ISTITUTO DI STUDI
COMUNISTI
Karl Marx - Friedrich ENGELS
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1917-2003 - 86° della Rivoluzione d’Ottobre
Tutto il potere ai Soviet
Teramo, 7. novembre. 2003
Premessa teorica
Organizzazione della società socialista
La pianificazione – il Gosplan
Il sistema istituzionale - rappresentativo in U.R.S.S
Bolscevismo e Menscevismo
I successi nella costruzione della nuova società socialista sono
indiscussi
Conclusioni
Premessa Teorica.
Nella società borghese abbiamo il citoyen, ossia il cittadino o
civis. Le forme di organizzazione della comunità uomo hanno alla base il civis,
a differenza della feudale che aveva il suddito.
Abbiamo così le consequenziali delle forme di organizzazione amministrative,
statali, politiche, giuridiche, ecc.. Il civis esercita i suoi diritti entro
tali strutture e su tutti i campi della vita sociale.
Adesso il termine “civis” è termine vago, è il cittadino genericamente inteso
senza caratterizzazione e specificazione alcuna, ossia astratto dal suo essere
reale; ossia astratto dal suo essere “ zoon politikòn”, ossia animale sociale.
L’uomo, cioè, è letto unicamente in questa sua dimensione di cittadino, di
portatore di diritti politici.
In questa astrazione si vengono a perdere i carattere distintivi e solo
attraverso tale processo di astrazione diviene poi possibile la categoria
astratta di “ cittadino”.
La tripartizione del potere costituisce un importante passo avanti compiuto nel
corso della rivoluzione borghese: 1500-1700, in opposizione alla unicità del
potere: legislativo, esecutivo e giudiziario, che vengono formalmente unificati
nella figura del popolo, ossia la somma indistinta di civis, che in varie forme
e modi delega a sezioni separate questi poteri, tale da avere poi il potere
legislativo affidato al parlamento, il potere esecutivo affidato al governo, il
potere giudiziario affidato alla magistratura, che agiscono, in nome del popolo
e per il popolo dal quale ricevono la legittimità del loro potere e quindi del
loro agire.
Marx ed Engels sviluppano una critica attenta a questa struttura, evidenziano
come in realtà il civis, dopo averlo formalmente nominato depositario di tutti
i poteri, viene subito dopo estromesso da tali poteri e non ha alcun strumento
o modo, o forma per poterlo esercitare.
Il mandato parlamentare nelle repubbliche democratiche per i modi e le forme in
cui si attua relega al civis unicamente il compito di nominare chi, ma su cui
non ha alcun controllo.
Marx ed Engels nella formulazione di “ fictio iuris” sintetizzano il loro
giudizio e fermano i limiti di questa impostazione.
La società borghese costituisce, comunque, una rottura con la precedente
struttura statuale feudale e l’evoluzione verso una forma superiore della
comunità-uomo.
E’ evidente come sia decisamente limitata e parziale la lettura dell’uomo
ridotto e ricondotto esclusivamente a civis e come questo comporti poi
l’espropriazione di qualsiasi potere reale allo stesso “ civis”.
La società socialista costituisce la più radicale rottura con la precedente
teoria e struttura statuale borghesi.
Non avendo a base il mercato e la valorizzazione del capitale e non avendo essa
come classe dirigente una èlite, ma la maggioranza della popolazione: i
produttori, intercetta una diversa società che sia in grado di essere
espressione della schiacciante maggioranza della popolazione, e poi della
totalità della popolazione, ossia i produttori. Essa si configura infatti come
“ società dei produttori”.
La teoria dello Stato marxista respinge tout court la categoria civis, o
citoyen, in quanto astratta, vaga, indistinta e tende a definirla nelle sue
varie accezioni ed a dare legittimità giuridica, politica ed istituzionale a
tali accezioni.
La categoria civis perde così la sua natura astratta, vaga, indefinita entro la
quale veniva costipato l’uomo, il singolo e che consentiva l’intero impianto
della fictio iuris e il consenso/dominium capitalista e viene restituito alla
sua materialità. In tal modo viene dinamicizzato e complessificato quanto in
precedenza era stato piattamente linearizzato ed ideologicamente semplificato;
all’uniformità ed omologazione si sostituisce la diversità.
Consequenzialmente la società che ne scaturisce è molto più dinamica e
complessa e l’insieme di tutte le sue istituzioni ed organismi si trovano in un
complesso equilibrio decisamente dinamico e poliedrico, che non la società
borghese.
L’Uomo, oltre che essere cittadino, ossia portatore di diritti politici e
civili è anche produttore e consumatore. Se non viene messo nelle condizioni di
partecipare e decidere in queste sue due funzioni fondamentali, egli non è,
poi, neppure in grado di esercitare i suoi diritti civili e politici.
E’ ospite di riguardo e non cittadino dello Stato nazionale, giacché tutto
quanto riguarda la vita reale, la vita quotidiana gli è estraneo, non vi prende
alcuna parte, né gli viene riconosciuta alcuna funzione, che viene affidata
alla classe che detiene i mezzi di produzione. E’ essa infatti che decide cosa
produrre e cosa consumare.
L’uomo a differenza di tutti gli altri animali, che trovano in natura i mezzi
per il loro sostentamento, deve, per la complessità fisiologica del suo
organismo, trasformare quanto la natura offre spontaneamente in cose a sé utili
ed attraverso la coltivazione e l’allevamento ed altri processi riperpetuare
questo processo onde garantire la riproduzione delle condizioni materiali della
sua esistenza.
L’uomo attua cioè un ricambio organico tra sé e la natura.
Questa azione non può essere condotta dal singolo uomo, ma sempre da una
comunità-uomo, storicamente
determinantesi.
Questa azione è il lavoro: è dal
lavoro che proviene la conoscenza, giacché ogni innovazione scientifica e
tecnica ha alla base, ha per scopo, la modifica ed il miglioramento del modo,
della forma, dei tempi in cui si attua il ricambio organico uomo-natura. Esso è
di natura materiale ed intellettuale.
Questo farà dire ad Aristotele che l’uomo è un Zoòn
politikòn, ossia un animale sociale (1). E’ da
questo ricambio organico, ossia dal lavoro,
che scaturisce sia l’evoluzione stessa dell’uomo dalla scimmia, sia lo sviluppo
ed affermazione sempre più ricca dell’uomo in quanto Zoòn politikòn , o essere sociale; e lo stesso sviluppo
della società umana e quindi delle società e dei sistemi produzioni che si
succedono.
Se la totalità degli uomini, in quanto produttori, vengono esclusi dalla
decisione dell’indirizzo da dare al ricambio organico essi non saranno neppure
in grado di agire in quanto consumatori, quindi essi non saranno mai padroni né
della società né di se stessi.
La teoria politica della borghesia non riconosce affatto l’Uomo in quanto
produttore, tant’è che essa non riconosce il lavoratore e nella società
capitalista non riconosce alcun diritto in quanto lavoratore, ossia in quanto
produttore. Il diritto all’associazione sindacale, il diritto alla
contrattazione, lo stesso diritto di un tavolo di trattativa, il diritto di
sciopero non sono in alcun modo riconosciuti dalla teoria politica borghese. La
classe della borghesia ha dovuto accettarli perché le sono stati imposti, ma
essi non sono propri della sua teoria politica ed infatti essa tende a
sopprimerli, restringerli od a limitarli in tutto o in parte ogni qualvolta i
rapporti di forza glielo consentono. In Inghilterra il diritto di sciopero non
è riconosciuto, esso è punito dalla legge e non è neanche consentito; quello
che viene consentito attraverso una forzatura è una interpretazione che concede
tale diritto per ogni singolo sciopero da parte della Camera dei Comuni e della
Camera dei Lords: ma è concesso, è benevolenza non diritto, allo stesso modo
del diritto di associazione sindacale.
L’uomo oltre che produttore è anche consumatore nell’accezione piena del
termine:
in quanto consumatore di materie prime e di mezzi di produzione ed in quanto
consumatore di beni, merci e servizi.
La teoria politica borghese non riconosce in alcun modo il consumatore, non gli
riconosce alcun diritto, egli non ha alcun diritto di stabilire cosa vuole
consumare. Egli può decidere, tra quanto gli viene offerto, cosa consumare ed
in quale quantità, dato un livello salariale, che non ha alcun rapporto
sostanziale con il livello dei prezzi, se non per quanto attiene i beni
necessari alla sua sussistenza.
Produzione, consumo, livello dei prezzi
vengono decisi in prima istanza dal mercato ed il seconda istanza dalla
classe detentrice dei mezzi di produzione.
La teoria politica borghese, dopo aver riconosciuto il citoyen, o cittadino, o
civis, nella sua accezione più astratta di portatore di diritti politici e
civili, non riconosce affatto l’Uomo, né la vita dell’Uomo, che viene fatta
regolare unicamente dal mercato e dall’andamento ciclico del processo
produttivo.
Tutto quanto viene impropriamente definito “ welfare” non costituisce affatto
parte della teoria politica borghese, e quindi della teoria dello stato della
classe della borghesia. Esso infatti è stato imposto dalla lotta di classe del
proletariato e dei contadini, tant’è che ciascun stato capitalista tende a
eliminare, contrarre, limitare il welfare in tutto o in parte quando rapporti
di forza glielo consentono.
Assai erroneamente si ritiene che il keynesismo sia portatore del welfare, fino
ad identificare keynesismo e neokeynesismo con welfare.
Le teorie economiche di Keynes, Moneta e Credito, attengono unicamente ad un
ruolo maggiore dello Stato a sostegno dell’andamento ciclico dell’economia,
quale committente e quindi volano dell’economia sia per quanto attiene opere
pubbliche e sia per quanto attiene la produzione di importanti settori o
presenza in quei settori ad alto investimento ed ad alto rischio di rientro:
ricerca, ecc.; e sia come agente generale di Borsa della classe capitalistica:
Banca centrale, emissione di moneta, moneta manovrata, ecc. ecc.
E’, in definitiva, quello che prima Engels in Antidhuring e poi Lenin in
Imperialismo definiscono capitalismo monopolistico di Stato e dove già Engels
metteva in guardia da leggere tale nuova funzione del capitalismo come una
qualche forma di socialismo, che egli stigmatizzava in socialismo alla Bismark.
Engels e Lenin definivano il capitalismo monopolistico di Stato quale
capitalismo monopolistico privato più le prerogative dello Stato.
Sarà unicamente un’operazione ideologica, a partire dagli anni 1947-50 e ad
opera della socialdemocrazia, ed in modo particolare della SPD e del Congresso
di Bad Godesberg, quella che tenderà ad identificare keynesismo e welfare e che
costituirà poi l’anima della politica della II Internazionale nel secondo
dopoguerra fino alla metà degli anni Ottanta, ove tale teoria sarà sostituita
da quella dei “ due terzi”. Tale operazione aveva il compito sia di rispondere
alla possente ondata di lotta di classe del proletariato e dei contadini dei
paesi imperialisti contro la società borghese, al fine di tentare di separare
l’andamento della lotta di classe nei paesi imperialisti da quello dei popoli
d’Asia, d’Africa ed America Latina e come risposta al “ welfare” dei paesi
socialisti e quindi come momento della più generale lotta del campo
imperialista contro il campo socialista.
Ma rispondeva anche, coniugando i due aspetti, alla esigenza di una maggiore
penetrazione e concentrazione del capitale monopolistico in alcuni settori ed
infine quale momento di allentamento della pressione salariale e come forma di
scaricare parte dei costi della forza lavoro sullo Stato, come forma di sgravio
fiscale sociale.
Tale sedicente politica del welfare e del keynesismo non va mai disgiunta dalla
più complessiva strategia dell’Imperialismo degli anni 1948-1975 inerente la
fissità del dollaro, la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale e
loro strategie di penetrazione e sottomissione di tutto il pianeta al
capitalismo. Ha infine il compito di razionalizzare alcuni settori al fine di
una maggiore e migliore velocità di circolazione del capitale, essendo alcuni
settori: casa, sanità, previdenza ed assistenza, ecc. importanti mercati di
sbocco per importanti branche produttive.
La teoria politica borghese riconosce esclusivamente il citoyen, il civis,
ossia il singolo, mai la comunità- uomo. Legge civis e non societas.
Essa infatti si preoccupa di garantire esclusivamente i diritti di ciascun
singolo cittadino e mai l’insieme dei cittadini, e mai le condizioni perché
questi diritti possano essere applicati ed usufruiti dai singoli. Non ha quindi
alcuna politica, alcuna teoria politica, circa la società degli uomini, essa
infatti non conosce il concetto di solidarietà. Essa, infatti, non conosce
alcuna politica sociale, al cui posto agisce invece la Filantropia, la carità,
quale sentimento solidaristico verso i poveri, oggi chiamati eufemisticamente
“i deboli”, i “meno abbienti”.
Legge, infine, il citoyen in quanto Uomo e mai la coppia Uomo-Donna e quando
sotto la pressione di forti movimenti di massa per la emancipazione della donna
è costretta a riconoscere la Donna la legge unicamente nella omologazione
all’Uomo, meno che mai il Pianeta Donne ed i Tempi delle Donne categorie e concetti
che la teoria politica borghese non capisce, non regge.
Ancora.
La teoria politica borghese pone tra i suoi valori fondamentali quelli di
Libertà ed Uguaglianza, il terzo, Fraternità, non ha mai avuto consequenzialità
alcuna se non nella forma della Filantropia.
Ma sono i valori di Libertà del mercato e del perseguimento del profitto ed è
l’uguaglianza nelle forme di sfruttamento della forza lavoro. La proiezione di
questi valori sul piano della politica è unicamente la teoria un uomo un voto e
tutte le libertà formali e le condizioni di uguaglianza formali, ossia la
fictio juris.
Poiché non legge la complessità di Uomo – Comunità_Uomo – Lavoro, la teoria
politica borghese legge il singolo individuo e non la società; in tali
condizioni questi valori pur giusti scadono nel pantano della retorica
umanistica, che nasce a partire dal XI secolo in Italia con la scuola siciliana
ed il dolce stil novo.
Una sia pur superficiale analisi teorica dei concetti così come vengono
formulati e prendono corpo nella teoria politica borghese ne evidenzia tutta la
inconsistenza, la vuota retorica umanistica.
Proclamare che tutti gli uomini sono liberi è un falso, non è vero; è populismo
demagogico, non sussiste alcun elemento probatorio atto a sostanziare questa
pur generosa, quanto sterile, petizione di principio. Gli uomini non sono
liberi, nessuna cosa, pianta o animale è libera di agire; essi agiscono entro
determinati vincoli e legami, ossia entro ben precise ed esatte condizioni di
necessità.
Gli uomini possono essere tutto meno che liberi, essi possono vivere unicamente
in comunità e questo ne determina e limita e detta le condizioni entro cui può
esercitarsi la loro libertà. Gli uomini vivono un ben preciso ed esatto
rapporto con il mondo esterno che determina un ulteriore livello di
condizionamento delle condizioni entro cui può esercitarsi la libertà di
ciascuno.
Il livello di conoscenza scientifico e tecnologico, ossia il modo concreto di
come in una determinata fase avviene il ricambio organico, stabilisce gli
esatti livelli delle condizioni entro cui può esercitarsi la libertà di
ciascuno. La Scienza Medica è una particolare scienza che più delle altre detta
le leggi di tali condizioni(2). Una assai basso livello di
mobilità determina un assai basso livello di scambi tra le varie comunità in un
determinato territorio e quindi agisce da ostacolo a sinergie tra varie
culture, esperienze e conoscenze e quindi abbassa il livello potenziale ed
effettivo del ricambio organico e quindi le possibilità reali di produzione di
ricchezza sociale e quindi le condizioni di vita degli uomini, le condizioni
entro cui essi riproducono le condizioni materiali della loro esistenza, ecc.
La libertà è allora strettamente definita e si definisce in rapporto all’altra
categoria: Necessità.
Ma saranno Marx ed Engels i primi a coniugare Libertà-Necessità e formulare la
storia degli uomini come un incessante transitare dal regno della Necessità al
regno della Libertà.
La libertà allora si esplica unicamente entro la Comunità-Uomo, storicamente
determinatesi, entro cui, e tramite cui, gli uomini vivono ed affermano e
realizzano la loro natura sociale. Occorre allora ampliare i limiti entro i
quali la Comunità-Uomo agisce, perché vi possa essere espansione alle libertà
individuali, ossia costruendo più avanzate condizioni entro cui si possa
esercitare la libertà della Comunità-Uomo e quindi anche dei suoi singoli
membri.
Assolutamente falsa la dichiarazione, che è alla base del diritto borghese,
secondo la quale la libertà dell’uno finisce lì dove ha inizio la libertà
dell’altro, ossia dove la libertà dell’altro è limite della libertà dell’uno.
Adesso posta una comunità di appena 10mila persone la libertà dell’uno è
limitata dalla libertà dei restanti 9.999 e così di ciascuno, per cui l’uno è
in lotta con tutti i restanti 9.999 cittadini.
La libertà dell’altro non è limite della libertà dell’uno, ma è il
completamento e la conditio sine qua non per la libertà dell’altro e di tutti
gli altri!
Marx ed Engels hanno ripetuto sino alla noia tale questione.
Ma il punto è che la società borghese, la teoretica borghese, non sa leggere la
Comunità – Uomo, sa leggere solo l’unus,
la categoria Comunità – Uomo non le entra in nessun modo in testa; non la
regge, supera i confini, gli ambiti e gli orizzonti della teoretica e della
concezione del mondo della borghesia in quanto classe e del borghese in quanto
singolo.
Sul piano teorico sostanziale essa è ancora sul terreno della produzione
teorica del IV secolo ac, sul terreno di Platone e di Aristotele. Il mercato è
la lettura dell’unus. L’economia
politica borghese, sia la micro che la macro economia e così la Politica
Economica è tutta fondata sull’unus.
Sul piano scientifico, compresi i punti più alti quali la Genetica, è ancora la
categoria “ unus” che impazza e
conduce a gravi errori teorici.
Sul piano teoretico più generale l’unus è
poi la lettura dei singoli elementi e non delle interdipendenze, ossia la metafisica è l’apoteosi sul piano
teorico e scientifico dell’unus
appunto.
Si evince, così, qui come la teoria politica elaborata dalla classe borghese
sia decisamente infantile, si mantiene ancora su livelli primitivi, legge
unicamente singoli aspetti e non sa leggere i reali rapporti causa/effetto, non
sa cioè leggere i rapporti, i nessi, le connessioni, le interrelazioni e le
interdipendenze di semplici elementi tra di loro. Una simile teoria può andare
bene fin quando non si varca la soglia di casa, fin quando cioè lo sconfinato
ed infinito orizzonte è dato dal profittarello quotidiano.
Engels a riguardo in Dialettica della Natura ha ben evidenziato questo limite
teorico sostanziale della concezione del mondo della borghesia, ossia le
coordinate entro le quali la borghesia è in grado di intelligere, ed intellige,
il reale, che Engels ben ferma nella definitoria di “ Metafisica”, ossia la
lettura di singoli elementi e non dell’insieme; della quiete e non del
movimento; dell’essere qui, adesso e proprio esattamente qui, e non del
divenire.
Non diversamente accade per quanto attiene il concetto di uguaglianza.
Gli uomini sono tutto meno che uguali, sono diversi e due singoli uomini, Mario
e Paolo, possono essere definiti uguali se e solo se si astrae da tutte le loro
specifiche caratteristiche, che poi identificano esattamente quel Mario e quel
Paolo, solo allora è possibile sussumerli sotto la categoria uguali; solo
allora essi sono uguali. Marx, Engels e Lenin hanno più volte insistito su
questo punto in modo specifico in “ Critica al programma di Gotha”; “ Stato e
Rivoluzione”, “ Antidhuring”, ecc.
Adesso la teoria politica borghese, ma più in generale l’intero impianto
teorico borghese, non legge e non regge in alcun modo la categoria “
diversità”; sul piano puramente scientifico questo la porta a gravissimi errori
come abbiamo dimostrato per quanto attiene la Genetica, per esempio.
Ma la riduzione semplicistica delle infinite diversità e sensibilità di
ciascuno alla categoria astratta “ uomo” consente poi tutta la teorica
giuridica borghese, che Marx ed Engels hanno ben fermato con il concetto di “
fictio iuris”.
Sotto la spinta della lotta di classe del proletariato la teoria politica
borghese ha dovuto recepire il concetto di “ diversità”, sussumendola sotto
l’espressione “ pari opportunità”. Ma l’impianto teorico sostanziale borghese
non regge questa complessificazione e la legge unicamente riducendola entro i
suoi orizzonti, che non sono quelli della Scienza della Politica, classicamente
intesa, ma della Filantropia.(3)Ecco che allora riduce la teoretica delle “ pari
opportunità” alla diversità dei disabili ed alle Donne.
Per quanto attiene i disabili lo fa attraverso un curioso e peregrino processo
teorico:
stabiliti gli standard della normalità, abbassa tali standard per l’inabile di
quel tanto che consente di portare la diversità entro i limiti della normalità
produttivistico-borghese. Questo peregrino processo investe non la teoria
politica bensì una estensione della Filantropia. E’ infatti riconoscimento
dello sfortunato che va aiutato, dal quale va accettato quello che può dare,
ovviamente quando il grasso cola dalla pentola: inabile in quanto sfortunato,
giammai in quanto diverso. In Unione Sovietica il problema avrà ben altra
soluzione e prospettiva.
Per quanto attiene la donna il processo più che peregrino è spassoso, degna
della migliore macchietta.
Poiché la teoria politica borghese intellige unicamente uomo, allora si tratta
di consentire alla donna di omologarsi all’uomo; è cioè la diversità donna che
viene coartatamene ricondotta dentro la normalità “ uomo”. Pari opportunità non
è allora il recepire la diversità ma l’annullare la diversità, riconducendola
alla normalità definita in Uomo.
Noi fin qui abbiamo trattato la concezione teorica della borghesia circa “Uomo”
nella sua dimensione politica e facendo questo abbiamo abbondantemente
concesso. La teoria politica, nella sua espressione prima, e la concezione
teorica generale del mondo borghesi esprimono un concetto negativo dell’Uomo.
