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Lo sciopero del 14 Luglio

Pietro Secchia | Secchia, Lo sciopero del 14 Luglio, CDS, Roma, 1948

16/07/1948

A 70 anni dall'evento, riproponiamo. Resistenze.org

Indice

L'attentato e lo sciopero generale
Esperienze di un grande sciopero
L'unità della classe operaia e le sue alleanze
Considerazioni conclusive
Documenti

L'attentato e lo sciopero generale

Il 14 Luglio 1948 alle ore 11,40 venivano sparati a tradimento contro Palmiro Togliatti quattro colpi di rivoltella che lo ferivano mortalmente.
Sulla soglia di Montecitorio sotto gli occhi "imparziali" della polizia, il delinquente aveva potuto compiere indisturbato il brigantesco attentato.
Chi ha armato la mano di Pallante? A questa domanda il governo De Gasperi non ha voluto e non vuole rispondere. Tanto Pallante quanto gli assassini degli organizzatori sindacali e dei lavoratori comunisti vengono definiti dei pazzi, isolati, senza complici. Nessuna indagine, nessuna ricerca di responsabilità. Nessuno è stato chiamato a rendere conto di quanto era avvenuto sotto gli occhi della polizia. Non il ministro degli interni, non il capo della polizia, non il questore, nessuno!

Questo atteggiamento è di per se stesso una confessione di responsabilità.
Gli assassini di Antonio Gramsci sono gli stessi che hanno armato la mano di colui che tentò di uccidere Palmiro Togliatti.

Oggi come ieri si tratta di settari al servizio di chi vuole eternare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, di chi vuole ricacciare il genere umano in un nuovo e più barbaro medioevo.
Si tratta di banditi al servizio dello straniero, ieri tedesco, oggi dell'imperialismo americano, che vorrebbe trasformare la nostra terra in campi di battaglia di sangue e di rovine.

Il nemico sa che sino a quando Palmiro Togliatti guiderà la lotta del Partito Comunista e delle forze democratiche, l'Italia non diventerà mai una colonia americana, che l'Italia non diventerà mai il deposito delle bombe atomiche e la base militare di eserciti imperialistici.

«Il nostro dovere oggi (aveva gridato il compagno Togliatti nel suo discorso al Parlamento qualche giorno prima dell'attentato) è quello di chiamare il popolo italiano a combattere per la pace d'Italia, d'Europa e del mondo intero».
Egli aveva innalzata, in quel suo magnifico discorso, più alta che mai la bandiera della pace, della libertà, dell'indipendenza nazionale.
La sua voce fu udita da tutti gli italiani e dagli stranieri, dagli amici e dai nemici. Questi ultimi vollero far tacere quella voce, far cessare di funzionare quel cervello, sopprimere quella forza geniale che è garanzia di pace e democrazia.

Quei quattro colpi di pistola furono uditi da tutto il Paese. Furono un segnale di allarme. Un nome solo corse di bocca in bocca in Italia e fuori d'Italia, Jaurès.
La tragica notizia corse di bocca in bocca, fu trasmessa dal telegrafo, volò sulle onde della radio, in pochi minuti fu conosciuta da un capo all'altro d'Italia.
Il rumore operoso delle grandi città cessò di colpo.
Solo gli urli delle sirene chiamarono a raccolta gli operai e i lavoratori tutti. I contadini abbandonarono le falci e le trebbiatrici, gli impiegati, i tecnici, i commessi, gli uffici pubblici e privati. I treni, i tram gli autotrasporti si fermarono. I possenti motori restarono senza vita. I porti deserti, sulle banchine le merci rimasero a mezz'aria, appese alle gru; guardanti dall'alto la vita del lavoro che si spegneva.

Sulle strade delle campagne e delle città marciavano le folle dei lavoratori verso le Camere del Lavoro, verso le sedi del Partito Comunista, verso le loro Associazioni, per unirsi, per conoscere, per sapere.
Prima: costernazione, dolore, ansia. Poi: sdegno, incontenibile e rinnovato proposito di lotta.
Tutto il mal contento contro la politica di odio e di divisione praticata dal governo, tutto lo sdegno per la truffa del 18 aprile, per gli arbitrii e le violenze organizzate dal ministro di polizia, tutta la ribellione per la politica reazionaria e antinazionale delle classi dirigenti esplodevano con impeto.
Tutto il paese colpito, commosso si muoveva.

A Torino: già prima delle ore 14 tutti i tram erano rientrati in rimessa, i negozi avevano chiuso le saracinesche, le fabbriche grandi e piccole, erano ferme e presidiate dagli operai. Nella notte dal mercoledì al giovedì, l'on. Scelba impartì l'ordine di attaccare con le armi la Fiat col pretesto di "liberare" il prof. Valletta, presidente del consiglio di amministrazione della Fiat, il quale però in seguito dichiarò - smentendo l'On. Scelba - di essere rimasto alla Mirafiori di sua volontà. Ad ogni modo, nella notte dal mercoledì al giovedì, l'ordine insensato e provocatorio del ministro degli Interni trovò titubanti le autorità torinesi e non venne eseguito né allora né dopo.

A Milano: alle 13,30 il lavoro cessava spontaneamente in tutte le aziende e negli uffici. Le fabbriche venivano presidiate dagli operai. Due ore dopo l'attentato lo sciopero si era esteso a tutta la provincia. Alle ore 16,00 i tram cittadini e provinciali avevano cessato di circolare. I teatri, i cinematografi e i negozi chiudevano. Mentre centinaia di migliaia di lavoratori si riversavano verso la piazza del Duomo per partecipare al grande comizio di protesta, i grossi papaveri dell'industria facevano a gara a chi fuggiva più in fretta. Le autostrade e tutte le strade che conducono ai monti delle vicine province di Novara, Varese, Como, Sondrio e Bergamo e specialmente quelle in direzione della vicina Svizzera erano percorse da centinaia di macchine cariche di valigie, bauli, materassi, ecc.. In quattro ore la città si era vuotata di questi vampiri i quali poi per giustificare la loro paura e la loro fuga hanno messo in circolazione la storiella che lo sciopero aveva carattere insurrezionale.

A Genova: non appena gli operai e la popolazione appresero la notizia dell'attentato contro il compagno Togliatti le fabbriche si fermarono, i negozi si chiusero, i tramvai cessarono di circolare, il porto si arrestò. Le strade furono invase da interminabili cortei di lavoratori, di donne casalinghe, di studenti, di professionisti, di commessi, che si avviarono verso il centro per il grande comizio che si tenne alle ore 16,00 in piazza De Ferrari.
Sin dal primo momento l'avversario manifestò le sue intenzioni provocatorie. Sei autoblinde della polizia si presentarono sulla piazza dove centoventimila lavoratori si radunavano pacificamente per ascoltare la voce dei loro dirigenti. Le sei autoblinde furono sommerse dalla marea della folla e immobilizzate prima che potessero far uso delle armi, il che evitò una tragedia che qualcuno voleva provocare. Si ebbero in ogni parte della città episodi di fraternizzazione fra le masse popolari e reparti delle forze armate.

A Venezia: in tutte le località del Veneto, nelle province di Venezia, Padova, Rovigo, Vicenza, Verona, Pordenone, Udine, Treviso esplose il risentimento di larghissime masse popolari che abbandonarono il lavoro e organizzarono in ogni località forti manifestazioni di protesta.
A Venezia lo sciopero fu totale in città e in provincia. Le fabbriche e gli stabilimenti vennero presidiati dagli operai.

A Udine: lo sciopero assunse uno slancio tale che non solo le masse popolari ma tutti i partiti e i movimenti democratici ritrovarono lo stesso spirito unitario e di lotta che li animava nell'aprile-maggio 1945.

A Rovigo: nelle prime ore del pomeriggio affluirono in città da tutti i centri della provincia, masse di contadini e lavoratori che avevano abbandonato i campi. Il comizio che si tenne il giorno 15 a Rovigo fu di una imponenza senza precedenti.

A Bologna: il lavoro cessò ovunque alle ore 13,00 appena la radio diffuse la notizia dell'attentato al compagno Togliatti. La quasi totalità degli ex gerarchi repubblichini, degli agrari e degli industriali si rese irreperibile sin dal primo annuncio dell'attentato. Parecchie fabbriche vennero presidiate dagli operai.
Lo sciopero è stato totale anche in provincia. Le masse lavoratrici bolognesi dimostrarono grande disciplina, sensibilità politica e combattività.
Nella provincia di Reggio Emilia centoottantamila lavoratori parteciparono attivamente allo sciopero, ma si può dire che tutta la popolazione partecipò al movimento di protesta.

A Firenze: la notizia dell'attentato al compagno Togliatti fu conosciuta alle ore 12,10 a mezzo dell'ANSA. Alle ore 14,00 tutta la provincia era già completamente ferma. Tutte le categorie di lavoratori avevano abbandonato il lavoro. Alle 15 già si vendeva l'edizione straordinaria del quotidiano «Toscana Nuova».
Lo sciopero dei giorni 14, 15 e 16 fu di tale tempestività, ampiezza e profondità da sorpassare di gran lunga tutti i precedenti.
Lo sciopero mise in movimento tutte le categorie lavoratrici: operai, impiegati, contadini, artigiani, commercianti, ecc. In ogni Comune anche laddove (Marradi, Palazzuolo, Londa, Regello, Carmignano) le forze e le influenze del Partito sono più limitate esso riuscì perfettamente.

