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Convegno - Napoli, 21-23 novembre 2003: I problemi della transizione al
socialismo in URSS
Problemi della
ricerca scientifica in URSS
di Andrea Martocchia (ricercatore precario,Osservatorio Astronomico di
Strasburgo, Francia)
1. La funzione della scienza nella societa'
socialista
John Desmond Bernal, noto scienziato irlandese, fu un pioniere della
cristallografia nei raggi X. Egli fu anche, pero', filosofo della scienza di
impostazione materialista dialettica, e militante comunista.
Bernal scrisse nel 1937: "Nel marxismo la conoscenza e' inseparabile dall'azione,
e l'apprezzamento del ruolo sociale della scienza ha condotto, in un paese
socialista come l'URSS, alla connessione organica tra la ricerca scientifica e
lo sviluppo dell'industria socializzata e della cultura umana.
L'organizzazione della scienza nei paesi capitalisti si e' gradualmente
adattata al servizio della grande impresa, ma poiche' il processo non e'
compreso ne' apprezzato il servizio reso e' scarso e rappresenta un grande
spreco. In nessun caso la produzione per il profitto potra' sviluppare per
intero le potenzialita' della scienza, a meno che non sia per scopi
distruttivi. La concezione marxista della scienza la pone in pratica al
servizio della comunita' ed allo stesso tempo rende la scienza stessa parte del
patrimonio culturale di tutto il popolo, e non solo di una minoranza
selezionata artificiosamente." (1)
Questa di Bernal puo' essere anche letta come una dichiarazione programmatica
d'intenti su che cosa deve essere la scienza in una societa' socialista.
L'esperienza storica reale dell'Unione Sovietica ha dimostrato, comunque, che
una societa' socialista storicamente data non puo' fare eccezione rispetto alle
altre societa' umane: le condizioni materiali dello sviluppo economico e
sociale determinano di fatto la produzione culturale, e dunque anche il tipo di
scienza e di tecnologia, e la loro evoluzione. Dicendo questo non facciamo
altro che applicare noi stessi quel Materialismo Dialettico che, oltre ad
essere patrimonio di Bernal, fu il fondamento teorico-ideologico della cultura
e della scienza sovietiche.
2. La concezione materialista dialettica del
sapere e della formazione
Per illustrare i contenuti e le implicazioni del Materialismo Dialettico sulla
scienza sovietica e' utile avvalersi dell'interessante saggio scritto su questo
tema da Roberto Zanetti (2), dal cui testo trarro' ampi
brani nel seguito.
Benche' la questione sia di grande interesse, sia sul versante teorico che su
quello storico-pratico, sfortunatamente il dibattito sul Materialismo
Dialettico in Occidente langue da prima ancora del crollo dell'URSS; in Italia,
esso appare essersi spento con la morte del grande Ludovico Geymonat.
Zanetti rileva come il recentemente scomparso Stephen Jay Gould - che forni' un
importante contributo alla corrente teoria dell’evoluzione delle specie - sia
stato uno dei pochissimi scienziati occidentali ad avere apertamente
riconosciuto l'interesse della concezione materialista dialettica, in
particolare attraverso
<< il parallelo tra la sua teoria degli “equilibri punteggiati” e il
Materialismo Dialettico. Nel suo libro "Il pollice del panda" [Gould]
ha scritto quanto segue:
“Se il gradualismo rappresenta un prodotto della cultura occidentale, piuttosto
che un fatto di natura, allora dovremo cercare una nuova filosofia del
cambiamento per allargare il nostro orizzonte oltre i confini del pregiudizio.
In Unione Sovietica, ad esempio, gli scienziati si basano su di una teoria del
cambiamento completamente diversa: le cosiddette leggi della dialettica
riformulate da Engels sulla filosofia di Hegel. Le leggi della dialettica hanno
molto in comune con il concetto di equilibrio per punti. Esse parlano ad
esempio della «trasformazione di quantità in qualità». Questo potrebbe apparire
confuso, ma suggerisce che i cambiamenti avvengono attraverso grandi salti in
seguito ad una lenta accumulazione di sforzi a cui il sistema oppone la sua
resistenza fino a che non ha raggiunto il punto di rottura. Scaldate l’acqua e
alla fine essa bollirà; opprimete i lavoratori e dai e dai scoppierà una
rivoluzione. Eldredge ed io siamo rimasti affascinati dalla scoperta che molti
paleontologi sovietici sostengono un modello molto simile ai nostri equilibri
punteggiati.”
