www.resistenze.org – cultura e memoria - storia - 20.07.02

pubblicato su ANPI Oggi, dell’ANPI provinciale di Milano

IL 10 GIUGNO 1940 L’ITALIA FASCISTA ENTRA IN GUERRA

 

di Tiziano Tussi
Il 10 giugno 1940 l’Italia fascista entra in guerra. Così come era successo nella prima guerra mondiale, anche per la seconda l’Italia si trova in difficoltà a prendere al volo la situazione, per qualsiasi decisione. Dopo essersi dissanguata in guerre molto dispendiose e con poca tangibile remunerazione, almeno non all’altezza degli sforzi, l’Italia nel 1939, a settembre, quando Hitler invade la Polonia, e fa scattare così il conflitto mondiale, non può proprio seguire l’alleato. La guerra di Abissinia, quella di Spagna e la presa dell’Albania l’hanno fiaccata. Ma all’inizio delle operazioni militari ancora Mussolini si barcamenava tra la fedeltà all’alleato e la voglia di giocare un importante ruolo di paciere, a livello almeno europeo, così come era successo a Monaco l’anno prima. Ma la struttura capitalistica dell’Italia, molto inferiore a quella tedesca, aveva dato il bastone di leader della reazione europea a Hitler, che oramai decideva senza ascoltare ne consultare il suo alleato e maestro Mussolini.
All’inizio del 1940 Mussolini stesso diceva “ per fare grande un popolo bisogna portarlo al combattimento magari a calci in culo. Così farò io”.(1) Con questa elegante propensione Mussolini si apprestava ad iniziare un periodo di indecisione politica verso il proprio paese e verso l’alleato Hitler, che lo terrà impegnato sino alla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940. “Il 23 gennaio Mussolini fece presente ai suoi ministri che l’Italia non poteva rimanere neutrale per sempre senza divenire, sulla scena europea, una potenza di second’ordine. [] Qualche giorno dopo cambiò idea, dicendo che era meglio aspettare sino alla seconda metà del 1941.”(2) Ma indipendentemente dalle sue preferenze del momento, erano sempre le condizioni del materiale di approvvigionamento che avrebbero dovuto dettare legge. Ed i militari, qualcuno almeno, provava persino a farlo presente. In tutto questo periodo si distingue la figura ondivaga di Badoglio, sempre pronto a seguire l’onda pur di rimanere ai vertici dell’esercito. “Dopo una visita alle unità dell’esercito, De Bono gli riferì (a Mussolini ndr) che una parte dei soldati possedeva solo un paio di stivali e una sola camicia, e qualcuno non aveva neppure un paio di pantaloni.”(3) Anche l’incontro con Hitler al Brennero, il 18 marzo, fece l’effetto di impressionare Mussolini sulle grandi capacità dell’alleato. Anche se in quell’occasione Hitler esagerò le possibilità belliche della Germania. Il Duce, del resto, lo ripagherà della stesa moneta in altre occasioni, sempre prima dell’entrata in guerra. I successi delle armate naziste all’inizio del conflitto suggerivano comunque di fare presto. Naturalmente una volta deciso per l’entrata in guerra gerarchi e militari si accodarono subito ed anche la casa reale lo fece, salvo poi, sia Badoglio sia i Savoia, cercare di mescolare i ricordi per accreditarsi come pacifisti agli occhi dei vincitori sul fascismo nel dopoguerra. “In seguito il re e Badoglio insistettero entrambi sulla vigorosa opposizione da loro condotta contro l’entrata in guerra. Ed il secondo scrive di avere detto a Mussolini che si sarebbe trattato di un gesto suicida. E’ possibile che quando il duce osservò cinicamente che Vittorio Emanuele era preoccupato per le sorti dell’enorme fortuna personale depositata a Londra, avesse qualche ragione.”(4) Certo l’ennesima guerra del duce piaceva molto solo a lui. Nonostante la prosopopea di facciata anche il nostro alleato tedesco non aveva certo piacere di averci fra i piedi: “ il nostro alleato italiano – disse Hitler – ci ha creato difficoltà dappertutto.”(5)
Il giorno dopo l’annuncio il Corriere della Sera esce con titoli a caratteri cubitali. In prima pagina si può leggere: “Folgorante annunzio del Duce. La guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Popolo italiano corri alle armi.” E naturalmente l’articolo di spalla si apre con il titolo classico: “Vinceremo”. Messaggi del Furher ed esortazioni varie chiudono il tutto. A pagina due figura pure “L’ardente entusiasmo del popolo d’Albania”, occhieggiano le moltitudini che acclamano sovrano e duce. A pagina tre vi campeggia “l’Ardente entusiasmo in Germania per l’intervento italiano.” Titoli che denotano anche un chiaro impoverimento d’inventiva. Sino a giungere ai titoloni dell’edizione del pomeriggio dello stesso giornale con il proclama di Vittorio Emanuele che cede a Mussolini, ufficialmente e pubblicamente “il comando delle truppe operanti su tutti i fronti”. La veloce ricostruzione dell’entrata nel conflitto aiuta in ogni modo a capire come sarà il suo svolgersi ed il suo epilogo. Morti inutili, incapacità di vincere, disfatta finale. Con una