da Parti du travail de Belgique - 5/11/05
http://www.ptb.be/scripts/article.phtml?section=A1AAABBOBB&obid=28945
Simposio internazionale del 13-15 ottobre, di Wuhan, Repubblica Popolare
Cinese:
contributo di Peter Franssen
110 anni fa moriva Frieerich Engels, l’uomo che, assieme a Karl Marx, ha posto le basi del socialismo scientifico. In questa occasione, dal 13 al 15 ottobre 2005, nella città cinese di Wuhan si è tenuto un simposio internazionale, organizzato dall’Università di Wuhan, dall’Ufficio di traduzione del Comitato centrale del Partito Comunista e dell’Accademia delle Scienze Sociali Cinesi. Hanno preso la parola 32 oratori cinesi e 13 stranieri. A richiesta degli organizzatori, Peter Franssen , redattore di Solidarie e ricercatore dell’Istituto di studi marxisti, ha redatto un contributo, che presentiamo nella sua versione integrale.
Caro Presidente,
cari amici e compagni,
signore e signori,
È per me un grande onore e una grande gioia esporre qui il mio pensiero su Friedrich Engels e del peso che la sua opera ha svolto nell’edificazione del socialismo in Cina.
Ciò che il Partito Comunista Cinese, il Governo cinese ed il popolo cinese hanno realizzato dopo la rivoluzione del 1949 rappresenta qualcosa che non si è mai vista prima nella storia dell’umanità. Solo l’edificazione dell’URSS, dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917 può esserle paragonata. Mai è stato realizzato un progresso così grande sul piano economico, sociale e politico. La realtà concreta prova con chiarezza e senza contestazione che la linea del Partito Comunista Cinese è corretta.
Le realizzazioni del Partito comunista cinese sono state possibili perché il partito ha adottato come linea direttrice il socialismo scientifico, la dittatura della democrazia popolare, la direzione del partito comunista ed il marxismo-leninismo. Con Karl Marx, Friedrich Engels è l’uomo che ha posto le fondamenta del pensiero del Partito comunista cinese. Cento e dieci anni dopo la sua morte, in nessun posto come in Cina, le sue idee sono ancora vive.
Engels non ha che 23 anni quando scrive i “Lineamenti di una critica dell’economia politica”. Con ciò è il primo ad applicare il metodo del materialismo storico e dialettico all’analisi dei rapporti economici nella società borghese. Egli studia l’insieme dei fenomeni economici, le loro interazioni ed il loro sviluppo. L’economia politica borghese, affermava già allora – ed è ancora così, 161 anni più tardi – che l’economia privata capitalista costituisce la forma più alta possibile dell’economia e che il capitalismo non era suscettibile di miglioramento se non nei meccanismi di ridistribuzione. Ma Engels provò che la proprietà privata dei mezzi di produzione è soggetta a leggi che portano, esse stesse, alla morte della proprietà privata. Le più importanti di queste sono la concorrenza costante e il costante impoverimento relativo, ed anche assoluto, delle masse.
I “Lineamenti di una critica dell’economia politica”, operano, per la prima volta, una distinzione netta tra i piccoli borghesi che rifiutano il capitalismo su basi morali ed il socialismo scientifico che prova la necessità e, successivamente, i limiti storici della proprietà privata, per concludere che è necessaria una rivoluzione socialista per distruggere la proprietà privata dei mezzi di produzione e far passare la società ad uno stadio più elevato nel quale la liberazione e lo sviluppo delle forze produttive costituiranno il compito principale.
La distinzione stabilita da Engels nel 1844 costituisce ancora al giorno d’oggi il limite tra il marxismo e le correnti piccolo borghesi «di sinistra» in Cina e in tutto il mondo. Da un lato si situa il socialismo scientifico, dall’altro un amalgama di considerazioni morali, etiche e religiose, in altri termini, l’idealismo che, come rimarca Engels in modo caustico, «sembra disporre di una ricetta pronta per realizzare il paradiso in terra». Tra gli utopisti, l’analisi scientifica ha dovuto cedere il posto alla morale. Engels analizza le posizioni di Karl Heinzen, un rappresentante degli utopisti e scrive : «Il signor Heinzen s’immagina che si possano modificare i rapporti di proprietà come vuole. Egli non può comprendere che i rapporti di proprietà costituiscono necessariamente il risultato del modo di produzione e del modo di fare dei commerci in una data epoca»[1].
