonio Gramsci si chiedeva argutamente, nelle riflessioni dal carcere, i motivi della "scarsa fortuna" dell'opera di Labriola in Italia e invitava implicitamente a riguardare la sua oggettiva problematicità nell'ambito del dibattito marxista della Seconda Internazionale, nonché la sua reiterata insistenza sull'autonomia teorica della concezione materialistica della storia, autonomia che non implicava assolutamente il rifiuto di confrontarsi con altre "visioni del mondo". Da una parte, l'autonomia «genetica» del marxismo; dall'altra il metodo della ricerca e dell'analisi in rapporto ai compiti del presente.

Oggi quell'interrogativo gramsciano ritorna d'attualità e la figura di Antonio Labriola, di cui ricorre quest'anno il centenario della morte, è importante per conoscere come si introdusse il marxismo in Italia, il materialismo storico, ciò che Gramsci chiamò negli stilemi carcerari "filosofia della praxis". Labriola la introdusse, in stretto collegamento con Engels, a dispetto dei gruppi dirigenti del Partito Socialista di fine Ottocento-inizio Novecento e in particolare della direzione di Filippo Turati. Fu bollato come un astratto dottrinario, quando, al contrario, lo spettacolo offerto dall'Italia di fine secolo era la dimostrazione sia della protervia delle classi dominanti borghesi, sia dell'insipienza a capo delle organizzazioni dei lavoratori.

Labriola incarna allora un nuovo tipo di intellettuale, che Gramsci collocherà come "organico" alla classe proletaria (cioè frutto di un nuovo "blocco storico" alternativo, ma non "organico" a una milizia di partito), l'intellettuale che si rende conto dell'importanza di strumenti teorici adeguati per l'azione politica. E Labriola li trova, questi strumenti, nel marxismo. Ma un marxismo che deve essere "depurato" dalle degenerazioni (culturali, e quindi politiche) del presente, che sono il positivismo trasformato in metafisica, un evoluzionismo determinista che fa intendere le leggi economiche come fossero leggi naturali, una fede meccanicistica in un progresso scientifico indistinto, avulso dal segno di classe. Ecco allora il problema, di un'attualità straordinaria: l'autonomia teorica del marxismo e la rivendicazione di una pienezza interpretativa della concezione materialistica della storia.

I caratteri della "nuova dottrina"

- Dopo la svolta degli anni '90, quando Labriola maturò compiutamente la scelta del socialismo scientifico, egli rese interno il metodo «genetico» (per ogni evento storico era necessaria un'interpretazione specifica e pertinente, un'intellegibilità scientifica dei fatti, che il metodo dialettico hegeliano in senso "idealistico" non permetteva) allo stesso materialismo storico.[1]

Già nel 1887, nella sua prelezione universitaria I problemi della filosofia della storia, aveva avvertito che "una storia della civiltà, che ecceda la misura del comparabile, che non sia atta a dare perfetto rilievo alle differenze, e che nella esposizione non sia in grado di procedere geneticamente, e s'abbandoni perciò al gusto del caratterizzare per negazioni e per antitesi, rischia di rappresentarci le varie forme del vivere e del pensare come semplici specificazioni di un astratto subietto che dicesi umanità." [2]

Le previsioni possibili nell'interpretazione di questa dinamica storica, sono «morfologiche», cioè derivate non dalla considerazione che le leggi storiche sono assimilabili alle leggi naturali, ma da una rigorosa analisi dei rapporti intercorrenti tra le "forme sociali" e le strutture economiche, in base alle formazioni storico-sociali determinate.[3]

La formazione storico-sociale borghese è destinata ad essere superata dalla nuova formazione storica di tipo socialistico: ma le forme che concretamente assumerà il processo rivoluzionario non sono determinate a priori. Un assunto, questo, che poneva Labriola in forte contrasto con le posizioni scientiste e passivamente deterministiche dello stesso movimento socialista.