A Siena: i primi a scioperare furono gli operai delle officine Tortorella, Lolini e Muzzi, delle fornaci di laterizi di Val di Chiana, i minatori dell'Amiata, gli operai delle officine di Colle  d'EIsa e di Poggibonsi, i metallurgici, i fornaciai, i vetrai, i minatori e i lanieri. I ferrovieri cessarono pure il lavoro alle ore 14. Gli altri operai, i mezzadri, i braccianti e gli artigiani cessarono il lavoro nel corso del pomeriggio del 14 man mano che venivano a conoscenza dell'attentato.
In tutta la provincia comprese le zone politicamente meno influenzate da noi come il Chianti, Cetona e Radicofani, al giungere della notizia la vita si arrestava nei campi e nei villaggi.

A Roma: dopo appena tre quarti d'ora dall'attentato il lavoro veniva sospeso nelle aziende industriali, nei trasporti tranviari, nei negozi, negli uffici pubblici. Nel pomeriggio lo sciopero generale si estese alle ferrovie e alle aziende del gas. Nelle aziende elettriche si ebbe la sospensione della corrente sino alle ore 20.
Masse di decine di migliaia di scioperanti nelle prime ore del pomeriggio affluirono nelle vie del centro e specialmente in piazza Colonna. Numerose manifestazioni avevano luogo anche negli altri quartieri della città. Pure nella provincia lo sciopero assunse ovunque una ampiezza e un carattere popolare e totale. Forte lo spirito di lotta e di combattività dei lavoratori.
Nell'Agro Romano lo sciopero è stato completo.

Nelle Marche: immediato lo sciopero generale nelle province di Ancona, Pesaro, Macerata, Ascoli Piceno. Nelle prime ore del pomeriggio avevano luogo grandi manifestazioni di protesta in tutte le località delle quattro province e particolarmente nei capoluoghi e a Porta Civitanova, a Porto San Giorgio, a Tolentino, a Fano, a Urbino a Jesi, a Fabriano, a Senigallia.

Nell'Umbria: lo sciopero fu imponente tanto negli stabilimenti di Terni quanto nelle fabbriche di Spoleto, presidiate dagli operai. Lo sciopero dei contadini si estese in tutte le zone. I negozi e gli uffici chiusi. Uno sciopero così compatto non si era mai visto nel passato, neppure nel lontano 1919

Nell'Abruzzo: per la prima volta queste terre videro un movimento così esteso di lavoratori, una manifestazione di protesta alla quale la popolazione così largamente partecipò.
Lo sciopero fu totale ad Avezzano ed in molti centri della Marsica.
L'Associazione Combattenti aderì allo sciopero

A Potenza: alla manifestazione di protesta la cittadinanza partecipò in misura superiore a qualsiasi precedente manifestazione. Largamente rappresentato il ceto medio cittadino che costituisce la maggioranza della popolazione del capoluogo.

A Napoli: poche ore dopo l'attentato la vita normale della città e della provincia era paralizzata. Migliaia di lavoratori abbandonavano il lavoro e si riversavano verso la sede della Camera del Lavoro e del Partito Comunista per chiedere la proclamazione ufficiale dello sciopero generale. In poco tempo malgrado la paralisi dei mezzi di trasporto, migliaia e migliaia di persone si trovavano davanti alla Camera del Lavoro ove aveva luogo un grande comizio. È a questo punto (terminato il comizio, mentre la massa dei lavoratori si avviava alle sedi delle organizzazioni sindacali e politiche) che in piazza Dante avveniva la seconda grave provocazione della polizia. La "Celere" che già aveva caricato la folla sotto la sede della Federazione Comunista attaccava di nuovo i lavoratori dando luogo ad un conflitto nel quale cadevano due compagni studenti: Quinto e Fischetti.
L'uccisione dei due compagni non smorzava lo slancio degli operai. L'estensione dello sciopero nella città e nella provincia assunse proporzioni mai raggiunte a Napoli . Anche in piccolissimi paesi delle zone contadine più interne e della costiera sorrentina arrivò l'ondata dello sciopero (Pompei, Capri, Scisciano, ecc.)

Nelle Puglie: in tutti i centri agricoli delle Puglie e nelle città lo sciopero generale venne realizzato nelle prime ore del pomeriggio. Le masse dei lavoratori dei campi affluivano dai borghi nelle città con tutti i mezzi di fortuna. Bari, Foggia, Brindisi, Lecce, Cerignola, Gravina, Barletta manifestarono fortemente il loro sdegno per il vile attentato.

A Taranto: mentre gli operai abbandonati i Cantieri Navali e gli stabilimenti affluivano verso la camera del Lavoro vennero attaccati dalla polizia. Nel conflitto che ne seguì caddero un compagno socialista e un agente di polizia.
Il segretario democristiano della Camera del lavoro di Taranto aderì in pieno allo sciopero generale e a tutte lemanifestazioni di protesta.
Venne indirizzato alla cittadinanza un manifesto firmato dal Partito Comunista, dal Partito Socialista, dai partiti Saragattiano e Repubblicano nel quale si stigmatizzava il crimine, si chiedeva una severa inchiesta, l'accertamento delle responsabilità e la punizione dei responsabili dell'attentato e di coloro che avevano provocato i luttuosi incidenti.

Nelle Calabrie: a Reggio Calabria, a Cosenza, a Catanzaro, a Crotone e negli altri centri minori il lavoro fu immediatamente interrotto nelle officine, nei cantieri, nelle ferrovie, nei negozi man man che con la rapidità del vento si diffondeva la notizia dell'attentato al compagno Togliatti.
Nella stessa sera del 14 furono tenuti molti comizi di protesta la cui imponenza era superiore a quella delle più grandi manifestazioni elettorali. Tutti gli strati della popolazione vi partecipavano. Nello sciopero si distinsero particolarmente per slancio e compattezza i ferrovieri, gli edili, i metallurgici.

A Palermo: non appena la radio annunciò l'attentato contro il compagno Togliatti, tutte le fabbriche metallurgiche della città, i cantieri navali, l'Aeronautica Sicula, l'Onsa, la Panzeri e le altre minori, cessarono immediatamente il lavoro. Nel pomeriggio sospesero il lavoro i servizi pubblici cittadini mentre i negozi chiudevano.
All'indomani lo sciopero era totale in tutta la città.

A Cagliari: i primi a scioperare furono i portuali, i salinieri, gli edili e i lavorai delle piccole e medie officine. Alle ore 17 la Camera del Lavoro proclamava ufficialmente lo sciopero e il movimento si estendeva così a tutte le altre categorie di lavoratori e a tutta la provincia.

A Nuoro: allo sciopero parteciparono pure i dipendenti degli enti militarizzati come la Direzione di artiglieria. In provincia lo sciopero ebbe luogo nei cantieri dell'alto Flumendosa, nelle miniere di Talco Galisai e in molti centri agricoli.

* * *

Queste scheletriche notizie siriferiscono solo ai capoluoghi di regione: ci è impossibile riferire seppure succintamente il notiziario dello sciopero estesosi a tutti i centri agricoli italiani.
Di città in città, di valle in valle, da Aosta a Trapani, da Biella a Foggia, da Alessandria a Campobasso, da Modena a Catanzaro, dai centri agricoli dell'Emilia e della Toscana a quelli della Lucania sino ai più sperduti paesi di montagna, le sirene e i fischi dei treni urlarono la dolorosa notizia, chiamarono a raccolta milioni di uomini semplici, di giovani, di donne, di contadini, di impiegati, colpiti in ciò che essi avevano di più caro. Li chiamarono a manifestare la loro indignazione al grido di "via il governo della discordia, della fame e della guerra". Questo grido esprimeva la coscienza della gravita di quanto era avvenuto e la volontà insopprimibile degli italiani di lottare per dare all'Italia un governo veramente democratico che sappia garantire la libertà, difendere la Costituzione repubblicana, la pace e l'indipendenza del Paese.

Quando alle ore 12 precise del 16 Luglio, come da disposizione della Confederazione Generale del Lavoro lo sciopero cessò e disciplinati milioni e milioni di lavoratori ripresero la loro attività, tutti avevano avuto la dimostrazione della possenza delle forze del lavoro e della democrazia in Italia.
Tutti avevano avuto la prova della forza della coscienza e del senso di responsabilità del Partito Comunista.

La vita di Palmiro Togliatti era fuori pericolo. Il disegno dei nemici del popolo era fallito. Da tutte le parti del mondo continuavano a giungere messaggi di indignazione degli uomini liberi.
Gli operai, i contadini, gli intellettuali d'avanguardia di tutti i paesi avevano sentito la lotta dei lavoratori italiani come una propria lotta.
Lo sciopero generale aveva segnato l'inizio di una nuova grande battaglia per la pace e la libertà.

Esperienze di un grande sciopero.

I. Una grande battaglia.

Nella storia del movimento operaio italiano non c'è mai stato uno sciopero generale così spontaneo così compatto, così esteso come quello del 14-16 luglio 1948.
Sono stati ricordati nei giorni passati, altri scioperi generali: quello del 1900, del 1904 , del 1914. Ma lo sciopero di Genova del 1900 fu si generale, ma limitato a quella provincia, quello del 1904 fu proclamato per tutta Italia, ma riuscì solo in alcuni grandi centri industriali. Lo sciopero generale, così detto della "settimana rossa" del 1914, per quanto abbia toccato molte località della Penisola, ebbe il suo epicentro nelle Romagne e nelle Marche e, comunque, occorre tener conto che quel movimento fu preparato da due anni di lavoro organizzativo e di scioperi parziali. Se guardiamo agli stessi scioperi generali del 1919, 1920 non ne troviamo nessuno che per ampiezza, slancio e spontaneità eguagli quello del 14-16 luglio 1948.