Nello stesso anno, 1844, Engels redige anche “La sacra famiglia o la critica della critica critica” assieme a Marx. L’opera è una sferzante critica dell’utopismo e riafferma l’idea fondamentale della concezione materialistica della storia che dice che la produzione materiale gioca alla fine il ruolo decisivo nello sviluppo della società.
Tra il 1844-45, Engels e Marx scrivono “L’ideologia tedesca” nella quale dimostrano i rapporti dialettici tra le forze di produzione e i rapporti di produzione. Il ruolo storico del capitalismo e del suo supporto, la borghesia, fu quello di concentrare i mezzi di produzione e, quindi, di rivoluzionare la società in ogni suo aspetto. Ma, nella misura in cui la borghesia assolve questo compito, raggiunge il suo limite che è determinato dalle contraddizioni economiche e sociali che essa stessa ha creato. Le crisi di produzione si susseguono incessantemente, crisi che a loro volta provocano continue guerre tra i paesi capitalisti e continue aggressioni contro i paesi in via di sviluppo per la conquista o la ridistribuzione dei mercati delle materie prime e degli sbocchi commerciali, il che prova quanto le analisi di Engels e Marx fossero corrette, e quanto lo siano tuttora.
Appena in due anni, Engels e Marx elaborarono i principi fondamentali del materialismo storico e dialettico. Lenin scriverà più tardi: «Questa fu la maggiore conquista del pensiero scientifico»[2].
Tutto ci avverte che il socialismo è un sistema di transizione che porta in sé
le caratteristiche di un passato feudale e capitalista ma anche quelle di un
futuro comunista. Il socialismo non è affatto una conquista stabile ma un
continuo movimento dal basso verso l’alto, da uno stato primitivo ad uno stato
elaborato. Il socialismo si eleverà con i suoi mezzi e passerà al comunismo
quando tutte le sopravvivenze economiche, politiche, sociali, religiose,
morali, culturali dei rapporti di sfruttamento feudali e capitalisti del
passato saranno completamente assorbiti e superati dalle nuove strutture
sociali e quando i membri della società avranno in gran parte eliminato queste
sopravvivenze dai loro comportamenti e dal loro pensiero. La società della
transizione socialista coprirà necessariamente un lungo periodo storico e, come
tutte le società che l’avranno preceduta, cambierà costantemente di struttura.
Alcuni osservatori, marxisti o non marxisti, non hanno compreso questa idea fondamentale di Engels e Marx e si agitano in maniera scomposta quando si parla loro della «costruzione del socialismo in Cina».
Uno dei testi che circolano un po’ dovunque, in Europa e negli Stati Uniti è un piccolo libro intitolato «China and Socialism» di due professori americani, Martin Hart-Landsberg e Paul Burkett. Vi si può leggere la seguente frase: «A partire dal 1978, il Partito Comunista Cinese si è lanciato in un processo di riforme che si appoggiano al mercato e che, pur essendo stato pretenziosamente concepito per riattivare gli sforzi diretti alla costruzione del socialismo, si è, in realtà, diretto nella direzione opposta, a grande detrimento del popolo cinese»[3].
E qualche pagina oltre troviamo: «Malgrado le speranze di molti a sinistra, noi affermiamo che il processo delle riforme di mercato in Cina ha condotto il paese, non verso una nuova forma di socialismo ma, piuttosto, verso una forma maggiormente gerarchica e brutale del capitalismo.»[4]. il lettore appena un po’ obbiettivo resterà perplesso di fronte a questa lapidaria conclusione. Il professor Minqi Li dell’Università di York aggiunge ancora questo commento: «Hart-Landsberg e Burkett propongono una analisi molto perspicace delle contraddizioni interne ed esterne del capitalismo cinese. Essi asseriscono in modo convincente che l’esperienza cinese del socialismo di mercato è sfociata in nient’altro che nel capitalismo completo.”.
