di Daniele Maffione
“L’insurrezione in massa, la guerra rivoluzionaria, la guerriglia dappertutto, sono gli unici mezzi con i quali un piccolo popolo può vincerne uno più grande, con i quali un esercito più debole può fare fronte ad un esercito più forte e meglio organizzato” K. Marx(da: “La lotta in Italia” in Neue Rheinische Zeitung, 1 aprile 1849 – cit. in “Aldo dice: 26x1”di Pietro Secchia)
Cosa significa battersi contro il revisionismo storico? Vuol dire individuare, nel recente passato, le tracce dell’identità di un popolo, conoscendone la storia e le figure degli uomini protagonisti nei suoi mutamenti essenziali. Proprio come lo sono stati i militanti ed i quadri del popolo italiano durante la Guerra di Liberazione nazionale contro il nazifascismo.
Pietro Secchia, in questo senso, ricopre un ruolo di primo piano nella ricostruzione della Resistenza italiana e del Partito Comunista. La sua figura di quadro operaio, dirigente comunista e comandante partigiano manifestano la concezione e la preparazione scientifica della battaglia politica e della lotta armata, che affiora le proprie radici nella combattività del movimento operaio italiano e che rivela, più in generale, il fondamentale contributo dato dai comunisti al movimento resistenziale.
Secchia, appartenente ad una generazione intera di “rivoluzionari professionali”, che costituirono, poi, l’ossatura della Guerra di Liberazione, ebbe il merito di concepire e di strutturare instancabilmente l’intera organizzazione clandestina del P.C.I. durante il Ventennio fascista (fino all’arresto, avvenuto nel 1931) e, con Luigi Longo, di trasformare la lotta antifascista in guerriglia partigiana tra il 1943 ed il 1945. Vediamo, seppur brevemente, in che modo.
Da sempre sostenitore della lotta armata contro il fascismo, tra l’8 ed il 9 settembre 1943, dopo tredici anni di confino a Ventotene, Secchia partecipò all’eroica, ma debole resistenza di Roma al fianco di altri antifascisti e militari insorti contro la smobilitazione del Governo Badoglio e l’occupazione nazista, successiva all’armistizio con gli Anglo-americani. Quell’esperienza fu fondamentale per comprendere che una minoranza, per quanto combattiva potesse essere, sarebbe stata inutile senza il sostegno attivo di un intero popolo, che andava spinto sul terreno della lotta armata.
Botte, Vineis, Piotr, così, divennero alcuni degli pseudonimi utilizzati da Secchia durante la guerra partigiana e furono i nomi conosciuti dai comandanti partigiani di tutte le Brigate d’Assalto Garibaldi ed i quadri della Resistenza, ai quali venivano recapitate le parole d’ordine del Partito, del C.L.N.A.I. e del C.V.L., fondamentali per coordinare le azioni partigiane in montagna ed i sabotaggi in pianura, gli scioperi nelle fabbriche e le azioni dei gappisti nelle città, legando così la resistenza armata dei partigiani alla lotta delle masse per la sconfitta dei nazifascisti. E le staffette, in particolare donne, ricoprirono un ruolo fondamentale in questa organizzazione clandestina.
Il lavoro di preparazione, svolto incessantemente da Secchia e dalla rete di quadri di partito, fu riscontrabile in tutta la propria forza nella riuscita dei grandi scioperi dell’1-8 marzo 1944 e durante tutti i venti mesi della Resistenza, fino all’aprile 1945. In questo periodo, Secchia fu, assieme a Longo ed altre figure di primo piano dell’antifascismo italiano, al vertice della lotta armata. La portata di massa degli scioperi del 1944 spinsero così tutti gli strati della popolazione lavoratrice, i contadini e gli intellettuali alla mobilitazione politica contro il nazifascismo, infierendo un colpo mortale all’esercito hitleriano ed alla marmaglia repubblichina.
Il radicamento tra i lavoratori, l’organizzazione delle rivendicazioni immediate delle masse e la guerriglia partigiana, ottenuti specialmente ad opera dei comunisti nonostante le torture, gli eccidi ed il terrorismo praticato dai nazifascisti sulle popolazioni inermi, conferirono a tutta la Resistenza italiana quel primato di partecipazione delle masse alla lotta antifascista che in Europa è stata seconda soltanto a quella del popolo jugoslavo. Quel primato e quel protagonismo che qualche carcassa del fascismo ed il vento del revisionismo, “trasversale” agli schieramenti politici, vorrebbe oggi negare e cancellare.
Botte, poi, fu protagonista anche nell’organizzazione dei Gruppi d’Azione Patriottica (G.A.P.) e nella pianificazione delle operazioni speciali della guerriglia partigiana, come accadde nel caso della liberazione di Giovanni Roveda dal carcere degli Scalzi a Verona: azione compiuta da un gruppo di gappisti comunisti, comandati da Aldo Petacchi, che si distinsero compiendo un’azione eroica in un fortilizio nemico, unica nel suo genere per l’audacia e la determinazione.
Abbozziamo una conclusione. Ricordare e studiare le figure degli uomini, che con il proprio ingegno e sacrificio hanno contribuito al successo della lotta partigiana ed alla conquista dei più fondamentali diritti delle masse oppresse, non deve rappresentare un esercizio retorico oppure una nostalgica celebrazione. Bensì, deve lasciar trapelare le cause storiche che conducono, in determinate condizioni economiche e sociali, all’affermazione di figure di combattenti eccezionali, che guidano la lotta d’emancipazione dei lavoratori e dei popoli.
Pietro Secchia diviene, così, non un eroe geniale ed isolato, ma un uomo ed un comunista che, nelle condizioni più dure, ha contribuito alla lotta degli sfruttati italiani per la propria emancipazione.