Ne tanto meno può farsi un confronto con lo sciopero generale dell'Italia del Nord del marzo 1944, il quale pur essendo stato il più grande movimento di massa che si sia avuto durante l'ultima guerra nei paesi occupati dai nazisti, abbracciò solo le regioni dell'Italia del Nord e riuscì in pieno solo a Milano, a Torino, a Bologna, a Firenze e parzialmente nelle altre province.

Occorre soprattutto tener conto che lo sciopero generale del 14-16 luglio non fu preparato, non fu preceduto da alcun lavoro di organizzazione.
Fu lo scoppio immediato, spontaneo e unanime dello sdegno popolare contro i responsabili, diretti e indiretti della politica di odio, di provocazione e di violenza che il Governo democristiano va conducendo. Politica che ha portato all'attentato criminoso contro il compagno Togliatti e che minaccia di trascinare il Paese a nuove avventure imperialiste e alla guerra civile.

Per questo è giusto dire che lo sciopero generale del 14 luglio è stato il più imponente, il più spontaneo e il più forte che la storia del movimento operaio italiano ricordi. Fu il primo sciopero generale al quale parteciparono compatte tutte le categorie di lavoratori compresi i ferrovieri e i postelegrafonici, compresi i negozianti, i bottegai, commercianti, artigiani, ecc.
Per queste sue caratteristiche lo sciopero generale del 14 luglio, acquista nel quadro della situazione politica nazionale e internazionale il valore di una grande battaglia data in difesa della democrazia e della pace.
L'importanza nazionale e internazionale di questo grandioso movimento al quale hanno partecipato tutte le forze vitali del Paese, dev'essere giudicata soprattutto in rapporto alle lotte di domani.
Esso indica la strada da seguire, la strada della lotta, nel momento in cui si annunciano nell'Italia e nel mondo dure battaglie per la difesa della pace, del pane e della libertà.
Lo sciopero generale del 14-16 luglio è stato un colpo inferto alle forze della guerra. Di qui la sua importanza internazionale.

Gli imperialisti d'oltre oceano hanno "sentito" che essi non potranno facilmente fare dell'Italia una loro colonia, e che il popolo italiano non si lascerà facilmente trascinare alla guerra per servire gli interessi del grande capitalismo italiano e straniero.
La miserevole polemica ora melliflua, ora minacciosa degli uomini del governo democristiano e della stampa da essi pagata, non riesce a mascherare la loro rabbia, il loro furore per l'ampiezza del movimento che ha dimostrato da quale parte sia il popolo italiano. L'ampiezza di questo sciopero generale ha dimostrato meglio di cento discorsi parlamentari, meglio di qualsiasi inchiesta, che le elezioni del 18 aprile sono il risultato di brogli, della corruzione, del terrorismo politico e religioso, dell'intervento straniero.

Lo sciopero generale del 14 luglio ha dato la prova più schiacciante che la maggioranza carpita dalla Democrazia Cristiana il 18 aprile non rispecchia la volontà del Paese, non rappresenta le forze vitali della Nazione.
Ha dimostrato soprattutto che dietro agli otto milioni che hanno votato per il Fronte Democratico popolare, vi sono altri milioni di lavoratori italiani i quali, qualunque sia stato il loro voto il 18 aprile, sono decisi a lottare per difendere la pace, la libertà e l'indipendenza del nostro Paese.

Tutto questo premesso, noi dobbiamo ricavare ora da questo grande movimento le esperienze e gli insegnamenti per l'avvenire. E ancora presto per delle conclusioni definitive. Lo studio del modo come in ogni centro industriale e agricolo lo sciopero sì è sviluppato ed è stato diretto deve essere condotto località per località, da ogni singola organizzazione. Deve essere uno studio attento serio, collettivo. Si tratta di raccogliere dei dati sicuri, obbiettivi e non solo "impressioni", si tratta di lavorare sui fatti e non sui "si dice" e sulla fantasia. Si tratta di raccogliere il giudizio e le esperienze non solo di una parte della classe operaia, sia pure la più avanzata, ma di tutte le categorie, di tutti gli strati di lavoratori.
Esaminare pezzo per pezzo gli ingranaggi delle nostre organizzazioni come hanno funzionato durante lo sciopero e cioè come gli organismi di Partito e di massa hanno orientato o diretto il movimento . Quali forme di lotta e di protesta si sono dimostrate essere le più efficaci e quindi le più giuste, quali invece quelle che avrebbero potuto snaturare il movimento, imprimergli il carattere di "avventura".

Si tratta di rilevare le nostre deficienze, i nostri punti deboli per porvi riparo al più presto.
Queste nostre osservazioni non vogliono essere che prime considerazioni preliminari ad un esame, a uno studio serio e approfondito che dev'essere continuato da tutto il Partito.
Perché non dobbiamo neppure in questo campo abbandonarci alla spontaneità e alla improvvisazione. Non siamo dei mestieranti, né dei dilettanti di politica. Nostro compito è quello di fare tutto quanto sta in noi per guidare con successo le lotte dei lavoratori contro i loro oppressori.

L'organizzazione è cosa viva, fondata sulla divisione delle funzioni e ha organi prensili e centri nervosi per l'inibizione, per la previsione e per il calcolo. La lotta operaia è fatta di difensiva e di offensiva, di prudenza e di audacia, di rapidi attacchi e di accorgimenti sagaci, di pazienza e di risolutezza. Dev'essere il frutto dello studio generale e locale e che non piove "bell'e fatto dal cielo".

II. Sciopero generale e insurrezione.

Lo sciopero generale politico di protesta del 14 luglio è stato così spontaneo, deciso e imponente che gli uomini del governo nero lo hanno scambiato, od hanno finto di scambiarlo per un movimento insurrezionale
De Gasperi e Scelba accusano i comunisti di aver voluto fare l'insurrezione e di non esserci riusciti , di avere rivelato i loro piani innanzi tempo e così via.
Se costoro non fossero in mala fede, se non si trattasse di una volgare manovra provocatoria, noi dovremmo dire a questi signori che essi sono politicamente così ignoranti da non saper neppure scorgere la differenza che passa tra uno sciopero generale politico e l'insurrezione. Né De Gasperi, né Scelba, né alcuno dei loro tirapiedi sono stati capaci di trovare negli appelli lanciati dal Partito e dalla Confederazione Generale del Lavoro, subito dopo l'attentato al compagno Togliatti, una sola parola che suonasse appello all'insurrezione o che desse alla lotta l'obbiettivo insurrezionale.

Qualcuno ha detto «ma voi avete scritto in testa giornali: "dimissioni del governo"!». Verissimo, ma che questa è un'altra dimostrazione che non si trattava di un movimento insurrezionale.
C'è forse nella storia un solo movimento insurrezionale cominciato col chiedere le dimissioni del governo, e con la presentazione al Parlamento di una mozione di sfiducia?
Si sono mai viste delle insurrezioni divampare mentre le due Camere continuano tranquillamente i loro lavori con la partecipazione dell'opposizione e di coloro che dovrebbero essere i dirigenti dell'insurrezione?

Il compagno Togliatti ha avuto occasione di spiegare ripetutamente e l'ultima volta alla Camera nel suo discorso del 10 luglio che «quando un Partito Comunista ritiene che le circostanze oggettive e soggettive pongono all'ordine del giorno la necessità per le forze popolari avanzanti di prendere il potere con le armi, cioè con una insurrezione, esso proclama questa necessità, lo dice apertamente. Così fecero i bolscevici nel 1917 e marciarono alla insurrezione a vele spiegate, così abbiamo fatto noi comunisti italiani a partire dal settembre 1943, senza nascondere a nessuno la via che avevamo presa e proponevamo al popolo».

«Non si portano - ha detto giustamente il compagno Longo nel forte discorso alla Camera - milioni di uomini alla battagli e alla vittoria con circolari segrete e ridicoli piani K». Per mobilitare e portare alla lotta armata milioni e milioni di uomini, anche quando le circostanze oggettive e soggettive pongono all'ordine del giorno tale necessità, occorre che l'appello alle armi sia lanciato apertamente a tutto il popolo.

Orbene, nell'appello lanciato dal Partito il 14 Luglio non c'è una sola parola che inviti gli operai, i contadini, i lavoratori a prendere le armi. Facciamo un solo confronto con un'altra data, presa dalla storia più recente del nostro paese: l'aprile del 1945. Il 10 aprile 1945, cioè 15 giorni prima della Liberazione dell'Italia del nord, il Partito Comunista italiano lanciava un manifesto, diffuso con tutti i mezzi a centinaia di migliaia di copie, col quale chiamava apertamente i lavoratori, i partigiani e il popolo italiano a insorgere.

Ecco alcuni brani di quello storico manifesto:
«È giunta l'ora dell'offensiva generale su tutto il fronte. Con lo sciopero generale ed insurrezionale e con l'azione armata bisogna attaccare e sconvolgere le retrovie del nemico in ritirata. Operai, tecnici, impiegati: scioperate, cacciate dalle fabbriche i tedeschi e i fascisti. Fate di ogni fabbrica un fortilizio della Patria. Arruolatevi in massa nelle Squadre d'Azione Patriottica: armatevi disarmando il nemico.
Chi ha un'arma combatta chi non ce l'ha se la procuri. Dalle vallate alpine alle campagne della valle Padana, dal più piccolo villaggio alla grande città, risuoni un grido solo: alle armi al combattimento per la salvezza e la libertà della Patria».