L’Uomo per sua natura è malvagio, cattivo e lo Stato e tutte le strutture
statuali hanno il ruolo e la funzione di agire da freno a tale natura malvagia
dell’uomo, La legge e tutto l’intero apparato statale rispondono a tale scopo e
dentro questo la stessa religione ha il compito di arginare tale natura umana, educarla.
Nasce poi da qui la sostanza della concezione borghese che la religione è buona
per i poveri e gli ignoranti, quale mezzo pedagogico di tenerli a freno. La
rivoluzione francese e quella americana apporteranno una modifica a tale
impostazione, ma poi passati i furori rivoluzionari la sostanzialità della
teoria e della concezione generale hanno prevalso ed informano l’intera
produzione e l’intera azione della classe della borghesia e consequenzialmente
la società borghese è disegnata sulla base non delle correzioni apportate dalla
rivoluzione francese ed americana ma da quella concezione generale.
Vedete bene allora come la teoria politica elaborata dalla borghesia sia
decisamente infantile, primitiva, si mantiene ancora entro limiti angusti. Non
ha recepito i contenuti nuovi della scienza per quanto attiene l’uomo,
continuando ad insistere su un concetto di uomo elaborato nella fase della
società schiavista e filtrato poi dalla teoretica cristianea. L’impianto
teorico e categoriale è decisamente povero, limitato e non è in grado né di
leggere né di reggere la complessità. Si basa su alcuni semplici e lineari
concetti serviti dalla più superficiale logica formale, ossia fa discendere
tutto in maniera lineare e semplicistica da quei semplici e lineari concetti
che stanno alla base della sua visione del mondo.
Essa costituisce decisamente un passo in avanti rispetto alla teoria politica
della classe feudale, anche se in molti tratti decisivi è inferiore a quella
elaborata dalla teoria della società greco-romana. Questi lineari concetti
ereditati dall’elaborato delle precedenti classi proprietarie subiscono poi un
processo di impoverimenti perché filtrati dai suoi due ed unici concetti
fondanti: mercato e profitto. L’intera sovrastruttura e quindi la teoria
politica, la teoria dello Stato e le forme di questa teoria: parlamento,
democrazia, rappresentatività, decisione, partecipazione, la concezione
generale del mondo è allora decisamente segnata da questa povertà e
limitatezza.
Mercato e profitto agiscono in maniera decisiva e determinante, giacché poi
tutto è determinato dal grasso che cola o meno dalla pentola: una situazione di
grave crisi comporta il taglio brutale di tutto, senza eccezione alcuna.
E’ il Proletariato che apporta alla teoria politica un decisivo e fondamentale
contributo coniugandola non più con “uomo” astrattamente inteso, ma con “
umanità sociale”.
Marx nella X Tesi su Feuerbach scrive: “Il punto di vista del vecchio
materialismo è la società borghese, il punto di vista del materialismo nuovo è
la società umana o l’umanità sociale”.
Fonda, così, la teoria politica come Scienza della Politica, facendo
precipitare tutto il precedente elaborato al rango di mito, superstizione,
magia, fantasticherie, retorica.
La fonda come Scienza nel momento in cui legge il lavoro in quanto modo
specifico, esatto, concreto, materiale di esse e divenire l’uomo Zoòn politikòn o essere sociale.
Una volta letto Uomo-Lavoro, legge l’uomo nella sua concreta materialità e
quindi nelle sue infinite forme di essere e quindi diversità costituisce categoria fondamentale del suo impianto.
La struttura saldamente come Scienza nel momento in cui legge la Comunità –
Uomo, quale unica attrice in grado di attuare tramite il lavoro il ricambio
organico Uomo – Natura.
In “ Grudrisse” Karl Marx sviluppa una
critica serrata ed attenta alle teorie circa il singolo uomo, che liquida con
il termine “robinsonate”.
Lavoro e Comunità – Uomo costituiscono allora gli assi fondanti da cui
discendono tutte le categorie e le definitorie e quindi Libertà, Solidarietà,
Democrazia e discendono poi la politica sociale, la struttura dello Stato, le
linee politiche dello Stato, le strutture rappresentative, ecc.
Coniuga allora Lavoro – Comunità Uomo: il lavoro, ossia il ricambio organico uomo
– natura, come azione esperita dalla Comunità – Uomo, in quanto produttrici e
consumatrice al fine dell’essere e divenire dell’uomo Zoòn politikòn, essere sociale.
In quanto Comunità – Uomo tale azione, ossia il lavoro assume un carattere
razionale e pianificato, superando così, la scissione tra Uomo/ prodotto del
Lavoro/scopo del Lavoro, ossia l’alienazione.
Punto nevralgico di tale scissione è nel fatto che gli uomini sino ad oggi sono
stati dominati, e nella società capitalistica continuano ad essere dominati,
dalle forze produttive e quindi impossibilitati a dirigerle, la cui forma
fenomenica più immediata di questa situazione è quella scissione tra Uomo/
prodotto del lavoro/scopo del Lavoro.
Federico Engels, in Antidhuring, ha ben esposto questo punto chiave.(4)
Questa disamina teorica non è affatto accademica.
Essa ha lo scopo di tracciare i principi teorici della Scienza della Politica
del proletariato, che ispirano e guidano sin dall’inizio la costruzione della
società socialista.
Voi, cioè, non potete leggere l’esperienza storica del proletariato mondiale
per quanto attiene la costruzione della società socialista nel periodo
1917-1989, e quindi della stessa U.R.S.S, se non vi liberate dalla teoria
politica borghese e non assumete, invece, la Scienza della Politica, fondata
dal Proletariato.
Essa costituisce uno stadio superiore dell’Umanità ed è retta da altre
concezioni teoriche, altri princìpii. Altre categorie, altre definitorie non
assimilabili in alcun modo con tutte le precedenti.
La parola d’ordine lanciata dai bolscevichi “ Tutto il potere ai Soviet”,
esprime, nella sintesi della parola d’ordine, esattamente questi nuovi
princìpii e questa nuova concezione teorica.
Ed è questa visione che dobbiamo avere nell’esaminare la costruzione del
socialismo in U.R.S.S., diversamente questa stessa relazione vi diverrà
incomprensibile.
Il proletariato è una classe egemone e dirigente ed in quanto tale ha una sua concezione
teorica generale, che non mutua dalla borghesia, che non ricava attraverso
alcun capovolgimento. Esso fonda una nuova società, che in quanto tale non è
comprensibile con i parametri della precedente o delle precedenti società.
Infine, non occorre mai dimenticare che mentre tutte le precedenti classi che
si sono succedute: schiavista, feudale e borghese, e quindi tutte le precedenti
rivoluzioni, hanno semplicemente modificato la forma dello sfruttamento, e
quindi costituiscono continuità nella sostanza e rottura nella forma, mentre la
rivoluzione socialista costituisce la rottura nella forma e nella sostanza con
tutte le precedenti epoche della storia degli uomini; e quindi mentre tutte le
precedenti società costituiscono una continuità sostanziale e ciascuna
succedutasi può avvalersi dell’apparato teorico sostanziale delle precedenti e
costituire continuità sostanziale nelle coscienze degli uomini, la società
socialista non costituisce continuità ma rottura e quindi compete a lei aprire
una nuova fase nella storia umana, ecco perché Marx, Per la critica
dell’Economia Politica, dice che la nuova società costituisce la fine della
Preistoria e l’inizio della Storia degli uomini.
Organizzazione della società socialista.
Abbiamo visto come il citoyen va scomposto in quattro: produttore,
consumatore, uomo, cittadino.
Questi quattro momenti, e non il solo citoyen borghese, devono essere messi in
grado di agire singolarmente ed interagire tra di loro e consentire poi che
possano convergere sul soviet, che costituisce il momento unificante. Abbiamo
così che in quanto produttore è organizzato sostanzialmente nel Sindacato e nei
colcos di campagna, di pescatori e di cacciatori; in quanto consumatore è
organizzato nelle cooperative di consumo, in quanto uomo nelle varie
associazioni culturali, sportive, sociali; in quanto cittadino nel Soviet.
Ovviamente ciascuno appartiene a più organizzazioni: il produttore è sia
organizzato nel sindacato, sia nella cooperativa di consumo, sia in quella
culturale, sportiva, ecc, se lo vuole, e sia infine nel Soviet.
In ciascuna porta la sua diversità.
L’intero territorio sovietico, lo sconfinato territorio sovietico, è
letteralmente ricoperto da una fitta ramificazione capillare di questi quattro
momenti e queste quattro forme di organizzazione.
Il soviet ha una struttura molto piccola, nelle città il soviet di città viene
suddiviso in circoscrizioni e quartieri e sottocircoscrizioni per un massimo
sempre di 1500-3000 cittadini.
In ogni singolo villaggio esistono sindacati di categoria per quanto riguarda
insediamenti industriali, kolcos di contadini, di pescatori, di cacciatori,
associazioni di consumatori, associazioni culturali, sociali, civili, ecc.
Questi trovano nel Soviet di villaggio il momento unificante.
Esso si centralizza sulla struttura distrettuale, ove abbiamo il livello
superiore, che é centralizzato a livello regionale, e questo da quello
nazionale ed il nazionale (Ucraina, Russia propriamente detta, ecc. ) infine
nel Soviet dell’U.R.S.S. Ovviamente ciascun momento: Sindacato, kolcos,
cooperativa di consumo, associazione culturale, sportiva è strutturato in
maniera piramidale, ossia a livello distrettuale, provinciale, regionale,
nazionale e dell’U.R.S.S.
E’ già qui la struttura è tremendamente dinamica, giacché ciascun momento, sia
a livello di Soviet che del sindacato, del kolcos, dell’associazionismo più
vario ha momenti contraddittori sia rispetto alla struttura piramidale che al
Soviet. In concreto il sindacato della fabbrica del villaggio ha momenti
contraddittori sia con il Soviet di
villaggio che con il sindacato di categoria a livello cittadino e così via
dicendo.
In linea più generale non è altro che la contraddizione che oppone il
particolare al generale, ove il particolare rientra sempre in maniera
imperfetta nel generale ed il generale abbraccia in maniera sempre
approssimativa il particolare.
Nel momento in cui si costruiscono dei rapporti tra questi momenti essi
inesorabilmente interagiscono e questa messa in contatto, questa messa in rete possiamo
dire oggi, esalta la particolarità, esalta la diversità e richiede
l’espressione della diversità.
Oggi è acquisizione consolidata la teoria della struttura in rete ove ciascun
punto è centro e periferia al tempo stesso e dove i concetti di “centro” e
“periferia” hanno una definizione relativa.
L’U.R.S.S degli anni Trenta anticipa molte teorie scientifiche sia sul piano
della sociologia, che della Scienza della Politica, che dell’economia e della
matematica, che infine dell’Economia matematica.
Ma mentre nella scienza borghese sono acquisizioni marginali a cui non viene
dato consequenzialità teorica, nella scienza e nella pratica sovietiche
acquisiscono centralità.
Qui lo vediamo con la struttura a rete, che sul piano matematico viene
formulato per esempio da Neuwamn con la teoria del “reticolo”, ma nella stessa
scienza matematica non avrà mai una qualche seria consequenzialità.
L’intero sistema, per tornare a noi, è così sollecitato da infiniti punti e per
infinite linee e messo in uno stato di costante disequilibrio dialettico ove
convivono allo stesso tempo il particolare, la diversità, ed il generale.
Ed occorre considerare che il Soviet di villaggio è generale rispetto al
kolcos, al Sindacato, ecc ma è particolare rispetto al Soviet distrettuale; e
così il kolcos di campagna è particolare rispetto a quello distrettuale, ma è
generale rispetto ai singoli soci, ecc. ecc. Particolare e generale sono, cioè,
momenti dialettici, quello che qui è generale lì è particolare e viceversa.
Noi qui per semplificare abbiamo parlato unicamente della fabbrica, ma su di
un’area non insiste, non c’è, solo la fabbrica, ma anche l’ospedale, la scuola,
uffici comunali, negozi, ecc. ove in ciascuno i lavoratori sono organizzati nei
rispettivi sindacati di categoria, che sono strutturati in maniera piramidale,
come si è detto.
L’intera struttura è retta dal centralismo democratico.
Il centralismo democratico è la forma nella quale si esprime, si esplica, la
Democrazia della classe del proletariato.
L’intera complessità diviene in qualche modo più chiara se fermiamo
l’attenzione sulla struttura distrettuale, che è la forma piramidale più
semplice, che viene subito dopo la struttura di villaggio, vediamo già qui le
infinite sollecitazione per infiniti punti e per infinite linee, la struttura a
rete appunto, che il sistema subisce, le forze diverse che si impattano su tale
sistema e quindi il disequilibrio dialettico nel quale il sistema viene
costantemente a trovarsi. Adesso questo lo dobbiamo proiettare ai livelli superiori
fino a quello dell’U.R.S.S ove man mano che si procede verso l’alto queste
spinte si esponenziano, dove la complessità si esponenzia, dove le
particolarità, le diversità, si esponenziano.
La cosa diviene forse un po’ più
chiara se analizziamo, invece, la struttura borghese in parallelo.
Prendiamo per esempio la città di Napoli e le sue circoscrizioni. Noi vediamo
che il Comune e la Circoscrizione provvedono unicamente alla direzione
amministrativistica, giuridica, tecnica, oltre che politica, ma su di loro non
convergono le istanze dei produttori, dei consumatori, le istanze delle
fabbriche, degli uffici, ecc. I piani sono distinti e non interagiscono se non
per vie molto lata, o quando si verificano casi eccezionali come la chiusura di
qualche fabbrica importante della zona, ma qui l’intervento non va oltre la
solidarietà.
La produzione, il consumo, le attività culturali, ecc. non rientrano affatto
nella sua competenza, che sono invece lasciati al mercato ed al profitto: i due
assi unici e fondanti del sistema capitalistico. Questo implica, comporta, la
separazione netta di ciascun momento della vita degli uomini e quindi la
lettura separata di ciascun momento come indipendente ciascuno da tutti gli
altri e quindi la burocrazia in quanto concezione e metodo che ispira l’operato
e quindi la mortificazione della diversità e la riconduzione delle
diversità alla normalità, astrattamente
definita sulla base della concezione produttivistica, ossia sulla base di una
concezione tutta, e sola, economicistica e dell’economicismo più immediato. Si
esprime qui, anche qui, quella che è il metodo sostanziale della concezione
generale del mondo della borghesia, ossia la metafisica, la lettura dei singoli
e separati momenti, costruiti, ed assolutizzati, come separati.
Nella realtà oggettiva questi momenti sono interdipendenti e si condizionano
vicendevolmente, ma è la struttura sostanziale borghese che li legge separati,
e li tiene separati, e gli interessi di classe della borghesia spingono a
costruirli separatamente, onde poter tenere diviso il fronte delle forze
produttive e spezzettarne l’onda d’impatto.
Se si legge la realtà nel suo movimento oggettivo – ma occorre avere una
concezione teorica generale ed un metodo per essere in grado di dare una simile
lettura, ma occorre anche che vi sia una classe che non abbia interessi nella
lettura parziale del movimento oggettivo ed il cui interesse è la lettura a
tutto campo: è questo poi che spinge il proletariato ad approdare al
materialismo storico-dialettico – si costruiranno questi momenti in
collegamento tra di loro, in rete. La consequenziale immediata diretta è il
crollo di quella separazione, di quella visione metafisica ed unitamente a
questa l’esaltazione della diversità, che diviene fulcro e spinge ad un nuovo/altro
equilibrio del sistema, ossia ad un altro sistema.
Se ci fermiamo qui, avremmo una società dinamica, poliedrica, multiforme,
l’esaltazione di questa poliedricità, ma la realtà sovietica è ancora molto più
complessa.
Fin qui abbiamo considerato una realtà omogenea, cosa che l’U.R.S.S non è.
Insistono infatti sul suo territorio una moltitudine di nazionalità.
Nel regime capitalistico esse in maniera violenta e sanguinaria venivano tout
court negate e sottoposte a feroci repressioni e pogrom organizzati dai
ministri dello zar.
In U.R.S.S ciascuna nazionalità viene pienamente riconosciuta nella sua piena e
totale integrità: territoriale e culturale e quindi usi, costumi, lingua,
tradizioni. Ciascuna repubblica mantiene la sua lingua nazionale e nelle scuole
viene insegnata la lingua di quella nazionalità, la sua storia, i suoi costumi,
le sue tradizioni; ossia assieme alla lingua di quella nazionalità veniva
insegnata la lingua ufficiale dello Stato sovietico assieme all’inglese ed al
tedesco, di queste una a scelta.
Esiste per esempio una comunità tedesca insediatasi nei primi del 1700 che
mantiene appieno la sua autonomia culturale e territoriale. Esistono
popolazioni nomadi, che mantengono la loro struttura nomade, le loro
tradizioni, i loro costumi, la loro lingua, ecc.
Esiste la comunità ebraica.
E’ interessante fermare l’attenzione sulla comunità ebraica e la politica dello
stato Sovietico verso gli ebrei che risiedevano in U.R.S.S.
La comunità ebraica
La presa del Palazzo d’Inverno costituisce per la popolazione ebraica la prima
liberazione in tutta la loro storia. Con un tratto di penna il governo
soppresse tutta la complicata rete di leggi dirette contro gli Ebrei. Le loro
catene caddero. Divieti e discriminazione volarono nel mucchio sotto i colpi della
corazzata Potimkin. Gli Ebrei poterono rialzare la schiena e guardare al loro
futuro per la prima volta senza paura.
Il problema ebraico si presentava nella forma di sollevare dalla miseria e
trovare un’occupazione alle famiglie dei commercianti e dei negozianti rovinati
delle piccole città della Russia bianca e dell’Ucraina. Per quella parte di
ebrei che erano in possesso di un una istruzione ed in grado di avere nomine
ufficiali e ingresso nelle professioni intellettuali il problema non si poneva,
ma costituivano una minoranza. Per la maggioranza di essi la massima risorsa
consisteva nella fondazione di colonie ebraiche prima nell’Ucraina meridionale
e nella Crimea, e successivamente nei vasti territori destinati a questo scopo
a Birio Bidjan sul fiume Amur, nella Siberia orientale. Nel corso degli anni
Venti e Trenta sono largamente aiutati dal governo con terre e credito,
assistite da una serie di associazioni filantropiche promosse dagli Ebrei degli
Stati Uniti e da quelli dell’U.R.S.S nella grande Società Volontaria di
Colonizzazione Ebraica. Circa 40mila
famiglia per un complessivo di 150mila persone trovano una loro sistemazione di
vita. Biro Bidjan che accoglie circa 40mila persone viene creata regione autonoma
con il grado di oblast e diventerà “
Repubblica Autonoma Ebraica”.
A tutti gli aggregati di Ebrei sparsi su tutta l’U.R.S.S, anche se non
riconosciuti come nazioni, il governo sovietico concede autonomia culturale di
tipo ed ampiezza uguale a quello che esso accorda alle minoranze nazionali
propriamente dette. Il soviet ebraico esiste dovunque vi sia un gruppo ebraico
consistente. Il Soviet regionale ove insistono soviet ebraici vede l’esistenza
di un Commissario di polizia ebreo con un numero di 3-5uomini ai suoi ordini.
Nei soviet ebraici ovviamente la lingua nazionale ufficiale è la lingua
ebraica, ossia l’yddish. E’ la lingua nelle quali ci si esprime nelle
riunioni e nella quale vengono redatti
documenti e la corrispondenza. L’yddish è la lingua nella quale i ragazzi ebrei
ricevono l’istruzione.
Il governo sovietico si è trovato a scontrarsi con la mentalità e la
consuetudine ebraiche del commercio e della pratica dell’usura. Nel 1921 la NEP
riabilita la massa ebraica ad esercitare le sue attività di commercio,
attraverso una politica consistente nello sviluppare linee alternative al
commercio esercitato da ebrei ne riduce l’impatto negativo, mentre attraverso
gli organi dello Stato provvede ad impedire ed a punire qualsiasi pratica
dell’usura, tagliando così le fonti principali di quelle consuetudine e
mentalità.
Nel corso dell’aggressione imperialista all’U.R.S.S saranno le popolazioni
ebraiche a sostenerne un notevole impatto: l’Ucraina sarà una regione che vedrà
una notevole pressione militare nazista e pagherà un alto contributo di sangue
per la salvezza della Patria Socialista.
Dobbiamo quindi complessificare la struttura che abbiamo in precedenza
delineato ed immettervi questa nuova complessità, data appunto dalle diverse
nazionalità, ove ciascuna è una diversità e tutte assieme costituiscono da sole
un fascio decisamente problematico di diversità. E ciascuna singola nazionalità
è attraversata appieno da quel disequilibrio dialettico del più generale
sistema e di cui si è detto.
Tutti gli elementi vengono messi in relazione ed interagiscono, si influenzano
vicendevolmente in un moto costante, quasi heisenberghiano, giacché ciascuno è
portatore di diversità e la struttura esalta la diversità.
Vedete bene ora tutta l’importanza di quella trattazione iniziale, che poneva
al centro la tematica omologazione/diversità e vedete ora meglio tutta la
piattezza e primitività non solo della struttura sociale borghese, ma della sua
stessa teoria politica.
La Pianificazione – il
Gosplan.
Abbiamo sin qui descritto un sistema astratto, abbiamo indicato una
generale interconnessione, una generale struttura in rete.
Abbiamo, cioè, delineato la Statica del sistema e non ancora la Dinamica.
Abbiamo suddiviso il citoyen nei suoi quattro momenti, ma non abbiamo indicato
come il produttore agisce nella realtà e come il consumatore. Abbiamo indicato
che tutto confluisce sul Soviet, ma non abbiamo detto su cosa il Soviet agisce.
La costruzione del sistema e le sue interrelazioni sono astratte, allo stadio
attuale dell’esposizione esprimono unicamente la volontà soggettiva di volere
che..., ma non abbiamo indicato quale è la base materiale, oggettiva, che
costringe i vari momenti ad interagire, ad influenzarsi reciprocamente.