coda agghiacciante: l’uso della bomba atomica, nell’agosto del 1945, sul Giappone da parte degli USA che nelle due città colpite di Hiroshima e Nagasaki, causarono all’impatto 120.000 morti, ai quali vanno aggiunte le decine di migliaia di decessi che seguiranno nel tempo. Ma in fatto di morti è l’URSS di Stalin che pagò il prezzo più elevato con circa 20 milioni di vittime tra civili e militari. La Germania ne ebbe circa sette milioni, di cui quattro militari. Anche l’Italia ebbe molte morti, più di 400 mila. Cinque anni di tragedia al traino di progetti folli, quali quello di far congiungere in India le armate nazifasciste europee e quelle giapponesi, progetti che Hitler andava vaneggiando (6). Probabilmente, guardando all’aspetto del materiale bellico e di appoggio alla guerra da produrre, sarebbe stato veramente difficile una vittoria dell’Asse. John Ellis, uno storico inglese infatti ricordava, in un suo libro del 1990, che la guerra fu vinta dai 2.400 mila camion che trasportavano ogni genere di merce che poteva servire allo scopo bellico. Ellis, citando Rommel, afferma infatti che “ la sorte di una battaglia è decisa dalla sussistenza prima ancora che qualcuno spari un colpo. Che te ne fai di eroi senza fucile, o di fucili senza munizioni, o di entrambe senza un mezzo di trasporto, o di tutta questa roba senza benzina?”(7)
Allo sfacelo dell’Italia fascista risponderà, e per fortuna, l’Italia partigiana. Solo grazie alla Resistenza l’Italia potrà, a guerra finita, non essere tartassata nei trattati di pace. Non sarebbe  bastato infatti l’apporto dell’esercito nazionale ricostituito. Fu in grande parte la guerra partigiana a dare al nostro paese ancora la possibilità di giocare un ruolo non mortificante sullo scenario internazionale. Ma i morti, i feriti, i dispersi furono distribuiti su tutta la popolazione italiana: civili, militari e partigiani. Alcuni dati.
“La Resistenza italiana fu composta  probabilmente da centomila membri attivi [] e da parecchie migliaia di persone che dettero in qualche modo il loro aiuto. I morti furono 35.000, 21.000 i mutilati e 9.000 i deportati in Germania.[] senza le vittorie partigiane non ci sarebbe stata una vittoria alleata in Italia così rapida, così schiacciante, così poco dispendiosa.”(8) Ma altre cifre sono impressionanti anche per aspetti politici. “...circa 600 mila militari italiani sono stati catturati dagli anglo-franco-americani, circa 50 mila dai sovietici, circa 650 mila dai tedeschi  dopo l’8 settembre. …lo scoramento generale viene aggravato dalla lentezza del rimpatrio: ancora nel febbraio 1946 sono più di 50 mila gli appartenenti all’esercito trattenuti negli Stati Uniti …fra il 1945 ed il 1947, approssimativamente un milione di ex difensori della “patria” raggiungono i loro luoghi d’origine ...sentendosi trascurati dai connazionali. Arrivano dall’India, dall’Australia, dal Nord Africa , dall’Inghilterra, dal Medio Oriente, dalla Germania, dalla Polonia…”(9). Conseguenze pesanti che sul piano economico vogliono dire miseria e fame per molta popolazione civile e per coloro che ritornano dalla guerra. Ricordiamo che il  livello salariale del 1921 viene raggiunto di nuovo solo nel 1949. La situazione generale non è così spaventosa nell’industria, che era al nord, e difesa anche dalla maestranze, ma è soprattutto in agricoltura e nei trasporti che la situazione è veramente pessima. “…il raccolto del grano sarà il 70/75 % di quello del 1938 ma è il crollo di altri beni esenziali [ad impressionare] ...lo zucchero e la carne discendono rispettivamente al 10 ed al 25% dal livello dell’anteguerra. Grave inoltre è la situazione dei trasporti ferroviari (quasi due terzi di locomotive e di vagoni sono stati portati via dai tedeschi o resi inutilizzabili) che marittimi con la flotta mercantile ridotta al 10% del 1938”(10).
Un paese in condizioni molto diverse da quelle che Mussolini aveva vaneggiato all’inizio della sua ultima avventura militare.


1. Galeazzo Ciano, Diario, vol I°, pag. 219-220
2. Denis Mack Smith, Le guerre del duce, Laterza, Roma-Bari, 1976, pag. 273-274
3. Le guerra del duce, cit., pag. 276
4. Le guerra del duce, cit., pag. 290
5. Il testamento politico di Hitler, Milano, 1961.
6. A riguardo si vedano le Cronache di guerra di George Orwell, Leonardo, Milano, 1989. Resoconto degli interventi del noto romanziere inglese alla BBC con le quali commentava quello che stava accadendo sugli scenari di guerra mondiale.
7. John Ellis, Brute Force, Viking, 1990. Alcuni estratti in Claudio Castellacci, I 2.400.000 camion che vinsero la guerra, Il Corriere della Sera, 7 dicembre 1990.
8. Paul Ginsborg, Storia dell’Italia 1943-1996, Einaudi, Torino, 1998, pag. 80.
9. Silvio Lanaro, Storia dell’Italia Repubblicana, Marsilio, Venezia, 1992, pag. 11.
10. Antonio Gambino, Storia del dopoguerra dalla Liberazione al potere DC, Laterza, Bari-Roma, 1975, pag. 57.