Paleontologia e antropologia sono, dopo tutto, separate solo da una sottile
parete dalle scienze storiche e sociali, e questo ha implicazioni politiche
potenzialmente pericolose per i difensori dello status quo. Come osservò
Engels, più ci si avvicina alle scienze sociali, meno obiettivi e più
reazionari essi diventano. È dunque un buon segno che Stephen Gould si sia
avvicinato così tanto a un punto di vista dialettico, nonostante la sua ovvia
cautela.
Il biologo russo Aleksandr Ivanovic Oparin nel 1924 scrisse il saggio
scientifico "Origine della vita". L’opuscolo fu il primo tentativo di
approccio moderno all’argomento, che aprì un nuovo capitolo sulla comprensione
della vita. Non fu un caso che, come materialista dialettico, Oparin studiò il
problema da una prospettiva originale. Era un inizio coraggioso, all’alba della
biochimica e della biologia molecolare. Dello studio di Oparin, Isaac Asimov
scrive:
" (...) In esso il problema dell’origine della vita per la prima volta
veniva considerato dettagliatamente da un punto di vista completamente
materialista. [Poiché l’Unione Sovietica non è ostacolata dagli scrupoli
religiosi ai quali l’Occidente si sente vincolato, questo, forse, non ci deve
sorprendere.] "
La parte fra parentesi quadre si trova nell’edizione inglese del testo di
Asimov, ma non nella versione italiana! Che in un paese cattolico come l’Italia
non si possa ammettere che l’ateismo in Unione Sovietica abbia contribuito allo
sviluppo della scienza?
Ma vediamo nell’ambito della pedagogia, l’approccio del materialismo dialettico
in URSS (...).
Il grande pedagogo sovietico Vygotsky non credeva affatto che l’insegnante
dovesse operare un rigido controllo su cosa esattamente i bambini stessero
imparando. Come Piaget, egli considerava l’attività svolta dai bambini la parte
centrale della loro educazione. Invece di “incatenare” i bambini ai banchi,
dove essi meccanicamente cercano di imparare cose che per loro non hanno nessun
senso, Vygotsky sottolineava il bisogno di un autentico sviluppo intellettuale.
Ma questo non può essere concepito in un vuoto sociale. In una società
autenticamente socialista, l’istruzione verrebbe legata all’attività creativa
pratica sin dall’inizio, rompendo così le avvilenti barriere tra lavoro
intellettuale e manuale. In molti modi, Vygotsky era in anticipo sul proprio
tempo. I suoi metodi educativi mostravano una grande immaginazione, per
esempio, nel permettere ai bambini di imparare l’uno dall’altro: Vygotsky
dichiarava di usare un bambino più avanzato per insegnare a un bambino rimasto
indietro. Per molto tempo questo venne usato come base di un’istruzione
marxista egalitaria nell’Unione Sovietica. Il principio socialista era che
tutti i bambini lavoravano insieme per il bene di tutti, invece di quello
capitalista in cui ogni bambino tenta di avere più benefici possibili dalla
scuola senza contribuire per nulla. Il bambino più brillante aiuta la società
aiutando il bambino meno brillante, dato che quest’ultimo sarà più utile alla
società avendo imparato a leggere e scrivere piuttosto che diventando un adulto
analfabeta. Vygotsky sosteneva che questo atto non presuppone un sacrificio da
parte del bambino più avanzato; spiegando e aiutando altri bambini, anche lui
poteva arrivare a una comprensione molto più profonda del suo proprio sapere,
su linee metacognitive. E insegnando un argomento, consolidava il proprio
sapere.
Vygotsky, attraverso l’interpretazione del materialismo dialettico applicato
alla pedagogia sosteneva che:
“Il processo di crescita non è una progressione lineare dall’incapacità alla
capacità; perché un neonato possa sopravvivere, deve essere capace di farlo
come neonato, non come versione, ridotta nella taglia, dell’adulto che
diventerà. Lo sviluppo non è un processo meramente quantitativo, ma un qualcosa
di più complesso in cui si hanno trasformazioni qualitative: dal succhiare al
masticare cibi solidi, per esempio, o dal comportamento sensomotorio a quello
cognitivo.“
Solo gradualmente, dopo un periodo lungo e difficile di correzione e
apprendimento, il bambino smette di essere una matassa di sensazioni e di
ciechi appetiti, un essere indifeso, acquista coscienza e si emancipa. È
proprio questa aspra lotta per passare dall’inconscio al conscio, dalla
completa dipendenza dall’ambiente al dominio su di esso, a suggerirci l’idea
dell’evidente parallelismo esistente tra lo sviluppo del singolo bambino e
quello della razza umana. Sarebbe sbagliato, naturalmente, pensare che il
parallelismo individuabile sia strettissimo, dato che ogni analogia è valida
solo entro limiti definiti. Ma è difficile negare la conclusione che tali
parallelismi nei fatti esistano, almeno riguardo taluni aspetti: dal più basso
al più alto, dal semplice al complicato, dall’inconscio al conscio sono infatti
movimenti che ricorrono continuamente nello sviluppo della vita. >> (2)
3. Il "caso Lisenko"
E' allora evidente che la fondazione ideologica materialista-dialettica della
ricerca scientifica e di tutta la cultura dell'URSS non puo' avere determinato
alcuna paralisi o soffocamento di esse, come vorrebbero certi inguaribili
detrattori. Essa ha viceversa consentito progressi e conquiste avanzatissime,
ad esempio proprio nel campo della formazione e dell'istruzione.
