www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - convegno napoli 2003: i problemi della transizione al socialismo in urss - 11-02-04

dalla lista: vocedelgamadi@yahoogroups.com

Centro Culturale La Città del Sole - centroculturale@lacittadelsole.net
Convegno - Napoli, 21-23 novembre 2003: I problemi della transizione al socialismo in URSS

Problemi della ricerca scientifica in URSS


di Andrea Martocchia (ricercatore precario,Osservatorio Astronomico di Strasburgo, Francia)


1. La funzione della scienza nella societa' socialista

John Desmond Bernal, noto scienziato irlandese, fu un pioniere della cristallografia nei raggi X. Egli fu anche, pero', filosofo della scienza di impostazione materialista dialettica, e militante comunista.

Bernal scrisse nel 1937: "Nel marxismo la conoscenza e' inseparabile dall'azione, e l'apprezzamento del ruolo sociale della scienza ha condotto, in un paese socialista come l'URSS, alla connessione organica tra la ricerca scientifica e lo sviluppo dell'industria socializzata e della cultura umana.

L'organizzazione della scienza nei paesi capitalisti si e' gradualmente adattata al servizio della grande impresa, ma poiche' il processo non e' compreso ne' apprezzato il servizio reso e' scarso e rappresenta un grande spreco. In nessun caso la produzione per il profitto potra' sviluppare per intero le potenzialita' della scienza, a meno che non sia per scopi distruttivi. La concezione marxista della scienza la pone in pratica al servizio della comunita' ed allo stesso tempo rende la scienza stessa parte del patrimonio culturale di tutto il popolo, e non solo di una minoranza selezionata artificiosamente." (1)

Questa di Bernal puo' essere anche letta come una dichiarazione programmatica d'intenti su che cosa deve essere la scienza in una societa' socialista. L'esperienza storica reale dell'Unione Sovietica ha dimostrato, comunque, che una societa' socialista storicamente data non puo' fare eccezione rispetto alle altre societa' umane: le condizioni materiali dello sviluppo economico e sociale determinano di fatto la produzione culturale, e dunque anche il tipo di scienza e di tecnologia, e la loro evoluzione. Dicendo questo non facciamo altro che applicare noi stessi quel Materialismo Dialettico che, oltre ad essere patrimonio di Bernal, fu il fondamento teorico-ideologico della cultura e della scienza sovietiche.


2. La concezione materialista dialettica del sapere e della formazione

Per illustrare i contenuti e le implicazioni del Materialismo Dialettico sulla scienza sovietica e' utile avvalersi dell'interessante saggio scritto su questo tema da Roberto Zanetti (2), dal cui testo trarro' ampi brani nel seguito.

Benche' la questione sia di grande interesse, sia sul versante teorico che su quello storico-pratico, sfortunatamente il dibattito sul Materialismo Dialettico in Occidente langue da prima ancora del crollo dell'URSS; in Italia, esso appare essersi spento con la morte del grande Ludovico Geymonat.

Zanetti rileva come il recentemente scomparso Stephen Jay Gould - che forni' un importante contributo alla corrente teoria dell’evoluzione delle specie - sia stato uno dei pochissimi scienziati occidentali ad avere apertamente riconosciuto l'interesse della concezione materialista dialettica, in particolare attraverso

<< il parallelo tra la sua teoria degli “equilibri punteggiati” e il Materialismo Dialettico. Nel suo libro "Il pollice del panda" [Gould] ha scritto quanto segue:

“Se il gradualismo rappresenta un prodotto della cultura occidentale, piuttosto che un fatto di natura, allora dovremo cercare una nuova filosofia del cambiamento per allargare il nostro orizzonte oltre i confini del pregiudizio. In Unione Sovietica, ad esempio, gli scienziati si basano su di una teoria del cambiamento completamente diversa: le cosiddette leggi della dialettica riformulate da Engels sulla filosofia di Hegel. Le leggi della dialettica hanno molto in comune con il concetto di equilibrio per punti. Esse parlano ad esempio della «trasformazione di quantità in qualità». Questo potrebbe apparire confuso, ma suggerisce che i cambiamenti avvengono attraverso grandi salti in seguito ad una lenta accumulazione di sforzi a cui il sistema oppone la sua resistenza fino a che non ha raggiunto il punto di rottura. Scaldate l’acqua e alla fine essa bollirà; opprimete i lavoratori e dai e dai scoppierà una rivoluzione. Eldredge ed io siamo rimasti affascinati dalla scoperta che molti paleontologi sovietici sostengono un modello molto simile ai nostri equilibri punteggiati.”

