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- cultura e memoria resistenti - storia - 24-09-09 - n. 288
1949: nasce la Repubblica Popolare cinese.
2009: la Cina è il nuovo centro del mondo.
di Sergio Ricaldone
Il 1949 è stato un anno cruciale della storia contemporanea.
Il 4 aprile, con la firma a Washington del Trattato Nord Atlantico (Nato), l’Occidente mette a punto la sua poderosa macchina militare anticomunista. La guerra fredda contro l’URSS supera la soglia del conflitto ideologico e la Nato mostra al suo mortale nemico i suoi denti al plutonio. Le bellicose intenzioni di fermare con qualsiasi mezzo, inclusa la bomba atomica, l’espansione delle idee comuniste e dei movimenti di liberazione antimperialisti erano già state annunciate dai kilotoni che quattro anni prima avevano incenerito Hiroshima e Nagasaki.
Dopo avere imbottito i propri servizi segreti e quelli dei paesi alleati con migliaia di gaglioffi nazisti riciclati, l’imperialismo americano sta velocemente scivolando nel maccartismo. I fascisti al potere in Portogallo e Turchia diventano membri a pieno titolo della Nato. Nella Spagna di Francisco Franco si tengono manovre militari congiunte con gli Stati Uniti. Col dito sul grilletto il Pentagono scruta quel che succede a Berlino e lungo la frontiera dell’Elba, oltre la cosiddetta “cortina di ferro”. Il nemico storico per antonomasia sta a Mosca ed è guidato da Giuseppe Stalin, il più popolare tra i vincitori della seconda guerra mondiale. E quel che è peggio ecco arrivare il 14 luglio l’annuncio che l’URSS ha sperimentato con successo il suo primo test atomico. Si dissolve così il pesante ricatto nucleare antisovietico del dopo-Hiroshima.
La vittoria della rivoluzione cinese.
E’ probabile che Washington si sia distratta o abbia sottovalutato quello che stava succedendo alcuni fusi orari più ad oriente di Mosca (più tardi Mac Arthur cercherà di rimediare alla distrazione proponendo il bombardamento atomico della Cina…) E’ in quel contesto internazionale che la Lunga Marcia dei comunisti cinesi guidata da Mao, iniziata quindici anni prima, si avvia verso il suo trionfale epilogo. Nel gennaio l’Esercito Rosso libera Pechino e in aprile, in singolare coincidenza con il Congresso Mondiale dei Partigiani della Pace, anche Nanchino, capitale del regime nazionalista, viene liberata dall’Esercito rosso. Infine, con la caduta dell’ultima roccaforte, Chunking, il regime nazionalista di Ciang collassa e il poco che rimane si rifugia sull’isola di Formosa scortato dalla IV flotta americana. Il primo ottobre dello stesso anno, con la proclamazione della Repubblica Popolare, viene sanzionata la vittoria della terza grande rivoluzione che ha segnato e cambiato il corso della storia mondiale moderna dopo quella francese del 1789 e dopo quella russa del 1917.
Gli anni della Lunga marcia
Dopo 15 anni la Lunga Marcia è conclusa. Il lungo cammino dei centomila partigiani cinesi guidati da Mao per sottrarsi alla feroce repressione dei nazionalisti di Ciang Kai-shek era iniziato il 16 ottobre 1934 da Ruijin. Dopo undicimila km percorsi superando montagne e grandi fiumi e sostenendo durissimi scontri armati, il 19 ottobre 1935 raggiungono Yanan e qui i soppravissuti si fermano. Sono rimasti solo in ottomila ed è l’inizio di una lunga epopea. Si preparano politicamente e si formano militarmente per poter affrontare una “guerra popolare di lunga durata”. Ma da quel pugno di uomini d’acciaio, “flessibili come il bambù”, nasce un esercito di operai e contadini sempre più grande che nello spazio di 15 anni saprà compiere imprese sbalorditive: prima resistendo ai ripetuti tentativi militari di annientamento del Kuomintang, poi nella dura lotta contro l’occupazione giapponese (magistralmente evocata da Katharine Hepburn nel vecchio film “La stirpe del drago”), e infine, terminata la seconda guerra mondiale, travolgendo e sconfiggendo per l’ultima volta i nazionalisti di Ciang sostenuti dagli americani.