La nuova "dottrina", infatti, la nuova filosofia della prassi, era, nella lezione labriolana matura, sia metodo scientifico per l'interpretazione dei fatti storici sia strumento di azione politica.

Le "idee non cascano dal cielo"

- La formazione della coscienza critica e di un'etica della libertà sociale e dell'eguaglianza fu alla base dell'importanza da Labriola attribuita alla scienza pedagogica e che gli valse la cattedra universitaria nel 1874. Anche qui, egli non muoveva da un interesse solo di fondazione teorica di una scienza ritenuta indispensabile per fuoriuscire dalle secche di un soggettivismo arbitrario (forte fu la lezione della pedagogia e psicologia di Herbart, secondo cui anche la pratica educativa deve avvalersi di metodologie scientifiche) senza per questo cadere in un formalismo metodologico sterile; soprattutto avvertì l'esigenza collettiva dei tempi nuovi, il bisogno di una scuola popolare che servisse da reale tessuto connettivo dell'Italia post-unitaria, una lotta dunque per la civiltà, mezzo e fine dell'evoluzione morale (e complessiva) delle classi subalterne. Celebre fu una sua conferenza tenuta nell'Aula Magna dell'Università di Roma il 22 gennaio 1888, discorso sollecitato dalla stessa Società degli Insegnanti della capitale, che poi ne curò la pubblicazione in opuscolo [4] e in cui affermò con nettezza che "perché cotesta idea della scuola popolare è condizione e conseguenza a un tempo stesso della lotta per la civiltà, mezzo e fine della evoluzione morale delle classi meno abbienti, perché sentano dentro di sé viva la coscienza dei loro diritti e dei loro doveri", contro coloro che "della ignoranza delle moltitudini sente bisogno per mantenersi in seggio".

Era necessario dare concretezza a piani di istituzioni scolastiche entro le quali le didattiche si sviluppassero non da una deduzione della teoria, ma come risultato di lotte politiche, di ideali sociali, di tradizioni storiche, di condizioni ambientali.

Per Labriola proprio l'azione dell'ambiente storico sociale sugli uomini e la loro reazione ad esso costituiscono il tema dell'educazione. Per cui "le idee non cascano dal cielo". Il metodo deve partire dalla prassi,dalla pratica e non dalle idee, dai principi astratti.

Il nucleo essenziale della pedagogia della «prassi» sta qui: nella percezione della connessione dell' opera educativa con le condizioni dello sviluppo economico-sociale.

La pedagogia della prassi

- Negli anni successivi alla rivoluzione d'ottobre del 1917 un grande educatore sovietico, A.S.Makarenko (1888/1939), organizzò la colonia 'Gor'kij' di Poltava (1919/1928) e la "comune Dzerzinskij" (1927/1935) con una nuova metodologia organizzativa del processo educativo (la "didattica del collettivo") che può essere idealmente collegata ai temi della pedagogia labriolana; risultati educativi fissati poi nell'opera Poema pedagogico [pubblicato da M.Gor'kij nell'Almanacco letterario dal 1933 al 1936] dal maestro di origine ucraina.

L'autonomia come obiettivo dell'educazione, trova qui una fondazione etica che si sviluppa dall'organizzazione e dall'autodisciplina.

E' sorprendente notare come una delle lezioni di Antonio Labriola sia presente in modo consapevole nella riflessione di Gramsci e trovi una possibile realizzazione nel collettivo makarenkiano (fino a sollecitare, su questo, una riflessione di G.Lukàcs). Nella monografia Dell'insegnamento della storia, del 1876, dedicata alle più importanti questioni della pedagogia generale, Labriola aveva scritto:

"Perché istruire non vuol dire ammaestrare teoricamente circa i possibili casi della vita, né comunicare le massime cui le particolari operazioni devano essere in seguito conformate, né tampoco coartare la volontà a divenire docile istrumento di passiva esecuzione, ma invece adoperarsi perché nello svolgimento interiore, che mette capo nella personale autonomia, prevalgano quegli appunto fra gli elementi della vita spirituale, nei quali si prepara il predominio dell'ideale etico."