Paleontologia e antropologia sono, dopo tutto, separate solo da una sottile parete dalle scienze storiche e sociali, e questo ha implicazioni politiche potenzialmente pericolose per i difensori dello status quo. Come osservò Engels, più ci si avvicina alle scienze sociali, meno obiettivi e più reazionari essi diventano. È dunque un buon segno che Stephen Gould si sia avvicinato così tanto a un punto di vista dialettico, nonostante la sua ovvia cautela.

Il biologo russo Aleksandr Ivanovic Oparin nel 1924 scrisse il saggio scientifico "Origine della vita". L’opuscolo fu il primo tentativo di approccio moderno all’argomento, che aprì un nuovo capitolo sulla comprensione della vita. Non fu un caso che, come materialista dialettico, Oparin studiò il problema da una prospettiva originale. Era un inizio coraggioso, all’alba della biochimica e della biologia molecolare. Dello studio di Oparin, Isaac Asimov scrive:

" (...) In esso il problema dell’origine della vita per la prima volta veniva considerato dettagliatamente da un punto di vista completamente materialista. [Poiché l’Unione Sovietica non è ostacolata dagli scrupoli religiosi ai quali l’Occidente si sente vincolato, questo, forse, non ci deve sorprendere.] "

La parte fra parentesi quadre si trova nell’edizione inglese del testo di Asimov, ma non nella versione italiana! Che in un paese cattolico come l’Italia non si possa ammettere che l’ateismo in Unione Sovietica abbia contribuito allo sviluppo della scienza?

Ma vediamo nell’ambito della pedagogia, l’approccio del materialismo dialettico in URSS (...).

Il grande pedagogo sovietico Vygotsky non credeva affatto che l’insegnante dovesse operare un rigido controllo su cosa esattamente i bambini stessero imparando. Come Piaget, egli considerava l’attività svolta dai bambini la parte centrale della loro educazione. Invece di “incatenare” i bambini ai banchi, dove essi meccanicamente cercano di imparare cose che per loro non hanno nessun senso, Vygotsky sottolineava il bisogno di un autentico sviluppo intellettuale. Ma questo non può essere concepito in un vuoto sociale. In una società autenticamente socialista, l’istruzione verrebbe legata all’attività creativa pratica sin dall’inizio, rompendo così le avvilenti barriere tra lavoro intellettuale e manuale. In molti modi, Vygotsky era in anticipo sul proprio tempo. I suoi metodi educativi mostravano una grande immaginazione, per esempio, nel permettere ai bambini di imparare l’uno dall’altro: Vygotsky dichiarava di usare un bambino più avanzato per insegnare a un bambino rimasto indietro. Per molto tempo questo venne usato come base di un’istruzione marxista egalitaria nell’Unione Sovietica. Il principio socialista era che tutti i bambini lavoravano insieme per il bene di tutti, invece di quello capitalista in cui ogni bambino tenta di avere più benefici possibili dalla scuola senza contribuire per nulla. Il bambino più brillante aiuta la società aiutando il bambino meno brillante, dato che quest’ultimo sarà più utile alla società avendo imparato a leggere e scrivere piuttosto che diventando un adulto analfabeta. Vygotsky sosteneva che questo atto non presuppone un sacrificio da parte del bambino più avanzato; spiegando e aiutando altri bambini, anche lui poteva arrivare a una comprensione molto più profonda del suo proprio sapere, su linee metacognitive. E insegnando un argomento, consolidava il proprio sapere.
Vygotsky, attraverso l’interpretazione del materialismo dialettico applicato alla pedagogia sosteneva che:

“Il processo di crescita non è una progressione lineare dall’incapacità alla capacità; perché un neonato possa sopravvivere, deve essere capace di farlo come neonato, non come versione, ridotta nella taglia, dell’adulto che diventerà. Lo sviluppo non è un processo meramente quantitativo, ma un qualcosa di più complesso in cui si hanno trasformazioni qualitative: dal succhiare al masticare cibi solidi, per esempio, o dal comportamento sensomotorio a quello cognitivo.“

Solo gradualmente, dopo un periodo lungo e difficile di correzione e apprendimento, il bambino smette di essere una matassa di sensazioni e di ciechi appetiti, un essere indifeso, acquista coscienza e si emancipa. È proprio questa aspra lotta per passare dall’inconscio al conscio, dalla completa dipendenza dall’ambiente al dominio su di esso, a suggerirci l’idea dell’evidente parallelismo esistente tra lo sviluppo del singolo bambino e quello della razza umana. Sarebbe sbagliato, naturalmente, pensare che il parallelismo individuabile sia strettissimo, dato che ogni analogia è valida solo entro limiti definiti. Ma è difficile negare la conclusione che tali parallelismi nei fatti esistano, almeno riguardo taluni aspetti: dal più basso al più alto, dal semplice al complicato, dall’inconscio al conscio sono infatti movimenti che ricorrono continuamente nello sviluppo della vita. >> (2)