Allo stadio attuale dell’esposizione il sistema è veramente una complicatissima
macchina burocratica, giacché l’intero sistema non ha una base oggettiva che
costituisce motore, che imprima il movimento.
Abbiamo, cioè, delineato la Statica e non ancora la Dinamica.
I termini “ Statica” e “ Dinamica” sono qui utilizzati nell’accezione
scientifica ed in modo particolare nell’accezione della Fisica. Valgono quindi
qui tutte le complessità e contraddittorietà
che insistono tra Statica e Dinamica, ossia il movimento e quindi le
leggi che regolano il rapporto Statica/Dinamica. – Notarrigo
La società socialista è definita da Marx ed Engels quale “società dei
produttori” ove i produttori associati esercitano una direzione cosciente sulle
forze produttive, una volta che le hanno comprese nella loro natura ed attuano
una regolamentazione sociale pianificata della produzione, conforme ai bisogni
della comunità che di ogni singolo. Questo comporta la cessazione della
scissione tra Lavoro/prodotto del Lavoro/scopo del Lavoro, Alienazione, in cui
il prodotto asserve chi lo produce, per una appropriazione dei prodotti da una
parte direttamente sociale come mezzo per la riproduzione, semplice e/o
allargata, e dall’altra per una appropriazione direttamente individuale come
mezzo di sussistenza e godimento ed entrambi per l’elevamento materiale e
spirituale dell’uomo.
Il punto è allora questa direzione cosciente e pianificata delle
forze produttive, questa presa del controllo e direzione delle forze
produttive, che la comunità dei produttori esercita in maniera razionale.
La società socialista, infatti, sostituisce la Pianificazione al mercato.
La Pianificazione esprime il più alto momento di razionalità e Democrazia,
consente la più alta crescita democratica degli uomini, elevandoli
dall’astrattezza del citoyen all’altezza di padroni del proprio destino.
“Nati non foste per viver come bruti,
ma per seguir virtude e conoscenza.” ( Dante ).
Attraverso la Pianificazione la società dei produttori esprime la massima
direzione sulla Natura ed i singoli produttori nella Pianificazione esprimono
il più alto momento di Libertà e di Democrazia, mai conosciuto in tutta la
Storia degli uomini, intervengono in maniera cosciente nel rapporto Necessità –
Libertà.
Attraverso la Pianificazione la società dei produttori e ciascun singolo
produttore, ossia ciascun singolo membro della società, superano la scissione
Lavoro/prodotto del Lavoro/scopo del Lavoro, gettando le basi materiali per il
superamento dell’alienazione e con essa tutte le concezioni e idee e teorie
metafisiche, idealiste, reazionarie.
Liberano l’uomo da tutto il vecchio ciarpame, gettando le basi per l’uomo nuovo
e con l’uomo nuovo l’umanesimo sociale.
Attraverso la Pianificazione, attuando una direzione cosciente, razionale, del
processo di ricambio organico uomo-natura, la Scienza da una parte cessa di
essere ostile ed estranea all’uomo, supera il processo di scomposizione a cui è
andata incontro nella fase borghese per una nuova e più alta centralizzazione,
per una nuova unificazione e riorganizzazione dei Saperi, giunge ad una nuova e
più alta forma di Logica e dall’altra supera tutti i limiti angusti, le
bardature entro i quali gli interessi delle classi dominanti la costringevano a
stare per sfociare in una nuova Scienza. Si coniuga e fa tutt’uno con
l’umanesimo sociale, diviene la base logica e razionale di una nuova coscienza
scientifica degli uomini. Solo allora potranno cadere tutti gli spettri, e gli
idoli che hanno sin qui dominato gli uomini; tutte le proiezioni mitiche che
l’uomo nel corso dei secoli ha proiettato fuori di sé e che hanno finito per
dominarlo. Solo allora gli uomini metteranno dio, gli spiriti, ecc. nel museo
accanto alla rocca da filare.
Antonio Gramsci scrive: “ Quando la concezione del mondo non è critica e
coerente ma occasionale e disgregata, si appartiene simultaneamente ad una
molteplicità di uomini-massa, la propria personalità è composita in modo
bizzarro; si trovano in essa elementi dell'uomo delle caverne e principi della
scienza più moderna e progredita (5), pregiudizi di tutte le
fasi storiche passate, grettamente localistiche ed intuizioni di una filosofia
dell'avvenire, quale sarà propria del genere umano unificato mondialmente.”(6) Solo una nuova coscienza scientifica potrà consentire il
superamento di quella acritica stratificazione per una superamento critico di
essa:
direzione cosciente e razionale / nuova scienza / nuova coscienza scientifica /
superamento critico gramsciano;
costituiscono i punti nodali della costruzione della nuova società e dell’uomo
nuovo, in una dell’Umanesimo sociale.
Il Piano Quinquennale veniva elaborato in prima istanza, ossia provvisorio, dal
Gosplan e così inviato a tutte le strutture di base: sindacato, kolcos,:
contadino, di pescatori, cacciatori, cooperative di consumo, associazionismo in
genere: culturali, sportive, ricreative, ecc.
Nel piano erano indicati gli obiettivi di produzione e di consumo per ciascun
settore merceologico. Ogni singola struttura di base, riunita in assemblea – di
solito ne occorreva più di una – discuteva il progetto di piano provvisorio
apportandovi modifiche, suggerimenti per quanto riguarda la produzione di
ciascuna fabbrica, eliminazione di sprechi, razionalizzazione dei processi
produttivi, innovazioni tecniche e scientifiche ed in molti casi proponendo dei
contropiani. Se la struttura di base era medio o grande veniva suddivisa in
sottoparti, tali da consentire la partecipazione di tutti.
Per quanto riguarda le cooperative di consumo venivano indicazioni più
specifiche sulla qualità e diversificazione di produzione per quanto attiene
specifiche merci in grado di rispondere più attentamente alle specificità di
consumo di quell’area, di quella zona, di quella massa di consumatori.
Il Piano provvisorio sulla base della produzione indicata, del valore della
ricchezza sociale che sarebbe stata prodotta nell’anno successivo e nel corso
dei cinque anni del Piano, dedotta la parte che andava reinvestita per la
riproduzione, semplice e/o allargata, indicava la quota che poteva venire
investita nei servizi sociali: sanità, cultura, sport e quindi costruzione di
sale cinematografiche, teatri, impianti sportivi, biblioteche, ecc.
Attraverso le strutture periferiche del Gosplan e dei Soviet arrivava al centro tutto il materiale scaturito
dalle centinaia di migliaia di assemblee di fabbrica, reparto, kolcos,
cooperative di consumo, ecc.
Su questa base il Gospalan elaborava il Piano Quinquennale definitivo,
articolandolo anno per anno, che presentava al Consiglio dei Ministro, il quale
dopo discussione lo approvava. In questa veste veniva presentato al Soviet
Supremo che lo licenziava nella versione definitiva, convertendolo in legge
dello Stato.
Ovviamente il Piano quinquennale approvato non poteva in alcun modo ritenersi
definitivo, perfetto. Si sapeva che di anno in anno esso sarebbe stato
modificato, corretti gli errori di valutazione, in eccesso o in difetto. Per ciascun anno il Gosplan, sulla base del
Piano Quinquennale elaborava i piani particolari per l’anno successivo: il 1930
per il 1931. E qui lo stesso procedimento che si era seguito per il Piano
Quinquennale: provvisorio, dibattito, definitivo, consiglio dei Ministri,
Soviet Supremo dell’U.R.S.S. Sulla base di questo si correggevano gli errori
del Piano del 1930 ed a cascata le modifiche che questo comportava sul Piano
Generale, quello Quinquennale.
Nella ripartizione della ricchezza sociale prodotta una parte importante era
costituita non solo dalla quota per ammodernamento dei macchinari, ampliamento
e costruzione di nuove fabbriche, diversificazione della produzione agricola e
messa a coltura di nuove terre e colture; ma una parte non meno importante era
destinata per case, scuole, ospedali, biblioteche, impianti sportivi, sale
cinematografiche, teatri, circoli ricreativi, spese per la formazione e l’educazione
scolastica e per l’aggiornamento tecnico-scientifico e professionale dei
lavoratori, consentendo così il passaggio a livelli più alti: da manovale a
manodopera qualificata, specializzata, tecnico, manager, ecc. ecc.
Già se ci fermiamo a questo semplice livello, abbiamo la più alta e possente
democrazia: centinaia di milioni di uomini – le assemblee vedevano la
partecipazione del 70-85% degli operai e lavoratori – che contribuivano
all’elaborazione dell’indirizzo da dare al processo del ricambio organico uomo
– natura ed all’indirizzo e scopo da dare al loro lavoro. Il prodotto del
lavoro cessava così di essere estraneo al produttore, cessava di asservire il
produttore, per essere invece asservito dal produttore secondo un piano. Lo
scopo del lavoro era ben conosciuto dal produttore non solo del suo prodotto,
ma di come il suo singolo prodotto andava ad inserirsi nel più generale
processo di produzione di tutti gli altri prodotti e quindi nella produzione e
distribuzione generale della ricchezza sociale prodotta per quell’anno e
nell’arco dell’intero Piano Quinquennale.
Vediamo adesso concretamente come avveniva la produzione e la ripartizione
della ricchezza sociale prodotta.
Fabbriche.
Il Sindacato con il governo dell’U.R.S.S trattava la stipula del
Contratto Nazionale di Lavoro, della durata biennale sia la parte normativa che
economica, ovviamente entro il quadro della Pianificazione. La struttura
salariale in generale era a cottimo. I livelli erano 8 ed il rapporto tra il 1°
ed l’ 8° livello era di 1 a 3,6, ossia se il primo livello prendeva 1000 il 6°
prendeva 3600.
E questo era il livello salariale base. A questo livello centrale della
contrattazione seguiva poi la contrattazione decentrata, che veniva stabilita
per quanto attiene il livello salariale, dato appunto a cottimo, dalla quota di
produzione che la fabbrica riusciva a produrre in più del piano, oltre i vari
premi se la fabbrica raggiungeva l’obiettivo stabilito dal Piano.
Questa massa supplementare veniva ripartita innanzitutto in base ad un più alto
salario, che era a cottimo, una parte veniva invece dall’assemblea deciso
l’utilizzo in vari forme:
biblioteche, impianti sportivi, case, mensa, borse di studio per i giovani che
venivano inviati all’Università e tutto quello che interessava la comunità di
quella fabbrica, ma anche vacanze premi per lavoratori.
Ciascuna fabbrica aveva al suo interno una cooperativa di consumo.
Kolcos.
Il Kolcos contadino o quello dei pescatori o dei cacciatori aveva
l’obbligo di garantire ad un prezzo stabilito prima la quota di prodotti
stabilita dal Piano, che essi avevano accettato nei dibattiti assembleari:
grano, lino, pesce, cacciagione, patate, riso, ecc. ecc.
In base a tale produzione venduta allo Stato esso ricava quanto necessario sia
alla riproduzione semplice e/o allargata e quindi anche al pagamento del lavoro
dei singoli contadini e sia un surplus. Una parte del plusvalore prodotto,
cioè, ritornava al Kolcos, come ritornava alla fabbrica, ecc.
Inoltre tutta la parte eccedente la quota stabilita da fornire allo Stato
rimaneva al Kolcos che la distribuiva tra i suoi vari membri ed una parte
restante veniva variamente investita o spesa, secondo i deliberati delle
assemblee di soci: ammodernamenti, costruzione di case, ospedali, biblioteche,
sale cinematografiche e teatri, impianti sportivi, borse di studi per i figli
dei contadini di quel kolcos per l’università, premi speciali per contadini che
si sono distinti nel lavoro; fondi per l’assistenza e la previdenza, asili
nido, ecc. ecc. ecc.
Una parte infine della produzione che rimaneva, potevano portarla direttamente
al mercato o venderla direttamente a cooperative di consumo o a fabbriche per
la trasformazione e conservazione agricola, ricavandone un reddito
supplementare che andava ripartito allo stesso del precedente tra tutti i
membri del kolcos.
Infine ciascun kolkosiano aveva un suo piccolo appezzamento di terra ed animali
per il consumo personale, che poteva vendere sui mercati locali.
Lo Stato provvedeva il kolcos di macchinari ed assistenza tecnica e
scientifica.
Per quanto riguarda le campagne lo Stato attraverso le STM provvedeva a fornire
ai contadini le attrezzature per le varie operazioni agricole: semina, aratura,
trebbiatura, ecc.; la consulenza tecnica e scientifica di tecnici, ricercatori,
accademici: dall’analisi chimico fisico del terreno, alle indicazioni sui tempi
di semina e raccolta grazie alla stretta collaborazione dei centri di
meteorologia, oltre che a Conferenze, Convegni, Lezioni di accademici sulle
questioni generali, ma anche su questioni specifiche inerenti nuovi sistemi di
piantagione, semina, ecc..
Per quanto riguarda i pescatori provvedeva a fornire navi da pesca d’alto mare,
sistemi di lavorazione e congelamento a bordo ed a terra, l’assistenza
tecnico-scientifico sia delle capitanerie di porto che delle stazioni
meteorologiche, che di tecnici, ricercatori, accademici sui più recenti
risultati scientifici del campo per allevamento di specie animali marine, ecc.
ecc.
Tutto questo comportava un alto impegno di capitali che non insisteva sui
kolcos e che per certi aspetti per i singoli kolcos avrebbe comportato un
incremento del costo di produzione dei loro prodotti: un trattore non viene
usato tutto l’anno, la mietitrebbiatrice solo per un certo periodo, ma richiede
un investimento di capitale per l’acquisto e un esborso per la sua
manutenzione.
Lo Stato era il detentore della massa principali di questi mezzi di produzione
e per tale assistenza e fornitura di macchinari, ecc. prelevava un 2% sul
prodotto.
Cooperative di Consumo.
Nel corso delle assemblee per dibattere il Piano Quinquennale e annuale
decidevano la quantità di merci che intendevano consumare, stanziando i
relativi fondi e stipulando con il Gosplan i contratti di fornitura.
Le Cooperative di Consumo inoltre sulla base del reddito maggiore dei soci,
determinato dal superamento delle quote stabilite dal piano che avevano
ottenuto in quanto produttori, potevano stipulare contratti di forniture
direttamente sia con i kolcos contadini che con quelli dei pescatori e
cacciatori per le quote che ad essi restava, dopo aver venduto allo Stato le
quote del piano stabilite della loro produzione, sia direttamente con le
fabbriche produttrici delle singole merci: giocattoli, arredamento, calzature,
dischi, grammofoni, radio, suppellettili, ecc. ecc. per rispondere alle
esigenze dei propri soci.
Associazioni culturali, sportive e
associazionismo più vario.
Indicavano al Gosplan le loro esigenze per l’anno successivo o per
l’intero Piano Quinquennale e le spese che intendevano attuare per
ammodernamenti, acquisti vari, ecc. e quindi la loro quota di consumo.
L’Associazione dei Lavoratori indipendenti.
Provvedevano ad indicare la quota del consumo che essi prevedevano
di consumare ed il piano della loro attività e quindi la quota di lavoro che
attraverso il loro lavoro individuale ritenevano di ricoprire: idraulici,
elettricisti, ebanisti, piccoli artigiani, avvocati, artisti, lavoratrici che
si dedicavano a lavori domestici, singoli ricercatori che preferivano un lavoro
indipendente con la stipula di contratti a termine o a consulenza, ecc.
L’Accademia delle Scienze similarmente le altre organizzazioni scientifiche,
culturali, ecc. seguivano lo stesso iter.
La pianificazione copriva così l’intera produzione dell’U.R.S.S sulla base
delle esigenze generali materiali e spirituali, attuando in concreto quella
direzione razionale del ricambio organico uomo-natura.
L’attività del Gosplan comprendeva ovviamente la direzione dell’intero
import-export.
Sulla base delle esigenze della produzione complessiva e del valore complessivo
delle importazioni che per il
quinquennio e per ciascun singolo anno, pianificava la produzione per
l’Esportazione in modo da avere sempre la bilancia dei pagamenti in pareggio e
quindi la stessa estrazione/produzione di oro, argento, diamanti, oltre alle
materie prime per l’esportazione che servivano a pagare le importazioni. Il
Consiglio dei Ministri ed i suoi dipartimenti provvedevano ad assicurare quel
volume di import ed export per la produzione.
Questo era uno dei punti più delicati del Piano per la situazione di
accerchiamento in cui l’U.R.S.S veniva a trovarsi. Innanzitutto i paesi
imperialisti, tutti o in parte, poteva ritenere utile, al fine di creare
disordini nell’economia dell’U.R.S.S con le consequenziali ricadute sul piano
sociale, di venir meno agli impegni di esportazione. In questo caso occorreva
rivedere l’intero piano per quelle produzioni, che richiedevano quelle merci
che si sarebbero dovute importare, con una ricaduta sulla ricchezza sociale che
sarebbe stata prodotta e la necessità di una diversa ripartizione della
ricchezza.
In questo caso esistevano ben precise priorità e tra queste quelle della spesa
sociale: sanità, scuola, assistenza e previdenza, che non potevano in alcun
modo essere intaccate. Non era consentito, e non si verificava mai, come
attestano documentazioni ampie e dettagliate inglesi e statunitensi, che un
farmaco, una dotazione ospedaliera potesse venire cancellata in tutto o in
parte e così per la scuola, ecc. Quello che poteva essere contratto, entro
certi limiti ma come valutazione generale dell’intera associazione dei
produttori, era il piano edilizio, l’apertura di altre scuole e ospedali, ma
mai l’abbassamento dell’esistente.
In secondo luogo il pareggio della bilancia dei pagamenti non poteva in alcun
modo e per nessun motivo risultare in disavanzo: questo costituiva una priorità
assoluta inderogabile.La bilancia dei pagamenti in pareggio, una sostanziale
riserva aurea e delle principali divise, quali sterlina e dollaro avevano la
funzione di garantire la stabilità interna dell’intero sistema, mettendo al
riparo l’U.R.S.S da tensioni e speculazioni sul rublo, che avrebbe poi
significato lo scaricare sull’U.R.S.S la crisi dei paesi capitalistici più forti
e questo in situazione quale quella 1926-1939 di gravissime perturbazioni del
mercato azionario, della borsa delle merci e delle monete.
Nella relazione provvisoria il Gosplan
esponeva l’andamento previsionale del mercato mondiale e quindi i costi
ed i prezzi delle merci in modo da consentire una ponderata valutazione sulle
linee programmatiche dell’intera economia e dell’import-export in particolare.
Per essere in grado di elaborare un piano quinquennale valido, ossia di attuare
una pianificazione scientificamente valida e quindi in grado di costituire
effettivamente direzione razionale del processo di ricambio organico
uomo-natura, la Scienza sovietica deve elaborare una nuova branca della
matematica e dell’economia matematica, giunge così a quella che in occidente
viene chiamata “interdipendenza delle relazioni settoriali”, un complicatissimo
calcolo basato sul calcolo matriciale, che consente di stabilire per esempio
che per costruire una casa di 100mq occorrono tanti chili di ferro, di vetro,
di legno, di cemento, di alluminio, di acciaio, e tanto consumo dei macchinari:
betoniere, camion, e nafta, e.. costi per salari, ammortizzamento, ecc. ecc. e
questo per una schiacciante serie di singole merci di tutti i settori
merceologici.
L’Ufficio Statistica costituiva il cuore di tutto questo complesso sistema, per
cui errori o inefficienze qui erano vitali per l’intero sistema. L’U.R.S.S
infatti svilupperà il più complesso e ricco apparato statistico ed un Ufficio
Statistico centrale e periferico che sin dagli anni Trenta non aveva uguali in
tutto il mondo per qualità e quantità di dati, precisione revisionale. Vengono
anche qui elaborate nuove tecniche e sviluppata la tecnica e la scienza
dell’archiviazione, dell’elaborazione dei dati portando la Statistica ad un
livello decisamente superiore a quella esistente nella società capitalistica.
La Statistica, e l’Ufficio Statistico in specifico, costituivano il vero
braccio tecnico dell’intera pianificazione.
Quando l’economia politica ha cercato di copiare la struttura della nuova
economia politica della transizione, ossia quella adottata in U.R.S.S per la
pianificazione, non vi ha capito gran ché e gli sforzi pur generosi di Leontiev
ed in Italia di D’Antonio e D’Anna sono risultati vani, perché non avendo come
base materiale la pianificazione, ma l’anarchia del mercato, tale nuova scienza
non ha avuto molto sviluppo nel mondo.Un qualche interesse l’ha suscitato
quando negli anni Settanta in Italia come in alcuni altri paesi capitalistici
si sperimenta la programmazione, che è comunque cosa ben diversa dalla
Pianificazione ed in questo senso poi vengono gli studi di Mariano D’Antonio e
Carlo D’Anna, ma già verso la fine degli anni Settanta decadono.
Detto questo, visto come concretamente il cittadino in quanto produttore e
consumatore interviene nella società e come si attua in concreto la direzione
generale e totale nel Paese e sul Paese, la nostra attenzione deve essere
fermata su due questioni.
-1. la estrema varietà delle forme di proprietà esistenti in U.R.S.S;
-2. la estrema interconnessione che saldava fabbriche, kolcos, cooperative di
consumatori, associazionismo più vario tra di loro nell’interscambio con
consequenziali forme di scambio di merci e diversi committenti, di natura
diversa, differente e variegata.
1. estrema varietà delle forme di proprietà
esistenti in U.R.S.S.
La soppressione della proprietà privata borghese dei mezzi di produzione non dà
luogo in alcun modo alla unicità della proprietà statale.
Non corrisponde allo stato reale delle cose ritenere che in U.R.S.S vi è
soltanto un unico datore di lavoro, ossia lo Stato collettivistico. Esiste
invece una multiformità nell’organizzazione della produzione e della
distribuzione della ricchezza in opposizione ad una presunta uniformicità dei sistema
e di organizzazione.
Vi sono nell’U.R.S.S varie centinaia di trust e combinat e nessuno di essi è
esattamene uguale agli altri. Differenze ancora maggiori si notano tra le
migliaia di imprese singole, dalle fabbriche agli istituti, dalle miniere alle
fattorie, dai pozzi di petrolio alle centrali elettriche, che sono gestite in
maniera indipendente per determinati scopi, non affiliate ad un trust o
combinat e responsabili soltanto verso una autorità superiore.