Si deve segnalare un altro scritto, che si studia con zelo, che si intitola «From situational dialectics to pseudo-dialectics: Mao, Jang and capitalist transition» (Dalla dialettica situazionale alla pseudo-dialettica: Mao, Jang e la transitione al capitalismo). La signora Foley scrive: «Un certo numero di segnali ci permettono di dire che in pratica, la Repubblica cinese è diventata un paese capitalista e che vengono rapidamente erose le stesse caratteristiche residuali del nocciolo socialista.»[5]
Martin Hart-Landsberg, Paul Burkett e Barbara Foley elencano le ragioni a sostegno della tesi secondo cui il Partito comunista cinese avrebbe sostituito il socialismo con il capitalismo. Queste ragioni sono: le disuguaglianze nei redditi, che si sono accresciute con un ritmo tra i più rapidi del mondo; il tasso di disoccupazione ufficiale, che raggiunge circa il 5% (ma numerosi ricercatori occidentali pensano che sia molto più elevato) Inoltre la corruzione indotta dalla trasformazione economica e dal prevalere del libero mercato, nonché le privatizzazioni e la crescita esponenziale degli investimenti stranieri hanno creato un’economia che non ha molto da spartire col socialismo. A ciò va aggiunto il lavoro straordinario forzato, le ore di lavoro illegale non pagate e le terribili condizioni della sanità e della sicurezza.
Quali sono le loro conclusioni? Barbara Foley le formula in questo modo: «Penso che i sostenitori del socialismo cinese credano che i giochi non siano ancora finiti – che le forze di sinistra nel PCC potranno alla fine vincere e che i lavoratori ed i contadini potranno nuovamente riprendere la via dell’egualitarismo comunista – ma s’illudono se credono che queste cose potranno prodursi senza che abbia luogo un’altra rivoluzione.»[6]
Una rivoluzione sarebbe perciò necessaria per rovesciare questo regime mostruoso, affermano i critici «di sinistra» del Partito comunista cinese.
È dunque tempo di soffermarsi sui cosiddetti “orrori” causati al paese dal Partito comunista cinese.
Nella prima fase della costruzione del socialismo, dal 1950 al 1978, il ritmo di crescita dell’economia cinese è stato del 6,2% all’anno. Questa prima fase è stata caratterizzata dall’organizzazione dello Stato e la costruzione dell’industria, strutture fino ad allora praticamente inesistenti. La Cina era un paese agricolo arretrato. In queste circostanze non c’è metodo migliore della pianificazione centralizzata.
L’accumulazione primitiva del capitale doveva ancora cominciare e l’industria, ancora in embrione, doveva diventare un moderno sistema onnicomprensivo. Per realizzare questo obbiettivo, il capitale realizzato doveva essere reinvestito immediatamente. Ciò nonostante, i consumi medi dei cinesi, in questo periodo aumentarono del 2,2% l’anno.[7] Tra il 1950 ed il 1978, la popolazione cinese raddoppiò, mentre il numero dei poveri diminuì da 300 a 250 milioni.[8]
Negli anni ’60, l’apparato industriale fece sentire i primi vagiti, ma le sovvenzioni statali che ricevevano le imprese aumentavano anno dopo anno. I crediti bancari alle imprese raggiunsero dimensioni record. A metà degli anni ’60 il 60% delle imprese era in perdita. Le sovvenzioni statali rappresentavano un terzo di tutte le spese dello Stato.[9] La riforma delle imprese costituiva la chiave della successiva fase delle costruzione del socialismo in Cina.
Durante questa fase, iniziata nel 1978, l’economia conobbe una crescita media del 9,5 % l’anno. cioè otto volte più che la crescita della Germania e tre volte più degli Stati Uniti. I consumi e, dunque, il livello di vita medio dei cinesi, ha conosciuto una crescita del 7,5% l’anno.