3. Il "caso Lisenko"

E' allora evidente che la fondazione ideologica materialista-dialettica della ricerca scientifica e di tutta la cultura dell'URSS non puo' avere determinato alcuna paralisi o soffocamento di esse, come vorrebbero certi inguaribili detrattori. Essa ha viceversa consentito progressi e conquiste avanzatissime, ad esempio proprio nel campo della formazione e dell'istruzione.

Tuttavia, la storia della ricerca scientifica sovietica dimostra anche che il Materialismo Dialettico, in quanto teoria critica, non puo' essere applicato con formule riduttive ed affrettate, pena il suo completo stravolgimento. Mi riferisco ad esempio al "caso Lisenko", cioe' al conflitto che insorse tra le due tendenze della scuola genetica sovietica alla fine degli anni Trenta. Questo conflitto assunse la forma di uno scontro ideologico, nel quale una delle due parti penso', per l'appunto, di poter trasporre la teoria materialista dialettica meccanicamente in biologia. Ma, come ha bene illustrato Zanetti (2), quello scontro fu determinato piuttosto dalle condizioni e dalle esigenze reali della produzione agricola sovietica.

Per capire quello che veramente successe, al di la' degli aspetti ideologici nel senso di "sovrastrutturali", e' quindi indispensabile usare quella branca del Materialismo Dialettico che analizza e contestualizza ogni attivita' umana in quadro interpretativo coerente, evoluzionistico e dinamico, incentrato sulle condizioni materiali in cui detta attivita' si esplica: e cioe' il Materialismo Storico. Materialisticamente, lo scontro che e' passato alla storia come "caso Lisenko" va inquadrato nel contesto storico e sociale dell'epoca. Riprendo, di nuovo, ampiamente dal saggio di Roberto Zanetti:

nel quadro della grande crisi degli anni Trenta, << il governo sovietico decise di dare l’avvio a un grandioso programma volto a colmare il ritardo dell’agricoltura allo scopo, anche, di disporre delle risorse indispensabili a un intenso sviluppo industriale.  La realizzazione di questo programma fu affidata a Nikolaj Ivanovic Vavilov, fondatore della VASCHNIL (Accademia Pansovietica di Scienze Agrarie Lenin), nonché direttore dell’Istituto di Genetica dell’Accademia delle scienze dell’URSS e del VIRV (Istituto Pansovietico di Coltivazione delle Piante), una istituzione scientifica unica nel suo genere, che acquisì presto una fama mondiale. Vavilov si mise al lavoro sin dall’inizio degli anni venti e propose un ardito piano per la radicale riorganizzazione delle risorse dell’agricoltura sovietica, i cui punti fondamentali erano il miglioramento del livello della selezione e della produzione di sementi e il ricorso a tutte le conquiste della scienza e della pratica mondiale nell’attività di coltivazione delle piante. La base teorica di questo piano era costituita dall’idea, fondata sugli sviluppi della teoria di Mendel, che il patrimonio genetico di un organismo fornisca il meccanismo per la trasmissione di caratteristiche da generazione a generazione per mezzo dei geni. Appellandosi a questa convinzione Vavilov proponeva di utilizzare, nella coltivazione delle specie vegetali, l’ampia varietà di caratteri e di forme delle piante coltivate e modificate dall’uomo e delle loro antenate, cioè sia i risultati del lavoro di innumerevoli generazioni di uomini, sia quelli che costituivano un dono naturale. Ne risultava la necessità di una ampia scelta di materiale di base, allo scopo di dotare lo studioso di coltivazione delle piante della necessaria opportunità di selezione creativa. Proprio in riferimento a questa esigenza Zores A. Medvedev ricorda:

“Vavilov con un gruppo di collaboratori, si accinse ad attuare il progetto di raccogliere nell’URSS una grande quantità di materiale base per una selezione preparatoria che avrebbe dovuto riflettere la diversità tra le varie piante in tutto il mondo. Egli non mirava unicamente a mettere insieme questo materiale, ma a ordinarlo sistematicamente e a studiarlo in modo ampio dai vari punti di vista della fisiologia, della biochimica, della botanica, della genetica e dell’agronomia, per metterlo poi a disposizione di tutte le stazioni agronomiche e di tutti i coltivatori del nostro paese. Nello stesso tempo egli aveva intenzione di mettere a dimora varietà adatte di foraggi, di ortaggi e frutta tratti da questa ampia raccolta per introdurli e sperimentarli immediatamente, con la prospettiva di vantaggi economici rapidi e immediati. Per realizzare questo intento, venne creato, per iniziativa dello stesso Vavilov, un Istituto chiamato in seguito VIRV, con una rete di stazioni sperimentali distribuite su un’ampia estensione geografica. Fu per portare avanti questo lavoro che Vavilov iniziò verso il 1925 le sue famose spedizioni in tutti i più remoti angoli dell’Unione Sovietica, e poi in tutti i principali centri dell’agricoltura mondiale. In un breve periodo di tempo furono organizzate circa 200 spedizioni: i loro membri studiarono l’agricoltura e le risorse agricole di 65 paesi, portando nell’Unione Sovietica oltre 150.000 varietà, forme e tipi di piante, tutta la ricchezza creata nel campo della coltivazione delle piante dall’umanità nella sua storia secolare. Venne creata così la raccolta di tutte le piante coltivate nel mondo. “

Lo sforzo che il governo sovietico fece per assecondare questo piano e garantirne la riuscita fu imponente: nel 1932-33 esistevano in URSS circa 1.300 istituzioni scientifiche attinenti alla scienza agricola, dalle piccole stazioni sperimentali sino ai grandi istituti: gli specialisti impiegati raggiungevano il numero di 26.000. Ma, come rileva lo storico David Joravsky del Centro di ricerche sulla Russia dell’università di Harvard in una sua opera intitolata "The Lyssenko affair", questo imponente spiegamento di mezzi ebbe un effetto imprevisto: «il fossato esistente tra la situazione arretrata dell’agricoltura russa e le raccomandazioni progressiste della scienza, si approfondì ancora di più».

In effetti i risultati, sul piano dell’incremento della produzione agricola di questa concentrazione di mezzi e di risorse davvero imponente per un paese che risentiva ancora degli effetti della guerra civile, non potevano che essere considerati deludenti, se misurati con le speranze e le aspettative dei dirigenti politici al momento del varo del programma. E questa discrepanza tra ampiezza dell’impegno teorico e risultanze pratiche non poteva non avere ripercussioni significative in un momento in cui cominciava a prevalere la tendenza a valutare la correttezza delle ipotesi scientifiche sulla base del successo delle applicazioni immediate a cui esse erano in grado di condurre.

(...) Questa situazione dava fiato agli avversari della teoria genetica raggruppati soprattutto intorno all’Istituto biologico Timirjazev, i quali insistevano sull’indivisibilità dell’organismo, negando in particolare la possibilità di separare con qualsiasi mezzo le influenze ereditarie da quelle ambientali. Da questa posizione scaturiva, ovviamente, la messa in discussione del gene come materiale ereditario: «il conservatorismo della natura degli organismi», cioè il loro patrimonio genetico, secondo i seguaci di questa impostazione, poteva e doveva essere liquidato. Per spiegare il problema dell’eredità e della variazione negli organismi viventi, problema che sta al centro di tutta la biologia, in mancanza di ogni riferimento a eventuali mutazioni di un sistema genetico separato, localizzato nei cromosomi, e trasmissibile da generazione a generazione, ci si appellava a una concezione delle trasformazioni come effetto indiretto delle funzioni di adattamento oppure come risultato dell’azione diretta dei fattori fisici ambientali sugli organismi. Nell’uno e nell’altro caso, comunque per render conto del processo evolutivo veniva sostenuta la cosiddetta trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti, definita lamarckismo dal nome del biologo francese Jean Baptiste de Lamarck (1744-1829) anche se egli non ne fu, in realtà, il primo sostenitore.>>

Tuttavia, come noto' in seguito Frolov (3):