Americani e giapponesi sostengono il Kuomintang contro l’Esercito Rosso
Per dissipare ogni dubbio sul sostegno offerto dall’imperialismo americano al loro alleato Ciang Kai-shek ricordiamo che fin dal giorno stesso della capitolazione del Giappone gli Stati Uniti agirono freneticamente per sottrarre al popolo cinese i frutti della vittoria. Lo racconta nel suo libro, “Breve storia della Cina moderna” edito da Feltrinelli nel 1956, il giornalista inglese della Reuter, Israel Epstein, un testimone oculare che ha trascorso quasi tutta la sua vita in Cina, sia nelle zone controllate dal Kuomintang che in quelle liberate: “Il primo passo fu l’ordine del generale Mac Arthur all’esercito giapponese in Cina di non arrendersi alle forze popolari, seguito dalle precise istruzioni di Ciang Kai-shek al generale Okamura, comandante in capo del nemico, di resistere alle forze comuniste”. Significava che gli aggressori giapponesi avrebbero continuato a conservare le proprie armi e mantenuto il controllo delle grandi città della Cina settentrionale e centrale fino all’arrivo delle truppe americane che, nel frattempo, dai sessantamila soldati impiegati nel periodo cruciale della guerra contro il Giappone, quelli sbarcati in Cina a sostegno del Kuomintang furono aumentati fino a centoquarantatremila. Ma non era più il 1919 o il 1939. I rapporti di forza tra imperialismo e movimenti rivoluzionari erano cambiati, sopratutto in Cina. E Mao lo ricorda senza ambiguità: “…Se l’Unione Sovietica non fosse esistita, se non ci fosse stata la vittoria sul fascismo nella seconda guerra mondiale, se l’imperialismo giapponese non fosse stato sconfitto, se non fossero sorte le democrazie popolari, se le nazioni oppresse dell’Oriente non fossero insorte, e se non ci fosse stata la lotta tra le masse di popolo e i dirigenti reazionari degli Stati Uniti, dell’Inghilterra, della Francia, dell’Italia, del Giappone e di altri paesi capitalisti, se tutti questi fattori non si fossero combinati, le forze reazionarie internazionali che si gettavano su di noi sarebbero state incomparabilmente più forti di quello che non siano ora. Avremmo potuto vincere in tali circostanze? Evidentemente no.” (1).
Una massa sempre più grande di popolo si stava raccogliendo intorno al partito comunista ormai pienamente maturo, il cui prestigio cresceva senza interruzione intorno al vittorioso esercito popolare. Politicamente e militarmente, come fu tristemente ammesso da una relazione militare americana riassunta nel “Libro bianco sulla Cina” del Dipartimento di Stato, le truppe del Kuomintang finirono per trovarsi “in una posizione non dissimile da quella dei giapponesi durante la loro guerra contro la Cina”.
Il peso geopolitico del gigante Cina
Per le sue dimensioni geopolitiche (già nel 1949 la Cina contava con i suoi 600 milioni di abitanti, un quarto della popolazione del pianeta) e la poderosa spinta antimperialista proiettata sui popoli del Terzo Mondo la vittoria della rivoluzione cinese è stato un punto saliente della storia contemporanea. Qualunque sia il giudizio su Mao – errori politici inclusi – difficile per chiunque negare l’entità storica dei suoi risultati: ha sconfitto l’accoppiata Kuomintang/imperialismo americano, ha inflitto durissime lezioni all’impero del Sol Levante, ha ricomposto l’unità della nazione e reso la Cina indipendente e sovrana realizzando quello che l’imperatore Qin, più volte citato da Mao, aveva compiuto 22 secoli prima (2).
Il potenziale innovativo dei comunisti cinesi
Un dettaglio che molti trascurano, osservando la Cina di oggi, è lo stretto, inscindibile rapporto esistente tra la natura comunista del potere politico e i ritmi sempre più incalzanti del suo sviluppo economico. Pur segnata – come ogni sfida rivoluzionaria – da passi avanti e passi indietro e da una dialettica interna, talvolta molto acuta, che ha imposto in certe fasi dello sviluppo economico correzioni di linea e cambiamenti di rotta (talvolta sorprendenti), le scelte innovative e le riforme compiute dai comunisti cinesi mostrano una sostanziale continuità con quelle tracciate sessant’anni prima dai padri fondatori della Repubblica popolare. Già ai tempi di Mao il PIL cinese presentava un rispettabile livello di crescita medio del 6,2% (3). Da quando la riforma economica di Deng ha optato per un riedizione della NEP leninista in salsa cinese, lo sviluppo ha raggiunto ritmi quantitativi e qualitativi che nessun altro paese al mondo è in grado di eguagliare. E’ così che, dopo 60 anni di leggende anticomuniste, di previsioni apocalittiche e di tentativi di strangolamento, Pechino è ora diventata il centro del mondo. Il turista occidentale rimane sbalordito dalla selva di grattacieli che stanno connotando l’urbanistica delle grandi città cinesi. Le autostrade, le ferrovie, gli aeroporti offrono un’immagine di modernità ed efficienza che è quanto di meglio si possa vedere oggi. Fino a pochi anni fa il confronto di città come Pechino e Shangai veniva fatto con Nuova Delhi e Mumbai, ora viene fatto con New York e Los Angeles ed è l’America a mostrare i segnali della propria decadenza (4). Ma questa è solo l’immagine esotica della Repubblica Popolare.
“Diritti umani” finti o reali ?