E una siffatta fondazione, intuiva una centralità dell' educazione alla socialità:

"E l'appropriazione poi dicesi semplicemente simpatia, se rimane limitata alla riproduzione dei sentimenti degli esseri capaci di averne, e diventa socialità se suscita nell'individuo il vivo senso della dipendenza correlativa che è fra i membri di una convivenza umana." [5]

La "disciplina cosciente" è poi il trait-d'union più evidente tra Labriola, Gramsci e Makarenko, senza dimenticare la complessiva impostazione che Lenin aveva fornito per i nuovi compiti di un'educazione sociale e politica.

Nel collettivo di Poltava, così come nell'esperienza della comune Dzerzinskij, si tentano sperimentazioni di autogoverno (strutturato) e autodisciplina. Così come l'autogoverno non può non essere organizzato, così l'autodisciplina non può non scaturire da una disciplina cosciente, responsabile e motivata. L'educatore chiama il collettivo alla precondizione pedagogica dell'ordine esterno per un'unità dialettica con un ordine interiorizzato. La disciplina condivisa del reale autogoverno è il risultato di questa unità e non è affatto contrapposta alla libertà: la libertà sostanziale e non formale non è assenza di legami, è una categoria sociale, una parte del bene comune, la risultante di un comportamento sociale. La disciplina come strumento di coercizione esterna non potrà mai diventare autodisciplina:

"La disciplina non può essere considerata soltanto un mezzo di educazione. Essa è il risultato del processo educativo, in prima linea il risultato degli sforzi del collettivo stesso degli uomini, che si manifesta in tutti i campi della vita: nella produzione, lungo tutta la giornata, nella scuola e nell'attività culturale. (..) La nostra disciplina, in antitesi con la disciplina dei tempi passati, deve essere accompagnata dalla coscienza, cioè dalla piena comprensione di ciò che significa disciplina e a che cosa è necessaria." [Metodica dell'organizzazione del processo educativo, 1935/36] e nel Poema Pedagogico ribadisce che la disciplina "deve essere distinta dall'ordine. L'ordine è un determinato sistema di mezzi e di metodi, che aiutano nell'educazione. La disciplina, invece, è precisamente il risultato dell'educazione. (..) Nella nostra società la disciplina è un fatto morale e politico." [PP., pp.134-35].

Gramsci, nelle sue note pedagogiche, non intende la disciplina in modo difforme: se l'educando non è "un gomitolo di lana" da sgomitolare secondo gli interessi spontanei, il duro sforzo e sacrificio che l'istruzione e l'adattamento all'ambiente pretendono hanno necessità di maturare una disciplina, che da esteriore (nella fase "dommatica", seppur definita "dinamica") deve farsi via via interiore (nella fase, che si conquista, della creatività e autonomia).

"Libertà e disciplina, dunque, come due opposti dialetticamente uniti, di cui l'uno non può sussistere senza l'altro: nella nuova consapevolezza di una prospettiva reale di autonomia, anzi di una egemonia proletaria nell'attività culturale, Gramsci è venuto precisando meglio il suo pensiero, coordinandone le fonti antinomiche."[6]

Educatore permanentemente educato è dunque il collettivo, organismo sociale che organizzandosi implica il suo stesso fine: il superamento di un'individualità solo astratta perché non può esserci costituzione della personalità se non nel riconoscimento sociale. Ciò che viene esaltato nella pedagogia tradizionale, l'affermazione del sé, l'espressione delle proprie capacità individuali, è il massimo dell'astrattezza ideologica.

Secondo Gramsci l'istituzione scolastica, spazio pubblico per eccellenza di educazione e istruzione insieme, deve tendere al cosiddetto pensiero creativo, mezzo destrutturate e demistificatore del dominio che solo permette di raggiungere l'emancipazione e l'autonomia morale dell'allievo che sarà cittadino, lavoratore, professionista.