Nel suo insieme la società cinese odierna gode un moderato benessere. Tra il 1978 ed il 2004 il numero dei poveri assoluti si è ridotto da 250 a 25 milioni, cioè a meno del 2% della popolazione. Nel 1949, la vita media dei cinesi era di 40 anni, oggi è di 71 anni e a Pechino questa media è di 80 anni. Nel 1949, il 90% della popolazione non poteva né leggere né scrivere. Oggi questa cifra è inferiore al 10%.
In questi ultimi 25 anni, il modo di produzione e la struttura dell’economia hanno segnato importanti passi in avanti verso il livello in cui la proprietà sociale dei maggiori mezzi di produzione diventa nuovamente necessaria. Durante la rivoluzione del 1949, l’agricoltura e l’artigianato costituivano il 90% dell’economia. C’erano solo 3 milioni di operai industriali, cioè lo 0,6% della popolazione. Da allora, la parte dell’agricoltura è diminuita, passando a meno del 20% e, secondo la pianificazione, non sarà maggiore del 10% nel 2010. La parte dell’industria salirà al 50% e quella del settore terziario al 40%.[10]
Abbiamo visto come Engels e Marx abbiano pronosticato la relazione dialettica tra il modo di produzione ed i rapporti di produzione e come, invece, gli utopisti siano usciti dalla realtà per sognare ad occhi aperti una società perfetta. Marx, Engels, Lenin e Mao, tutti questi professori e mentori della classe operaia, provarono agli utopisti fino a qual punto essi sbagliassero.
Friedrich Engels fu indulgente con gli utopisti dell’inizio del 19° secolo, come Claude-Henri Saint-Simon, Chrles Fourier e Robert Oven. Egli scriveva: «Gli utopisti, abbiamo visto, furono utopisti perché non potevano essere null’altro in un’epoca in cui la produzione capitalista era ancora così poco sviluppata. Essi furono obbligati a costruire gli elementi di una nuova società traendoli dal proprio cervello perché nella vecchia società questi elementi generalmente non erano ancora visibili; per i tratti fondamentali del loro nuovo edificio essi furono costretti a fare appello alla ragione, precisamente perché non potevano ancora fare appello alla storia del loro tempo.»[11]
Ma quegli utopisti vivevano all’epoca di Engels mentre quelli odierni, i Martin Hart-Landsberg, Paul Burkett e Barbara Foley, non hanno più questa scusa. Consigliamo loro di rileggersi Engels: «La presa di possesso di tutti i mezzi di produzione da parte della società, sin dall’apparire del modo di produzione capitalistico nella storia, è stata assai spesso sognata più o meno oscuramente sia dai singoli che da intere sette, come un ideale dell’avvenire. Ma essa non poteva diventare possibile, ma poteva semmai diventare una necessità storica, solo quando fossero state presenti le condizioni materiali della sua attuazione. Essa, come ogni altro progresso sociale, diviene realizzabile non già per mezzo della conoscenza acquisita che l’esistenza delle classi contraddice l’ingiustizia, l’uguaglianza, ecc., non già per mezzo della volontà soggettiva di abolire queste classi, ma per mezzo di nuove e concrete condizioni economiche.»[12]
Dopo la rivoluzione del 1949, Mao richiama le stesse condizioni economiche per patrocinare buone relazioni ed un fronte unito con la borghesia nazionale. Egli disse: «Certuni s’immaginano che si potrebbe eliminare il capitalismo e praticare il socialismo al più presto. Tale punto di vista è sbagliato perché non corrisponde alle condizioni della Cina.»[13]
Nel 1921, Lenin esce con un’autocritica sul periodo dei tre anni precedenti: «Noi contavamo (…) di organizzare, con ordini diretti dello Stato proletario, la produzione statale e la ripartizione dei prodotti su base comunista in un paese di piccoli contadini. La vita ci ha rivelato il nostro errore.»[14] Lenin aggiunse che questo errore era sfociato in una pesante sconfitta: «Sul fronte economico, col tentativo di passaggio al comunismo, abbiamo subito nella primavera del 1921 una sconfitta più grave di quelle che abbiamo inflitto a Kolciak, Denikin o Pilsudski, Più grave e molto più sostanziale e pericolosa. Questa sconfitta consiste nel fatto che i più alti responsabili della nostra politica economica si sono staccati dalla base e non hanno saputo stimolare quel progresso delle forze produttive che nel programma del nostro partito viene considerato compito fondamentale ed improrogabile.»