E più oltre il manifesto continua rivolgendosi ai giovani:
«Gioventù eroica delle montagne e delle città, partigiani, gappisti, sappisti: attaccate su tutto il fronte. Ponete ai tedeschi e ai fascisti il dilemma: arrendersi o perire. Spezzate con la forza del vostro braccio armato l'apparato di oppressione fascista.
Viva lo sciopero generale insurrezionale! Viva l'insurrezione nazionale popolare! Cacciate fuori dal l'Italia l'odiato tedesco». (Vedi "Nostra Lotta" del 10 aprile 1945).

Questo appello lanciato apertamente a tutto il popolo era naturalmente accompagnato da direttive politiche ed organizzative a tutti i Comandi Partigiani, a tutti i Comandi Gap e Sap, a tutte le organizzazioni del Partito.

Orbene, i manifesti lanciati dal Partito e dalla Confederazione del Lavoro il 14 luglio 1948 hanno tutt'altro carattere. In essi non si chiama il popolo alle armi, in essi non si parla di sciopero insurrezionale, in essi non si invitano i cittadini ad armarsi disarmando il nemico, in essi non si dice di occupare gli edifici pubblici, le ferrovie, la radio, le centrali telefoniche, le caserme, i campi di aviazione, ecc. Nulla di tutto questo.
Nel manifesto lanciato dal Partito il 14 Luglio si dice: «Si levi in tutto il Paese la indignata protesta dei lavoratori e di tutti gli uomini liberi».

È chiaro dunque che si trattava di uno sciopero generale politico di protesta. L'On. Scelba -bontà sua - ha riconosciuto che dall'alto non sono partiti ordini insurrezionali, ma che il movimento insurrezionale stava sviluppando dal basso sulla base di piani prestabiliti, ecc. ecc..
Questa ridicola concezione di una insurrezione che si sviluppa sulla base di piani prestabiliti chissà quando, un anno o due prima, in condizioni del tutto diverse partendo da uno sciopero generale di protesta, il quale dovrebbe svilupparsi gradatamente sino a sboccare nella lotta armata insurrezionale, è semplicemente ridicola, assurda e degna della mentalità dell'On. Scelba!
Un movimento insurrezionale per essere vittorioso deve tra l'altro (si tratta dell'a.b.c.) contare sul massimo slancio iniziale, deve immobilizzare sin dal primo momento il Governo ed i suoi organi, sin dalle prime ore non deve dargli la possibilità di orientarsi e di prendere fiato, deve infliggere al nemico i colpi più forti fin dalle prime ore.

Vi è qualcuno che può pensare seriamente che (con la grande e recente esperienza che noi abbiamo dalla guerra di liberazione e dalla insurrezione nazionale contro i tedeschi e i fascisti) se ci fossimo trovati nella necessità e nelle condizioni di dover guidare una insurrezione vittoriosa, avremmo prima proclamato uno sciopero generale di protesta per poi passare dopo un giorno o due a delle forme di lotta più acute, per scatenare infine, come atto finale - proprio come al teatro - l'insurrezione? Si può cioè seriamente pensare che noi avremmo eseguito una tattica così idiota e tale da dare la possibilità tempo al governo di spostare le sue forze, di prendere tutte le misure atte a reprimere e a battere le forze popolari prima ancora che queste avessero iniziato la lotta decisiva?

Troppo lungo, seppure non inutile sarebbe ripetere qui le note tesi di Marx e di Lenin sull'insurrezione, nonché i problemi di strategia e di tattica sviluppati dal compagno Stalin nelle "Questioni del Leninismo".

La questione è importante perché il tentativo provocatorio del governo di attribuire allo sciopero generale politico un carattere insurrezionale non solo può far cadere in certi momenti in errori di valutazione anche alcuni strati di operai ma serve a De Gasperi e compari per creare un'atmosfera più favorevole al varo delle leggi reazionarie e fasciste contro gli scioperi.

Difatti gli on. De Gasperi e Scelba sanno molto bene che non sono i comunisti a fabbricare le rivoluzioni, sanno molto bene che nessun uomo, nessun partito per quanto forte può fare le rivoluzioni a piacimento, sanno molto bene che i comunisti non sono degli avventurieri e non considerano l'insurrezione come un giuoco da cospiratori.
Ma i Ministri e i dirigenti della Democrazia Cristiana hanno bisogno di far credere che i comunisti non fanno altro notte e giorno che preparare insurrezioni, armare sommosse, elaborare piani K.
Hanno bisogno di far credere che lo sciopero generale del 14 Luglio ha avuto carattere insurrezionale per poter giustificare i loro propositi e le loro misure contro la libertà di sciopero.
Hanno bisogno di far credere che lo sciopero generale del 14-16 luglio ha avuto carattere insurrezionale per giustificare le migliaia di arresti arbitrari, le violenze della polizia, gli illegalismi del governo, le scandalose circolari segrete dei ministri Scelba e Grassi, le pressioni sulla magistratura. Hanno bisogno di far credere che i comunisti hanno sempre pronti dei piani insurrezionali per poter giustificare le loro sfacciate violazioni della Costituzione repubblicana ai danni della libertà e della democrazia.

Gli on. De Gasperi e Scelba e i loro compari hanno bisogno di far credere che per fare l'insurrezione basta occupare qualche fabbrica, erigere un blocco stradale o manifestare davanti alla caserma dei carabinieri, hanno bisogno di far credere che l'insurrezione è un giuoco che i comunisti possono fare quando vogliono per spingere degli ingenui e degli illusi a atti inconsulti, per potere poi avere il pretesto di scatenare le rappresaglie, la violenza e le persecuzioni contro i lavoratori, contro gli organizzatori sindacali, contro il Partito Comunista e le organizzazioni democratiche.

III. Concezione marxista e illusioni miracolistiche

La scarsa esperienza di questa forma di lotta "dello sciopero generale", dopo 23 anni di dittatura fascista, può aver portato un certo numero di lavoratori a considerare lo sciopero generale come un'arma taumaturgica capace di trasformare di colpo - quasi per effetto magico - una situazione ed i rapporti tra le forze operanti nella situazione stessa.
Sarebbe pure grossolano errore pensare che non vi può essere uno sciopero generale politico vittorioso senza che questo sbocchi, nell'insurrezione.

Lo sciopero generale è uno dei mezzi di lotta più antichi del movimento operaio moderno. Ma col nome di "sciopero generale" si comprendono forme di lotta del tutto diverse. Non vi è cioè un solo tipo di sciopero generale. Vi sono degli scioperi generali a carattere economico-rivendicativo, vi sono degli scioperi generali politici, vi è lo sciopero generale di un'intera categoria di lavoratori e lo sciopero generale di numerose o di tutte le categorie. Vi sono stati nel passato in ogni paese degli scioperi generali nazionali e degli scioperi generali internazionali.

Concepire lo sciopero generale politico come la soluzione magica, come il mezzo per risolvere tutto, per rovesciare un regime, per fare la rivoluzione significa avere dello sciopero generale una concezione utopistica quale avevano sessant'anni or sono gli anarchici i quali pensavano che "uno sciopero generale compatto sarebbe sufficiente a realizzare la rivoluzione socialista". I panettieri, essi dicevano, non fabbricano più il pane, i treni non circolano più, la luce viene a mancare, tutta la vita si ferma: tutto questo crea una situazione catastrofica la cui soluzione non può essere altra che la rivoluzione sociale.

Concezione veramente schematica e semplicista che troviamo ancora ribadita in una risoluzione approvata dal Congresso di Bordeaux dei sindacati francesi nel 1888 nella quale si dice: «Solo lo sciopero generale o la rivoluzione potrà realizzare l'emancipazione della classe operaia».

Di fronte a questa concezione miracolistica sta la concezione marxista dello sciopero generale politico di massa concepito non come il toccasanae la bacchetta magica, ma come una delle forme della lotta di classe come un mezzo di protesta, di lotta o di pressione per ottenere determinati risultati economici o politici.
L'efficacia di quest'arma di lotta è provata dalla storia del movimento proletario, da decenni di lotte e di esperienze non solo dei lavoratori italiani, ma dei lavoratori di tutti i paesi.

Uno sciopero generale politico non dev'essere giudicato dal risaltato immediato o contingente, ma dall'influenza che esso ha avuto nello sviluppo del movimento. Raramente uno sciopero generale politico ha avuto un risultato immediato nel senso di aver soddisfatto ad una rivendicazione concreta (come è il caso per gli scioperi a carattere economico) ma sempre ha rappresentato un grande passo avanti per il movimento proletario e per le forze progressive.
Tutta la storia moderna dei paesi capitalisti e non solo dell'Italia è il risultato delle lotte delle masse lavoratrici guidate dalla classe operaia.

Le riforme politiche e sociali, i miglioramenti economici, le libertà democratiche, gli stessi diritti più elementari dei lavoratori e del cittadino sono stati conquistati per mezzo di grandi lotte, di scioperi parziali, di scioperi generali, anche se il risultato non seguiva immediatamente all'azione. Basti anche in questo caso un esempio. Il grande sciopero generale del marzo 1944 nell'Italia del Nord occupata dai tedeschi fu un serio colpo inferto ai nazifascisti; tuttavia quello sciopero si concluse senza ottenere il riconoscimento di una sola delle rivendicazioni poste dal movimento.
I Tedeschi vollero ostentare una grande forza negando qualsiasi concessione. In realtà dimostrarono di essere deboli.
Se fossero stati forti, se avessero avuto margini di manovra avrebbero fatte alcune, sia pure piccole concessioni economiche ai lavoratori per togliere il carattere politico al movimento e per indurre gli operai a riprendere il lavoro.