Vi sono imprese di villaggio, distrettuali, municipali, provinciali, imprese
dirette dalle diverse repubbliche federate od autonome, nessuna delle quali è
identica per gestione ed organizzazione alle analoghe imprese direttamente
sottoposte ai Commissari del Popolo. Gli stessi sindacati e le direzioni di
fabbrica gestiscono, in aggiunta a quelle che sono le loro funzioni primarie,
importanti aziende agricole produttive, come fattorie, latterie, allevamento
suini, per l’attuazione dell’”auto approvvigionamento”. Non diversamente fanno
le oltre 40mila società cooperative, la cui attività esorbita dai loro
compititi.
Le 250mila fattorie collettive differiscono infinitamente tra di loro per il
grado della loro collettivizzazione, che dalla semplice coltivazione in comune,
passando per forme di artiel più o meno complesse, arriva sino a quelle
associazioni di piena comunione i cui associati partecipano in misura uguale
così alla mensa ed all’alloggio come al lavoro ed al prodotto. Mentre
permangono forme di lavoro individuale isolato tra le tribù nomadi ed i
contadini indipendenti.
Dei venti milioni di famiglie delle fattorie collettive ciascuna ha il suo orto
individuale, il suo pollaio, il suo porcile, i suoi alveari, la sua stalla. Vi
sono poi nelle immense pianure dell’U.R.S.S migliaia di cacciatori e
pescatori soprattutto per la
sussistenza delle loro famiglie. Vi sono inoltre decine di migliaia di
artigiani individuali, non associati in artiel o incop – sono le forme di
organizzazione di lavoro individuale – che fabbricano prodotti più o meno artistici
di vario genere.
Così, vi è una infinità di generi, di sistemi e metodi di produzione. In breve
l’aspetto caratteristico della ricchezza dell’U.R.S.S è che, lungi dal
costituire identità di relazioni economiche o di struttura industriale, essa
presenta una estrema multiformità,
Lenin, nelle sue proposte e previsioni, allude più di una volta a questo tratto
della molteplicità come ad un vantaggio positivo nella collettività socialista,
e specialmente come ad una circostanza che consente l’utilizzazione di molti
incentivi intesi a provocare la massima partecipazione all’opera comune di
differenti e diversi individui. Al IX Congresso del Sindacato, Schvernik,
segretario generale, citando Lenin dice: “la multiformità è la garanzia di
vitalità. E’ un’arma per il conseguimento dei singoli fini. Quanto più è varia,
quanto migliore e quanto più ricca sarà la comune esperienza, tanto più veri e
maggiori saranno i successi del socialismo, tanto più facile sarà il lavoro
pratico; e soltanto dal lavoro pratico potranno svilupparsi i migliori sistemi
e mezzi di lotta.”.
All’opposto, é la forma della proprietà privata che ostacola, impedisce
l’esistenza di altre e policrome forme di proprietà.
Nella società capitalistica la forma della cooperativa è coartata dentro la
logica della proprietà privata borghese dei mezzi di produzione e costretta ad agire entro tali ambiti e
dentro tali leggi della proprietà capitalistica pena il fallimento/morte e così
tutte le altre forme di proprietà, giacché è il mercato il brutale livellatore
di tutte le forme di proprietà possibili e modi e sistemi di produzione
possibili al livello della proprietà privata borghese dei mezzi di produzione.
Il mercato livella non solo in generale, ma livella soprattutto sulla base del
punto più alto raggiunto in un determinato momento dal processo di produzione
capitalistico della proprietà dei mezzi di produzione: fase mercantile, fase
manifatturiera, fase del capitale monopolistico. Nelle specifiche condizioni
attuali livella sulla base delle condizioni del capitale monopolistico: le
altre società capitalistiche o si attrezzano con una struttura monopolistica o
soccombono: i prezzi, le materie prime ed i semilavorati, la distribuzione,
ecc. sono determinati dal capitale monopolistico, che in quanto tale stabilisce
tutte le regole del gioco del mercato.
E’ il mercato, cioè, che appiattisce la poliedricità, che placca in area il
dinamismo del ricambio organico, che tende ad esprimersi per sua natura in
mille forme, in quanto risposta ‘naturaliter’ a quelle specifiche condizioni
materiali di quell’area, ecc.; è il mercato, si diceva, che appiattisce
imponendo la via, per altro tortuosa, dispendiosa ed asfittica, del modo di
produzione consono alla proprietà privata borghese dei mezzi di produzione.
Certo solo se si ritiene che il modo di produzione capitalistico sia l’unico ed
assoluto ed il migliore dei mondi possibili, solo allora si può chiudere agli
occhi sul più evidente e smaccante dato, che si ripete stancamente, miliardi di
volte al giorno ed in tutti i settori e forma di vita degli uomini, e non
vedere che è la proprietà privata borghese dei mezzi di produzione che limita,
in una stanca monotonia, altre forme, tutte le altre forme, e modi di
produzione e distribuzione della ricchezza sociale da produrre e prodotta.
Solo la miopia assunta a principio supremo di verità assoluta può far ritenere
che il mercato agisce da regolatore e che la libertà del mercato, la democrazia
del mercato siano il motore forte del dinamismo e non vedere che quanto più
sono alte la libertà del mercato e la democrazia del mercato tanto più violenta
è la repressione di tutte le altre forme e modi di produzione; tanto più impera
la Dittatura più sfrenata dell’unico modo di produzione, quello basato sulla
proprietà privata borghese dei mezzi di produzione.
Negli anni Novanta questa libertà del mercato, questa democrazia del mercato si
sono poi espressi in quello che comunemente, anche se assai improprio, viene
chiamato pensiero unico, che aveva in tale unicità, del modo di produzione
della ricchezza sociale la sua reale, concreta, oggettiva base materiale.
Lo sviluppo scientifico e tecnologico, l’insufficiente sviluppo delle forze
produttive nel periodo tra il XVI e la prima metà del XIX secolo consentivano
unicamente il modo di produzione capitalistico, quale modo di produzione più
razionale ed efficiente per l’attuazione del ricambio organico nelle nuove
condizioni che si venivano a determinare dopo la scoperta dell’America,
rispetto a quello feudale.
In quelle esatte e precise condizioni storiche, in quelle concrete, precise
esatte condizioni storiche della conoscenza umana, che determinava quel livello
del ricambio organico uomo – natura, la libertà del mercato, ossia la dittatura
del modo di produzione capitalistico, ossia la lotta contro il precedente modo
di produzione in nome appunto della libertà di ciascuno di produrre nel modo
che riteneva più opportuno, per fare fronte alle nuove esigenze che il sistema
di produzione feudale non era in grado di soddisfare, ossia libertà per il modo
di produzione capitalistico nei confronti di quello feudale, costituiva
libertà, libertà dal modo di produzione feudale.
Ma già con l’applicazione della chimica ai processi produttivi, punto nodale è
Liebig, con lo sviluppo del telegrafo e di una diffusione alta delle
comunicazioni e dei trasporti su ferro e via acqua con tutto il più complessivo
sviluppo della Scienza e della tecnica, ossia con lo sviluppo delle moderne
forze produttive, il sistema di produzione capitalistico agisce da
soffocamento, trasformando la dittatura del mercato, quale libertà dal modo di
produzione feudale, in dittatura del mercato quale strumento per la repressione
ed il mantenimento/estensione del modo di produzione capitalistico e
repressione, coartazione delle nuove/altre forme di proprietà che il più alto
livello di sviluppo delle moderne forze produttive consentiva, determinando
cioè la necessità di una nuova libertà adesso dal modo di produzione
capitalistico per la dittatura delle altre forme di proprietà, o diversamente
definentesi: Dittatura del Proletariato, ossia dittatura del modo di produzione
dei produttori associati.
Sbagliano quanti, pur esperti in Economia, dichiarano la compenetrabilità di
Mercato e Piano, individuando nel Piano il momento della industrializzazione,
della costruzione dell’industria di base, come strumento tecnico per accelerare
tale processo, secondo l’economia di scala, in pieno impianto fordista, e nel
mercato il momento successivo quale strumento per una razionale diversificazione
dei bisogni, che invece nella fase iniziale si erano dovuti massificare,
uniformare. Mostrano una completa non conoscenza dell’economia politica
marxista, ma anche dei processi capitalistici. Il Piano non è strumento
tecnico, è il modo in cui la società dei produttori attua la direzione
cosciente e razionale sulle forze produttive.
Il mercato non è la soddisfazione dei bisogni degli uomini, ma la loro
massificazione sulla base del profitto capitalistico. Nella società borghese
italiana, per esempio, vi è più bisogno di case, scuole, sanità, previdenza,
assistenza che non barche da diporto, scarpe Nike, ogm, bombe all’uranio più o
meno impoverito, di guerre e di armamenti sofisticati e costosissimi. Il
mercato impone alti livelli di disoccupazione, impedisce che nuove ed altre
forme del lavoro si esprimano, inchioda il lavoro entro le condizioni
sostanziali del modo di produzione capitalistico.
Il mercato, la Dittatura del modo di produzione capitalistico, impone che gli
sviluppi scientifici e tecnologici nei loro effetti sul Lavoro abbiano
l’indirizzo del profitto, l’indirizzo dell’autovalorizzazione del capitale. In
concreto lo sviluppo delle moderne forze produttive consente un’altra
organizzazione del lavoro, consente per la prima volta nella storia degli
uomini la più totale rivoluzione nella vita degli uomini. Consente, cioè, che
la vita degli uomini non sia più scandita dai tempi del lavoro, ma i tempi del
lavoro venire scanditi dai tempi della vita degli uomini, o come scrive
D’Antona “il lavoro se ne va, ma la società è più ricca”.
E’ il mercato che inchioda tutta la tematica del lavoro negli asfittici ambiti
della proprietà privata borghese dei mezzi di produzione; è la dittatura del
modo di produzione borghese che impedisce che si esprimano nuove forme di
organizzazione del lavoro e della vita degli uomini e quindi un altro rapporto
uomo-natura, un altro modo di attuare il ricambio organico uomo – natura. Il
mercato determina una così totale, assoluta, dittatoriale deformazione della
realtà che nella situazione in cui “il lavoro se ne va, ma la società è più
ricca” la risposta della borghesia mondiale è l’estensione dell’età
pensionabile, giungendo a mantenere in servizio gli ultra sessantenni. E questo
al fine di ottenere una contrazione del costo della forza lavoro per la
competitività oligopolistica, ossia per ottenere un profitto ed il mercato
livella l’intera vita degli uomini entro questi ambiti.
La diversità è ancora il tratto saliente del mondo del lavoro in U.R.S.S.
Esiste una profonda differenza fra la struttura dei 154 sindacati di categoria
( 18milioni di iscritti ) e quella delle ventimila società cooperative
liberamente federati di produttori-proprietari nell’industria ( tre milioni di
associati ); o fra uno di questi enti ed i 240mila kolcos ( trenta milioni di
associati ). A questa già complessa organizzazione del mondo del lavoro occorre
aggiungere la categoria delle “ cooperative integrali”, la cui caratteristica
essenziale è quella di integrare al suo interno caratteristiche di tutte le
altre forme.
Abbiamo così dinanzi a noi l’enorme complessità del sistema dell’U.R.S.S, del
suo essere un sistema fortemente dinamico ove ciascuna forma sfuma nell’altra
ed è solo il movimento generale che lo caratterizza nella direzione della
società socialista: proprio di un sistema in costante divenire e dove
l’equilibrio del sistema è dato dal movimento contraddittorio di tutte le forme
che lo compongono.
Tanto per non cambiare una particolare organizzazione, che trasversalizza
l’intero mondo del lavoro, è quella dei minorati fisici d’ambo i sessi, che
lavorano in tutti i mestieri possibili, la base della loro organizzazione non è
la categoria di lavoro, ma la comune minoranza fisica dell’una e dell’altra
specie.
L’organizzazione dei lavoratori si piega qui alla diversità, non ingloba, ma la
divide da sé in quanto diversità e solo ad un altro e diverso livello avviene
il momento della sintesi dialettica, dove è il sistema il momento in cui si
centralizzano tutte le diversità ed il cui equilibrio è il movimento
contraddittorio.
Il materialismo dialettico–storico non aveva posto a base la diversità ed
esalto il movimento contraddittorio di ciascun elemento? E non aveva posto a
base che il particolare è quello che conta, è quello che veramente esiste,
mentre il generale è un’astrazione e che quindi l’equilibrio del sistema era la
risultante del movimento contraddittorio di ciascun singolo elemento.?
V.I. Lenin aveva scritto in Quaderni Filosofici:
“Ogni cosa concreta sta in rapporti diversi e spesso contraddittori con tutto
il rimanente, ergo è se stesso e un altro.
[pag. 129 ]
[...] è geniale l'idea fondamentale: l'universale, onnilaterale e vivente
connessione di tutto con tutto e del rispecchiamento di questa connessione nei concetti dell'uomo, che devono essere
altresì affinati, elaborati, duttili, mobili, relativi, reciprocamente
connessi, essere uno nelle opposizioni, per poter abbracciare il mondo.
La prosecuzione dell'opera di Marx deve
consistere nell'elaborazione dialettica
della storia del pensiero umano, della scienza e della tecnica. [ pag.
137 ]
Un fiume e le gocce in questo fiume.
Situazione di ogni goccia, sua relazione con le altre; sua
connessione con le altre; direzione del suo movimento - retta, curva, tonda,
ecc. - verso l'alto o verso il basso. Somma del movimento. I concetti come compendio
dei singoli lati del movimento, delle singole gocce (=cose), delle singole correnti, ecc.”.[ ibid].
La concezione teorica e la base metodologica e teoretico concettuale e categoriale
alla base della costruzione della società socialista è allora il materialismo
storico – dialettico: diversamente non poteva essere, se quella era la visone
del mondo che i bolscevichi avevano.
Se non si padroneggia con assoluta sicurezza il materialismo
storico-dialettico, se lo si ritiene una filosofia, se lo si ritiene una
variante del sistema filosofico hegeliano diviene allora impossibile avere le
più elementari basi per la comprensione dell’U.R.S.S e del Movimento Comunista
Internazionale e dell’esperienza storica mondiale del proletariato.
2. estrema interconnessione che saldava
fabbriche, kolcos, cooperative di consumo, associazionismo più vario
nell’interscambio di merci prodotte nelle differenti condizioni di proprietà.
Questo dato conferma per altra via le diverse forme di proprietà che esistono
in U.R.S.S.
Ad un polo si aveva la kolkosiana e dall’altra quella soviettista, o statale,
ma tra le due forme esisteva un’infinità di forme, che sfumavano l’una
nell’altra. Mentre nel settore manifatturiero si registra una maggiore e forte
presenza della forma di proprietà soviettista, ma anche qua vi sono forme
colcosiane, le incop, che vedevano una massa di 3milioni di soci anche in
settori quali miniere, altiforni, ecc. nel settore agricolo vi è la prevalenza
della forma colcosiana e mentre si assiste ad un rafforzamento della
soviettista nel settore manifatturiero in quello agricolo un arretramento,
tant’è che alcuni sovcos vengono sciolti e trasformati in kolcos.
La proprietà generale dei mezzi di produzione era soviettista, ma essa veniva
poi data in concessione perpetua alle forme colcosiane.
Detto questo l’attenzione va fermata sull’estremo dinamismo del sistema più
generale, attraversato per mille fili intrecciantesi tutti tra di loro, descrivendo
così un quadro non solo complesso ma fortemente dinamico, divenendo così
difficile, se non impossibile darne una rappresentazione grafica soddisfacente.
Tutte queste realtà sono intersecate attraverso la distribuzione, ossia dal
commercio, dallo scambio delle merci. Qui ciascuna singola fabbrica, ciascun
singolo kolcos mantiene e sviluppa un ricco e complesso rapporto con lo Stato
per la produzione della quota di produzione che il Piano assegnava loro, con i
kolcos contadini, dei pescatori e dei cacciatori, con le cooperative di consumo
e così ciascun kolcos e ciascuna cooperativa di consumo con le altre forme. La
fabbrica poteva acquistare per la cooperativa di consumo che ad essa faceva
capo il surplus che era rimasto al kolcos contadino o dei pescatori o dei
cacciatori e la cooperativa di consumo o il kolcos poteva acquistare
direttamente dalla fabbrica la produzione in surplus al piano: ciascuno era
committente e commissionato.
L’organizzazione della distribuzione è data da una complicata rete di accordi
volontari per i quali passa dai produttori individuali ai consumatori
individuali una sempre maggiore proporzione dei generi alimentari.
Stalin, I risultati del primo piano quinquennale” nel 1933: scrive
“Sarebbe errato credere che il commercio sovietico possa svilupparsi per una
sola via, quella, per esempio, delle società cooperative. Al fine di sviluppare
il commercio sovietico si devono utilizzare tutte le vie; e la rete cooperativa
e il commercio di Stato e il commercio esercitato dalle fattorie collettive..
L’unica via da evitarsi è quella della rinascita del capitalismo ed il
funzionamento del settore capitalistico privato nella circolazione dei
prodotti.
[…] . Il commercio sovietico – è un commercio senza capitalisti, né grandi né
piccoli, un commercio senza speculatori, né grandi né piccoli. E’ una forma
speciale di commercio che non è mai prima esistita nella storia e che solo noi
bolscevichi pratichiamo nelle condizioni che si creano nello sviluppo del
regime sovietico.”.
Non corrisponde allo stato reale delle cose ritenere che in U.R.S.S vi è
soltanto un unico datore di lavoro, ossia lo Stato collettivistico. Esiste
invece una multiformità nell’organizzazione della produzione e della
distribuzione della ricchezza in opposizione ad una presunta uniformicità di
sistema e di organizzazione.
Il sistema istituzionale - rappresentativo in U.R.S.S
Adesso questa complessità, queste forme multiple di proprietà,
queste forme multiple di produttore, consumatore, cittadino, tutta questa
struttura di direzione della società devono trovare un loro momento di
legittimazione in una forma rappresentativo-formale.
La tradizione di pensiero ci porta a parlare di sistema democratico in quanto
strutture elettive politico-istituzionali: Parlamento, Consiglio Regionale,
Provinciale, ecc. e di pluralismo dei partiti politici che garantiscono la
democraticità del sistema in quanto possibilità per il cittadino di poter
scegliere tra questo o quel partito ed all’interno di ciascun partito tra le
sue varie componenti ed all’interno di queste tra i singoli uomini candidati.(7)
Per quello che abbiamo sin qui descritto siamo già in presenza di altre forme
di partecipazione, altre forme di Democrazia, che non si limitano più
unicamente a quella politica, ma che investono anche la democrazia economica,
sociale, culturale, civile. Il problema in U.R.S.S si presenta in maniera
diversa, si presenta cioè in quanto necessità di dare espressione a tutti
questi vari momenti, che invece nella democrazia dell’ancien regime è limitata
unicamente al citoyen.
La differenza tra la tradizione e la consuetudine dell’ancien regime e
l’U.R.S.S è abissale. I due sistemi non sono in alcun modo mutuabili o
interscambiabili. Nelle condizioni date dell’ancien regime quel sistema
sovietico non è applicabile al pari che quello dell’ancien regime non ha alcuna
possibilità di applicazione in U.R.S.S.
E’ come se volessimo mutuare dal feudalesimo le assemblee indette
dall’imperatore che convocava i tre Stati generali e riportarlo nel sistema
parlamentare borghese.
Noi identifichiamo tout court la Democrazia e la partecipazione con il livello
istituzionale, giacché quella è l’unica forma nella quale si esplica la
partecipazione. Noi qui assumiamo come società politica e istituzionale
borghesi una società modello, ossia pura, ove sia pure al solo livello
istituzionale si ha la massima espressione e praticabilità dei livelli di
Democrazia e di Partecipazione.(8)
In questa realtà che noi consideriamo, la Democrazia ed il sistema democratico
si identificano tout court con quello istituzionale e quello politico con una
serie di partiti, la cui esistenza è garanzia di scelta. Ed è poi questa
l’unica forma che noi conosciamo, giacché tutto il nostro essere citoyen si
limita unicamente ad esprimere una volontà di voto ogni 4 o cinque anni, per
tutto il resto dei 365giorni di ciascun dei quattro o cinque anni noi non
decidiamo più.
Tutta la nostra esperienza di partecipazione si riduce a questa espressione di
voto, adesso dati dieci minuti per esprimere il voto e date 300 espressioni di
voto nell’arco della propria vita di citoyen noi esprimiamo la nostra
democrazia e partecipazione in 3000minuti, ossia due giorni dell’intero arco
della nostra vita complessivamente presi: voilà tutta la nostra esperienza di
partecipazione e di democrazia.
Tutta la struttura democratica che abbiamo è allora consequenziale a tale
identificazione tout court della Democrazia con il livello istituzionale, di
qui allora il Parlamento, i partiti politici, le parti sociali. Lo sciopero dei
lavoratori costituisce un ulteriore momento di partecipazione democratica, ma
essa avviene in opposizione al sistema democratico formale ed avviene a spese
del partecipante, ossia del lavoratore, giacché al lavoratore non viene
riconosciuta la sostanzialità di produttore e consumatore e quindi il diritto
di partecipare alle decisioni in campo economico, differentemente dall’U.R.S.S
ove lo sciopero non costituisce alcuna decurtazione salariale.
Negli anni Ottanta gli scioperi in Polonia per esempio non comportavano alcuna
decurtazione salariale. Il sistema referendario è una tradizione italiana, che
se pur esiste in altri Stati non è esercitato se non in casi rari e quasi
sempre su proposta governativa, in quanto tale non fa testo.