Tuttavia, la storia della ricerca scientifica sovietica dimostra anche che il
Materialismo Dialettico, in quanto teoria critica, non puo' essere applicato
con formule riduttive ed affrettate, pena il suo completo stravolgimento. Mi
riferisco ad esempio al "caso Lisenko", cioe' al conflitto che
insorse tra le due tendenze della scuola genetica sovietica alla fine degli
anni Trenta. Questo conflitto assunse la forma di uno scontro ideologico, nel
quale una delle due parti penso', per l'appunto, di poter trasporre la teoria
materialista dialettica meccanicamente in biologia. Ma, come ha bene illustrato
Zanetti (2), quello scontro fu determinato piuttosto dalle condizioni e dalle
esigenze reali della produzione agricola sovietica.
Per capire quello che veramente successe, al di la' degli aspetti ideologici
nel senso di "sovrastrutturali", e' quindi indispensabile usare
quella branca del Materialismo Dialettico che analizza e contestualizza ogni
attivita' umana in quadro interpretativo coerente, evoluzionistico e dinamico,
incentrato sulle condizioni materiali in cui detta attivita' si esplica: e
cioe' il Materialismo Storico. Materialisticamente, lo scontro che e' passato
alla storia come "caso Lisenko" va inquadrato nel contesto storico e
sociale dell'epoca. Riprendo, di nuovo, ampiamente dal saggio di Roberto
Zanetti:
nel quadro della grande crisi degli anni Trenta, << il governo sovietico
decise di dare l’avvio a un grandioso programma volto a colmare il ritardo
dell’agricoltura allo scopo, anche, di disporre delle risorse indispensabili a
un intenso sviluppo industriale. La
realizzazione di questo programma fu affidata a Nikolaj Ivanovic Vavilov,
fondatore della VASCHNIL (Accademia Pansovietica di Scienze Agrarie Lenin),
nonché direttore dell’Istituto di Genetica dell’Accademia delle scienze
dell’URSS e del VIRV (Istituto Pansovietico di Coltivazione delle Piante), una
istituzione scientifica unica nel suo genere, che acquisì presto una fama
mondiale. Vavilov si mise al lavoro sin dall’inizio degli anni venti e propose
un ardito piano per la radicale riorganizzazione delle risorse dell’agricoltura
sovietica, i cui punti fondamentali erano il miglioramento del livello della
selezione e della produzione di sementi e il ricorso a tutte le conquiste della
scienza e della pratica mondiale nell’attività di coltivazione delle piante. La
base teorica di questo piano era costituita dall’idea, fondata sugli sviluppi
della teoria di Mendel, che il patrimonio genetico di un organismo fornisca il
meccanismo per la trasmissione di caratteristiche da generazione a generazione
per mezzo dei geni. Appellandosi a questa convinzione Vavilov proponeva di
utilizzare, nella coltivazione delle specie vegetali, l’ampia varietà di
caratteri e di forme delle piante coltivate e modificate dall’uomo e delle loro
antenate, cioè sia i risultati del lavoro di innumerevoli generazioni di
uomini, sia quelli che costituivano un dono naturale. Ne risultava la necessità
di una ampia scelta di materiale di base, allo scopo di dotare lo studioso di
coltivazione delle piante della necessaria opportunità di selezione creativa.
Proprio in riferimento a questa esigenza Zores A. Medvedev ricorda:
“Vavilov con un gruppo di collaboratori, si accinse ad attuare il progetto di
raccogliere nell’URSS una grande quantità di materiale base per una selezione
preparatoria che avrebbe dovuto riflettere la diversità tra le varie piante in
tutto il mondo. Egli non mirava unicamente a mettere insieme questo materiale,
ma a ordinarlo sistematicamente e a studiarlo in modo ampio dai vari punti di
vista della fisiologia, della biochimica, della botanica, della genetica e
dell’agronomia, per metterlo poi a disposizione di tutte le stazioni
agronomiche e di tutti i coltivatori del nostro paese. Nello stesso tempo egli
aveva intenzione di mettere a dimora varietà adatte di foraggi, di ortaggi e
frutta tratti da questa ampia raccolta per introdurli e sperimentarli
immediatamente, con la prospettiva di vantaggi economici rapidi e immediati.