<<Fra tutto il complesso di problemi che si trovavano in quel momento in primo piano, il significato e l’importanza di gran lunga maggiore lo ebbero non le questioni di carattere propriamente teorico, o filosofico generale, bensì quelle strettamente legate ai compiti pratici che si ponevano di fronte alla società sovietica. Dalla genetica ci si aspettavano direttive per lo sviluppo dell’agricoltura del paese, per il miglioramento del lavoro di selezione e di coltivazione delle sementi. Le crescenti esigenze del paese, che si ponevano in relazione con la necessità di costruire il socialismo, e le possibilità di un loro soddisfacimento, che si aprivano con l’avvio della politica di collettivizzazione, richiedevano con urgenza una revisione dell’attività di molte istituzioni scientifiche, un loro maggiore avvicinamento alla pratica. Questa necessità, di cui si aveva piena coscienza, finì col creare un nuovo tipo di situazione nelle discussione attorno alla genetica. (...) Il nuovo tipo di discussioni sulla genetica e sulla sua relazione dialettica, che si accese con particolare asprezza nella seconda metà degli anni Trenta, non potrebbe essere compreso senza riferirsi alle cause sopra accennate. Così come, senza appellarsi a queste ultime, non potrebbero essere capite le ragioni del successo delle posizioni teoriche di Lysenko e dei suoi sostenitori, che inizialmente si fecero avanti con una critica invero assai moderata della genetica, rivolta soprattutto contro alcune sue effettive insufficienze e debolezze (in particolare, la sottovalutazione del ruolo dei fattori esterni, a cui veniva contrapposta l’esigenza di un approccio di tipo complessivo allo studio dello sviluppo e delle variazioni degli organismi)…

I propositi di fondare una nuova “genetica basata sulle idee di Micurin”, che potesse pretendere di esercitare il suo monopolio sul materialismo dialettico, stavano evidentemente soltanto germogliando: quali poi siano stati gli effetti di questo tentativo, una volta che esso prese corpo, è ormai a tutti noto. Esso nella sostanza costituì una distorsione del materialismo dialettico e una sua deformazione in senso meccanicistico (meccanolamarckismo) in seguito alla quale la dialettica venne trasformata in un suo surrogato volgarizzato e banalizzato. >>

La disputa tra gli assertori convinti delle conquiste della teoria genetica (mendelisti-morganisti, guidati da Vavilov), da una parte, ed i sostenitori della ereditarieta' dei caratteri acquisiti (lamarckisti-micuriniani, guidati da Lisenko), dall'altra, divampo' presto, assumento connotati di carattere ideologico-politico molto preoccupanti:

<<All’epoca di questa prima fase della discussione (1931-1932) Trofin Desinovic Lysenko era noto soprattutto per la scoperta della cosiddetta vernalizzazione o carovizzazione, una tecnica agronomica per mezzo della quale è possibile ottenere dei raccolti invernali seminando in estate. L’idea di questa tecnica gli era venuta tra il 1926 e il 1928 a Gandza. una stazione sperimentale dell’Azerbajdzan; mentre studiava l’influenza del momento in cui effettuare la semina sulla lunghezza del periodo vegetativo dei cereali. Tali ricerche gli consentirono di appurare che le varietà invernali seminate in primavera invece che in autunno producono le spighe dopo una esposizione preliminare del seme al freddo. La prima serie di questi esperimenti fu da lui pubblicata nel 1928 in una monografia intitolata Influenza della temperatura sulla lunghezza del periodo di sviluppo delle piante. L’anno seguente suo padre, che aveva una fattoria in Ucraina, dopo aver seminato in primavera delle sementi della varietà autunnale Ukrainka e averle fatte svernare sotto la neve, ottenne un raccolto di quasi 11 quintali per ettaro. Attorno a questo successo del padre venne organizzata una cospicua campagna di stampa, favorita anche dalle massicce perdite di raccolti invernali verificatesi in Ucraina nel 1927-28 a causa del gelo, che spingevano a vedere nella vernalizzazione l’unica possibilità di salvezza da ulteriori disastri.

Grazie a questi primi successi, Lysenko fu chiamato a prestare la sua opera presso l’Istituto di genetica e di allevamento di Odessa, dove, per decisione dei commissariati dell’agricoltura dell’Ucraina e dell’URSS, era stato creato uno speciale dipartimento per la vernalizzazione. (...)

Dominique Lecourt, nell’opera intitolata "Lyssenko. Histoire d’une science prolètarienne", pubblicata nel 1976, aggiunge:

“È Kislovskij a dichiarare, nel corso della sessione del 1948 della VASHNIL: “In che cosa consiste la forza di Lysenko? La forza di Lysenko sta nel fatto che egli è divenuto il capo ideologico dei lavoratori dell’agricoltura socialista”. E i “nuovi accademici” gli fanno eco precisando: la teoria micuriniana è quella di cui hanno bisogno i nostri migliori esperti, i “kolkosiani d’assalto” (Mihalevic): solo la dottrina di Micurin può “dare la fede nel comunismo” (Dmitriev).
Tutte queste formule sono rituali, repliche stereotipate della retorica ufficiale. Senza dubbio. Ma si avrebbe torto a ritenerle insignificanti. Esse sono al contrario di grande interesse perché convertono in termini di propaganda un fatto che è di primaria importanza per l’interpretazione del lysenkismo, il fatto cioè che esso costituiva il cemento ideologico degli elementi “più avanzati” dell’agricoltura socialista. Un termine deve qui attirare la nostra attenzione: quello di “ stacanovisti “ che, nel 1948, è costantemente impiegato per designare i seguaci di Lysenko..." >>