Così oggi un governo veramente forte avrebbe preso almeno qualche misura contro il sorgere del banditismo fascista, avrebbe preso qualche misura per dimostrare che la Costituzione democratica e repubblicana e la vita e la libertà dei cittadini sono difese dallo Stato.

Anche nel marzo 1944 per il fatto che lo sciopero generale durato cinque sei giorni si concluse senza un risultato immediato, in certi strati della popolazione vi fu una certa disillusione e qualcuno parlo di sconfitta. Scrivevamo allora sul n. 5-6 di "Nostra Lotta"', marzo 1944:
«... uno dei difetti venuto alla luce nel corso dello sciopero fu l'opinione abbastanza diffusa tra le masse operaie e la popolazione dei grandi centri industriali che lo sciopero generale aveva carattere insurrezionale, che era giunta l'ora di farla finita con i tedeschi e con i fascisti. Non sempre i compagni hanno sufficientemente reagito a queste "aspettative", non sempre si e fatto un necessario lavoro di chiarificazione. Queste idee sbagliate hanno poi creato una certa delusione in quegli strati di operai che avevano creduto che lo sciopero generale dovesse sboccare nell' insurrezione armata».

Anche allora vi fu chi non avendo saputo valutare giustamente il carattere e i limiti dello sciopero generale fu poi al momento della conclusione della lotta disilluso e parlò di sconfitta.
Un anno dopo, il 25 aprile 1945, i tedeschi e i fascisti furono definitivamente battuti e allora risultò chiaro a tutti il grande valore dello sciopero generale del marzo 1944.

L'unità della classe operaia e le sue alleanze

I. Comitati di agitazione


Lo sciopero generale del 14 luglio ha dato magnifica prova dell'unità della classe operaia e dei lavoratori delle campagne. Dappertutto comunisti, socialisti, seguaci dei partiti saragattiano e repubblicano lavoratori democristiani e senza partito hanno aderito senza riserve allo sciopero, anche laddove i dirigenti democristiani cercarono di assumere un atteggiamento di sabotaggio e di opposizione.


Le manovre scissioniste e disgregatrici dei dirigenti democristiani furono travolte dall'ondata di indignazione suscitata dal vile attentato contro Palmiro Togliatti. Milioni di operai, di contadini, di impiegati, di tecnici, di intellettuali sentirono che con Palmiro Togliatti veniva colpito il capo dei lavoratori italiani, sentirono che erano minacciati non solo gli interessi delle classi lavoratrici, ma l'avvenire del popolo italiano e la sua libertà.

Grande prova di unità, di coscienza di classe e di coscienza nazionale hanno dato il 14 luglio i lavoratori.
Ma quest'unità dev'essere assicurata e garantita in ogni momento e specialmente nel corso della lotta con delle misure organizzative. Le intenzioni, i buoni propositi, le parole non sono sufficienti a garantire questa unità dalle manovre scissioniste e provocatorie del nemico.
Orbene, uno dei difetti che in ogni località, salvo qualche eccezione, è stato rilevato è quello che non sono sorti e non sono stati creati nel corso dello sciopero, nelle fabbriche,nelle officine, sui luoghi di lavoro dei Comitati di Agitazione e dei Comitati di sciopero.

Il nome non conta, questi Comitati possono portare il nome dell'obbiettivo per il quale l'agitazione o lo sciopero è in corso, l'importante è che siano espressione di tutta la maestranza della fabbrica, rappresentanti gli operai, le operaie, i giovani, i tecnici, gli impiegati.
I Comitati di agitazione devono rappresentare tutti i lavoratori senza distinzione politica o religiosa, appartenenti a qualsiasi corrente o a nessuna corrente sindacale, aderenti ad un partito e senza partito, organizzati nei sindacati e disorganizzati.

I Comunisti, che sono i primi ad avere piena coscienza dei compiti della classe operaia e delle forze democratiche nell'attuale situazione, devono tendere di fatto in ogni occasione e specialmente durante gli scioperi, durante le agitazioni, nel corso delle lotte a rafforzare, a consolidare con efficaci strumenti organizzativi l'unità degli operai e dei lavoratori sul luogo di lavoro. I comunisti devono cercare la collaborazione attiva di tutti quei lavoratori delle altre correnti politiche e senza partito i quali partecipano allo sciopero, al movimento alle lotte in difesa o di interessi economici o delle libertà democratiche.

La mancanza dei Comitati di agitazione, o comunque di organismi rappresentativi di tutta la massa lavoratrice nel corso di questo sciopero generale, la si è sentita solo relativamente, perché lo sciopero non si è prolungato oltre le 48 ore e perché il movimento era stato provocato da un fatto che toccava, muoveva e commoveva milioni di lavoratori e di lavoratrici.

L'interesse era generale. Ma se noi immaginiamo uno sciopero in condizioni più difficili, uno sciopero che non tocchi nella stessa misura gli interessi e le esigenze di tutte le categorie di lavoratori, o uno sciopero che, in conseguenza della resistenza del nemico e per i suoi obiettivi dovesse prolungarsi per parecchi giorni, è facile pensare che in una simile situazione il conservare l'unità e la compattezza del movimento generale richiederebbe uno sforzo organizzativo. Più la lotta si prolunga e più il nemico ricorre a tutte le armi per incrinare e spezzare l'unità dei lavoratori, per sabotare, per disgregare il movimento. Di qui la necessità dei Comitati di agitazione, dei Comitati di sciopero, che possano parlare a tutti indistintamente i lavoratori, organizzati e disorganizzati, i quali dovrebbero dirigere la lotta, individuare le manovre del nemico sventarle denunciarle, impedire l'organizzazione del crumiraggio, cercare l'adesione al movimento di nuovi strati della popolazione, trovare più larga solidarietà prendere tutte le misure per rafforzare la lotta

Non possiamo abbandonarci alla «spontaneità», non possiamo fidare solo sulla coscienza di classe e necessario che noi in ogni momento garantiamo una efficiente direzione del movimento, e necessario che in ogni momento le masse che partecipano allo sciopero (e non solo la parte più avanzata) si sentano guidate, abbiano chiari gli obbiettivi della lotta, sappiano che cosa devono fare e che cosa non devono fare e abbiano la possibilità di esprimere la loro opinione di partecipare esse stesseall'opera di direzione del movimento.

Si è notato invece talvolta, ed anche nel corso di questo sciopero, la mancanza di una direzione che rappresenti tutti gli scioperanti e i partecipanti alla lotta, e si è notata la tendenza a voler sostituire questa direzione con quella del Partito.
La funzione dirigente del Partito è della massima importanza e non è qui il caso di ripetere cose ovvie. Ma questa funzione il Partito la esercita per mezzo di centinaia di migliaia di comunisti i quali partecipano alacremente all'attività delle organizzazioni di massa, delle organizzazioni sindacali, cooperative sociali, culturali, i quali comunisti vivono in mezzo al popolo, sono col popolo legati da mille fili e dalla vita quotidiana.

Il Partito non deve e non può sostituirsi alle organizzazioni di massa, i comunisti non possono pensare che basta la disposizione, "l'ordine" della Federazione, della sezione o della cellula comunista perché tutti si uniformino a quell'ordine, a quella disposizione.
In certe situazioni neppure la disposizione del sindacato può costituire direttiva sufficiente per tutti i lavoratori. La Confederazione Generale del Lavoro è la grande organizzazione unitaria di tutte le categorie di lavoratori, ma non dobbiamo mai dimenticare che non tutti gli operai, non tutti i lavoratori che partecipano o sono disposti a partecipare ad uno sciopero sono organizzati nei sindacati e nella C.G.I.L..
I comunisti non devono mai dimenticare che essi non sono che una parte dei lavoratori, seppure la avanzata, la più cosciente, che essi devono tener conto della volontà, del grado di coscienza delle masse, che essi non possono sostituire all'attività e alla volontà d masse lavoratrici, meccanicamente le direttive del Partito.

Di qui la necessità che specialmente nel corso di scioperi, delle lotte economiche e politiche le organizzazioni di massa si facciano sentire, abbiano un loro funzionamento, di qui la necessità che nel corso degli scioperi sorgano nei luoghi di lavoro i Comitati di agitazione quali espressione di tutti i lavoratori organizzati e non organizzati. Comitati di agitazione che per tutta la durata dello sciopero devono parlare alle masse, trasmettere le direttive delle organizzazioni sindacali, tenere conto della volontà di masse enormi della popolazione lavoratrice, convincere, persuadere, aiutare i lavoratori a convincersi della giustezza del movimento e dei suoi obbiettivi, della necessità di continuare, di allargare la lotta, di imprimere ad essa maggior forza, oppure della necessità di temporeggiare, di finirla.

II. Il Partito e le organizzazioni di massa

Il Partito, in tutte le sue istanze, è stato durante lo sciopero del 14-16 luglio nel complesso all'altezza del suo compito, ha saputo prendere la direzione e mantenere il controllo del movimento, ha dimostrato di avere coscienza del carattere dello sciopero e dei suoi limiti. Ha dimostrato in una parola di saper assolvere alla funzione di avanguardia del popolo lavoratore.