Per realizzare questo intento, venne creato, per iniziativa dello stesso
Vavilov, un Istituto chiamato in seguito VIRV, con una rete di stazioni
sperimentali distribuite su un’ampia estensione geografica. Fu per portare
avanti questo lavoro che Vavilov iniziò verso il 1925 le sue famose spedizioni
in tutti i più remoti angoli dell’Unione Sovietica, e poi in tutti i principali
centri dell’agricoltura mondiale. In un breve periodo di tempo furono
organizzate circa 200 spedizioni: i loro membri studiarono l’agricoltura e le
risorse agricole di 65 paesi, portando nell’Unione Sovietica oltre 150.000
varietà, forme e tipi di piante, tutta la ricchezza creata nel campo della
coltivazione delle piante dall’umanità nella sua storia secolare. Venne creata
così la raccolta di tutte le piante coltivate nel mondo. “
Lo sforzo che il governo sovietico fece per assecondare questo piano e garantirne
la riuscita fu imponente: nel 1932-33 esistevano in URSS circa 1.300
istituzioni scientifiche attinenti alla scienza agricola, dalle piccole
stazioni sperimentali sino ai grandi istituti: gli specialisti impiegati
raggiungevano il numero di 26.000. Ma, come rileva lo storico David Joravsky
del Centro di ricerche sulla Russia dell’università di Harvard in una sua opera
intitolata "The Lyssenko affair", questo imponente spiegamento di
mezzi ebbe un effetto imprevisto: «il fossato esistente tra la situazione
arretrata dell’agricoltura russa e le raccomandazioni progressiste della
scienza, si approfondì ancora di più».
In effetti i risultati, sul piano dell’incremento della produzione agricola di
questa concentrazione di mezzi e di risorse davvero imponente per un paese che
risentiva ancora degli effetti della guerra civile, non potevano che essere
considerati deludenti, se misurati con le speranze e le aspettative dei
dirigenti politici al momento del varo del programma. E questa discrepanza tra
ampiezza dell’impegno teorico e risultanze pratiche non poteva non avere
ripercussioni significative in un momento in cui cominciava a prevalere la
tendenza a valutare la correttezza delle ipotesi scientifiche sulla base del
successo delle applicazioni immediate a cui esse erano in grado di condurre.
(...) Questa situazione dava fiato agli avversari della teoria genetica
raggruppati soprattutto intorno all’Istituto biologico Timirjazev, i quali
insistevano sull’indivisibilità dell’organismo, negando in particolare la
possibilità di separare con qualsiasi mezzo le influenze ereditarie da quelle
ambientali. Da questa posizione scaturiva, ovviamente, la messa in discussione
del gene come materiale ereditario: «il conservatorismo della natura degli
organismi», cioè il loro patrimonio genetico, secondo i seguaci di questa
impostazione, poteva e doveva essere liquidato. Per spiegare il problema
dell’eredità e della variazione negli organismi viventi, problema che sta al
centro di tutta la biologia, in mancanza di ogni riferimento a eventuali
mutazioni di un sistema genetico separato, localizzato nei cromosomi, e
trasmissibile da generazione a generazione, ci si appellava a una concezione
delle trasformazioni come effetto indiretto delle funzioni di adattamento
oppure come risultato dell’azione diretta dei fattori fisici ambientali sugli
organismi. Nell’uno e nell’altro caso, comunque per render conto del processo
evolutivo veniva sostenuta la cosiddetta trasmissione ereditaria dei caratteri
acquisiti, definita lamarckismo dal nome del biologo francese Jean Baptiste de
Lamarck (1744-1829) anche se egli non ne fu, in realtà, il primo
sostenitore.>>
Tuttavia, come noto' in seguito Frolov (3):
<<Fra tutto il complesso di problemi che si trovavano in quel momento in
primo piano, il significato e l’importanza di gran lunga maggiore lo ebbero non
le questioni di carattere propriamente teorico, o filosofico generale, bensì
quelle strettamente legate ai compiti pratici che si ponevano di fronte alla
società sovietica. Dalla genetica ci si aspettavano direttive per lo sviluppo
dell’agricoltura del paese, per il miglioramento del lavoro di selezione e di
coltivazione delle sementi. Le crescenti esigenze del paese, che si ponevano in
relazione con la necessità di costruire il socialismo, e le possibilità di un
loro soddisfacimento, che si aprivano con l’avvio della politica di
collettivizzazione, richiedevano con urgenza una revisione dell’attività di
molte istituzioni scientifiche, un loro maggiore avvicinamento alla pratica.