La polemica degenero' al punto da finire in tragedia. Mentre era alle porte la durissima guerra di liberazione,

<< nell’agosto del 1940, Vavilov era stato arrestato: il 9 luglio dell’anno seguente il collegio militare del Tribunale supremo, che lo aveva giudicato, emise nei suoi confronti un verdetto di condanna per «appartenenza a una cospirazione di destra; spionaggio a favore dell’Inghilterra; direzione del partito laburista contadino; sabotaggio nell’agricoltura; rapporti con emigrati bianchi». Per questi reati fu condannato a morte: ma la sentenza, contrariamente alle abitudini, non fu eseguita immediatamente. Morì in carcere, di polmonite, il 26 gennaio del 1943: nel 1955 fu riabilitato ufficialmente per accertata insussistenza dei reati attribuitigli. Anche alcuni fra i suoi più stretti collaboratori e amici furono arrestati e perirono poi in prigione. Queste perdite ebbero conseguenze di incalcolabile gravità per lo sviluppo della genetica in URSS: tanto più che ad esse andavano sommati l’ovvio disagio e le difficili condizioni ambientali in cui i genetisti superstiti si trovarono da questo momento in poi ad operare.

Nonostante tutto, però, la maggior parte di essi continuò a difendere le proprie posizioni teoriche, a discutere, a partecipare a riunioni, congressi, assemblee di vario tipo per esporre e sostenere i propri punti di vista. (...) La prova migliore di questo stato di cose l’abbiamo leggendo lo stenogramma della già ricordata sessione del VASHNIL, tenutasi dal 31 luglio al 7 agosto del 1948. (...) La testimonianza più viva e interessante a proposito dei criteri seguiti dagli organizzatori della riunione e del clima in cui essa si svolse è contenuta nel resoconto dell’intervento di B.M. Zavadovskij: “Compagni, per prima cosa voglio spiegare il motivo per cui prima d’ora non ho ritenuto opportuno prendere la parola in questa sessione. Io penso che le condizioni in cui è stata organizzata questa assise non siano affatto normali..." >>

Dunque la linea su cui ci si era attestati fino a tutti gli anni Trenta aveva subito un sostanziale arretramento, e il Materialismo Dialettico era stato utilizzato come semplice strumento di ratifica e giustificazione ideologica di verdetti già pronunciati in altra sede. L'intera vicenda e' stata interpretata da alcuni - ad esempio, dal noto scienzato e saggista francese Jacques Monod - come  presunta dimostrazione del carattere internamente anti-scientifico e regressivo del Materialismo Dialettico; come se, cioe', il "caso Lisenko" non fosse stato altro che "questione d'ideologia". Questa impostazione e' completamente fuorviante, poiche' assume del Materialismo Dialettico la formulazione forzosa e sostanzialmente caricaturale adottata dai "micuriniani", e prescinde dal contesto. Per i "micuriniani" e per tutti quegli altri che arrivarono (con conseguenze ben meno tragiche, fortunatamente) fino al punto di scagliarsi contro la Teoria della Relativita', contro la Meccanica Quantistica e contro altre teorie scientifiche troppo lontane da una diretta relazione con il problema del rapporto uomo-ambiente, l'ideologia materialista dialettica era diventata veramente una "falsa coscienza", una ricetta da applicare meccanicamente per imporre l'una o l'altra pratica scientifica, l'una o l'altra politica della ricerca, sulla base  di interessi concreti, soprattutto produttivi.

Nota giustamente Zanetti che "queste preoccupazioni ed esigenze di controllo dei fenomeni della vita sociale spingevano verso una concezione della scienza e delle sue leggi di certo assai più vicina alle posizioni del materialismo meccanicistico che non a quelle del materialismo dialettico..." Le stesse teorie biologiche di Lamarck, Micurin e Lisenko, a ben vedere, erano ben piu' meccanicistiche di quelle dei mendelisti-morganisti, benche' paradossalmente proprio il loro presunto carattere "dialettico" fosse continuamente sbattuto in faccia agli avversari.