Ma è già qui, riprendendo il ragionamento, tracciata la scissione tra paese
legale e paese reale, che poi altro non è che la forma che il più generale
processo di alienazione prende, letto dall’angolazione politico-istituzionale;
la forma nella quale si legittima quella scissione, in cui l’alienazione viene
legittimata dal voto popolare, determinando la più feroce distorsione dei
processi reali, a riprova di quanto siano fortemente distorcenti i filtri che
il sistema basato sulla proprietà privata borghese dei mezzi di produzione
comporta nella coscienza, nella cultura e nella conoscenza scientifica dei
processi.(9)
Ma fin quando la complessità dell’essere e divenire dell’uomo Zown politikon,
essere sociale, viene ridotta al suo aspetto più formale, ossia al citoyen, un
tale sistema va bene, salvo poi ad assumerlo come unico ed
assoluto/assolutizzante con le categorie eterne di Democrazia e Pluralismo,
fatte divenire “valori”, che poi altro non è che la sublimazione della propria
povertà e miseria di un uomo ancora Zown.
Ma quando il citoyen viene reso nelle sue reali articolazioni ed angolazioni,
nei suoi reali momenti che lo caratterizzano: produttore, consumatore,
cittadino, Uomo, allora un tale sistema non è più valido e mostra invece in
maniera implacabile come tutta la precedente teoria politica altro non sia
stata che ideologia, ossia proiezione di quello che l’uomo non era e
mitizzazione del suo stato Zown.
Non è più in grado, giacché non consente l’esplicitazione dell’essere
produttore, consumatore, cittadino e Uomo e tutta la contraddittorietà di
ciascun termine con ogni singolo altro momento e con tutti gli altri e tutti
insieme sul quadro generale del sistema.
Il sistema politico-istituzionale non è costituisce affatto un valore in sé,
come bene ha dimostrato Federico Engels in Origine della famiglia,della
proprietà privata e dello Stato, è invece, un elemento sovrastrutturale,
espressione di ben precisi, esatti e determinati rapporti di produzione,
consequenzialmente esso comporta una ben precisa teoria dello Stato ed una ben
precisa teoria politica.
La teoria politica borghese dello Stato elaborato nel XVI-XVIII secolo porta
alla scomposizione del potere assoluto nelle mani del re o dell’imperatore nei
suoi tre momenti: legislativo, esecutivo, giudiziario. Fa risiedere nel popolo,
ossia la somma dei citoyen, il detentore del potere assoluto, che delega nei
modi e nelle forme stabiliti dalla Carta Costituzionale, l’esercizio di tali poteri
a determinati istituzioni.
Costruisce infine come assunto fondamentale l’indipendenza dei tre poteri tra
loro, dovendosi tutto rapportare unicamente al detentore del potere: il popolo.
Ma così facendo fissa in maniera implacabile tutta la fictio iuris di questa
costruzione, giacché rende in chiaro quanto la precedente teoria basata sul
suddito tendeva invece a negare: essere l’uomo portatore di istanze
indipendentemente dal grado sociale e dal ruolo che svolge nella società.
Portato in chiaro questo si ferma però all’aspetto più immediatamente
fenomenico, non procede più innanzi.
Leggere uomo-lavoro non è nei confini teorici e concettuali di una classe che
vive essa stessa del lavoro altrui, di una classe che è estranea al lavoro, lo
dirige, ma non lo attua. Solo quella classe che si identifica tout court con
Lavoro può fare questo passaggio successivo e proseguire ove la borghesia si é
fermata. Proseguendo, il proletariato nel suo elaborato fissa tutta la povertà
e miseria di tutto l’elaborato precedente, inchiodandolo come ideologia,
giacché l’elaborato ha il fine di mistificare, celare, negare, l’essenza stessa
dell’uomo: il lavoro e per contraltare, in controlaterale, elabora poi le dotte
e fini teorie dell’umanesimo, il che è poi la sublimazione nel campo
letterario, artistico e filosofico della propria miseria culturale ed umana,
che fissa lo status ancora Zown dell’uomo.
Questa classe che è il proletariato guida, così, l’umanità ad uno stadio
superiore dell’organizzazione sociale, giacché guida l’umanità ad un grado
superiore nel rapporto uomo-natura, instaura un più alto livello nel ricambio
organico uomo-natura e giunge ad un più alto livello del rapporto
Libertà-Necessità.
L’intera costruzione teorica borghese, l’ingegneria istituzionale consequenziale,
è perfettamente logica e razionale e democratica. Ma essa si fonda su un dato,
su di una realtà, storicamente corretta, ma venute meno quelle condizioni
storiche, quel dato è divenuto falso e distorcente e quell’elaborato evidenzia
tutti i suoi stessi limiti e che a caduta determina il populismo e la
demagogia.
Il citoyen, e quindi il popolo, ossia la somma dei citoyen, è il borghese; è il
possessore dei mezzi di produzione e
dove “popolo” stava per borghese, costituendo il borghese una parte consistente
del popolo: la proprietà feudale era sostanzialmente scomparsa e nelle campagne
esistevano forme borghesi e la rivoluzione borghese tendeva ad estendere tale
forma di proprietà a tutta la società ed anche perché il borghese, la classe
della borghesia, costituiva l’avanguardia di tutto il popolo ed i cui interessi
in quella fase coincidevano tout court con gli interessi di tutto il popolo,
che dalla classe borghese veniva liberato dall’ancien regime.
La classe della borghesia, cioè, liberando se stessa liberava l’intero popolo.
Tale costruzione ed ingegneria costituzionale consentivano al borghese la
direzione della società e la partecipazione democratica del borghese alla
direzione dello Stato, garantendogli gli strumenti per esercitare la direzione
sul ricambio organico uomo-natura, e dove la direzione del processo economico
era assicurato dalla proprietà dei mezzi di produzione.
I suoi interessi di classi la portavano, anche come risultato del complesso
movimento di forze e di classi, che componevano il blocco sociale, alla
distinzione in tre del potere assoluto: legislativo, esecutivo, giudiziario. Il
momento chiave di tale tripartizione ed
autonomia è dato dall’esistenza di movimenti contraddittori antagonistici al
suo interno tra le varie frazioni e fazioni della classe della borghesia, che
trovano in tale tripartizione equilibrio.
Noi qui stiamo conducendo un’analisi comparata non corretta.
Stiamo cioè analizzando il sistema sovietico per quello che esso realmente era
e quello borghese nella sua formulazione teorica; ossia in un caso il modello
reale, mentre per la borghesia il modello teorico. Un simile modello borghese
in realtà non esiste in alcun paese.
Il potere giudiziario nei suoi punti alti è determinato dal potere politico; il
potere esecutivo solo assai formalmente è distinto dal potere legislativo.
L’accesso alle alte cariche dello Stato, e quindi gli uomini, non è
assolutamente libero, la costruzione della carriera di un magistrato, di un
alto funzionario dello Stato è determinato dal potere politico e dal potere
legislativo.
In Italia questori e prefetti sono nominati dal potere esecutivo; i membri
della Corte costituzionale sono nominati in parte dal potere legislativo. I
capi dell’arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato, della Guardia di
Finanza, ecc. sono nominati dal potere esecutivo.
La magistratura è indipendente nel senso che può sottoporre a giudizio ed
esprimere la sentenza senza alcun vincolo, o disposizione, del potere
legislativo o esecutivo. Ma i recenti fatti del lodo Meccanico, mostra come sia
il potere legislativo che determina i limiti, gli ambiti entro cui si esercita
l’autonomia della magistratura.
In Inghilterra non esiste una carta costituzionale e l’inglese non è affatto
citoyen, bensì suddito.
Negli Stati Uniti il Parlamento riconosce la funzione delle lobby
nell’orientare le decisioni del potere legislativo in ogni campo e tali lobby
sono le reali detentrici del potere legislativo.
Altri paesi, oltre l’Inghilterra, vedono ancora il suddito e non il citoyen:
Spagna, Belgio, Olanda, Svezia. Le legislazioni sono molto diverse ed in nessun
paese capitalistico si riscontra una sostanziale identificazione del modello
reale con il modello teorico, elaborato nel Sei-Settecento.
Il modello teorico rappresenta dichiarazione gli intenti, il limite verso il
quale tende, i principi che dichiara di voler perseguire; ma il modello reale
introduce il limite delle compatibilità, delle reali istanze che lo fa
divergere in modo sostanziale da quello teorico, il cui limite è poi dato come
sempre dal grasso che cola o meno dalla pentola.
Il modello teorico, inoltra, dichiara una serie di cose che non può mantenere.
Dichiara l’uguaglianza dinanzi la legge di tutti i cittadini, ma ciascun
singolo cittadino è dinanzi alla legge in maniera diversa per posizione
finanziaria: possibilità di scegliersi un avvocato di grido, di ricorrere in
appello ed in Cassazione. Pratica consolidata della giurisprudenza di tutti i
paesi capitalistici conferma la disparità di trattamento del borghese dinanzi
alla legge, che contrasta con il modello teorico, ma che il modello pratico
legittima attraverso tutta una legislazione di interpretazione della legge e
flessibilità che affida al magistrato e le categorie giuridiche che elabora
circa la intenzionalità, i precedenti penali che costituiscono maglie talmente
elastiche che ci si può far rientrare di tutto. Basta seguire la cronaca
giudiziaria di un qualsiasi anno e di un qualsiasi paese capitalistico.
La questione della tripartizione del potere, per tornare al nostro
ragionamento, non si pone per la società dei produttori.Nella società socialista viene mantenuta
la tripartizione, ma non la costruzione come momenti indipendenti. Il potere
legislativo ed il potere esecutivo coincidono, per cui qualsiasi organismo che
prende una decisione ne ha al tempo
stesso il potere dell’esecuzione ed il potere giudiziario non configura quel
complesso corpus di magistrati ed avvocati.
Tutta la parte civile, che costituisce buona parte dell’intera
legislatura borghese, è drasticamente ridimensionata. Codice civile e Codice di
Procedura Civile sono ridotti ad un corpus di leggi assai limitato. Il diritto
societario, la famiglia, il contratto, eredità e trasmissione dei beni, tutta
la parte inerente la proprietà privata e le sue varie forme: il diritto
consuetudinario, l’usucapione, ecc. tutto è drasticamente falciato e ridotto e
l’intero codice civile si racchiude in semplici e dirette formulazioni di assai
agevole comprensione ed interpretazione.
La legislazione civile che fino a quel momento era stata estranea all’uomo, si
configurava come potere nemico dell’uomo, che schiacciava l’uomo, ritorna nelle
mani dell’uomo, quale strumento di lavoro nella configurazione delle norme
sociali del vivere comunitario. Il Codice Penale subisce la stessa sorte e così
il cavilloso Codice di Procedura Penale, ove si affastellano norme,
consuetudini contraddittorie; ove si sovrappongono in maniera acriticamente
stratificate idee e concezioni diverse della società e dell’uomo quali si sono
venute a formare nel corso dei secoli.
Anche qui tutto viene racchiuso in un corpus di leggi di chiara comprensione ed
interpretazione. E così anche quest’altro settore, fino a quel momento nemico
dell’uomo, sotto il cui peso i lavoratori e la popolazione tutta erano
schiacciati, e che si proiettava ed era estraneo all’uomo, entità metafisica,
la Lex, viene restituita all’uomo e ricondotta a strumento delle norme sociali
e civili del vivere comunitario.
Anche per questo versante come si vede si opera quel superamento
dell’alienazione, quel complesso processo che aveva portato all’espropriazione,
alla scissione dell’uomo dal suo operato.
Il corpus di avvocati e giudici si riduce così ad un ristretto numero di
giudici professionisti che formano le corti d’appello per reati penali di una
certa entità e ad un altrettanto esiguo numero di avvocati, impiegati dello
Stato, che lo Stato mette a disposizione di quanti ricorrono alla legge.
Lo Stato garantisce, così, non l’avvocato d’ufficio ma il corpus di avvocati,
per ogni ordine e grado. A latere è garantita l’esistenza di avvocati
indipendenti, essi stessi organizzati in forme cooperative, l’incop, a cui
chiunque può ricorrere, sostenendo però le spese, ma il cui onorario è
rigidamente fissato dallo Stato.
La massa della giustizia comune è espletata da tribunali popolari ad elezione
diretta, anche qui lo Stato garantisce un’assistenza tecnico-scientifica e
formazione scientifica per quanti vogliono formarsi come avvocati con corsi di
formazione variabile, tali da mettere in condizioni chi lo vuole di esercitare
l’avvocatura da sé o costituire un valido contributo nei tribunali in qualità
di giudice o avvocato.
Il potere legislativo ed esecutivo, come si è detto, vengono ricomposti,
giacché qualsiasi organismo è responsabile dell’esecuzione delle decisioni;
l’assemblea o l’organismo – un soviet, un kolcos, una cooperativa di consumo,
un comitato di fabbrica – nomina un presidente, e se di una certa entità anche
un vicepresidente oltre una terza persona che hanno l’incarico di provvedere
all’esecuzione dei deliberati, ma essi, solo in rari casi, e per livelli
superiore, sono elementi distaccati dalla produzione.
Sul piano immediato possiamo dire che quella tripartizione nella società dei
produttori viene ricomposta, giacché effettivamente i detentori del potere
assoluto si identificano tout court, materialmente ed in toto con la totalità
della popolazione. La tripartizione è allora elemento tecnico, organizzativo
oltre ché di natura teorica per quanto attiene la definizione dei rispettivi
campo d’azione. Nella realtà sostanziale la società dei produttori si
riappropria ed esercita in proprio dentro il più complessivo quadro di essere i
padroni del proprio destino, di quanto nel corso dei secoli era stato separato
dai produttori e costruito indipendente dai produttori ed estraneo ai
produttori.
Di qui la differenza sostanziale tra i due sistemi, ma tale differenza è
espressione della diversità dei due sistemi, o se si vuole le differenze
esprimono e rimandano a diversi rapporti di produzione di cui ne costituiscono
sovrastruttura.
Quello che voi qui state leggendo altro non è che una particolare angolazione
della ricomposizione dei saperi dell’uomo nell’uomo stesso; state leggendo le
forme concrete, e quindi particolari, della transizione dall’uomo all’umanesimo
sociale, il cui punto nodale è il superamento dell’Alienazione.
Il sistema istituzionale - rappresentativo deve allora essere in grado di
esprimere e rappresentare questa nuova complessità.
Le caratteristiche sostanziali sono date innanzitutto dal fatto che esistono
due livelli di elezione.
L’elezione diretta che riguarda le strutture di base, che eleggono i delegati
al livello successivo che costituiscono il Congresso Provinciale, Regionale,
Nazionale e Confederale.
Il mandato è revocabile a differenza della struttura parlamentare del sistema
borghese.
La base elettorale è per categoria e settori e non territoriale, è così
individuabile la base che esprime quel deputato, quel consigliere e quindi quella
base in assemblea può revocare il mandato e nominarne un altro. L’assemblea
elettiva deve solo prendere atto del nuovo deliberato e del nuovo deputato.
L’elezione avviene a partire dalla struttura di base che dopo aver discusso del
mandato dell’eletto e dopo aver discusso le linee politiche complessive sulla
base di una rosa di nomi, discussa in pubblica assemblea per votazione palese,
nomina un gruppo di delegati in base al numero da inviare all’istanza
superiore, che segue la stessa procedura inviando delegati all’istanza
superiore, e così via fino al livello della Repubblica dei Soviet.
In questa ascesa si viene formando una rosa di candidati che verrà poi
presentata alle elezioni per il Soviet Supremo. In queste condizioni quindi
tutta l’attenzione è nella fase iniziale ed intermedia della formazione della
lista e non nella fase finale della campagna elettorale, ossia a pochi giorni
dalla elezione vera e propria. Indubbiamente ciascuno può presentare la sua
candidatura individuale, al di fuori di questa struttura, ma diviene quasi
impossibile una qualche votazione su quel candidato, giacché se aveva una
qualche chance sarebbe venuta fuori nell’assemblea di base a cui appartiene.
In concreto.
Una fabbrica metalmeccanica riunita in assemblea in base al numero di addetti
ha diritto ad esprimere un certo numero di delegati da inviare all’Assemblea
dei delegati della categoria dei metalmeccanici di distretto unitamene ad un
certo numero di candidati da presentare in lista nella locale elezione al
soviet di villaggio o del rayon e così via sino al livello Nazionale e
Confederale ed a ciascun livello formula una rosa di candidati per la lista
dell’elezione del soviet di città, di provincia, ecc.
Al Soviet Supremo vi sarà quindi una rappresentanza dei produttori
metalmeccanici, e così per tutte le categorie dei produttori, non diversamente
per i contadini ed i kolcos dei contadini, dei pescatori, dei cacciatori, dei
lavoratori indipendenti, degli scrittori ed artisti, dell’Accademia delle
scienze.
Il Soviet è cioè l’espressione dei produttori, che sono rappresentati in un
rapporto proporzionale stabilito dalla legislazione vigente. Il Soviet Supremo
nomina il Consiglio dei Ministri, o Commissari del Popolo ed il Presidente del
Consiglio, elabora le linee politiche programmatiche vincolanti per il
Consiglio dei Ministri e per ciascun Dicastero – noi usiamo qui la terminologia
italiana, per una maggiore comprensione da parte del lettore.
Il Soviet Supremo che è composto da migliaia di membri resta in seduta anche
per 8-10giorni consecutivamente, dopo di che, assolti i compiti di direzione,
tutti i suoi membri fatta eccezione per un numero molto ristretto a cui il
Soviet Supremo ha demandato l’esecuzione dei deliberati, torna sui luoghi di
lavoro, torna alle sue normali mansioni lavorative. Il Soviet Supremo è di
norma convocato due volte l’anno, oltre la prima volta per l’insediamento,
all’inizio dell’anno per stabilire il piano di lavoro e la pianificazione per
l’anno che inizia e fare un bilancio consuntivo del precedente ed una seconda
volta a metà anno per la verifica del piano di lavoro e della pianificazione
onde apportare correzioni, ecc.
Non diversamente da tutte le altre assemblee elettive.
Il principio è la più ampia partecipazione dei cittadini sin dal livello di
base.
Il Soviet di Mosca, per esempio, era composto da 2542 membri effettivi e
candidati.
Essa si riunisce di solito una volta al mese ed elegge un esecutivo di 50membri
ed un Presidium di 21membri di cui 6 candidati, nominato dall’Esecutivo. Tutte
le decisioni vengono prese dal Presidium che può consultare l’Esecutivo,
ovviamente sulla base delle indicazioni generali stabilite dalla riunione
plenaria del Soviet.
Ogni membro è tenuto a far parte almeno di una commissione ed il numero dei
partecipanti alle singole commissioni è illimitato, ossia non è circoscritto ai
soli eletti, ma aperto anche ad altri cittadini. Ovviamente nel corso di queste
assemblee elettorali si discutono i vari problemi del Soviet di villaggio, di
città, di provincia, nazionale, e Confederale che si traducono in deliberati
vincolanti per gli eletti nel Soviet. Durante le elezioni del Soviet di Mosca
nel 1931 vennero proposte circa 100mila aggiunte alle istruzioni che avevano
per argomento l’edilizia e l’urbanistica, i trasporti cittadini,
l’alimentazione, ecc.
Ogni città dell’U.R.S.S di una certa grandezza viene suddivisa in sottosezioni
tali da consentire la convocazione di un’assemblea relativamente piccola,
press’a poco allo sesso modo del soviet di villaggio, allo stesso modo che una
media e grande fabbrica viene suddivisa in assemblee di reparto o di linea, per
poi confluire in quella generale. La suddivisione ha lo scopo di consentire una
più ampia partecipazione e discussione, che non potrebbe avere luogo in un ambito
di diecimila persone o più.
Ancora una volta il punto da fermare non è tanto la questione tecnica, quanto
la espressa volontà politica di consentire a ciascuno di partecipare, mettendo
in essere quegli strumenti e quegli accorgimenti adeguati sufficienti e
necessari. La partecipazione quindi non è tanto richiesta, ma vengono costruite
e determinate le condizioni reali per cui essa si possa effettuare,
trasformando il diritto formale in diritto sostanziale.
Un’altra caratteristica da fermare è che il diritto elettorale, data la
struttura su luoghi di lavori e non territoriale, non si esercita sulla base
della residenza, bensì sulla base del luogo ove si lavora, per cui se un
cittadino è di Mosca ma sta svolgendo un lavoro a Leningrado o .. egli partecipa
alle elezioni per il Soviet di Leningrado e non di Mosca, giacché partecipa
alle assemblee elettorali, diciamo così della fabbrica di Leningrado, così come
ha partecipato e partecipa alle assemblee per la definizione del Piano
quinquennale ed annuale, alle assemblee della cooperativa di consumo della
fabbrica di Leningrado.
Costituzione dell’U.R.S.S e Costituzione
europea.
La soluzione del complesso problema delle minoranze nazionali costituisce
un’importante esperienza, che è tutta in campo, per la costruzione dell’unità
europea, ma viene rimossa per dichiaratio ideologica. Questo tema sarà oggetto
di particolare attenzione nel corso del 2004.
Bolscevismo e Menscevismo
Stalin, Moscow Daily News, 29 dicembre 1929
“Ci siamo trovati di fronte al dilemma: o incominciare con l’istruire il popolo
in scuole tecniche, differendo di dieci anni la produzione e lo sfruttamento in
grande delle macchine, mentre si istruivano nelle scuole i quadri tecnici, o
procedere immediatamente alla creazione delle macchine, sviluppando lo
sfruttamento di esse nell’economia nazionale, istruendo in tal modo nella
tecnica e preparando i quadri durante lo stesso processo di produzione e
sfruttamento delle macchine.
Abbiamo scelto la seconda alternativa. Abbiamo apertamente e di proposito
accettato l’inevitabile costo ed il maggior dispendio dovuto alla scarsezza di
persone tecnicamente preparato e capace di far funzionare tali macchine. E’
vero che durante questo periodo si sono rovinate non poche macchine. Ma in
compenso abbiamo guadagnato ciò che è più prezioso: il tempo, ed abbiamo creato
ciò che ha il maggior valore nell’economia: i quadri. Nello spazio di tre o
quattro anni abbiamo creato quadri di individui tecnicamente preparati così nel
campo della produzione delle macchine diverse (trattori, automobili, carri
corazzati, aeroplani, ecc.) come nel campo del loro impiego.