Questa necessità, di cui si aveva piena coscienza, finì col creare un nuovo
tipo di situazione nelle discussione attorno alla genetica. (...) Il nuovo tipo
di discussioni sulla genetica e sulla sua relazione dialettica, che si accese
con particolare asprezza nella seconda metà degli anni Trenta, non potrebbe
essere compreso senza riferirsi alle cause sopra accennate. Così come, senza
appellarsi a queste ultime, non potrebbero essere capite le ragioni del
successo delle posizioni teoriche di Lysenko e dei suoi sostenitori, che
inizialmente si fecero avanti con una critica invero assai moderata della
genetica, rivolta soprattutto contro alcune sue effettive insufficienze e
debolezze (in particolare, la sottovalutazione del ruolo dei fattori esterni, a
cui veniva contrapposta l’esigenza di un approccio di tipo complessivo allo
studio dello sviluppo e delle variazioni degli organismi)…
I propositi di fondare una nuova “genetica basata sulle idee di Micurin”, che
potesse pretendere di esercitare il suo monopolio sul materialismo dialettico,
stavano evidentemente soltanto germogliando: quali poi siano stati gli effetti
di questo tentativo, una volta che esso prese corpo, è ormai a tutti noto. Esso
nella sostanza costituì una distorsione del materialismo dialettico e una sua
deformazione in senso meccanicistico (meccanolamarckismo) in seguito alla quale
la dialettica venne trasformata in un suo surrogato volgarizzato e banalizzato.
>>
La disputa tra gli assertori convinti delle conquiste della teoria genetica
(mendelisti-morganisti, guidati da Vavilov), da una parte, ed i sostenitori
della ereditarieta' dei caratteri acquisiti (lamarckisti-micuriniani, guidati
da Lisenko), dall'altra, divampo' presto, assumento connotati di carattere
ideologico-politico molto preoccupanti:
<<All’epoca di questa prima fase della discussione (1931-1932) Trofin
Desinovic Lysenko era noto soprattutto per la scoperta della cosiddetta
vernalizzazione o carovizzazione, una tecnica agronomica per mezzo della quale
è possibile ottenere dei raccolti invernali seminando in estate. L’idea di
questa tecnica gli era venuta tra il 1926 e il 1928 a Gandza. una stazione
sperimentale dell’Azerbajdzan; mentre studiava l’influenza del momento in cui
effettuare la semina sulla lunghezza del periodo vegetativo dei cereali. Tali
ricerche gli consentirono di appurare che le varietà invernali seminate in
primavera invece che in autunno producono le spighe dopo una esposizione
preliminare del seme al freddo. La prima serie di questi esperimenti fu da lui
pubblicata nel 1928 in una monografia intitolata Influenza della temperatura
sulla lunghezza del periodo di sviluppo delle piante. L’anno seguente suo
padre, che aveva una fattoria in Ucraina, dopo aver seminato in primavera delle
sementi della varietà autunnale Ukrainka e averle fatte svernare sotto la neve,
ottenne un raccolto di quasi 11 quintali per ettaro. Attorno a questo successo
del padre venne organizzata una cospicua campagna di stampa, favorita anche
dalle massicce perdite di raccolti invernali verificatesi in Ucraina nel
1927-28 a causa del gelo, che spingevano a vedere nella vernalizzazione l’unica
possibilità di salvezza da ulteriori disastri.
Grazie a questi primi successi, Lysenko fu chiamato a prestare la sua opera
presso l’Istituto di genetica e di allevamento di Odessa, dove, per decisione
dei commissariati dell’agricoltura dell’Ucraina e dell’URSS, era stato creato
uno speciale dipartimento per la vernalizzazione. (...)
Dominique Lecourt, nell’opera intitolata "Lyssenko. Histoire d’une science
prolètarienne", pubblicata nel 1976, aggiunge:
“È Kislovskij a dichiarare, nel corso della sessione del 1948 della VASHNIL:
“In che cosa consiste la forza di Lysenko? La forza di Lysenko sta nel fatto
che egli è divenuto il capo ideologico dei lavoratori dell’agricoltura
socialista”. E i “nuovi accademici” gli fanno eco precisando: la teoria
micuriniana è quella di cui hanno bisogno i nostri migliori esperti, i
“kolkosiani d’assalto” (Mihalevic): solo la dottrina di Micurin può “dare la
fede nel comunismo” (Dmitriev).