[15] Conseguentemente la Nuova Politica Economica indicava, tra le tante, questa direttiva fondamentale di Lenin: «cediamo gli stabilimenti che non ci sono strettamente indispensabili ad appaltatori privati, compresi i capitalisti privati e gli investitori stranieri.»[16] E Lenin aggiunge che questo periodo potrà durare a lungo: «E’ necessaria un’intera epoca storica. Se tutto va per il meglio, noi possiamo attraversare quest’epoca in uno o due decenni.»[17]
E naturalmente, come oggi, il mondo dei critici gridava in coro: «I bolscevichi hanno fatto marcia indietro, verso il capitalismo; questa sarà la loro tomba.»[18]. Lenin li strapazza e scrive: «essi, in realtà, non aiutano, ma ostacolano l’edificazione economica, la rivoluzione proletaria; (che) essi vogliono attuare aspirazioni non proletarie, ma piccolo-borghesi».[19]
Friedrich Engels ci ha insegnato che la nascita di una nuova classe è
inevitabile quando nuovi rapporti di produzione fanno la loro apparizione. La
proprietà privata di certi mezzi di produzione installa in Cina una nuova
classe di capitalisti di fronte alla classe che essa stessa crea: la classe
operaia. Le due armi principali della classe operaia sono il Partito comunista
cinese e lo Stato socialista. La classe dei capitalisti cerca delle vie e dei
mezzi per realizzare il suo programma. In Cina ciò passa oggi attraverso
l’espressione, in primo luogo, delle idee socialdemocratiche che, come ha
scritto Marx, «vogliono togliere i denti al socialismo»[20]
Una parte di costoro scrive sulla «convergenza tra il capitalismo ed il socialismo alla cinese, paragonando il Manifesto del Partito Comunista di Marx alla pratica delle società occidentali e considerando che una grande parte del programma sociale di Marx è già stato realizzato in occidente».[21] Altri aggiungono: «Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, tutti i maggiori paesi capitalisti hanno preso misure diverse ed energiche di benessere sociale allo scopo di alleggerire le contraddizioni tra il lavoro ed il capitale.»[22]
Nell’Europa occidentale, già a partire dalla seconda metà del 19° secolo, la socialdemocrazia predisse una terza via tra il capitalismo ed il comunismo, etichettandole entrambe come «sistemi inumani ed avvilenti». Certuni in Cina sostengono apertamente questo inganno grossolano e scrivono: «Oggi la Cina si trova tra i due estremi di un socialismo mal ispirato e di un capitalismo cooperativo e non concorrenziale e soffre il peggio dei due sistemi. Dobbiamo trovare una via alternativa. È la grande missione della nostra generazione. Io generalmente sono partigiano dell’orientamento del paese verso le riforme di mercato, ma lo sviluppo della Cina deve essere più uguale, più equilibrato. L’idea europea di una socialdemocrazia come in Germania può essere un modello per la nuova sinistra cinese.»[23]
Qui si può applicare la critica di Friedrich Engels al professor Dürhing: «l’economia politica dühringhiana sbocca nella seguente formulazione: il modo di produzione capitalistico va bene e può continuare ad esistere, mentre il modo di distribuzione capitalistico è maligno e deve sparire.»[24] Le leggi economiche e le contraddizioni del capitalismo sono determinate dai suoi rapporti di produzione, ci insegna Engels. La proprietà privata di certi mezzi di produzione portano inevitabilmente ad un rapporto di produzione capitalista le cui contraddizioni fondamentali non possono essere evitate da nessuno Stato né socialista né socialdemocratico in cerca di una terza via. Nella misura in cui la proprietà privata raggiunge i suoi obiettivi, qui ed ora nella Cina moderna, l’impulso originario insito nella proprietà privata dei mezzi di produzione si trasforma nel suo contrario: essa diviene pertanto un freno all’ulteriore sviluppo delle forze di produzione.