L'autonomia morale è del soggetto che sceglie e non si fa scegliere attraverso il conformismo sociale, significa soprattutto autodisciplina intellettuale, non disciplina esteriore; quando si conquista l'autodisciplina intellettuale si conquistano il pensiero creativo e l'autonomia morale, si diventa cittadini, lavoratori che hanno una coscienza del proprio ruolo sociale; questo tipo di obiettivo è possibile conseguirlo non attraverso le metodiche formalistiche, ma con duro sforzo e sacrificio:

"Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza." [7]

Anche Gramsci critica il fondamento della pedagogia attivistica: il puerocentrismo, l'astratta categoria di un fanciullo universalizzato fuori dalle sue condizioni materiali specifiche. E' come la categoria di «uomo», umanità genericamente intesa, che Marx prese a bersaglio per indicare le mistificazioni della fenomenologia borghese. Il fanciullo si presenta, ai compiti dell'educazione, con i prerequisiti del pensiero "dommatico", ma il fine pedagogico è quello di condurlo allo spirito critico del pensiero creativo.

Il pensiero dogmatico, funzionale al pensiero dominante, è una caratteristica della sedimentazione storico-culturale condizionata dal folclore e dal senso comune e senza un tracciato di liberazione, che è conquista disciplinata interiormente e favorita da un'organizzazione cosciente e orientata ai fini dell'emancipazione, non si raggiungono né l'autodisciplina intellettuale nè l'autonomia morale, obiettivi strategici di una pedagogia della prassi, itinerario dialettico didatticamente rivolto alla libertà e all'uguaglianza sociale.

Critica dell'educazione borghese

Anche Labriola intravedeva la stretta connessione della scuola con la società: che educazione ne derivava?

Nella società capitalista ne deriva una pedagogia individualistica e soggettiva, che costruisce regole astratte per giustificare la società, il dominio e l'autorità della classe dominante; in questa società chiusa e divisa in classi l'educazione ha il compito esclusivo di formare secondo modelli prestabiliti, accomodandosi ad una realtà sociale considerata immodificabile.

Un'educazione che serve alla classe dominante non ha quindi il compito di formare l'individuo per il futuro nè di metterlo in grado di partecipare attivamente ad un'opera di trasformazione.

Gli unici strumenti validi per un effettivo rinnovamento della società e di conseguenza per lo sviluppo in ambito pedagogico e culturale e' la filosofia marxista e la lotta politica guidata da essa.

Lo sviluppo di una cultura socialista è condizione indispensabile per la conquista del potere e per la formazione di un nuovo tipo di società dove vengono eliminate le classi e la servitù economico-sociale.

Il metodo dunque deve essere di ricerca critica e di dibattito e di sperimentazione, unica via capace di condurre alla padronanza del pensiero logico-razionale e in grado di formare personalità aperte alla ricerca e al confronto (non a caso i primi studi di Labriola erano stati rivolti a Socrate e al metodo socratico).

Labriola comprende, già dal 1876, che la formazione della personalità è sviluppo di una coscienza critica, e dunque nello studio del «piano didattico» "conviene che non s'abbia esclusivamente riguardo all'indole obbiettiva delle discipline, dovendosene avere ancora di più alle condizioni dell'animo che preparano l'apprensione viva e la facile appropriazione",[8] cioè a dire, nel linguaggio contemporaneo, un'attenzione maggiore ai prerequisiti logici piuttosto che alla struttura interna disciplinare, che comunque va indagata attraverso un'epigenesi analitica.