Ciò che fu raggiunto dall’Europa nel corso di decenni noi siamo riusciti a
compierlo all’ingrosso e per la parte più importante, nel corso di tre o quattro
anni. Il costo ed il maggiore dispendio, le rotture di macchine ed altre
perdite sono state più che compensate ... . Educare, formare offrire un
avvenire, promuovere a tempo, trasferire a tempo ad un altro posto quando
l’uomo non fa bene il suo lavoro, senza aspettare che il suo fallimento sia
completo, educare ed addestrare con cura gli uomini, distribuirli ed
organizzarli opportunamente nell’industria, organizzare i salari in modo da
rafforzare i punti decisivi della produzione e spingere gli individui ad
acquisire maggiore abilità: ecco quello che ci occorre per creare un grande
esercito di quadri tecnici per l’industria.”
Trotsky e tutta l’opposizione erano di diverso orientamento.
Essi, sulla base di quanto Marx ed Engels avevano scritto nel periodo 1840-1868
e di quanto avevano indicato e da cui avevano fatto scaturire la tattica per il
Movimento Comunista Mondiale, non ritenevano possibile l’attuazione di un tale
programma.
Consequenzialmente leggevano tutta la complessa ed articolata struttura che si
veniva erigendo in U.R.S.S come una mastodontica falsificazione, una gigantesca
illusione, una gigantesca costruzione artefatta, proiezione di propri miti, in
una parola una proiezione al di fuori degli uomini dei propri miti e credenze
che finivano poi per dominare gli uomini stessi. Quando essi usano il tempo
“burocrazia”, “sistema burocraticatico”, “burocrate” vogliono intendere
esattamente questo e non quello che solitamente si intende per burocrazia.
Essi in sostanza partivano anche dall’insegnamento di Marx del 18 brumaio di
Luigi Bonaparte ed in sostanza leggevano una sostanzialità tra il progetto
della maggioranza del P.C.( b ) e l’operazione di Luigi Bonaparte. Questo li
porta a leggere un capitalismo di Stato e quel gruppo dirigente espressione del
capitalismo stato, che in questo caso era il capitalismo burocratico di Stato e
quindi i quadri dirigenti superiori in quanto borghesi-burocrati.
La categoria del capitalismo di stato non elimina il profitto e lo
sfruttamento, determina unicamente una diversa spartizione tra la classe
borghese del profitto. Di qui, per derivata prima logica, essi giungevano alla
conclusione teorica del sistema burocratico oppressivo. Esso è burocratico
oppressivo giacché non costituisce base reale, non si poggia su una base reale
ossia su reali rapporti di produzione, ma, come si è visto, su una gigantesca
proiezione mitica, su un volontarismo esasperato.
I punti chiave dell’analisi di Marx ed Engels erano dati dalla natura mondiale
del capitalismo, in specifico essi si basavano sia sul Manifesto e sia su di
uno scritto di Engels del 1847, Principi del Comunismo, che non a caso nel 1923
ebbe una particolare edizione.
In questo scritto, ma non diversamente nel Manifesto, ma in questo scritto la
cosa è puntualizzata meglio, mentre nel Manifesto la cosa viene più diluita in
una lettura più generale ed onnicomprensiva dei processi, Engels scriveva:
“La grande industria creando il mercato mondiale, ha stabilito fra tutti i
popoli del globo, specialmente nel caso di quelli civili, un così stretto
collegamento, che ciascuno di essi dipende da quanto accade negli altri.. . La
grande industria ha talmente livellato lo sviluppo sociale in tutti i paesi
civili, che ovunque la borghesia ed il proletariato sono divenuti le due classi
sociali determinanti e la lotta tra di esse la lotta principale del nostro
tempo. Pertanto, la rivoluzione comunista non sarà soltanto nazionale, ma avrà
luogo simultaneamente in tutti i paesi civili, cioè almeno in Inghilterra,
America, Francia e Germania.. . Eserciterà pure una considerevole influenza
sugli altri paesi del mondo, e muterà del tutto, e accelererà molto, il
primitivo corso dello sviluppo. E’ una rivoluzione mondiale, e pertanto avrà
l’intero mondo per arena.”.
E’ questa la base teorica sostanziale che farà formulare a Marx ed Engels la
tattica della “ rivoluzione permanente”.
Ecco perché la teoria di Trotsky avrà al centro proprio ed esattamente la
“rivoluzione permanente”, che sarà elaborata nel corso della rivoluzione del
1905 e poi ulteriormente elaborata negli anni 1907-1917(10).
Quanto scriveva Engels, e lo stesso Marx, costituiva un’analisi corretta della
realtà nella fase 1847-1869. Marx ed Engels scrivevano in verità molto di più
di questo, essi ritenevano che scoppiata la rivoluzione in un punto dei paesi
capitalistici essa si sarebbe facilmente sviluppata negli altri paesi e
ritenevano che in Inghilterra e negli Stati Uniti sarebbe stata possibile una
rivoluzione non violenta, pacifica o quasi, risolventesi in scaramucce o
battaglie di strade.
Essi giungevano a questa conclusione sulla base dell’analisi della struttura
dello Stato in questi due paesi nel periodo appunto 1846-1865. Successivamente
ed in specifico dopo la guerra di Crimea, seguita con grande attenzione da Marx
ed Engels, dopo la guerra franco-prussiana ed infine dopo la Comune di Parigi,
lo Stato capitalistico conosce profonde modifiche ed una strutturazione
burocratica e centralizzata maggiore per rispondere sia alle esigenze della lotta
di classe e sia alle guerre che i singoli paesi capitalistici si facevano.
Questo processo di militarizzazione e burocratizzazione è un processo immanente
nella misura in cui si estende la lotta di classe del proletariato e si
estendono le contraddizioni interimperialiste e la necessità di un esercito
professionista. Basti pensare che l’invenzione del fucile a ripetizione che
farà la sua comparsa appunto sul finire degli anni Sessanta del XIX secolo
comporta una professionalizzazione dell’esercito, la formazione di un altro
quadro militare: ufficiali e sottoufficiali e l’introduzione di un
addestramento militare specifico per le nuove armi da fuoco.
In base a questo Marx ed Engels modificheranno profondamente tale tattica. Essi
l’abbandoneranno per assumere la tattica della “rivoluzione ininterrotta”. La
complessificazione dell’apparato statale, lo sviluppo di un apparato
burocratico e di un apparato militare che modificano la precedente struttura
dello Stato, inficiano quella propaganda ad onda della rivoluzione. Lo sviluppo
delle contraddizioni interborghesi, e poi interimperialiste, determinavano un
accentuazione dello sviluppo ineguale del capitalismo e quindi una
differenziazione del livello della lotta delle classi e delle coscienze delle
classi di ciascun singolo Paese.
Lo sviluppo della lotta di classe del proletariato porta all’applicazione delle
scoperte ed invenzioni nella scienza militare nel campo della Scienza della
Politica e nelle forme della lotta contro il proletariato. L’invenzione del fucile
a ripetizione determina modifiche sostanziali nella stessa forma della lotta di
classe del proletariato, determinando il superamento della lotta di strada in
combinata con il mortaio leggero, che si può adesso facilmente far affluire nei
punti di maggiore resistenza operaia, barricate.
Engels analizza bene queste modifiche, fa un bilancio dell’esperienza storica
mondiale del proletariato dal 1848 al 1895 ed indica in maniera netta le
modifiche che lui e Marx avevano apportato e che Engels esprime nella
Prefazione a “Lotta di classe in Francia” del 1895, che il gruppo menscevico si
guarderà bene dal darvi una edizione curata.
Un punto di svolta chiave, di non ritorno, per la teoria e la tattica in Marx
ed Engels è dato dalla Comune di Parigi e che costituisce la base poi della
teoria e della tattica dei bolscevichi, non a caso tale esperienza sarà un dei
punti cardini dello scritto di Lenin Stato e Rivoluzione.
La teoria di Marx ed Engels subisce poi ulteriori modifiche sulla base dei
primi germi di sviluppo del capitalismo monopolistico di Stato, che Engels
accenna già nell’Antidhuring e che Lenin svilupperà in tutti gli scritti
economici e politici e non solo in Imperialismo.
Lenin elabora la teoria dello sviluppo ineguale da cui fa derivare la possibilità
dell’esistenza per una certa fase anche lunga di uno stato socialista,
accerchiato dai paesi imperialisti e questo già nello scritto “Sulla parola
d’ordine degli Stati Uniti d’Europa” ed il riferimento esplicito è proprio ed
esattamente alla Russia.
La teoria di Marx ed Engels si arricchisce con l’importante rivoluzione russa
del 1905, che sfocia nel Soviet, ossia nella forma di governo del futuro stato
socialista, superando la visione limitata e parziale che la Comune di Parigi
aveva delineato e che la teoria e la tattica del leninismo metabolizza,
facendone centro dell’intera teoria della rivoluzione e della costruzione del
socialismo in Russia.
La parola d’ordine “Tutto il Potere ai Soviet” è esattamente questa totale
metabolizzazione di tale esperienza centrale del movimento comunista e
proletario mondiale.
Mantenersi ancora sulla base della teoria della rivoluzione permanente di Marx
ed Engels non costituiva dato scientifico valido: i dati sperimentali che la
supportavano non esistevano più; essi si erano profondamente modificati già
Marx ed Engels in vita.
In verità che la Germania, che costituiva il punto più avanzato e guida
dell’interno movimento proletariato mondiale, nello sviluppo successivo avrebbe
perso tale posizione e che tale ruolo di avanguardia mondiale del proletariato
sarebbe stato preso dalla Russia, era cosa che in verità si sapeva già dalla
fine degli anni Settanta, quando Marx lo indica in maniera netta in una
lettera, solo che il destinatario ha la sciagurata bella idea di renderla
pubblica, recando danni sul piano tattico, ricevendo le giuste rimostranze di
Marx, che ne sottolineava la inopportunità tattica.
Marx ed Engels non avevano affatto la palla di vetro dinanzi, avevano letto lo
sviluppo tendenziale del capitalismo mondiale e la centralità degli Stati Uniti
d’America che dopo la guerra di secessione sarebbero venuti ad acquisire una
centralità, spostando così il baricentro del capitalismo mondiale
dall’Inghilterra agli Usa, da Londra a New York. Ed è questo che determina la
modifica Germania-Russia. Lenin ed i bolscevichi avevano ben compreso i
processi tendenziali ed infatti poi i dati sperimentali dimostravano ampiamente
come la Russia zarista costituiva effettivamente l’anello debole della catena
imperialista.
Lenin e Stalin in maniera molto più attenta avevano ben compreso la lezione
della Comune di Parigi, i limiti e le potenzialità di quella scelta di alzare
la bandiera dello Stato proletariato, che era poi il centro dell’esperienza che
Marx ed Engels difendevano e ponevano a base.
Nella scelta del socialismo in un solo paese del 1923-26 questo tratto decisivo
della Comune di Parigi è a fondamento: l’idea, nella fase che l’ondata
rivoluzionaria defluiva e ci si avviava ad una fase di stabilità capitalistica,
ma questo non significava il venir meno dello sviluppo ineguale del capitalismo
né della crisi capitalistica che costituivano la base oggettiva della
manovrabilità tattica, [l’idea] di dare avvio alla costruzione della società
socialista come bandiera per il proletariato mondiale e come costruzione e
rafforzamento di una piazzaforte traeva la sua base proprio ed appunto ed
esattamente dall’esperienza della Comune di Parigi, ove questa esperienza
riceveva una amplificazione esponenziale.
Inoltre avrebbe consentito di sottrarre al campo imperialista una importante
fetta di mercato sia per quanto riguarda le materie prime che base territoriale
ove scaricare la crisi di sovrapproduzione e sia per far venir meno
all’imperialismo il suo cane da guardia, che fino ad allora era stato appunto
la Russia zarista, sempre pronta a prestarsi in armi per tutti i più scellerati
crimini oltre che cane da guardia nei Balcani e nell’oriente più generale nella
faccia che guarda appunto l’Afganistan, il Pakistan, la Cina e l’India.
Questo tema l’abbiamo affrontato nella relazione tenuta a Teramo nel 2002.
In definitiva i menscevichi, perché poi tutta l’opposizione altro non è che
l’ala menscevica a ranghi completi ed allineati, commettono qui l’identico
errore che avevano commesso nel II Congresso del PODSR circa il Partito e la
mozione Lenin e la mozione Martov, ben descritto nel Che Fare?.
Sulla base di quanto Marx ed Engels avevano scritto sul Partito, l’eterodosso
era Lenin e non Martov, il bund ed i menscevichi. Lenin infatti scriverà che i
compagni quando si tratta di muoversi sulla strada tracciata da Marx e da
Engels mostrano una certa stabilità, ma non appena si tratta di distaccarsene
per un tanto, allora sbandano e si danno ad escandescenze.
Solo che qui i menscevichi la fanno più grossa, giacché già Marx ed Engels
avevano indicato le modifiche che andavano apportate alla tattica della
“rivoluzione permanente” e la transizione alla tattica della “rivoluzione
ininterrotta”. La pubblicazione infatti nel 1923 dello scritto di Engels del
1847 e non anche la Premessa del 1895 a “Lotta di classe in Francia” sempre
dello stesso Engels ferma in maniera inequivocabile i limiti teorici nella
comprensione dell’esperienza storica mondiale del proletariato.
L’altro elemento chiave dell’opposizione era dato, ma ne costituisce in verità
una consequenziale stretta, dall’impianto più generale che abbiamo tracciato
all’inizio di questo paragrafo, dall’opposizione alla politica di piano.
Essi cioè non credevano ad una qualche validità della Pianificazione e
vedevano, ancora una volta, in questa complessa struttura che la Pianificazione
comportava unicamente una struttura burocratica, una mostruosa struttura che
opprimeva sulla società civile, un atto volontaristico, una incarnazione
dell’Utopia, che quando essa si realizza porta sempre a disastri umani e
materiali non da ultimo l’Inquisizione ed i tribunali inquisitori, la società
viene scaraventata nel buio del fanatismo e dello strapotere del funzionario e
dello sbirro di turno, nel buio dello Stato poliziesco.
Esiste in verità una logica in questo ragionamento.
Questo ragionamento ha una sua sostanzialità.
Se diamo per assunto la necessità che la rivoluzione deve partire dai punti più
alti, significa che noi partiamo da una struttura della produzione e della
distribuzione già ad uno stadio avanzato, una struttura già di per sé
centralizzata dai gruppi monopolistici che dominano il mercato.
In queste condizioni il mercato viene quasi naturaliter a sfociare nella
Pianificazione, ossia l’evoluzione del mercato, determinando il processo di
concertazione monopolistico, comporta quel processo di centralizzazione della
produzione e della distribuzione della ricchezza sociale prodotta e che viene
prodotta.
Ma se noi, invece, partiamo dal punto più basso dello sviluppo capitalistico,
ove cioè sussiste ancora la struttura del mir e del mugik, che era la
schiacciante maggioranza del livello produttivo nella Russia zarista, ove le
fabbriche ad un più alto livello tecnologico, e che riguardavano le industrie
estrattive e le principali industrie legate ad esse, e che erano nelle mani di
Francia, Germania, Inghilterra, Usa, Olanda, Belgio, ecc.: tutti quelli che poi
avranno a cuore la libertà della Russia dai Soviet all’indomani della
Rivoluzione d’Ottobre, allora non vi può essere alcuna pianificazione, giacché
viene meno la base oggettiva di sviluppo, viene meno quello sfociare
naturaliter del mercato nella Pianificazione.
Se adesso noi aggiungiamo qui l’intero passo di Engels sulla natura globale del
capitalismo diviene impossibile un qualsiasi sviluppo, giacché ogni paese, ed
in special modo civile, dipende strettamente da tutti gli altri, dai movimenti
che si verificano in ciascuno di essi.
E Marx in Lotta di Classe in Francia aveva ben dimostrato come l’andamento
della rivoluzione del 1848, i suoi alti e bassi, venivano determinati
dall’andamento dei mercati dell’India e del grano.
Il limite teorico è poi quello, che in precedenza abbiamo evidenziato circa il
ruolo di sviluppo del mercato ed a quali errori teorici conduce poi quella
visione ideologica del Mercato.
Questa visione più che essere portatrice di una visione puramente economicista,
evidenzia una visione metafisica non dialettica dei processi. Nella fase in cui
si attua la Rivoluzione d’Ottobre il mercato ha già cessato da tempo, da ben
80anni, una qualsiasi funzione propulsiva ed esercitava invece la funzione di
repressione e di distorsione dei processi reali. Il sistema capitalista era
transitato alla fase imperialista e questa aveva già determinato la prima
guerra mondiale imperialista. La presenza ed il rafforzamento dell’U.R.S.S
accelerava le contraddizioni interimperialiste, giacché tale costruzione
avveniva nella fase non solo che tutte le colonie erano state spartite dai
briganti imperialisti ma che la crisi capitalistica aveva spinto ad una nuova
spartizione di quelle colonie: la prima guerra mondiale.
E’ questa complessità che il blocco dei menscevichi non aveva colto,
ostinandosi a leggere i processi ancora nell’ottica sostanziale del 1847 e
quindi quella centralità del mercato e dello Stato nazionale, quel livello
delle lotte delle classi e quel livello di contraddizioni interborghesi.
Non vedranno allora come si viene a modificare la lotta tra proletariato e
borghesia e la sua estensione a campo imperialista e campo socialista e quindi
come si presenza la contraddizione unità-lotta tra proletariato e borghesia e
quindi non vedranno i processi di ristrutturazione capitalistica successivi al
1923 e quello che la crisi del 1929-1933 determinerà. Questo li porta per
logica conseguenza a non vedere il ruolo delle lotte coloniali nel periodo
1927-1936 e meno che mai né l’ascesa del fascismo e del nazismo ed il ruolo che
viene affidato alla Germania, né la guerra di Spagna.
Cartina al tornasole è in maniera emblematica proprio ed esattamente la tattica
che essi sosterranno verso i paesi coloniali e le lotte coloniali: la necessità
di sostenere lo sviluppo del capitalismo come fase necessaria per lo sviluppo
di un proletariato industriale, quale condizione della rivoluzione proletaria
mondiale, quale base per quell’unificazione dei processi della rivoluzione
proletaria mondiale.
E così in maniera speculare si troveranno ad avere per base teorica della loro
posizione il kautskismo, ossia la posizione che Karl Kautsky esprimerà
all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre: essere cioè quell’evento una
forzatura della Storia, l’Utopia che si fa Storia.
Non si insisterà mai abbastanza su questo tratto comune, questa base teorica
sostanziale, che il kautskismo costituisce nell’opposizione all’U.R.S.S. Essa
consentirà, cioè, entro una vasta e multiforme opposizione una unità d’intenti
e quindi d’azione.
E’ cioè il kautskismo la base teorica dell’antisoviettismo, comunque
presentantesi.
Lo scontro Kautsky-Lenin è, nella sua sostanzialità, ancora il centro dello
scontro nel Movimento Comunista Internazionale, ove i punti chiave sono appunto il ruolo della borghesia quale momento della
transizione nella fase dell’Imperialismo e quindi la tattica e la
teoria della transizione.
Il kautskismo, a differenza del leninismo, affida un ruolo di centralità alla
classe della borghesia ed allo sviluppo capitalistico e tale teoria ha alla
base la teoria dell’Utopia della Storia ed in quanto tale è il kautskismo la
base sia del krusciovismo che dell’antikrusciovismo. Nella fase
dell’Imperialismo il centro della lotta all’interno del Movimento Comunismo è
ancora Marxismo – Revisionismo, ossia Leninismo-Kautskismo.
Sul piano filosofico prende la forma dell’esasperazione del rapporto Marx –
Hegel, Marx – Filosofia, negando o diminuendo la centralità di Engels e del
ruolo di Engels nell’elaborazione del marxismo; negando o diminuendo la
centralità del materialismo storico
dialettico.
Sul piano della teoria economica nega la teoria valore-lavoro e della caduta
tendenziale del saggio medio generale del profitto, la cui sostanzialità è
nell’edizione curata da Kautsky delle Teorie Economiche di Marx.
Sul piano della teoria politica nega lo Stato come strumento di classe e la sua
estinzione, riponendo appunto nella sostanza la teoria hegeliana dello Stato in
quanto idea, e questo nella forma di una eternalizzazione dello Stato in quanto
entità perenne, insopprimibile. Non a caso il Kautsky ed il kautskismo non
riconoscono validità teorica a “Origine della famiglia” di Engels, riducendolo
ad un pamphlet storico in quanto vulgata di teorie di Morgan, ecc.
Nasce poi da qui tutta l’opposizione teorica allo Stato della Dittatura del
Proletariato, giacché i confini del kautskismo circa lo Stato sono i confini
dello Stato borghese quale esso si è venuta a costituire nel corso della
rivoluzione borghese e che trova in Hegel la sua sistematizzazione teorica e la
sua eternizzazione mitica ed ideologica.
In questi orizzonti teorici non vi è alcun spazio per la pianificazione e
l’intera costruzione di una società che ha alla base la pianificazione e non il
mercato. Hegel diviene allora per il kautskismo la base teorica sostanziale, la
concezione generale del mondo, su cui articola e sviluppa la teoria e la
tattica, la strategia e l’analisi. Quello che in Marx ed Engels è il
capovolgimento hegeliano, ossia il superamento di Hegel e la transizione alla
classe del proletariato, in Kautsky il capovolgimento hegeliano è invece la
base teorica e la concezione generale del mondo che viene posto alla base
dell’azione del movimento operaio e socialista.
Hegel e l’hegelismo costituiscono cioè, per la loro natura di transizione, il
trait d' union tra il proletariato e la borghesia, la forma avanzata dell’egemonia
della borghesia sul proletariato. Il capovolgimento hegeliano diviene allora
qui la longa manus della borghesia sul proletariato. La lotta kautskismo e
leninismo è allora la lotta per l’egemonia nel movimento operaio tra la
borghesia ed il proletariato.
Con la Rivoluzione d’Ottobre questa lotta subisce un forte innalzamento, si
pone in maniera molto acuta ma nel periodo 1917-1924 si mantiene ancora
sostanzialmente entro i limiti ed i confini entro i quali si era venuta
sviluppando a partire dal 1905. La Rivoluzione del 1905 costituisce lo
spartiacque tra Lenin e Kutsky.