4. Sconfitte e conquiste

Come nel campo della ricerca e della teoria, cosi' anche in campo tecnologico: generalmente, difficolta' e contraddizioni sorsero in Unione Sovietica dall'applicazione meccanica - e su grandissima scala - di tecniche delle quali non era stato possibile valutare fino in fondo l'impatto. Si veda ad esempio il caso del Lago d'Aral, oggi quasi prosciugatosi dopo essere servito massicciamente per l'irrigazione e dunque per l'agricoltura; oppure si pensi alla tragedia di Chernobyl. L'insegnamento che ne deriva, a posteriori - ma che non vale solo per i paesi socialisti! -, e' che le piu' moderne tecnologie pongono problemi prima sconosciuti, inediti, da affrontare necessariamente con criteri nuovi. Tra questi, a voler attualizzare, citiamo ad esempio il "principio di precauzione" oggi invocato per gli OGM o per quelle tecnologie che usano estensivamente le radiazioni. Adottare criteri nuovi implica rinnovare il patrimonio concettuale, tanto piu' profondamente quanto maggiore e' l'innovazione tecnologica in questione.

Sulla scorta ad esempio dei danni causati dall'inquinamento e dallo sfruttamento smodato delle risorse nella societa' industriale e dei consumi, chi scrive e' convinto che sia necessario operare una netta distinzione tra il concetto di "sviluppo" e quello di "crescita". Per "progresso" ritengo si debba invece intendere, molto semplicemente, il "miglioramento generalizzato della qualita' della vita". Senza dubbio, un miglioramento di questo tipo e' quello che ha riguardato, nel corso dei decenni di storia dell'URSS, una porzione non irrilevante dell'umanita'!

La Russia e' passata in meno di un secolo dal Medioevo all'epoca postmoderna. La Russia zarista era un paese arretrato da tutti i punti di vista; la direzione socialista della societa' promosse trasformazioni "a tappe forzate", il che implico' uno sforzo notevolissimo da parte di tutti i settori produttivi, e dunque necessariamente anche traumi sociali, come quello dei kulaki. Era inevitabile: quella degli anni Trenta, al di la' delle narrazioni giornalistiche e di ispirazione anticomunista, fu una vera e propria epopea, un avanzamento grandissimo per tanti milioni di individui insediati su di un territorio immenso: la  elettrificazione generalizzata, lo studio di una diversa organizzazione e di nuove tecniche per la produzione agricola, la necessita' di incrementare rapidamente la produzione industriale, ed infine il dover far fronte prima alla aggressione da parte delle "armate bianche" e poi alla ignobile aggressione nazista, alla quale si dovette rispondere con uno sviluppo fortissimo nel settore militare - furono tutti aspetti, questi, di un impegno eroico da parte di un intero popolo, anzi di molti popoli, che costruivano la propria emancipazione e liberazione dal bisogno.


5. Il settore militare e la Guerra Fredda

Il settore della difesa, anche dopo la guerra contro i "bianchi" e dopo la Grande Guerra Patriottica, conservo' necessariamente un carattere trainante per lo sviluppo scientifico e tecnologico a causa della Guerra Fredda, quando cioe' l'URSS e tutto l'arcipelago socialista furono soggetti alla minaccia nucleare da parte occidentale.

E' importante qui ricordare che la minaccia non fu solamente velata o verbale, e che la situazione, rispetto agli armamenti nucleari, non era affatto simmetrica, all'inizio: viceversa, dopo il lancio "dimostrativo" delle armi di sterminio statunitensi su Hiroshima e Nagasaki, vennero approntati negli Stati Uniti d'America piani OPERATIVI per un attacco nucleare di primo colpo contro l'URSS. Piani che sono stati rivelati ed illustrati per filo e per segno negli ultimi anni, con la declassificazione di molta documentazione ufficiale dell'epoca (4). Fu questa minaccia di annientamento che determino' scelte difficilissime ma obbligate per l'URSS: dalla costituzione del Patto di Varsavia fino allo sviluppo di un proprio arsenale nucleare. Anche le scienze spaziali, in cui l'URSS primeggio' (si pensi agli Sputnik, alla cagnetta Laika, a Yurij Gagarin o a Valentina Tereshkova), ebbero necessariamente un legame stretto con il settore militare, e ricevettero il sostanziale impulso delle necessita' propagandistiche della Guerra Fredda.