Il bilancio della Rivoluzione cinese è di ben altro spessore e non teme confronti proprio a partire dai tanto evocati “diritti umani”. Il più importante di questi diritti, quello del cibo, è stato risolto da alcuni decenni in una nazione che prima della liberazione era devastata da micidiali carestie: “Le razioni alimentari procapite sono più alte in Cina che negli Stati Uniti” ricordava già 10 anni fa, il 29/12/1999 su La Stampa di Torino, Neal D. Barnard. Ma anche gli altri “diritti umani”, istruzione, lavoro, sanità, casa, sono in espansione assai più rapida di quanto lo siano in altri Paesi di capitalismo globalizzato. Mentre nel resto del mondo la distanza tra ricchi e poveri è in continua, scandalosa crescita, in Cina la tendenza è di segno contrario: nel rapporto con i più ricchi i poveri diventano sempre meno poveri. A fare la differenza è ancora una volta il colore rosso del potere politico. Se è vero che il comunismo, inteso come “sistema”, non è ancora nato in nessun paese al mondo, Cina inclusa, il partito politico al potere a Pechino sta dimostrando di saper fare egregiamente il suo lavoro in questa fase di transizione senza perdere di vista il punto d’approdo finale. Con buona pace di coloro che si autoconsolano all’idea che il comunismo in tutte le sue versioni sia morto e seppellito.
Come evolve la competizione Cina – USA.
Senza tediare chi legge con cifre e statistiche rintracciabili ovunque (persino nei santuari del capitalismo globale, BM e FMI) ci limitiamo a ricordare ciò che scrivono oggi certi sostenitori della bizzarra tesi che il comunismo sia defunto, ora che la Cina, col mondo in piena crisi recessiva, è più che mai la locomotiva trainante dell’economia mondiale: “Obama studia il modello cinese (…) La Cina è l’unica grande economia mondiale che può vantarsi di avere evitato il contagio della recessione (…) A fine anno il suo PIL aumenterà del 7,9%. Un exploit che sembrava impossibile. (…) Questa divaricazione (con l’Occidente) si spiega con la diversa natura del sistema cinese. Economia mista con tanto mercato e tanto Stato. (…) Nella gara sulla modernità delle infrastrutture, è l’America che arranca con anni di ritardo dietro la Cina” (5). Da un quadro del genere risulta chiaro su quale terreno Cina e Stati Uniti si affrontino nella sempre più serrata competizione economica-finanziaria, politica e militare. Per gli Stati Uniti d’America la coppia capitale finanziario-cannoniere rimane l’inseparabile opzione di sempre e poggia su un bilancio militare di oltre 600 miliardi di dollari, su centinaia di basi militari sparse su gran parte del pianeta e sui B52 sempre pronti al decollo per esportare ovunque la “democrazia” modello Bagdad e Kabul. Si chiamava e si chiama imperialismo. La Cina, viceversa, pur non rinunciando con mezzi adeguati alla sua difesa, si afferma invece, sui mercati e in politica estera, utilizzando un ben altro “arsenale”, quello finanziario e industriale. Nessun soldato cinese ha mai varcato le frontiere del paese. Le sue armi offensive sono: i prezzi competitivi e gli standard tecnologici dei suoi prodotti con cui “bombarda” e conquista i ricchi mercati del Nord; il libretto degli assegni con cui la Bank of China elargisce prestiti ai paesi in via di sviluppo, con tassi di interesse vicini allo zero; l’esercito di tecnici e operai che edificano modernissime infrastrutture in Africa, Asia e America latina. A giudicare dai risultati devono essere proprio queste le armi che fanno più paura all’imperialismo.
Note:
(1) “Storia della Cina contemporanea” a cura del collettivo dell’Accademia politico-militare di Tung-Pei. Editori Riuniti, 1955.
(2) “Anche i critici più severi devono riconoscere che la Lunga Marcia diede un contributo essenziale contro l’invasione imperialista, contro i residui feudali, per la costruzione di uno Stato moderno nella più grande nazione del pianeta. Ebbe una grande influenza su tutti i popoli del Terzo mondo nella decolonizzazione del pianeta. F.Rampini, La Repubblica, 16 ottobre 2004.
(3) Samir Amin : Il socialismo di mercato in Cina. La rivista del manifesto, gennaio 2001.
(4) “Oggi lasciare Pechino e arrivare a New York è un po’ come fare un salto nel passato. Parti da un aeroporto che forse è il più bello e moderno del mondo (…) una vetrina luccicante di modernità, pulizia, efficienza e cortesia. (…) Già a bordo del volo Continental CO88 Pechino-New York sei subito confrontato con i segnali fisici della decadenza americana: gli aerei sempre più vecchi e sporchi, il servizio penoso, un’aria di trasandatezza che contrasta con l’attenzione al consumatore-passeggero delle compagnie asiatiche. L’arrivo avviene allo scalo di Newark, che è pur sempre meglio del caotico JFK, eppure anche lì il primo contatto è con il “vecchiume” dell’America: tutto é antiquato, talvolta lercio, talaltra cade a pezzi. Se prendi il taxi per andare in città, è il decadimento della rete stradale-autostradale che ti colpisce rispetto alla Cina. In fatto di infrastrutture la Cina non sta solo vincendo la gara con l’India: per ora ha stravinto anche la sfida con l’America” F.Rampini, La Repubblica delle donne, - Pensieri in trasloco - 29 agosto 2009.
(5) La Repubblica, F.Rampini – Obama studia il modello cinese – 27 luglio 2009