Tutte queste formule sono rituali, repliche stereotipate della retorica
ufficiale. Senza dubbio. Ma si avrebbe torto a ritenerle insignificanti. Esse
sono al contrario di grande interesse perché convertono in termini di propaganda
un fatto che è di primaria importanza per l’interpretazione del lysenkismo, il
fatto cioè che esso costituiva il cemento ideologico degli elementi “più
avanzati” dell’agricoltura socialista. Un termine deve qui attirare la nostra
attenzione: quello di “ stacanovisti “ che, nel 1948, è costantemente impiegato
per designare i seguaci di Lysenko..." >>
La polemica degenero' al punto da finire in tragedia. Mentre era alle porte la
durissima guerra di liberazione,
<< nell’agosto del 1940, Vavilov era stato arrestato: il 9 luglio
dell’anno seguente il collegio militare del Tribunale supremo, che lo aveva
giudicato, emise nei suoi confronti un verdetto di condanna per «appartenenza a
una cospirazione di destra; spionaggio a favore dell’Inghilterra; direzione del
partito laburista contadino; sabotaggio nell’agricoltura; rapporti con emigrati
bianchi». Per questi reati fu condannato a morte: ma la sentenza,
contrariamente alle abitudini, non fu eseguita immediatamente. Morì in carcere,
di polmonite, il 26 gennaio del 1943: nel 1955 fu riabilitato ufficialmente per
accertata insussistenza dei reati attribuitigli. Anche alcuni fra i suoi più
stretti collaboratori e amici furono arrestati e perirono poi in prigione.
Queste perdite ebbero conseguenze di incalcolabile gravità per lo sviluppo
della genetica in URSS: tanto più che ad esse andavano sommati l’ovvio disagio
e le difficili condizioni ambientali in cui i genetisti superstiti si trovarono
da questo momento in poi ad operare.
Nonostante tutto, però, la maggior parte di essi continuò a difendere le
proprie posizioni teoriche, a discutere, a partecipare a riunioni, congressi,
assemblee di vario tipo per esporre e sostenere i propri punti di vista. (...)
La prova migliore di questo stato di cose l’abbiamo leggendo lo stenogramma
della già ricordata sessione del VASHNIL, tenutasi dal 31 luglio al 7 agosto
del 1948. (...) La testimonianza più viva e interessante a proposito dei
criteri seguiti dagli organizzatori della riunione e del clima in cui essa si
svolse è contenuta nel resoconto dell’intervento di B.M. Zavadovskij:
“Compagni, per prima cosa voglio spiegare il motivo per cui prima d’ora non ho
ritenuto opportuno prendere la parola in questa sessione. Io penso che le
condizioni in cui è stata organizzata questa assise non siano affatto
normali..." >>
Dunque la linea su cui ci si era attestati fino a tutti gli anni Trenta aveva
subito un sostanziale arretramento, e il Materialismo Dialettico era stato
utilizzato come semplice strumento di ratifica e giustificazione ideologica di
verdetti già pronunciati in altra sede. L'intera vicenda e' stata interpretata
da alcuni - ad esempio, dal noto scienzato e saggista francese Jacques Monod -
come presunta dimostrazione del
carattere internamente anti-scientifico e regressivo del Materialismo
Dialettico; come se, cioe', il "caso Lisenko" non fosse stato altro
che "questione d'ideologia". Questa impostazione e' completamente
fuorviante, poiche' assume del Materialismo Dialettico la formulazione forzosa
e sostanzialmente caricaturale adottata dai "micuriniani", e
prescinde dal contesto. Per i "micuriniani" e per tutti quegli altri
che arrivarono (con conseguenze ben meno tragiche, fortunatamente) fino al
punto di scagliarsi contro la Teoria della Relativita', contro la Meccanica
Quantistica e contro altre teorie scientifiche troppo lontane da una diretta
relazione con il problema del rapporto uomo-ambiente, l'ideologia materialista
dialettica era diventata veramente una "falsa coscienza", una ricetta
da applicare meccanicamente per imporre l'una o l'altra pratica scientifica,
l'una o l'altra politica della ricerca, sulla base di interessi concreti, soprattutto produttivi.
Nota giustamente Zanetti che "queste preoccupazioni ed esigenze di
controllo dei fenomeni della vita sociale spingevano verso una concezione della
scienza e delle sue leggi di certo assai più vicina alle posizioni del
materialismo meccanicistico che non a quelle del materialismo
dialettico..." Le stesse teorie biologiche di Lamarck, Micurin e Lisenko,
a ben vedere, erano ben piu' meccanicistiche di quelle dei
mendelisti-morganisti, benche' paradossalmente proprio il loro presunto
carattere "dialettico" fosse continuamente sbattuto in faccia agli
avversari.