Labriola, maestro del marxismo italiano

- Gramsci vide in Labriola un suo grande maestro: l'avversione all'idealismo, al classismo, al dogmatismo, l'autonomia del marxismo, la relazione tra cultura e società, tra cultura e politica; l'educazione politecnica e onnilaterale, l'opera politica presupposto dell'educazione, il ruolo degli intellettuali ecc., sono tutti temi che costituiscono una trama di analisi comune e dispiegata (secondo poi la lettura datane da Togliatti dal 1954) in continuità. In realtà vi furono anche incomprensioni: sul tema pedagogico, ad es., Gramsci criticò un certo meccanicismo e la presa di posizione sul colonialismo. Pare che alla domanda fattagli da uno studente in una delle sue lezioni di pedagogia e riferita dal Croce in due sue opere, Conversazioni critiche del 1885 e Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici del 1875: come fareste ad educare moralmente un papuano? Labriola rispose:

"Provvisoriamente lo farei schiavo, salvo a vedere se per i suoi nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia nostra".

Ma è, appunto, un'interpolazione di Croce e Gramsci, nelle condizioni carcerarie, non ebbe modo di approfondire, sebbene intravide correttamente l'errore e la leggerezza dell'analisi labriolana sul colonialismo (ma tra Labriola e Gramsci c'è di mezzo l'analisi di Lenin sull'imperialismo).

Ciò che è indubitabile, fu il pieno riconoscimento della figura di Labriola come fondamentale per la teoria e la prassi del movimento operaio italiano.

Scheda biografica

Antonio Labriola nasce a Cassino (FR) il 2 luglio del 1843. A Napoli è la sua formazione universitaria e l'incontro con Bertrando Spaventa. Il primo riconoscimento lo riceve nel 1871 dall'Accademia di scienze morali e politiche dell'Università di Napoli con la memoria La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone e Aristotele e tre anni dopo ha il primo incarico universitario, a Roma, come professore straordinario di filosofia morale e pedagogia. Oltre all'incarico universitario, nel 1877 fu nominato dal Ministero della Pubblica Istruzione a dirigere il Museo di istruzione e di educazione, a cui tenne moltissimo per l'importanza da lui attribuita alla "pedagogica", una sensibilità intellettuale che gli veniva dagli studi di Herbart e dalla passione per la didattica della storia. In questo senso, sua opera capitale può essere considerata Dell'insegnamento della storia, pubblicata nel 1876.

La prima svolta politica si ha negli anni a cavallo del '79/'80, quando si avvicina ai gruppi radicali e socialisti, fino ad accettare, nel 1886, la candidatura alle elezioni politiche, che però non ebbe luogo. E' di questo stesso periodo la sua profonda (ma non a lungo) influenza nei confronti di Benedetto Croce.

Sempre a Roma viene incaricato, nel 1887, dell'insegnamento di Filosofia della storia e la sua prolusione di insediamento è proprio I problemi della filosofia della storia, ma la sua non è vita da accademico tradizionale: cresce il suo impegno politico, si attiva nelle celebrazioni su Giordano Bruno e il libero pensiero, denuncia la crisi edilizia, aderisce al comitato permanente per la pace, nel 1889 diventa vicepresidente del circolo radicale.

Ma il radicalismo gli sta sempre più stretto e nel 1890 è la svolta più importante della sua biografia: diventa socialista marxista e inizia una fitta corrispondenza con F.Engels. E' nell'ultimo decennio della sua vita che scrive le opere e i saggi che lo resero un vero e proprio maestro del marxismo italiano, dopo la sua aspra battaglia politica contro Crispi e in polemica con i gruppi dirigenti del Partito Socialista (nato nel 1892) e in particolare con la corrente turatiana:

- 1895, In memoria del Manifesto dei comunisti
- 1896, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare
- 1898, Discorrendo di socialismo e filosofia
tutti con le ed. Loescher

Nel 1896 aveva tenuto un importante discorso all'Università di Roma su L'Università e la libertà della scienza.

Morì a Roma il 2 febbraio 1904, colpito da un male alla gola, che gli aveva impedito, negli ultimi quattro anni, trasferito alla cattedra di Filosofia teoretica, di tenere le sue lezioni oralmente.

Nota bibliografica

Cfr. la Nota bio-biliografica (migliorata e aggiornata da N.Siciliani de Cumis) in: A.Labriola, Saggi sul materialismo storico, a cura di V.Gerratana e A.Guerra, Editori Riuniti, 1977 (3^ ed.)