La rivoluzione del 1905 segna in maniera definitiva le modifiche intervenute
nel sistema capitalismo mondiale con la centralità degli Stati Uniti ed il
tramonto del ruolo d’avanguardia del proletariato tedesco e l’ascesa a ruolo
d’avanguardia mondiale del proletariato russo: sono queste le basi oggettive
che determinano la contraddizione Kautsky-Lenin e che costituiscono quindi la
base dell’opposizione kautskismo - leninismo. Il periodo 1917-1924 è
contrassegnato da uno sviluppo e quindi una linea politica che per certi tratti
è ancora il programma Kerensky, ha ancora tratti della rivoluzione
democratico-borghese.
L’opposizione kautskismo-leninismo subisce una possente impennata a partire dal
1924-25 quando lo stato sovietico lacera in maniera irreversibile il cordone
ombelicale con la borghesia e si proietta come classe egemone e dirigente. La
lotta, consequenzialmente, muta nella forma, nei modi e nei tempi.
Man mano che il proletariato procede sulle linee tracciate del leninismo e
costruisce la sua egemonia nella costruzione di un suo Stato e quindi si
costruisce come classe dirigente, esso incenerisce qualsiasi ultimo residuo di
cordone ombelicale con la classe borghese e quindi la contrapposizione con il kautskismo assume tutti i toni
drammatici e violenti. Il proletariato recide in maniera violenta la longa
manus e la borghesia si vede tagliata fuori da qualsiasi controllo ed egemonia.
Il trotskismo costituisce, cioè, il kautskismo nelle nuove condizioni della
lotta per l’egemonia nelle fila del movimento operaio. La battaglia non era più
sulle questioni generali, la battaglia si era spostata sulla capacità o meno
del proletariato di essere classe dirigente, giacché era questo il dato
cruciale che allontanava il proletariato dalla borghesia ed opponeva il
proletariato alla borghesia non solo nei singoli paesi ma sull’arena mondiale
nei confronti dei popoli coloniali e di tutta l’umanità.
La posizione dell’opposizione confluisce oggettivamente in questo quadro,
giacché essi erano in grado di esercitare una direzione ed una egemonia solo
entro i quadri del kautskismo, ossia entro quel quadro che dava alla borghesia
una centralità, ma non riuscivano ad averne alcuno in un quadro di un
proletariato che marcia oramai da solo e su tutt’altra via.
Il periodo che abbiamo esaminato evidenzia come il proletariato avanza oramai
da solo, si inventa un altro tipo di Stato, un’altra economia, altri strumenti
tecnici e teorici, sviluppa ad un altro livello le scienze naturali e sociali,
sviluppa un’altra arte, un’altra cultura che non è più riconducibile entro il
capovolgimento hegeliano. In queste condizioni l’opposizione era già, e tutta, out e conduce una battaglia furibonda per
ricondurre l’U.R.S.S entro quei confini ed ambiti che ella è in grado di
intelligere e quindi su cui è in grado di esercitare una direzione.
Lo scontro non poteva che essere inevitabile e senza mediazione alcuna. Essa si
incontra con il punto più alto dello scontro di classe che si sviluppa in
U.R.S.S, si incontra cioè con lo scontro di classe nelle campagne, si incontra
cioè con la seconda fase della rivoluzione agraria e non può che fare tutt’uno
con essa, non può che esprimerne le istanze di fondo delle classi agrarie
spodestate contro chi tali classi spodestava. La seconda fase della rivoluzione
agraria viene a costituire,cioè, il fulcro decisivo della lotta tra
proletariato e borghesia, tra imperialismo e socialismo, il crogiuolo di tutte
le contraddizioni interne ed internazionali che vedevano opposta la borghesia
al proletariato.
Quello che comunemente viene chiamato stalinismo costituisce appunto la nuova
fase che la lotta per l’egemonia viene a prendere, la forma nella quale si
presenta la contraddizione kautskismo-leninismo. Questo spiega poi perché tutta
l’attenzione è sullo stalinismo, più che sul leninismo, giacché la lacerazione
irreversibile avviene con il periodo 1924-1960.
Essa determina una profonda modifica nello scontro tra le classi, non si
presenta, cioè, più come il proletariato in opposizione alla borghesia, bensì
come la borghesia in opposizione al proletariato.
Lo stalinismo, ossia l’elaborato teorico del proletariato mondiale, ha un suo
momento contraddittorio che se non viene sciolto, diviene impossibile coglierlo
e si finisce per rimanere imbrigliati in tale movimento contraddittorio.
Lo stalinismo, cioè, è per una parte ancora tutto dentro il leninismo ma per un
altro versante costituisce una fase assolutamente nuova nella lotta per la
transizione al socialismo, ossia la fase della transizione.
Il leninismo, cioè, si è diviso in due:
una parte: la teoria generale della rivoluzione proletaria e della dittatura
del proletariato, espressa nella formulazione scientifica data da Stalin con “Il leninismo è il marxismo dell’epoca
dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria. Più esattamente: il leninismo
è la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria in generale, la teoria e
la tattica della dittatura del proletariato in particolare.”
la seconda è la teoria della transizione e questa è appunto ed esattamente lo stalinismo, inteso in quanto la teoria, la
strategia e la tattica nella fase della transizione, ossia nella fase della
costruzione della società socialista. Con Stalin ha, cioè, inizio la fase della
transizione dal capitalismo al socialismo di cui lo stalinismo ne costituisce,
appunto, la teoria, la strategia e la tattica.
Il marxismo ed il leninismo, ossia il marxismo-leninismo si arricchisce così di
una nuova ed inedita sezione. La svolta del krusciovismo ha costituito una
violenta interruzione di questa esperienza e di questa costruzione teorica, che
resta ancora tutta da costruire, ma i cui tratti sostanziali e fondanti sono
dati dallo stalinismo; o in altri termini si tratta di sviluppare lo stalinismo
in quanto teoria, strategia e tattica della transizione, arricchirlo
dell’esperienza storica mondiale del proletariato anche alla luce degli eventi
successivi al 1960 e soprattutto alla luce di come si pone adesso, qui ed ora,
la questione della transizione.
L’antikrusciovismo non ha costituito continuità alcuna dello stalinismo, si è
mossa su un terreno ambiguo: gli errori di Stalin senza cogliere la complessità
e l’assoluta originalità del nuovo elaborato a cui il proletariato mondiale era
giunto, continuando così a muoversi ancora e tutto sul terreno del kautskismo,
ancora e tutto sulla vecchia teoria del ruolo della borghesia nella transizione
al socialismo.
Il fuoco di fila che viene scatenato contro Stalin e lo stalinismo non è tanto
fuoco di fila ideologico, ma è fuoco di fila possente contro le condizioni
generali della lotta per il socialismo.
Questo non tanto nella forma più fenomenica nella quale poi i quadri la
intendono e leggono, ossia del discredito del socialismo e quindi
dell’offuscamento delle prospettive della lotta contro la borghesia, quanto
fuoco di fila contro le condizioni generali della lotta per il socialismo.
La Storia non torna indietro.
Il livello della lotta di classe anche dopo gli avvenimenti del 1989 si è
ulteriormente sviluppato ed ha alla base l’esperienza storica generale delle
due classi in lotta. Proprio i fatti del 1989 stanno ad indicare che la
borghesia ha assimilato una lezione, si è arricchito di una importante
esperienza della sua lotta contro il proletariato. Il livello della lotta di
classe parte allora non da Marx o da Lenin ma da Stalin, ossia dal punto più
alto della lotta di classe, dal punto più alto della maturazione della
coscienza di classe del proletariato mondiale.
Arretrare sia pure di un millimetro, allontanarsi sia pure di un millimetro da
questo punto più alto significa porsi nelle condizioni di non essere in grado
di condurre la lotta di classe. La stessa borghesia si è modificata,
trasformata proprio ed esattamente sulla base dello stalinismo, la sua
struttura, il modo, le forme concreti del suo essere oggi sono il risultato
delle modifiche essa ha introdotto per condurre la lotta contro il
proletariato, ossia contro lo stalinismo.
Il fuoco di fila violento contro lo stalinismo, la gran cassa che viene suonata
su “Impero” ed “ hegelismo” hanno la funzione esattamente di tenere lontano il
proletariato dalle condizioni generali in cui si pone oggi la lotta per il
socialismo.
Lo sviluppo scientifico e tecnologico, ossia lo sviluppo alto delle forze
produttive registratosi a partire dagli anni Cinquanta e poi negli anni
Settanta-Ottanta hanno determinato una modifica nella stessa lotta per la
transizione – rimandiamo qui ai lavori dell’Istituto: Centralità Operaia,
Scienza della Politica, Genetica e Scienza Medica – e non si è in grado di
comprendere il livello nuovo al quale si pone oggi la lotta della borghesia
contro il proletariato, la lotta per il socialismo se non si parte dallo
stalinismo, arricchendolo degli sviluppi scientifici che si sono avuti a
partire dagli anni Sessanta-Settanta.
Nelle condizioni attuali della crisi capitalistica e dello sviluppo alto delle
moderne forze produttive, o sviluppo scientifico e tecnologico, si coniuga in
maniera ancora più strettamente con la lotta del Marxismo e del Leninismo
contro l’empiriocriticismo, che costituisce una variante, una forma, nella
quale si presenta la lotta Marxismo – Revisionismo; non diversamente da quella
che oppone spontaneità – coscienza, ecc.
Il punto è comprendere come si pongono oggi queste varianti e quindi come si
pone concretamene oggi la lotta Marxismo – Revisionismo. Punto di svolta è dato
esattamente dallo sviluppo della Scienza avutosi in Unione Sovietica, che ha
determinato uno sviluppo ed arricchimento alto del materialismo storico
dialettico, per cui tale lotta non può prescindere da questo livello raggiunto
dal materialismo storico dialettico, dallo sviluppo delle Scienze.
La Russia, allora, in quelle esatte e precise condizioni del 1917 poteva o imboccare
la via che ha imboccato o precipitare al rango sostanziale di colonia, giacché
il mercato avrebbe agito appunto da livellatore di cui si è detto e quindi
fatto aggravare l’arretratezza.
A riprova basta guardare la paurosa e precipitosa caduta della Russia di
Gorbaciov-Putin nel giro di appena 10anni a tutti livelli: industriale,
scientifico, economico, sociale, politico, culturale, della protezione sociale,
di criminalità e del più generale degrado umano.
I successi nella costruzione
della nuova società socialista sono indiscussi.
Nel giro di appena 15anni, ossia dal 1924 al 1939, dopo gli anni
della devastazione dell’aggressione dei 14 stati imperialisti alla giovane
Repubblica dei Soviet, l’U.R.S.S conosce una trasformazione profonda, raggiungendo
i punti più alti della scienza: Fisica, Matematica, Biologia, Chimica, ecc. ed
un livello di vita materiale e spirituale molto alto. Gli stessi dati del
Dipartimento di Stato statunitense confermano il grande avanzamento tecnico,
scientifico e della produzione, le stesse relazioni dell’addetto ai problemi
dell’agricoltura dell’ambasciata tedesca a Mosca, come i rapporti ed il diario
dell’ambasciatore statunitense a Mosca, ecc.
Elencare dati, statistiche, ecc. diviene così inutile. La stessa violenta
opposizione borghese non mette mai in discussione tali risultati, discute di
altro.
Le condizioni di vita materiali e spirituali del popolo lavoratore sovietico
complessivamente prese sono le più alte in tutto il mondo ed in assoluto in
tutta la storia dell’umanità.
Il livello di protezione sociale è assoluto: previdenza, assistenza, diritti
dei lavoratori: ferie, malattia, ore di lavoro, ambiente di lavoro,
assicurazione sociale, ecc.
Il livello democratico è assoluto: mai i lavoratori avevano partecipato alla
vita democratica, alle scelte come in U.R.S.S, in tutta la storia dell’umanità.
Ed esso non trova paragoni e riscontri in nessun paese capitalistico al punto
che in questo campo non può sussistere alcun termine di paragone per l’abissale
diversità.
Il livello di civiltà è assoluto: libertà civili e politiche per le minoranze
nazionali, livello culturale complessivo del paese sia in cultura media
complessiva che in godimento artistico e culturale: libri, giornali, riviste,
frequenza a teatri, cinema, biblioteca, numero di biblioteche, di teatri e
cinematografi costruiti sia nelle città che nelle campagne.
L’emancipazione della Donna è assoluta. Mai la Donna, e neppure negli anni
Settanta, nei paesi capitalistici raggiunge una tale emancipazione totale:
dall’aborto, al divorzio, assistenza alla maternità, alla sessualità, alla
parità reale con l’uomo nella direzione e nel ricoprire ruoli di direzione a
tutti i livelli nella società sovietica.
Sul piano della sessualità la società sovietica già negli anni Trenta giunge ad
una concezione di alto profilo, che neppure i più avanzati e spregiudicati
paesi capitalistici negli anni Ottanta e Novanta giungeranno mai.
Riconoscimento della coppia di fatto, riconoscimento della coppia gay,
riconoscimento della ragazza madre, riconoscimento dell’aborto – e sul piano
puramente clinico negli anni Trenta si aveva una morte ogni 25mila casi di
aborto contro il 2% in Europa– che si attuava non solo con la libertà
dell’interruzione volontaria della gravidanza, ma anche con le tre settimane di
concedo dopo l’aborto.
Per quanto riguarda l’omosessualità essa non è riconosciuta reato fino al 1934
e per principio non costituisce reato. Il divieto ed il conseguente
riconoscimento di reato viene introdotto solo nel 1934 ma sulla basi di alcune
questioni, che l’imposero per necessità.
Nel marzo del 1934 il Presidium emana un decreto che prescrive di aggiungere al
codice penale un articolo comminante per l’omosessualità pene da tre a cinque
anni e se commessa con minorenni o dipendenti e accompagnata dalla violenza con
la prigione da cinque a otto anni.
La decisione del Presidium è
determinata dalla scoperta di centri di corruzione di ragazzi, sorti per
influenza di servizi stranieri, che furono sommariamente espulsi dal territorio
sovietico.
Era successo che una tale libertà di vivere la sessualità nelle condizioni più
complessive di arretratezza e barbarie rispetto a questo problema, aveva
determinato che l’U.R.S.S veniva a trovarsi ad essere un paradiso ove allettare
e corrompere giovani per pratiche omosessuali per stranieri.
Se si guardano le cose con gli occhi di oggi vediamo che alcuni paesi asiatici
sono degli autentici paradiso della pedofilia ove si prostituiscono i giovani,
oltre ad essere zone di commercio di giovani e bambini attuando così
un’autentica tratta dei bambini: per adozioni, commercio d’organi, ecc.
Il decreto dei Presidium avevo lo scopo di stroncare sul nascere questo
illecito commercio dei giovani, esso infatti pone l’accento sui minori, la
violenza, e lo status di incapaci.
Per quanto attiene tutta la storia dei milioni di morti per repressione e tutte
le storie di repressioni violente di minoranza, religiose, ecc. non abbiamo
alcuna intenzione di seguire questa gentaglia nel loro pantano.
Non hanno mai fornito dati reali, mentre i dati sperimentali da noi qui forniti
mostrano che non esistevano le condizioni reali, materiali di una qualche
opposizione operaia e popolare tale da poter giustificare possenti sommovimenti
di massa tali da portare all’uccisione di questi milioni di oppositori.
Un sistema a così alta partecipazione democratica reale, da noi documentato su
fonti inglesi, francesi, tedesche e statunitensi di opere e scritti in questi
paesi e nel periodo 1924-1939, è la smentita di tutte queste fantasticherie.
Una disamina superficiale dell’annata delle principali testate del periodo in
esame unitamente alla produzione di libri, articoli denunciati stato di
degrado, di miseria, ossia tutta la propaganda anticomunista, una tale disamina
dimostra che quelle notizie sono tratte proprio ed esattamente da giornali e
riviste sovietiche, che davano grande spazio alla critica, alla denuncia
implacabile di errori, sprechi, ecc.
Gli stessi alti dirigenti dello stato sovietico erano molto prodighi in questi
critiche e questa messa in stato di accusa di inefficienza, ritardi, sprechi:
Stalin come Kaganovic, Kalinin e tutti gli altri. Assemblee sindacali, di
soviet di cooperative di consumo erano ultra piene di critiche, denuncie di
inefficienza, critiche aperte a Direttori, funzionari: l’U.R.S.S da questo
punto di vista era veramente un cantiere aperto, chiunque poteva attingervi
notizie e fatti e riportarli secondo una certa sequenza e dimostrare quello che
voleva. La fonte era però lo Stato, il governo e le istituzioni sovietiche.
Provate un po’ a fare un’assemblea di fabbrica o di quartiere ove è permesso
criticare direzione aziendale, direttore, funzionari del governo, del comune,
capi di partito contando in pubblica assemblee tutte le malefatte, brogli, imbrogli,
mangiatoie varie, corruzioni, distrazioni in bilancio, favoritismi oltre che a
familiari e parentele acquisite, ecc.
La documentazione scientifica di parte borghese e quella costituita da
relazioni di enti governativi ed istituzioni capitalistiche confermano invece i
progressi eccellenti dell’U.R.S.S in un fase di pesantissima crisi quella del
1929 -1933.
Questo stesso lavoro è stato condotto esattamente su tali fonti documentarie,
avendo escluso a priori quelle sovietiche, ritenute di parte. Lì dove sono
stati accolti dati, legislazione, dichiarazioni sovietiche, è perché da tali
fonti documentarie sono stati accettate, vagliate e ritenute valide, corrette,
corrispondenti al reali e quindi affidabili.
Se questo dà a questo lavoro il suo carattere di imparzialità scientifica, al
tempo stesso questo determina il limite stesso del lavoro, giacché rileva
dell’U.R.S.S quanto i borghesi hanno rilevato e quindi non quanto la visione,
la concezione la mentalità sovietiche invece rilevavano.
In proposito va riportato quanto in un romanzo sovietico degli anni Trenta, “
Conversazione in treno”, dal romanzo Idrocentrale di M. Shaginjan, Mosca 1934,
viene scritto:
“Voi dite che facciamo delle cose che l’Europa fa meglio, a miglior mercato,
più precisamente e più rapidamente di noi. Sì l’Europa fa delle cose; ma noi
non facciamo affatto soltanto delle cose! Qui sta il punto, ed è ciò che voi
non vedete; qui sta il principio nuovo, qui sta la spiegazione.
[…]
Noi facciamo delle cose pianificate, mio caro signore! Vedete la differenza. E’
una differenza formidabile. In ogni fabbrica, in nuova costruzione che
visitate, potete vedere delle cose che si stanno facendo o elaborando …più una
nuova società, più il sindacato, più l’addestramento dei giovani, più il controllo,
più i calcoli, più il piano. La cosa più il piano viene dall’alto, la cosa più
il controllo viene dal basso. A voi pare che ci sia una moltitudine di padroni.
Sbagliate; vi è una moltitudine di fattori, non di padroni. E l’espansione di
ogni singolo fattore a spese di un altro parte di una lotta per le giuste
proporzioni, per un sistema, una lotta per una società nuova.
[ …].
Questo è il nuovo principio che avete cercato e non trovato: un sistema
economico senza imprenditori privati! Noi non abbiamo una moltitudine di
padroni, ma una moltitudine di fattori e gente che li rappresenta. Un bel
mondo, e voi lo avete visitato, ma non avete osservato questo.”.
Questo non vedere è quanto le fonti documentarie da noi adottate non riportano
e quindi non vedono e consequenzialmente marcano in maniera inequivocabile i
limiti di questa trattazione.
Sul piano puramente scientifico il metodo non è sufficientemente corretto, ma
la situazione contingente ci ha costretto ad una esposizione ed una
rappresentazione del sistema sovietico con tali limiti.
Essi esaltano e non diminuiscono la portata storica universale dell’esperienza
sovietica.
Essa viene confermata dagli scritti del Prof. Dillon.
Il prof. Dillon è nato in Inghilterra nel 1856 figlio di padre irlandese e di
madre inglese, studiò in università francesi e tedesche, visse in Russia dal
1877 al 1914 e tornò a visitare il paese nel 1918 e nel 1929, fu da prima
studente e poi professore in università russe, per lungo tempo direttore di un
giornale russo, viaggiò in lungo ed in largo il paese durante il suo soggiorno
di quasi quarant’anni, sapeva molte lingue e conosceva personalmente quasi ogni
settore della vita russa, dai ministri di Stato alla nobiltà alla burocrazia,
da successive generazioni di rivoluzionari agli artigiani ed ai contadini. Fu
per quasi trent’anni un esperto corrispondente estero per giornali inglesi ed
altri e scrisse molti libri in russo ed in altre lingue. Tra gli altri ha
scritto tre libri in circa quarant’anni di attività.
La rivoluzione d’Ottobre lo privò di tutti i beni e ricchezze che aveva in
Russia.
Il primo nel 1890 sotto il nome E. B. Levin Caratteristiche russe, un volume di
604 pagine, è un’accurata analisi che l’ex ministro Miliukov dichiarò essere la
più accurata descrizione del popolo russo.
Nel 1918, passando in rassegna la situazione subito dopo l’assunzione del
potere da parte del proletariato, pubblico con il suo vero nome Eclisse della
Russia, un volume di circa 420 pagine.
Nel 1929 torna in Russia e pubblica Russia oggi e domani, un volume di circa
338 pagine, ove analizza e descrive la situazione in U.R.S.S. La sua decisione
di tornarvi alla fine del primo piano quinquennale fu impedita dalla sua morte
a Barcellona nel 1933.
Riportiamo di Dillon un passo dello scritto del 1918, Eclisse della Russia, e
successivamente uno del 1929.
“Passando dalle nazionalità alla massa del popolo russo – la popolazione
agricola – colpiva la circostanza che esso era medievale nelle sue istituzioni,
asiatico nelle sue aspirazioni, preistorico nelle sue condizioni di vita.