Quest'ultima determino', di fatto, le scelte di molti scienziati che avevano a cuore il socialismo: non solo scienziati sovietici, ma anche di altri paesi, come il celebre fisico italiano Bruno Pontecorvo, che decise di emigrare in URSS nel settembre del 1950, quando inizio' a lavorare  all'Istituto nucleare di Dubna. Li maturarono le sue fondamentali ricerche nella fisica delle particelle elementari e, successivamente, nell'astrofisica, con importanti contributi alla fisica dei neutrini e alle indagini sui neutrini solari. Pontecorvo e' morto proprio a Dubna nel 1993: dieci anni fa.

Il sistema sovietico dell'istruzione - basato sul diritto all'apprendimento uguale per tutti, su di una didattica fondata su concezioni avanzate, sul merito come criterio per l'avanzamento professionale, sull'utilita' sociale e su investimenti appropriati nei settori di interesse generale - consenti' la formazione di intere generazioni di ricercatori d'eccellenza. In campi come la matematica e la fisica teorica l'URSS produsse cervelli e risultati avanzatissimi, difficilmente paragonabili a quelli degli altri paesi negli stessi anni. Penso a scienziati premi Nobel come Lev Davidovic Landau, ma penso anche a tantissimi altri, impegnati in moltissime discipline, pure certamente in ambito umanistico (storico, linguistico, eccetera).

Non c'e' qui lo spazio per soffermarsi ancora su singole conquiste scientifiche o biografie: rimando percio' ai manuali scientifici delle edizioni Mir, oppure alle opere ciclopiche della Accademia delle Scienze dell'URSS... Ricordiamoci che perdita terribile e' stata, per tutti noi operatori in ambito scientifico, quando le librerie Italia-URSS hanno chiuso e tanti testi sono diventati introvabili.


6. La crisi

Il settore scientifico-tecnologico in URSS ha risentito della crisi generale, ad esempio quando, negli anni Ottanta, apparve evidente la difficolta' a stare al passo con le nuovissime tecnologie informatiche e della comunicazione che fiorivano in Occidente. Va sottolineato qui come il crollo del sistema sovietico sia stato determinato dalla crisi economico-politica, ed in particolare da una situazione internazionale, segnatamente macroeconomica, insostenibile, e non da difficolta' sorte sul versante tecnico-scientifico in quanto tale. Non e' stata, cioe', una crisi "interna" alla scienza sovietica.

Con il crollo sistemico, negli anni Novanta, la tragedia fu innanzitutto umana per un esercito di insegnanti, ricercatori, intellettuali, ridotti senza stipendio e senza i mezzi per lavorare: chiusero istituti e riviste di grandissimo prestigio, e numerosi furono persino i casi di suicidio. Oggi la scienza russa si fa al di fuori del paese, in Europa e negli USA. Ed in Russia, le poche risorse giungono essenzialmente da enti, "organizzazioni non governative" e fondazioni (come la Fondazione Soros) che rappresentano interessi stranieri e strategie di dominio e di rapina delle risorse, materiali e spirituali, del paese.

Concludiamo con una nota di amarezza ma anche, se possibile, offrendo un motivo di riflessione ulteriore. In questa relazione abbiamo provato a mettere sul tappeto una serie di aspetti e di chiavi interpretative, piuttosto che fatti, nomi, o risultati acquisiti. E' piu' utile cosi', per chi volesse veramente incominciare a scrivere una storia critica della scienza sovietica. E' questo un terreno, infatti, paradossalmente inesplorato: chi cercasse ad esempio di reperire qualcosa in internet, troverebbe prevalentemente strani aneddoti della Guerra Fredda, pagine sugli UFO ed articoli improbabili su casi spionistici ed armi terribili, o ancora invettive di commentatori occidentali ideologicamente ostili... L'immagine che si ha in Occidente della scienza dell'URSS e' insomma tuttora un'immagine sostanzialmente caricaturale, e con finalita' propagandistiche. A quanto pare, una analisi seria, una storia credibile della scienza sovietica possiamo incominciare a scriverla solamente noi, che sentiamo che essa per un verso o per l'altro ci appartiene.


Bibliografia

(1) J.D. Bernal in "Science and society", Volume II/1, 1937 - segnalato da Mauro Cristaldi.

(2) Roberto Zanetti: "Il caso Lisenko. I rapporti dialettici della natura e della societa'", in internet su:
http://www.ezeta.net/homosapiens/contributi/lysenko

(3) Ivan T. Frolov in "Genetika i dialektika" (1968), sempre citato da Zanetti.

(4) Filippo Gaia: "Il secolo corto", Maquis editore (Milano 1994); Manlio Dinucci: "Il potere nucleare. Storia di una follia
da Hiroshima al 2015", Fazi editore 2003.