Benedetto Croce, che alla morte di Labriola aveva già chiuso i suoi "conti" con il marxismo (il suo saggio Materialismo storico ed economia marxistica era stato pubblicato nel 1900, un anno dopo l'opera di Giovanni Gentile La filosofia di Marx) curò per la Laterza nel 1938 La concezione materialistica della storia (scrivendo un'appendice antimarxista poi rimasta celebre Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia) e Discorrendo di socialismo e filosofia nel 1939.

Il Partito Comunista d'Italia non fu inerte e, curati da Giuseppe Berti, pubblicò agli inizi degli anni '40 su Lo Stato Operaio i Materiali in preparazione del centenario di Antonio Labriola.

Ma nel secondo dopoguerra, fu soprattutto Palmiro Togliatti che, in una serie di articoli su RinascitaPer una giusta comprensione del pensiero di Antonio Labriola – nn.4/5/6/7-1954, rivendicò l'eredità labrioliana in chiave di storicismo marxista. Successivamente le ed. Avanti! curarono nel 1960 l'edizione di In memoria del Manifesto dei comunisti con l'aggiunta della traduzione del Manifesto di Marx ed Engels, pubblicazione ripresa nel 1973 dalle ed. Newton Compton con l'introduzione di U.Cerroni.

La Laterza, invece, ripubblicò La concezione materialistica della storia nel 1965, a cura e con introduzione di E.Garin.

In chiave pedagogica, sono fondamentali due volumi di scritti:
- Scritti di pedagogia e di politica scolastica, a cura di Dina Bertoni Jovine, Ed.Riuniti, Roma, 1961
- Pedagogia e società, Antologia degli scritti educativi a cura di D.Marchi, La Nuova Italia, Firenze, 1970.

C'è inoltre da segnalare che fu Luigi Dal Pane (studioso del filone Volpe-Salvemini) che, tra il 1959 e il 1962, curò tre volumi delle Opere (1862-1883) per la Feltrinelli e che lo stesso aveva dato alle stampe nel 1934-35 (ed.Roma) il primo saggio organico di conoscenza della figura del cassinate, Antonio Labriola. La vita e il pensiero, poi ripreso in L.Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Einaudi, 1975.

Le lettere a Engels furono pubblicate per la prima volta dalle ed.Rinascita nel 1949.

Sull'importanza di Labriola come filosofo marxista è fondamentale il saggio di V.Gerratana, Antonio Labriola e l'introduzione del marxismo in Italia, in AA.VV., Storia del marxismo, vol.II: Il marxismo nell'età della Seconda Internazionale, Einaudi, 1979, pp.622-57 e interessante è lo studio di M.Proto, Labriola politico, con introduzione di Antimo Negri, Lacaita, 1967.

Labriola-Gramsci

Lo studio del rapporto Labriola-Gramsci, sulla spinta "storicistica" impressa dall'analisi di Togliatti (dal 1954), si deve soprattutto a V.Gerratana (per tutti, cfr. Antonio Labriola e l'introduzione del marxismo in Italia, in AA.VV., Storia del marxismo, vol.II: Il marxismo nell'età della Seconda Internazionale, Einaudi, 1979, pp.622-57) e N.Badaloni (cfr. Labriola politico e filosofo, in "Critica marxista", Roma, 1971, 2, pp.16/35) che hanno tra l'altro molto insistito (specie quest'ultimo) sulla categoria di "previsione morfologica" connessa al metodo "genetico", come possibilità previsionale in base alla genesi delle formazioni ideologiche e sociali. Cesare Leporini, invece, vide un intervallo storico e teorico tra i due pensatori, tale da non permettere la storicizzazione in continuità (senza, cioè, distinzioni analitiche dovute proprio alle diverse fasi storiche) postulata da Togliatti (cfr. Il marxismo e la cultura italiana del Novecento, in Storia d'Italia, V. I documenti, Einaudi, 1973 e Dialettica e materialismo, Ed.Riuniti, 1974). E.Garin, però, aveva indicato, a nostro avviso, la strada più feconda per inquadrare la relazione Labriola-Gramsci, proprio in rapporto al nesso struttura/sovrastruttura: egli operava cioè con decisione nella direzione di una saldatura tra il rilievo posto dal cassinate sulla centralità della produzione del "terreno artificiale" (e il rapporto uomo/natura) e la specifica rilevanza che la problematica delle sovrastrutture, delle ideologie, era venuta assumendo in Gramsci (cfr. A.Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura e con introduzione di E.Garin, Laterza, 1965).