La stessa cosa non può dirsi di tutte le organizzazioni di massa. Ve ne furono diverse che si dimostrarono insufficienti nel loro funzionamento nella loro struttura ed in una certa misura anche nei loro comitati direttivi.
Naturalmente le responsabilità di queste deficienze ricadono sul Partito il quale deve, dedicare una più forte attenzione all'attività dei propri iscritti nel seno di queste organizzazioni.
La Federazione di Milano osserva: «... deficienze ancora più grandi le abbiamo riscontrate nel funzionamento degli organismi di massa come l'U.D.I, il Fronte della Gioventù, le Consulte Popolari, ecc. Questi organismi non hanno praticamente funzionato durante lo sciopero. La spontaneità e la rapidità con la quale si svolse l'agitazione non hanno permesso a questi organismi di orientarsi e di partecipare alla lotta, come tali, con una loro funzione specifica».

La Federazione di Genova segnala che «la struttura della stessa Camera del Lavoro non si è rivelata del tutto sufficiente mancando della capillarità indispensabile per tenere con continuità nelle mani le masse in movimento. Così gli altri organismi di massa (Fronte della Gioventù, U.D.I., A.R.I., Associazione dei Reduci, A.N.P.I., ecc.) non sono entrati nella lotta con loro iniziative politiche, con la propria struttura organizzativa, ma hanno lasciato che i loro aderenti seguissero il movimento individualmente. Non hanno cioè, quelle associazioni, come tali assolto nel corso dello sciopero ad una loro particolare funzione».

Da parte sua la Federazione di Ravenna rileva che: «… la spina dorsale del grande movimento è stato il Partito. Le altreorganizzazioni di massa: U.D.I., Fronte della Gioventù, ecc. non hanno avuto una funzione propria né direttiva, né operativa e non si sono fatte sentire se non per il fatto che i quadri di queste organizzazioni hanno partecipato attivamente al movimento.
Le stesse decisioni che venivano prese dalla Camera del Lavoro venivano in gran parte realizzate tramite l'apparato e i mezzi del Partito».

Osservazioni analoghe ci sono pervenute dalle Federazioni del Veneto, della Toscana, del Lazio e di altre regioni.

III. La ricerca degli alleati

Per quanto importante sia l'unità della classe operaia, l'unità dei lavoratori che partecipano ad una lotta, ad uno sciopero, specialmente quando questo sciopero abbraccia milioni di lavoratori e tocca tutta la Nazione, essa non ci dà la certezza della vittoria, se l'unità e la compattezza della classe operaia non è rafforzata dall'adesione e dalla simpatia attiva di altri strati della popolazione. Qui si pone il problema della ricerca degli alleati.

Le organizzazioni del Partito si sono preoccupate sufficientemente del problema degli alleati durante lo sciopero del 14 luglio? Non possiamo dire sia stato fatto lo sforzo sufficiente per fare partecipare attivamente (e non solo passivamente) al movimento, per conquistare e non solo per neutralizzare altri strati della popolazione.
In tutti i grandi e piccoli centri lo sciopero generale ha riscosso senza dubbio la simpatia di larghi strati della popolazione. Tutti i negozi chiusi, chiusi i caffè, i ristoranti, i cinematografi, i teatri: ma scarsi i tentativi di tradurre questa simpatia in forma organizzata.
Alle manifestazioni di strada e ai comizi non devono partecipare solo gli operai e la parte più attiva dei lavoratori, ma si deve sentire la presenza degli artigiani, delle commesse, dei lavoranti a domicilio, delle casalinghe, degli impiegati, dei professionisti e degli studenti.
Le dimostrazioni di simpatia devono essere trasformate, con un buon lavoro organizzativo, in un intervento attivo, in un aiuto concreto che deve andare agli operai o ai contadini scioperanti.

Non dappertutto si è mobilitato il Fronte Democratico Popolare. È vero che in parecchie località i nostri compagni si sono scontrati con la resistenza di dirigenti socialisti i quali, o per loro volontà o per disposizioni ricevute dalla loro Direzione, si opponevano a che qualsiasi iniziativa fosse presa a nome del Fronte.

Questa difficoltà avrebbe potuto per altro essere superata trovando nuove forme unitarie che avessero potuto ottenere l'adesione di tutte le forze democratiche.
Non si trattava solo di fare una riunione tra i rappresentanti dei diversi partiti democratici per un manifesto di deplorazione platonica dell'attentato Questo è avvenuto quasi dappertutto. Si trattava di dar vita a un organismo rappresentativo di tutte le forze democratiche, di tutte le correnti popolari, il quale appoggiasse, dirigesse il movimento e rappresentasse di fronte alle autorità civili e al governo tutte le forze in lotta.

Si trattava di concretizzare, di tradurre in forma organizzata quello spostamento a nostro favore dell'opinione pubblica verificatosi dopo il 18 aprile e dopo l'attentato, si trattava di consolidare e allargare le nostre alleanze.
Un maggior sforzo tutto il Partito avrebbe dovuto fare per trovare diverse forme organizzative che permettessero di legare nella lotta e nell'azione la parte più avanzata dei lavoratori a quella meno attiva e più arretrata della popolazione.

Da questo punto di vista è da segnalare, tra le altre, l'ottima iniziativa presa dalla Federazione di Milano che in accordo con i compagni socialisti riuscì a dare vita ad un Comitato d'Intesa Democratica al quale aderirono non solo i partiti e i movimenti già aderenti al Fronte Democratico Popolare, ma anche la Camera del lavoro, la Giunta e il Consiglio Comunale
Questo Comitato d'intesa Democratica, che dirigeva permanentemente lo sciopero, realizzava così un alleanza più larga di quella del Fronte, allargava la direzione della lotta, dava al movimento maggior forza e più grande ampiezza.

Il Comitato d'intesa Democratica subito dopo la sua costituzione prese l'iniziativa di organizzare un plebiscito della popolazione milanese, un plebiscito che, manifestando l'indignazione per l'attentato richiedesse un mutamento della politica del governo e suonasse condanna dell'opera di De Gasperi, Scelba e compari.

Il plebiscito, che doveva iniziarsi con un imponente sfilata di popolo in Piazza del Duomo, avrebbe dovuto estendersi con la raccolta delle firme in ogni fabbrica in ogni rione, in ogni casa.
Si trattava praticamente dell'organizzazione di un vero e proprio referendum popolare il quale avrebbe dimostrato qual'era il reale orientamento della popolazione milanese. Era un mezzo per realizzare l'unita della popolazione di Milano sul terreno della lotta, un mezzo per attivizzare anche le masse più arretrate. Questa iniziativa non escludeva, non ostacolava nessuna altra forma di lotta più avanzata, anzi la favoriva, la sosteneva.

Anche se per la avvenuta cessazione dello sciopero questa iniziativa non ha potuto avere i suoi previsti sviluppi, merita di essere segnalata per la sua importanza. Essa costituisce un bell'esempio di iniziativa politica per realizzare le necessarie alleanze nel corso della lotta, per attivizzare le masse, per allargare il movimento, per trovare delle forme di lotta che ci permettano di toccare e mobilitare anche gli strati meno attivi della popolazione.

IV. L'organizzazione del Partito e il suo funzionamento durante lo sciopero

il Partito è stato nel complesso all'altezza del suo compito. Ha saputo intervenire tempestivamente e giustamente e, ad eccezione di alcuni casi isolati, ha mantenuto dal principio alla fine il saldo controllo del movimento. Questo affermato, non dobbiamo chiudere gli occhi sui difetti e le deficienze venute alla luce nelle diverse istanze della nostra organizzazione, specialmente là dove essa è più debole.

Un difetto che è stato rilevato da quasi tutte le Federazioni è stata la deficienza, in certe località assai accentuata, dei collegamenti tra il centro e le organizzazioni periferiche, tra le Federazioni e le sezioni e le zone Deficienze dovute in parte a insufficiente iniziativa, in parte alle difficoltà delle comunicazioni in certe province, specie del meridione, rese ancora più acute dallo sciopero generale stesso.
Vi sono state delle Federazioni e delle Camere del Lavoro che sin dal primo momento hanno visto quale importanza avesse lo stabilire un permanente collegamento con tutte le loro sezioni e tra la Camera del Lavoro provinciale e quelle periferiche, ed hanno di conseguenza fatto un notevole sforzo per superare le difficoltà.

La Federazione di Novara, ad esempio, provvide ad organizzare un servizio di staffette tra la città e tutte le zone della provincia. Tale servizio fu organizzato pure dalla Camera del Lavoro sia con le Commissioni Interne delle fabbriche della città, sia con molte della provincia.
La Federazione di Genova, sulla base di esperienze fatte in altre occasioni, provvide sin dalle prime ore dello sciopero a decentrare i compagni del Comitato e dell'apparato federale, costituendo di fatto cinque o sei centri di direzione, legati naturalmente alla Segreteria della Federazione. Ognuno di questi centri dirigeva una zona od un certo numero di località. Con questo sistema si ovviava alla difficoltà delle comunicazioni, si garantiva il legame con le sezioni, e si rafforzavano le direzioni locali aumentandone la capacità d'iniziativa.

«Si deve - scrivono i compagni Genova - a quest'azione svolta dal Partito e alla sua rapida capacità di collegamento con le organizzazioni periferiche, se nella nostra città non si sono avuti conflitti con la polizia e gravi incidenti che le autorità governative andavano cercando e che provocatori da noi prontamente smascherati tentavano di fra nascere».