4. Sconfitte e conquiste
Come nel campo della ricerca e della teoria, cosi' anche in campo tecnologico:
generalmente, difficolta' e contraddizioni sorsero in Unione Sovietica
dall'applicazione meccanica - e su grandissima scala - di tecniche delle quali
non era stato possibile valutare fino in fondo l'impatto. Si veda ad esempio il
caso del Lago d'Aral, oggi quasi prosciugatosi dopo essere servito
massicciamente per l'irrigazione e dunque per l'agricoltura; oppure si pensi
alla tragedia di Chernobyl. L'insegnamento che ne deriva, a posteriori - ma che
non vale solo per i paesi socialisti! -, e' che le piu' moderne tecnologie
pongono problemi prima sconosciuti, inediti, da affrontare necessariamente con
criteri nuovi. Tra questi, a voler attualizzare, citiamo ad esempio il
"principio di precauzione" oggi invocato per gli OGM o per quelle
tecnologie che usano estensivamente le radiazioni. Adottare criteri nuovi
implica rinnovare il patrimonio concettuale, tanto piu' profondamente quanto
maggiore e' l'innovazione tecnologica in questione.
Sulla scorta ad esempio dei danni causati dall'inquinamento e dallo
sfruttamento smodato delle risorse nella societa' industriale e dei consumi,
chi scrive e' convinto che sia necessario operare una netta distinzione tra il
concetto di "sviluppo" e quello di "crescita". Per
"progresso" ritengo si debba invece intendere, molto semplicemente,
il "miglioramento generalizzato della qualita' della vita". Senza
dubbio, un miglioramento di questo tipo e' quello che ha riguardato, nel corso
dei decenni di storia dell'URSS, una porzione non irrilevante dell'umanita'!
La Russia e' passata in meno di un secolo dal Medioevo all'epoca postmoderna.
La Russia zarista era un paese arretrato da tutti i punti di vista; la
direzione socialista della societa' promosse trasformazioni "a tappe
forzate", il che implico' uno sforzo notevolissimo da parte di tutti i
settori produttivi, e dunque necessariamente anche traumi sociali, come quello
dei kulaki. Era inevitabile: quella degli anni Trenta, al di la' delle
narrazioni giornalistiche e di ispirazione anticomunista, fu una vera e propria
epopea, un avanzamento grandissimo per tanti milioni di individui insediati su
di un territorio immenso: la
elettrificazione generalizzata, lo studio di una diversa organizzazione
e di nuove tecniche per la produzione agricola, la necessita' di incrementare
rapidamente la produzione industriale, ed infine il dover far fronte prima alla
aggressione da parte delle "armate bianche" e poi alla ignobile
aggressione nazista, alla quale si dovette rispondere con uno sviluppo fortissimo
nel settore militare - furono tutti aspetti, questi, di un impegno eroico da
parte di un intero popolo, anzi di molti popoli, che costruivano la propria
emancipazione e liberazione dal bisogno.
5. Il settore militare e la Guerra Fredda
Il settore della difesa, anche dopo la guerra contro i "bianchi" e
dopo la Grande Guerra Patriottica, conservo' necessariamente un carattere
trainante per lo sviluppo scientifico e tecnologico a causa della Guerra
Fredda, quando cioe' l'URSS e tutto l'arcipelago socialista furono soggetti
alla minaccia nucleare da parte occidentale.
E' importante qui ricordare che la minaccia non fu solamente velata o verbale,
e che la situazione, rispetto agli armamenti nucleari, non era affatto
simmetrica, all'inizio: viceversa, dopo il lancio "dimostrativo"
delle armi di sterminio statunitensi su Hiroshima e Nagasaki, vennero
approntati negli Stati Uniti d'America piani OPERATIVI per un attacco nucleare
di primo colpo contro l'URSS. Piani che sono stati rivelati ed illustrati per
filo e per segno negli ultimi anni, con la declassificazione di molta
documentazione ufficiale dell'epoca (4). Fu questa minaccia
di annientamento che determino' scelte difficilissime ma obbligate per l'URSS:
dalla costituzione del Patto di Varsavia fino allo sviluppo di un proprio
arsenale nucleare. Anche le scienze spaziali, in cui l'URSS primeggio' (si
pensi agli Sputnik, alla cagnetta Laika, a Yurij Gagarin o a Valentina
Tereshkova), ebbero necessariamente un legame stretto con il settore militare,
e ricevettero il sostanziale impulso delle necessita' propagandistiche della
Guerra Fredda.