Sul confronto Labriola-Gramsci, cfr. A.Bertondini, Gramsci e Labriola, in La città futura. Saggi sulla figura e il pensiero di A.Gramsci, a cura di G.Scalia e A.Caracciolo, Feltrinelli, 1959, pp.163-86 e, recentemente, il lavoro seminariale

Antonio Labriola (a cura di Ferdinando Dubla), con appendice testuale dello scritto sulla questione universitaria in

http://www.dubladidattica.it/materiali/labriola.htm


[1] Il metodo genetico era lo stesso metodo di analisi impiegato da Marx nel «Capitale», opera che dava conto della complessità e contraddittorietà della dialettica storica, con il suo "frequente passare attraverso alle illustrazioni di una storia descrittiva per poi tornare, dalla dichiarazione delle premesse di fatto, alla esplicazione genetica del modo come quelle premesse, data la loro concorrenza e concomitanza, debbano funzionare tipicamente, formando esse la struttura morfologica della società capitalista.", cfr. A.Labriola, Scritti filosofici e politici, a cura di F.Sbarberi, Einaudi, 1976(2^ed.), pag.675.

[2] Id. Pedagogia e società-Antologia degli scritti educativi (a cura di Demiro Marchi), La Nuova Italia, 1970, pag.131

[3] "Le leggi della processualità storica non possono cioè consentire generalizzazioni dei rapporti funzionali tra le «formazioni» che, facendone risaltare la funzionalità reciproca, vadano al di là della semplice indicazione della tendenza di uno sviluppo a venire, dal momento che solo entro certi (ed assai ristretti) limiti è possibile considerare tali rapporti come rapporti di condizionamento. Da ciò, con la necessità d'una decisa cautela nei confronti d'ogni riduzione dei processi storici a processi naturali, discende la grande difficoltà d'ogni forma di «previsione», la grande difficoltà di assumere la inevitabilità d'un processo storico linearmente necessario.", cit. da Stefano Poggi, Introduzione a Labriola, Laterza, 1982, pag.79. Questo non significa che l'analisi marxiana (e engelsiana) della società capitalista non fondi  una vera e propria «scienza della storia».

[4] Cfr. A.Labriola, Della scuola popolare, tip.Centenari, 1888, ripubblicata in Id., Scritti varii di filosofia e politica, raccolti e pubblicati da B.Croce, Laterza, 1906 ed in Id., Scritti di pedagogia e politica scolastica, a cura di Dina Bertoni Jovine, Roma, 1961

[5] Cfr. A. Labriola, Dell'insegnamento della storia, Loescher, 1876, la cit. è tratta da Id. Pedagogia e società, cit., pp. 21 e 24.

[6] Questo il ponderato giudizio di M.A.Manacorda nel suo intervento, La formazione del pensiero pedagogico di Gramsci (1915-26), al convegno di studi gramsciani di Cagliari dell'aprile 1967, raccolto in volumi in Gramsci e la cultura contemporanea (II), Roma, 1975, pag.246. Dello stesso autore, cfr. il fondamentale Il marxismo e l'educazione, Roma, 1964.

[7] Cfr. A.Gramsci, Q.12(XXIX),<Per la storia degli intellettuali> (1932), ed.critica dell'Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, 1975, vol.III, pag.1549

[8] Cfr. A.Labriola, Dell'insegnamento.., cit., pag.70


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