Lo sciopero ha dato la possibilità di fare una preziosa esperienza sul comportamento e il funzionamento dei Comitati direttivi di Partito nel corso della lotta. Vi furono dei Comitati direttivi di sezione e qualcuno anche di federazione che non si riunirono immediatamente. Ad esempio in alcune località anche i compagna dirigenti di federazioni si portarono nelle sezioni, nelle fabbriche ,o si misero alla testa di dimostrazioni di strada si confusero cioè con la massa, si lasciarono trascinare da essa e solo dopo alcune ore pensarono di riunirsi per discutere, dare direttive ecc. Questo ebbe per conseguenza, un ritardo nella mobilitazione di tutta la organizzazione e nel suo orientamento.

Altri Comitati direttivi di federazione si riunirono immediatamente e seppero diramare giuste direttive politiche e organizzative, come ad esempio a Bologna, ma la riunione durò troppo a lungo e mentre i compagni dirigenti stavano discutendo, altri compagni impartivano direttive non sempre coerenti.
Il compagno Colombi ha giustamente rilevato che: «La direzione da parte dell'esecutivo federale dev'essere soprattutto una direzione operativa e che nel momento in cui ferve la lotta non ci si perde in lunghe discussioni, ma ci si preoccupa di seguire il corso della lotta stessa e di assicurarne la direzione».

Lo sciopero ha messo chiaramente in luce tutta l'importanza dei Comitati direttivi di Sezione e dei comitati direttivi di cellula. Ove questi organismi hanno funzionato, si è avuto in ogni momento un giusto orientamento dei lavoratori. In molte località queste istanze di Partito hanno funzionato poco collettivamente.
La direzione nelle fabbriche era in certi casi realizzata individualmente da qualche compagno più conosciuto e autorevole ma l'organismo dirigente non si riuniva per discutere, per esaminare la situazione, per realizzare una direzione collettiva.

In alcune sezioni, le più deboli, attorno al segretario di sezione non c'erano i membri del Comitato direttivo e i capi cellula, ma altri compagni. «È avvenuto così - scrive il segretario della Federazione di Ravenna - che in queste sezioni chi dirigeva effettivamente erano i compagni più attivi e combattivi e non i membri del Comitato direttivo».

Questo sta ad indicare da un lato la debolezza e l'insufficienza politica di certi Comitati di sezione e cellula e d'altra parte rivela anche l'esistenza di quadri capaci e prima sconosciuti. Dirigente è colui che assolve a questa funzione specialmente nel momento della lotta.
Da Savona, si osserva che i membri dei Comitati direttivi di parecchie Sezioni erano quasi continuamente nella sede della Federazione invece di essere nelle loro Sezioni, nel loro quartiere a dirigere i compagni e le masse.
Altrove le disposizioni e le direttive venivano trasmesse contemporaneamente in un unico atto, nella stessa forma, con gli stessi mezzi ai membri di Partito e a tutti i lavoratori. Non venivano cioè tenute delle assemblee di cellula e di Sezione per orientare prima i compagni e fare in modo che le direttive arrivassero alle masse per mezzo dei compagni e delle nostre organizzazioni.


*.*.*


Sensibile è stato in parecchie Federazioni il difetto della propaganda soprattutto per mezzo della stampa. Durante lo sciopero quasi dappertutto si sono distribuiti dei Bollettini sull'andamento dello sciopero, editi a cura della Confederazione e delle Camere del Lavoro. Sono stati pubblicati manifesti del Partito e delle organizzazioni democratiche, ma nel complesso vi è stata insufficienza di stampa, di informazione e di direttive non solo come quantità. Nel corso di grandi scioperi e specialmente di uno sciopero generale politico è della massima importanza poterò parlare non solo agli operai, ma ai diversi strati della popolazione, il che può essere fatto con larga diffusione di stampa essendo insufficienti allo scopo le riunioni e i comizi.

Vi sono Federazioni che il problema l'hanno visto in tutta la sua importanza e si sono sforzate di risolverlo con vari mezzi provvedendo a pubblicare edizioni straordinarie dei giornali locali. Ma in molti centri anche importanti si è trascurato di svolgere, nelle forme più opportune, una giusta propaganda verso determinate categorie della popolazione - ceti medi - e in modo particolare verso le forze armate e di polizia.

Malgrado la campagna di odio scatenata dal governo diretto da De Gasperi contro le forze democratiche, malgrado le direttive impartite dal ministro Scelba per l'impiego delle forze armate e di polizia contro gli scioperanti, molti incidenti furono evitati non solo per il senso di responsabilità dei lavoratori, dei comunisti dei dirigenti lo sciopero, ma anche per la coscienza umana e classista di molti agenti e soldati il cui istinto li portava alla naturale e fraterna solidarietà con i lavoratori.

In alcuni grandi centri industriali, dove per altro il movimento è stato forte, compatto e nel complesso ben diretto, si sono manifestate in alcune fabbriche e in qualche rione, tendenze a un dualismo di direzioni. Elementi pur iscritti al Partito, in nome di organizzazioni di massa o rivendicando meriti acquisiti nella lotta passata e particolarmente nella lotta di liberazione nazionale, cercavano di prendere la mano agli organi responsabili del Partito e pretendevano di sostituirsi essi. Qualche episodio del genere si è verificato a Torino, a Venezia e in qualche altra località.

Alcune organizzazioni del Veneto, dell'Italia meridionale e delle Isole, hanno rivelato pesantezza e lentezza nell'orientarsi, nel muoversi e scarsa iniziativa. Assieme ad alcune manifestazioni di estremismo infantile e di massimalismo, nei confronti delle quali le organizzazioni del Partito, nel complesso, hanno saputo ben reagire, non sono mancati neppure alcuni casi di debolezza, di opportunismo e di deficiente funzionamento degli stessi organismi dirigenti di sezioni e di qualche Federazione (Belluno, Sassari, Verona, Crotone, ecc).

Considerazioni conclusive

Altri difetti potrebbero ancora essere sottolineati e altri verranno certamente alla luce dall'esame autocritico e dallo studio che le organizzazioni di Partito stanno facendo.
Sull'importanza nazionale e internazionale dello sciopero del luglio già abbiamo detto. Gli aspetti positivi del movimento possono essere a nostro parere così riassunti:

1) Lo sciopero generale del 14 luglio e stato una grande battaglia nel quadro della lotta per la pace, per l'indipendenza del nostro Paese.

2) L'impiego da parte del Governo delle forze armate contro gli scioperanti e la combattività, lo slancio e la tenacia dei lavoratori hanno dimostrato una volta di più l'acutezza della lotta di classe in Italia e la crescente dipendenza della politica del governo alla volontà degli imperialisti americani.

3 Lo sciopero ha rivelato chiaramente le intenzioni reazionarie dell'attuale governo. Per mezzo della stampa e della radio il partito nero totalitario ha tentato e tenta di snaturare e falsare il carattere dello sciopero allo scopo di giustificare le sue rappresaglie, le sue violenze, i suoi arbitrii e le ventilate misure antidemocratiche, anticostituzionali contro i Sindacati, contro la libertà di sciopero, contro il Partito Comunista e le organizzazioni democratiche e repubblicane.

4) Lo sciopero ha dimostrato l'alto grado di combattività delle masse lavoratrici e ha dato ai lavoratori maggiore fiducia nelle loro forze.

5) La brutalità della reazione governativa, 1'atteggiamento dei dirigenti sindacali democristiani e saragattiani ha contribuito a chiarire molte cose agli occhi dei lavoratori italiani.

6) Lo sciopero ha fatto sorgere nuovi quadri che si sono dimostrati capaci di mettersi alla testa delle masse in lotta.

7) Il Partito esce dallo sciopero rafforzato ideologicamente, politicamente e organizzativamente. Tutti i compagni hanno fatto una grande esperienza. La forza, lo slancio, gli elementi positivi dello sciopero e anche gli errori e le debolezze manifestatesi durante la lotta serviranno a rafforzare tutto il nostro lavoro, particolarmente l'attività nelle organizzazioni di massa, ad elevare ai posti di direzione nuovi quadri, a verificare migliorare il funzionamento degli organismi direttivi dall'alto in basso, a rafforzare il lavoro ideologico e politico, base per una più salda e consapevole disciplina, per una più larga comprensione e applicazione della linea politica del Partito.

Documenti

I. L'appello della direzione del Partito Comunista Italiano


La Direzione del Partito Comunista Italiano riunitasi d'urgenza immediatamente dopo l'attentato, lanciava al Paese il seguente appello:

Italiani!

La campagna sfrenata di odio e di violenza, ispirata e diretta dal governo per colpire gli uomini e i partiti del lavoro, gli uomini della democrazia che per vent'anni hanno guidato la lotta contro la tirannide fascista e contro il tedesco invasore, ha armato la mano assassina dei sicari contro Palmiro Togliatti.
Dopo le stragi di Sicilia, dopo gli assassini di lavoratori, dal Veneto alle Puglie, dopo una lunga serie di violenze e di sopraffazioni l'attentato contro il Capo del Partito comunista rivela il proposito di colpire mortalmente la democrazia e le libertà del popolo italiano.
La libertà si difende!

Italiani, lavoratori!

Il sicario è l'esecutore di un delitto scaturito dall'atmosfera politica di provocazioni e di violenze deliberatamente creata dal governo De Gasperi-Scelba dal governo della guerra civile.
Si levi in tutto il paese la indignata protesta dei lavoratori e di tutti gli uomini liberi.

Per la pace interna, per la legalità repubblicana, per la libertà dei cittadini: DIMISSIONI DEL GOVERNO DELLA FAME, DEL GOVERNO DELLA GUERRA CIVILE!