Quest'ultima determino', di fatto, le scelte di molti scienziati che avevano a
cuore il socialismo: non solo scienziati sovietici, ma anche di altri paesi,
come il celebre fisico italiano Bruno Pontecorvo, che decise di emigrare in
URSS nel settembre del 1950, quando inizio' a lavorare all'Istituto nucleare di Dubna. Li
maturarono le sue fondamentali ricerche nella fisica delle particelle elementari
e, successivamente, nell'astrofisica, con importanti contributi alla fisica dei
neutrini e alle indagini sui neutrini solari. Pontecorvo e' morto proprio a
Dubna nel 1993: dieci anni fa.
Il sistema sovietico dell'istruzione - basato sul diritto all'apprendimento
uguale per tutti, su di una didattica fondata su concezioni avanzate, sul
merito come criterio per l'avanzamento professionale, sull'utilita' sociale e
su investimenti appropriati nei settori di interesse generale - consenti' la
formazione di intere generazioni di ricercatori d'eccellenza. In campi come la
matematica e la fisica teorica l'URSS produsse cervelli e risultati
avanzatissimi, difficilmente paragonabili a quelli degli altri paesi negli
stessi anni. Penso a scienziati premi Nobel come Lev Davidovic Landau, ma penso
anche a tantissimi altri, impegnati in moltissime discipline, pure certamente
in ambito umanistico (storico, linguistico, eccetera).
Non c'e' qui lo spazio per soffermarsi ancora su singole conquiste scientifiche
o biografie: rimando percio' ai manuali scientifici delle edizioni Mir, oppure
alle opere ciclopiche della Accademia delle Scienze dell'URSS... Ricordiamoci
che perdita terribile e' stata, per tutti noi operatori in ambito scientifico,
quando le librerie Italia-URSS hanno chiuso e tanti testi sono diventati
introvabili.
6. La crisi
Il settore scientifico-tecnologico in URSS ha risentito della crisi generale,
ad esempio quando, negli anni Ottanta, apparve evidente la difficolta' a stare
al passo con le nuovissime tecnologie informatiche e della comunicazione che
fiorivano in Occidente. Va sottolineato qui come il crollo del sistema
sovietico sia stato determinato dalla crisi economico-politica, ed in
particolare da una situazione internazionale, segnatamente macroeconomica,
insostenibile, e non da difficolta' sorte sul versante tecnico-scientifico in
quanto tale. Non e' stata, cioe', una crisi "interna" alla scienza
sovietica.
Con il crollo sistemico, negli anni Novanta, la tragedia fu innanzitutto umana
per un esercito di insegnanti, ricercatori, intellettuali, ridotti senza
stipendio e senza i mezzi per lavorare: chiusero istituti e riviste di
grandissimo prestigio, e numerosi furono persino i casi di suicidio. Oggi la
scienza russa si fa al di fuori del paese, in Europa e negli USA. Ed in Russia,
le poche risorse giungono essenzialmente da enti, "organizzazioni non
governative" e fondazioni (come la Fondazione Soros) che rappresentano
interessi stranieri e strategie di dominio e di rapina delle risorse, materiali
e spirituali, del paese.
Concludiamo con una nota di amarezza ma anche, se possibile, offrendo un motivo
di riflessione ulteriore. In questa relazione abbiamo provato a mettere sul
tappeto una serie di aspetti e di chiavi interpretative, piuttosto che fatti,
nomi, o risultati acquisiti. E' piu' utile cosi', per chi volesse veramente
incominciare a scrivere una storia critica della scienza sovietica. E' questo
un terreno, infatti, paradossalmente inesplorato: chi cercasse ad esempio di
reperire qualcosa in internet, troverebbe prevalentemente strani aneddoti della
Guerra Fredda, pagine sugli UFO ed articoli improbabili su casi spionistici ed
armi terribili, o ancora invettive di commentatori occidentali ideologicamente
ostili... L'immagine che si ha in Occidente della scienza dell'URSS e' insomma
tuttora un'immagine sostanzialmente caricaturale, e con finalita'
propagandistiche. A quanto pare, una analisi seria, una storia credibile della
scienza sovietica possiamo incominciare a scriverla solamente noi, che sentiamo
che essa per un verso o per l'altro ci appartiene.
Bibliografia
(1) J.D. Bernal in "Science and society", Volume
II/1, 1937 - segnalato da Mauro Cristaldi.
(2) Roberto Zanetti: "Il caso Lisenko. I rapporti
dialettici della natura e della societa'", in internet su:
http://www.ezeta.net/homosapiens/contributi/lysenko
(3) Ivan T. Frolov in "Genetika i dialektika" (1968),
sempre citato da Zanetti.
(4) Filippo Gaia: "Il secolo corto", Maquis editore
(Milano 1994); Manlio Dinucci: "Il potere nucleare. Storia di una follia
da Hiroshima al 2015", Fazi editore 2003.