I contadini credevano che i giapponesi avessero vinto la guerra in Manciuria
prendendo la forma di piccoli animali, entrando negli stivali dei soldati
russi, mordendo loro le gambe e provocandone così la morte. Quando vi era una
epidemia in una zona, essi uccidevano i nemici accusandoli di avvelenare i
pozzi e diffondere la malattia. Bruciano ancora con gioia le streghe,
dissotterrano i morti per liberarsi di un fantasma, denudano le mogli infedeli
– è anche il tema di racconto di Gorky – le legano ad un carro e le frustano,
portandole in giro per tutto il villaggio. Pertanto è giusto dire che il
livello culturale dei contadini è considerevolmente inferiore a quello
dell’Europa occidentale.
[…].
Troppo spesso il contadino russo abita in un tugurio più sozzo di un porcile,
più antigienico di una fabbrica di fiammiferi fosforici. Va a dormire alle sei
ed anche alle cinque d’inverno perché non può permettersi il lusso di comperare
abbastanza petrolio per procurarsi una luce artificiale. Non ha carne, uova,
burro, latte, spesso nemmeno cavoli e vive soprattutto di pane nero e patate.
Vive? Soffre di fame per l’insufficiente quantità di questi alimenti. In questo
momento ( 1917 ) vi sono numerosi contadini in Bessarabia che muoiono di fame
per mancanza di un così misero nutrimento: pane nero e patate.
[….]
del tutto indifferenti alla politica, ma nonpertanto astuti ed avidi di terra,
i contadini non erano che una lunga fila di zeri, a cui davano significato le
classi più elevate, principalmente quelle dei funzionari. Tutto ciò che essi
desideravano era la terra, non importando loro i mezzi con cui l’ottenevano.
Poiché non si deve dimenticare che ben l’80% della popolazione è analfabeta, e
che milioni di persone fra essa sono immerse in una ignoranza e superstizione
talmente crassa che difficilmente possono concepirla gli stranieri. Perciò essi
hanno bisogno di una guida.. Il grido “La terra ai contadini” li ubriaca, anzi
li fa impazzire. Essi, allora, sono pronti a commettere qualsiasi delitto
contro la proprietà
[....]
La risultante è una massa noncurante, paziente, inetta, ignorante, insincera e
soggetta ad accessi di ferocia .. mezza infantile e mezza fiera imperfettamente
addomesticata .. .”
Per quanto riguarda Lenin ed il bolscevismo scriveva:
“Nei bolscevichi non c’è traccia di idea costruttiva e sociale. Nemmeno gli
ammiratori occidentali di Lenin riescono a scoprirla.[....]. Il bolscevismo è
zarismo alla rovescia. .. Esso sopprime giornali, vieta la libertà, arresta ed
esilia gli eletti della nazione e si rende complice o istigatore di crimini con
una ferocia diabolica.”
In “ Mosca oggi e domani” scritto dieci anni dopo nel 1929 quale prodotto della
sua visita in U.R.S.S scrive:
“Dappertutto la gente pensa, lavora, combina, fa’ invenzioni scientifiche ed
industriali. Se uno potesse avere una visione a volo d’uccello delle numerose
attività dei cittadini delle Repubbliche sovietiche, stenterebbe a credere
all’evidenza dei propri sensi. Non si è ancora mai visto nulla di simile, nulla
che si avvicini ad esso per varietà, intensità, tenacia di propositi. L’ardore
rivoluzionario supera ostacoli colossali e fonde elementi eterogenei in un solo
grande popolo, non, invero, una nazione nel significato noto al vecchio mondo,
ma un popolo forte, cementato da un entusiasmo quasi religioso
[.…]
I bolscevichi hanno quindi compiuto molto di quanto si ripromettevano, e più di
quanto apparisse conseguibile da una qualsiasi organizzazione umana nelle
condizioni avverse con le quali dovevano lottare. Essi hanno mobilitato più di
150milioni di esseri umani apatici, semimorti ed hanno infuso loro uno spirito
nuovo. Essi hanno distrutto e sepolto tutto l’ordine del vecchio mondo su un
sesto del globo e stanno scavando fosse per esso ovunque. Essi si sono
dimostrati capaci e decisi a fronteggiare le difficoltà ed approfittare delle
buone occasioni. Il loro modo di regolarsi in relazione all’autonomia ed alle
nazionalità è un capolavoro di ingegnosità ed eleganza. Nessuno degli abili
statisti di oggi in altri paesi può competere con essi nel loro sistema di
soddisfare le pretese delle minoranza.
[....]
Il bolscevismo non è avvenimento storico ordinario. E’ uno di quei grandi mezzi
di purificazione del mondo ai quali diamo talvolta il nome di fato, che appaiono
a lunghi intervalli per eliminare le tare umane e sgombrare il terreno per un
nuovo ordine di uomini e cose. Gli Ebrei sotto Mosè e Giosuè, gli Unni sotto
Attila, i Mongoli sotto Gengis Kan ed i bolscevichi sotto Lenin sotto tutti
segnati dallo stesso trascendente pennello.
Il bolscevismo ha le sue origini nelle insondate profondità dell’essere, né
avrebbe potuto avere vita se non fosse per la necessità di mettere fine
all’ingiustizia ed alle iniquità che
corrompono la nostra decrepita civiltà. E’ venuto come venne il cristianesimo,
non per la pace ma per la spada; e le sue vittime sono più numerose di quelle
delle più sanguinose guerre. Pare a me che sia la più poderosa forza propulsiva
che esiste oggi al mondo per il bene o per il
male. Essa è certamente una dura realtà, che forse odora di solfo e di
salnitro, ma con una missione da compiere in terra, ed una missione che sarà
indubbiamente compiuta.”.
Conclusioni
La via dell’Ottobre si conferma quale via maestra del proletariato.
Le difficoltà a cui essa è andata incontro sono il risultato dei problemi nuovi
che il suo procedere ha determinato. Proseguendo sulla strada aperta
dall’Ottobre, l’U.R.S.S ed il Movimento Comunista Internazionale, i due dati
vanno letti assieme: essi sono inscindibili, hanno modificato la realtà
mondiale complessivamente, determinando una modifica nella composizione delle
classi e nella stratificazione delle classi, nel comando del lavoro sul
capitale e quindi modifiche politiche, sociali, culturali, istituzionali, un esempio
l’abbiamo visto con il “welfare” e Bad Godesberg, un altro tutta la tematica
delle donne e dei disabili.
Nella relazione del 2002 a Teramo abbiamo analizzato le modifiche che vengono
introdotte sul piano economico e nei processi produttivi in risposta alla
presenza ed allo sviluppo della Rivoluzione d’Ottobre. Un elemento poco preso
in considerazione è che l’Ottobre ha spinto la borghesia ad accelerare lo
sviluppo scientifico e tecnologico in modo particolare dal lato dell’utilizzo
della forza lavoro, al fine di indebolire la classe operaia, di scompaginarne
le fila.
La robotica e tutta la ristrutturazione dei processi produttivi degli anni
Cinquanta-Settanta sono dettati da tale esigenza: la rottura del continuum
fordista, di cui si discute in Centralità Operaia, e quindi la dislocazione dei
processi produttivi di una singola merce in una vasta area, che giunge a
coprire l’intero Pianeta oltre che per motivi di sfruttamento della manodopera
locale, sfruttando il differenziale di sviluppo, e meglio la legge dello
sviluppo ineguale del capitalismo, ha alla base anche quello di spezzettare,
frammentare, segmentare la forza e la compattezza della classe operaia delle
cittadelle imperialiste.
Non a caso tale processo ha un particolare innalzamento dopo la sconfitta nel
Vietnam, quando si era saldata l’unità tra le cittadelle dell’imperialismo e le
colonie.
Il punto è dato allora dai problemi nuovi che la via dell’Ottobre ha
determinato nel periodo 1917-1970 a cui non siamo stati in grado di dare
risposta, determinando la perdita della funzione d’avanguardia dei comunisti e
quindi della classe del proletariato.
Le cause di ciò vanno ricercate nel movimento complessivo mondiale delle
classi, nei problemi nuovi che la transizione ha posto riguardo al rapporto
forze produttive e rapporti di produzione, come abbiamo analizzato in “Processi
della Transizione”, e nell’attacco soggettivo che l’imperialismo ha condotto
contro il campo socialista ed il Movimento Comunista Internazionale. Esso si è
caratterizzato per il suo carattere multiforme, per una complessità tattica,
che aveva al centro il perseguimento strategico dell’obiettivo di disarticolare
il Movimento Comunista Internazionale, dentro questo, e funzionale a questo,
disarticolare la teoria marxista – elemento questo che già Lenin aveva ben
fermato nella lotta contro il revisionismo, ossia il kautskismo.
La disarticolazione del marxismo, ossia della teoria, era funzionale a creare
problemi all’avanguardia nella comprensione dei processi e quindi a metterla
nelle condizioni di non poter assolvere al ruolo di avanguardia da parte dei
comunisti e quindi al proletariato.
La tattica per quanto attiene il fronte teorico si è articolata da un lato
attraverso l’empiriocriticismo, in concreto la scuola di Vienna e la cosiddetta
“filosofia della scienza”: dentro questo tutta la manipolazione e
falsificazione dei dati scientifici e l’uso di alcune importanti scoperte
scientifiche: relativismo di Einstein e indeterminatezza di Heisenberg,
trasportate in maniera sguaiata sul piano della gnoseologia, dando vita alle
teorie circa il caso-causa-necessità-ordine-caos e quelle inerenti la validità
scientifica della leggi.
Dall’altro lato la disarticolazione vera e propria del marxismo con la lettura
di un Marx tutto schiacciato su Hegel, l’hegelismo e la filosofia; l’attacco ad
Engels ed al materialismo storico dialettico quale metodo e la riduzione del
materialismo storico dialettico a materialismo storico ossia canone di
interpretazione storico, recidendo così la feconda fonte del rapporto
Marxismo-Scienze Naturali, della cui centralità abbiamo discusso in Compiti
della Cultura, del 1997.
L’altra grande direttrice tattica di questo piano strategico è consentito
nell’isolamento e nel discredito dell’U.R.S.S. Qui il problema presentava una
particolare complessità ed una particolare pericolosità per il campo
imperialista.
L’U.R.S.S era uscita decisamente rafforzata sul piano mondiale e faro della
lotta del proletariato e dei popoli coloniali. Aveva sviluppato anche una
particolare forza sul piano militare sia per quanto attiene la Scienza Militare
portandola al più alto livello che mai aveva raggiunto – come abbiamo
documentato in “Il ruolo dell’Armata Rossa nella 2a guerra mondiale” e sia per
quanto attiene l’armamento.
Il prestigio dell’U.R.S.S era enorme: essa aveva salvato l’umanità dal
nazifascismo e riportato brillanti ed entusiasmanti vittorie. La costruzione
del socialismo era una realtà ed un punto di riferimento e prospettiva di lotta
concreto per tutti gli sfruttati ed oppressi dell’intero Pianeta.
Questo aveva determinato un’accelerazione della lotta di classe, spinto popoli
alla lotta contro l’Imperialismo: ossia l’obiettivo strategico che Lenin e
Stalin si erano riproposti con la teoria del socialismo in un solo paese era
stato brillantemente raggiunto e la piazzaforte U.R.S.S si era trasformato in
una egregia linea di attacco contro il campo imperialista.
Nasce di qui l’attacco calunnioso contro Stalin avente lo scopo di disegnare
l’U.R.S.S come il regno del terrore e dell’oscurantismo, di qui gli stereotipi
che la commissione Agitprop dell’imperialismo ha costruito attraverso le
multiforme vie della comunicazione: stampa, radio, televisione, modelli di vita
stereotipi, calunnia vera e propria, invenzione di sana pianta di cose e fatti.
Ma tutto questo non poteva avere speranza alcuna di raggiungere un qualche
discreto risultato se a sostenerlo fossero state le forze imperialiste, i suoi
alleati, i suoi partiti ed uomini.
Il movimento kruscioviano è un movimento complesso non riconducibile alla
piattezza degli “ m-l”.
Esso esprime, ed è espressione, del complesso movimento delle classi in U.R.S.S
che si erano andate modificando nel corso del periodo 1930-1948 e del complesso
movimento mondiale delle classi che si andava delineando a partire dagli inizi
degli anni Cinquanta nei paesi imperialisti ed in modo specifico nei paesi
coloniali, che darà vita ai movimenti di liberazione nazionale degli anni
Cinquanta-Settanta. Questo elemento si coniuga, venendosi ad iscrivere come
movimento oggettivo, entro la strategia dell’imperialismo, divenendone variante
tattica del piano strategico imperialista(11).
Parte, così, dall’interno: il cosiddetto “rapporto di Krusciov” costituiva
nelle intenzioni strategiche dell’imperialismo una prova generale delle forze e
la base da cui a raggiera si dovevano dipanare gli attacchi multiformi e che
avrebbero costituito nuova linfa e legittimazione alle forze dichiaratamente
anticomuniste. Questo avrebbe consentito che l’attacco prendendo le sembianze
iniziale dell’autocritica non avrebbero consentito in alcun modo che la
gestione potesse in alcun modo avvenire dall’interno, ma che, invece, la
gestione finale fosse stata dell’imperialismo, ossia non dei Krusciov, dei Gorbaciov
et similia ma dei Reagan, dei Woytilia, et similia.
Riprendere la via dell’Ottobre, riposizionare il marxismo sugli assi delle
Scienze Naturali, arricchire il marxismo dell’esperienza storica mondiale del
proletariato ed il materialismo storico dialettico delle scoperte ed invenzioni
scientifiche avutesi a partire dalla fine degli anni Sessanta, riporre al
centro la lotta al kautskismo nelle sue variante antiche e moderne per essere
in grado di elaborare la teoria e la tattica nelle nuove condizioni della lotta
di classe, ossia sulla base delle modifiche che lo sviluppo impetuoso delle
forze produttive hanno determinato e determinano.
Restituire il marxismo alla Scienza e sottrarlo alle filosofie.
Restituire il marxismo alla Scienza e sottrarlo ai socialisti della cattedra.
NOTE
1) Rimandiamo qui a:
Federico Engels, L’importanza del lavoro nell’evoluzione dalla scimmia
all’Uomo,
Karl Marx, Il Capitale, vol. 1
Istituto di Studi Comunisti K. Marx – F. Engels, La concezione filosofica,
Annali tomo 1
2) In “ Bioetica” e poi in “
Scienza Medica” abbiamo ben documentato il ruolo della Medicina a tale
riguardo.
3) La Filantropia non è altro dalla teoria politica borghese:
si integra con essa, la sostanzia e la supporta. Costituisce, infine, la forma
sostanziale dell’autoalienazione della classe borghese, ossia costituisce parte
essenziale della coscienza di classe borghese, proprio in quanto
autoalienazione.
Karl Marx scrive: “ La classe
proprietaria e la classe del proletariato presentano la stessa autoalienazione
umana. Ma la prima classe, in questa autoalienazione,si sente a suo agio e
confermata, sa che l’alienazione è la sua
propria potenza, possiede in essa la parvenza di un esistenza umana; la seconda classe nell’alienazione
si sente annientata, vede in essa la sua impotenza e la realtà di una esistenza
inumana.” ( Opere, vol. IV, pag. 37 )
4) F. Engels: “ Le
forze socialmente attive agiscono in modo assolutamente uguale alle forze
naturali: in maniera cieca, violenta, distruttiva, sino a quando non le
riconosciamo e non facciamo i conti con esse. Ma una volta che le abbiamo
riconosciute, che ne abbiamo compreso il modo di agire,la direzione e gli
effetti, dipende solo da noi il sottometterle sempre più al nostro volere e per
mezzo di esse raggiungere i nostri fini. E questo vale in modo particolare per
le moderne forze produttive. Sino a quando ostinatamente ci rifiuteremo di
intendere la natura ed il carattere, ed a questa intelligenza si oppongono il
modo di produzione capitalistico ed i suoi sostenitori, queste forze agiranno
malgrado noi e contro di noi e ci domineranno. Ma una volta che siano comprese
nella loro natura, esse, nelle mani dei produttori
associati, possono essere trasformate da demoniache dominatrici in
docili ancelle . E questa la differenza che passa tra la forza distruttiva
dell’elettricità nel lampo della tempesta e l’elettricità domata del telegrafo
e della lampada ad arco; la differenza tra l’incendio ed il fuoco che agisce al
servizio dell’uomo. Quando le odierne forze produttive saranno considerate in
questo modo, conformemente alla loro natura finalmente conosciuta, all’anarchia
sociale della produzione subentrerà una
regolamentazione socialmente pianificata della produzione , conforme ai bisogni
sia della comunità che di ogni singolo. Così il modo di appropriazione
capitalistico, in cui il prodotto asservì innanzitutto chi lo produce, ma poi anche colui che se lo appropria,
viene sostituito dal modo di appropriazione dei prodotti, fondato sulla natura
stessa dei moderni mezzi di produzione: da una parte da un’appropriazione
direttamente sociale come mezzo per mantenere ed allargare la produzione,
dall’altra da una appropriazione direttamente individuale come mezzo di
sussistenza e di godimento.”
5) Intendi: il marxismo.
6) Quaderni dal Carcere,’ Il Materialismo storico’, pag. 4-5,
Editori Riuniti .
7) Non ci interessa qui sviluppare il ragionamento sulla fictio
iuris che regge l’intero sistema, giacché intervengono momenti di sostanziale
disparità e quindi le forze che si presentano alle elezioni sono solo quelle
che hanno una base finanziaria sufficiente per poter sostenere i costi
dell’intera campagna elettorale oltre che della complessa struttura
organizzativa del Partito, delle correnti e dei singoli dirigenti. I candidati
sono unicamente quelli che hanno una base finanziaria per poter sostenere la
campagna elettorale ed in precedenza nel loro partito una disponibilità
finanziaria per potersi muovere agevolmente sul territorio nazionale, scrivere,
ecc. e quindi in grado di farsi conoscere, trovare consensi ed essere così in
grado di costituire una cordata o entrare in una cordata, o corrente, del suo
partito e quindi essere candidato. Inutile dire che in questo i lavoratori
dipendenti tutti non hanno nessuna speranza in tal senso, giacché essi non sono
nelle condizioni di poter distrarre una qualche quota del loro salario per
poter sostenere simili spese.
I vari partiti politici inoltre non esprimono in alcun modo una linea politica
di alternativa al sistema capitalistico, ma solo forme diverse di gestire la
società capitalistica, da questo punto di vista noi abbiamo un unico partito
politico nella sostanza, che si scompone in una serie di forme e raffigurazioni
esprimenti momenti diversi della realtà capitalistica. La realtà parlamentare
inglese e statunitense è da questo punto di una chiarezza estrema: non solo i
partiti sono due, ma la linea politica complessiva di maggioranza e di
opposizione è una.
La forza politica che diviene maggioranza assume la linea politica e compie le
scelte del partito in precedenza maggioranza; quello che adesso è divenuto
minoranza prosegue la politica di opposizione.
In concreto il Partito Laburista quando è maggioranza prosegue la linea
politica della precedente maggioranza, che in quanto opposizione osteggiava; il
partito conservatore quando è minoranza prende il posto e la linea del partito
laburista che adesso è maggioranza di governo.
Non diversamente negli Stati Uniti ove il partito di minoranza non conduce
alcuna opposizione alla politica di maggioranza ed una volta divenuto esso
stesso maggioranza, prosegue la politica del precedente partito.
E’ il caso per esempio della guerra del Vietnam ove si sono succeduti entrambi
i partiti: democratico e repubblicano; non diversamente da ora ove a Clinton è
succeduto Bush junior, ma la politica guerrafondaia non è modificata; non è
modificata la politica economica, ecc. Esprimono unicamente momenti diversi
della frazioni e fazioni del capitale monopolistico statunitense.
Ma non è assolutamente questo il punto centrale, ed in definitiva nell’economia
del nostro discorso non ha alcuna importanza
8) assumiamo cioè un modello ove non intervengono influenze e
situazioni di distorsione che agiscono, o possono agire, da limite
all’esplicazione del diritto democratico, di espressione della propria volontà
politica. Il sistema presuppone che il singolo elettore conosca tutte le varie
posizioni politiche e quindi decide in piena libertà di conoscenza; al pari
della teoria economica che presuppone che un compratore che agisce sul mercato
è perfettamente a conoscenza di tutte le altre merci similari, complementari,
integrative e sostitutive e dei loro prezzi, nonché di ciascuna merce la
qualità che viene offerta. Non agiscono nel nostro sistema modello truffe,
brogli, ricatti, minacce, voto di scambio, totale falsificazione nella
propaganda elettorale, assenza totale di disparità di mezzi, uomini nella piena
e libera circolazione delle idee e dove la maggioranza esiste come dato
sostanziale e non come raggiungimento formale del 50% + 1 dei votanti. Il
numero dei votanti è diverso da quelli aventi diritto al voto. Questo comporta
per esempio che Blair ha il 60% dei voti espressi e quindi la maggioranza di
quelli che hanno votato; adesso però quelli che hanno votato sono meno del 60%.
In concreto dati 100 aventi diritto al voto, si sono presentati a votare solo
60, di solito non vanno oltre 50, e quindi Blair ha ottenuto il 60% di 60 voti,
ossia 36 voti ed il partito opposto 24.
9) E qui, en passant.
La categoria dell’Alienazione non è inerente esclusivamente il
lavoratore che non conosce il fine del proprio prodotto, che già in questa
forma ne costituisce pesante riduzione. La categoria marxiana dell’Alienazione
attraversa l’intera società e tutti gli uomini e non identificabile in alcun
modo con quella sociologica. Essa è una categoria della Scienza della Politica
marxista.
10) Ed a questo proposito va detto che l’edizione in
distribuzione in Italia dello scritto “La Rivoluzione permanente” è un testo corrotto, giacché esso non
comprende lo scritto originario di Trotsky elaborato nel 1905.
L’unica edizione corretta è quella einaudiana, le altre sono corrotte e non
esprimono la complessità dell’elaborato di Trotsky, sono edizioni ideologiche.
11) Per una disamina più attenta del movimento delle classi e
della polemica sviluppatasi negli anni Sessanta, rimandiamo al lavoro
dell’Istituto “Bilancio”.