La Direzione del Partito Comunista Italiano.

Roma, 14 Luglio 1948

II. Il manifesto della confederazione generale del lavoro per la proclamazione dello sciopero generale

IlComitato Esecutivo della Confederazione Generale del Lavoro riunitosi nel pomeriggio del giorno 14 Luglio decideva di estendere lo sciopero generale a tutta l'Italia e lanciava ai lavoratori italiani il seguente appello

DIFENDIAMO LA LIBERTÀ

Lavoratori, Cittadini!

La G.G.I.L., plaudendo alla sensibilità ed allo Spirito democratico dimostrato dai lavoratori italiani ha deciso di estendere lo sciopero generale a tutte le categorie e in tutto il Paese a cominciare dalla mezzanotte del 14 corrente.
Il sanguinoso attentato contro l'on. Palmiro Togliatti, capo del più forte gruppo di opposizione parlamentare e politica, si rivolge non solo contro il suo partito ma colpisce ed offende tutti i lavoratori italiani, tutti i cittadini democratici.
L'infame attentato si ricollega strettamente alle decine di aggressioni e di delitti perpetrati a danno di organizzatori sindacali nello svolgimento del loro dovere in difesa delle classi lavoratrici.
L'atteggiamento tenuto fin qui dal governo nelle lotte sindacali; l'appoggio concesso dalle forze di polizia alla classe padronale, i rigurgiti di fascismo affiorati in modo sempre più sfacciato sulla stampa reazionaria, hanno creato nel nostro paese il clima favorevole, allo scatenarsi delle violenze antidemocratiche, dando agli assassini la sicurezza dell'impunità.
La Confederazione Generale Italiana del Lavoro non può non denunciare in questo momento l'atmosfera pesante creatasi nel paese, che ha generato nell'opinione pubblica la sensazione di un ritorno all'epoca che aprì la strada al fascismo ed alla soppressione di ogni libertà.
La C.G.I.L., nel proclamare la sua solenne protesta, afferma che il governo attuale, per la politica che persegue, non garantisce la libera e pacifica convivenza di tutti i cittadini nell'ambito della legalità democratica e repubblicana

LAVORATORI, CITTADINI!

Di fronte ad una situazione così grave che minaccia di riaprire nel nostro Paese prospettive di sangue e di insopportabile oppressione, la C.G.I.L. vi invita a lottare uniti attorno alla vostra organizzazione, solo strumento unitario che possa difendere il nostro popolo dagli attentati contro la libertà e contro la democrazia.

Tutti i lavoratori parteciperanno allo Sciopero.
Il Comitato Esecutivo della C.G.I.L., Che siede in permanenza, impartirà nella giornata di oggi ulteriori disposizioni.

I lavoratori italiani sapranno difendere vittoriosamente la democrazia, la libertà, la repubblica!

Il Comitato Esecutivo della C.G.I.L.

III. La decisione per la cessazione dello sciopero generale
Il Comunicato Della C.G.I.L.


Il Comitato Esecutivo della C.G.I.L. rileva con soddisfazione l'imponente ed unanime adesione, in tutta Italia, allo sciopero generale contro il vile attentato compiuto da un sicario sulla persona dell'on. Palmiro Togliatti. L'attentato costituisce un attacco delle forze reazionarie contro le masse popolari che hanno arditamente lottato per abbattere il fascismo e conquistare le libertà democratiche e la indipendenza nazionale.
Il Comitato Esecutivo rivolge un riverente saluto a tutte le vittime di questa lotta, provocata dall'atmosfera di divisione. e di odio creata nel Paese dal risveglio delle forze reazionarie.
Lo sciopero generale - attuato spontaneamente e con ammirevole slancio da tutti i lavoratori italiani non appena conosciuta la notizia dell'infame attentato, e sanzionato dalla C.G.I.L - costituisce una conferma manifesta della decisa volontà delle masse lavoratrici e democratiche di opporsi risolutamente all'offensiva della reazione.
Prendendo atto di questa indomabile volontà delle masse popolari, ed auspicando che l'on. Palmiro Togliatti possa riprender ben presto il suo posto di combattente antifascista, il Comitato Esecutivo decide la cessazione dello sciopero generale per le ore 12 di venerdì 16 corrente.
Il Comitato Esecutivo rileva che la pronta e rigorosa risposta delle masse ai crumiri della reazione ha posto davanti al Paese il problema di mutare radicalmente una politica che rappresenta un incoraggiamento alle forze padronali e reazionarie, e che ha reso possibile il delitto deprecato da tutto il popolo italiano e da tutto il mondo civile.*

Roma, 16 luglio 1948

* Canini e Parri, rappresentanti delle correnti saragattiana e repubblicana si astennero nella votazione sull'ultimo capoverso ed approvarono il resto. Assenti i rappresentanti della corrente DC.

IV. Dopo lo sciopero
La direzione del P.C.I. al paese


Il criminale attentato contro il compagno Palmiro Togliatti ha sollevato in tutta l'Italia e nel mondo intero un'ondata spontanea e incontenibile di protesta e di sdegno di fronte alla quale anche i responsabili delle condizioni politiche del Paese che l'hanno maturato e reso possibile, sono stati obbligati ad esprimere ipocriti sentimenti di deplorazione. Ma l'unanimità appassionata dell'astensione dal lavoro di tutte le categorie produttrici e di ogni regione, la sdegnata dimostrazione contro il governo, ha espresso la universale convinzione che la responsabilità dell'esecrabile gesto risale alla politica di discordia e di provocazione che da tempo viene condotta da chi dirige le sorti del Paese.

La Confederazione Generale del Lavoro alla cui opera il Fronte Democratico Popolare ha immediatamente dato piena e fiduciosa adesione ha inquadrato e diretto il grandioso movimento delle masse che trova precedenti solo negli anni lontani della più sicura e vittoriosa ascesa delle classi lavoratrici del nostro Paese.

Milioni di lavoratori operai tecnici, impiegati, contadini, artigiani, uomini e donne non ostante le minacce e le violenze ordinate freddamente dal governo, si sono battuti sapendo di affrontarlo e volendo affrontare - a solenne ammonimento - i provocatori di guerra, che il compagno Togliatti aveva smascherato e additato all'esecrazione popolare e i gruppi reazionari, e i ceti privilegiati che si sono proposti di impedire, con qualunque mezzo ed a qualunque costo, di svolgere quei principi di nuova democrazia di popolo che il compagno Togliatti aveva affermato per primo nella Repubblica. Queste forze sociali di rovina e di rapina hanno così sentito la parola possente dell'Italia del lavoro, che ha fatto conoscere, come ancora non era avvenuto dal giorno della liberazione quale sia la sua forza. E assieme l'hanno sentita e compresa gli organizzatori delle scissioni e del crumiraggio le cui losche manovre sono completamente fallite di fronte allo spirito unitario delle masse lavoratrici.

Lavoratori !

Lo sciopero generale è stato una grande battaglia nel quadro della lotta per dare al nostro Paese una nuova direzione politica. L'atteggiamento del governo clerico-reazionario in questo grave momento, il suo rifiuto di riconoscere le responsabilità politiche del criminoso attentato al di là di quelle personali del materiale esecutore di esso, la sua aperta e dichiarata volontà di repressione e di strage che ha fatto bagnare di altro sangue di popolo le strade e le piazze, hanno chiarito più che mai a tutte le masse la validità del nostro atteggiamento politico col quale il Partito si propone di intensificare l'azione unitaria per la difesa delle libertà democratiche, della legalità repubblicana e dei diritti, dei lavoratori.

Lo sciopero generale ha convinto tutti i sinceri democratici della necessità di saldare sempre più la loro unità perché sia data soddisfazione all'esigenza nazionale di una nuova direzione politica del paese e di vigilare per contrastare e sventare ogni tentativo di rappresaglia nel quale mirassero a svolgersi ulteriormente le intenzioni reazionarie del governo.

La unanimità di dolore, di esecrazione, di protesta, creatasi con fulminea immediatezza attorno al nostro compagno colpito, ha costituito la prima legittima, imponente, revisione dell'artificioso verdetto del 18 aprile, indicando verso chi si dirige in realtà la fiducia e l'attesa delle forze fondamentali e laboriose del nostro popolo. Ciò impegna il nostro Partito ed ogni singolo compagno a continuare infaticabilmente, senza soste e senza incertezze, in seno a questo l'opera fervida e coerente di orientamento e di guida.

La Direzione rivolge alle organizzazioni di partito e ai compagni tutto il suo plauso per l'azione energica con la .quale durante lo sciopero hanno assolto il compito di avanguardia combattiva delle forze popolari in lotta contro il regime democristiano, difensore degli industriali e degli agrari - questi sperimentati provocatori di assassini politici a danno dei dirigenti delle classi lavoratrici; e li invita a rafforzare la loro attività e la loro preparazione per mantenere al partito questo ruolo storico e responsabile.

Interprete delle voci giunte da ogni azienda, da ogni villaggio, da ogni città - e tramite del sentimento profondo di affetto nutrito per lui da milioni di italiani democratici e patrioti, la Direzione invia al compagno Togliatti, maestro ed amico, capo amato dei Comunisti italiani il suo fraterno saluto e l'augurio caldo e commosso di rapida guarigione e della più lunga vita per la migliore fortuna dei lavoratori, per il bene del nostro popolo; per la salvezza, il consolidamento e lo sviluppo della nostra libera democrazia.

La Direzione del P.C.I.
Roma 16 Luglio 1948


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