Nessuno può prevedere quanto sarà lungo questo processo prima che si imponga l’esigenza della soppressione della proprietà privata. Ma ciò che possiamo già affermare con certezza è che in quel momento, la fermezza e il rigore politico ed ideologico del Partito comunista cinese e della classe operaia cinese avranno un’importanza determinante.
Grazie.
[1] Friderich Engels, Die Kommunisten und Karl Heinzen, Marx-Engels, Werke, Dietz-Verlag, Berlin, 1980, Band 4, p.314.
[2] Lenin, Le tre sorgenti e le tre parti costitutive, Opere, Editions Sociales, Parigi, 1959, tomo 19, p.15.
[3] Martin Hart-Landsberg e Paul Burkett, China & Socialism, Market reforms and capitalism transitino, Monthly Review, New York, giugno-luglio 2004, p.8
[4] Ibidem, p.26
[5] Barbara Foley, From situational dialectics to pseudo-dialectics: Mao, Jang and capitalist transitino, Cultural Logic, vol.3, 2002. testo anche su http://enserver.org/clogic/2002/foley.html.
[6] Ibidem
[7] Justin Yifu Lin, Fang Cai e Zhou Li, The miracle: Devolopmen strategy and economic reform, University Press, Hong Kong, 1995.
[8] Liu Wenpu, Poverty and poverty policy in China, Chinese Academy of Social Science, Pechino, 1999.
[9] Zu Hauayou e Liu Changhui, The development of China’s nongovernamentally and privately operated economy, Foreign Languages Press, Pechino, 1966, pp. 1-38.
[10] Li Jingwen e Liu Changui, China’s environmental policies in the 21st century, Chinese Academy of Social Science, Pechino, 1999.
[11] Friedrich Engels, Antidürhing, Edizioni Rinascita, Roma, 1956, p. 289.
[12] Ibidem, p. 305.
[13] Mao Zedong, Pour une amélioration radicale de la situation, Œuvres choisies, Editions en Languages Etrangères, Pechino, 1977. Tome V, p. 27.
[14] Lenin, Per il quarto anniversario della Rivoluzione, Opere, Editori Riuniti, Roma 1967, vol. 33, p. 43
[15] Lenin, Rapporto al II Congresso dei Centri di educazione politica di tutta la Russia, Opere, Editori Riuniti, Roma 1967, vol. 33, p. 49.
[16] Lenin, Tempi nuovi, Errori vecchi in forma nuova, Opere, Editori Riuniti, Roma 1967, vol. 33, p. 16.
17 Lenin, Sulla cooperazione, Opere, Editori Riuniti, Roma 1967, vol. 33, p. 431.
18 Lenin, Tempi nuovi, Errori vecchi in forma nuova, Opere, Editori Riuniti, Roma 1967, vol. 33, p. 9.
19 Ibidem, p. 15.
[20] Karl Marx, lettera a F. A. Sorge, 19 sett. 1879, in Marx-Engels Correspondance, Editions du Progrés, Mosca, 1971, p. 336.
[21] Sen Jiru, Zhongguo Du Dang ?Bu Xiansheng ?, Jinri Zhongguo Chubanshe, Pechino, 1998, pp. 36-42.
[22] Su Shaozhi, Developing Marxism under contemporary conditions, in: Su Shaozhi and others, Marxism in China, Spkesman, Nothingham, 1983, p. 29.
[23] Wang Hui, China’s new order: society, politics and economy in transition, Harvard University, Cambridge, 2003; Wang Hui, China unegual shares – how Tienanmen protest led to the new market economy, le Monde Diplomatique, aprile 2002, si può ugualmente accedere a questo testo su http://www.chisturex.org/www1/news/hui-4-02.html.
24 Friedrich Engels, Antidürhing, Edizioni Rinascita, Roma, 1956, p. 325.