Intervista con Suraya Perlika, Presidente dell’ AAWU
- Unione di
tutte le Donne Afgane -
In questo mese ho
avuto l’onore e la fortuna di conoscere e incontrare questa donna che nel suo
percorso di vita, di militante e di avanguardia storica, racchiude in sé un
pezzo di storia del movimento rivoluzionario e di emancipazione sociale, non
solo del suo paese e del suo martoriato popolo, ma di tutti i popoli oppressi
dello scorso secolo ( il tanto vituperato e dileggiato “novecento”, che, pur
tra limiti, errori e contraddizioni inevitabili, per chi la storia non la
scrive o pensa, ma la forgia nella fucina di tutti i giorni e con la realtà che
si ritrova…non quella più ottimale o ideale. Secolo che ha significato, comunque la si veda,
percorsi di liberazione ed emancipazione sociale e umana. Cioè della misera
vita di tutti i giorni per alcuni MILIARDI di oppressi e, dato che forse
qualcuno scorda o trascura con troppa leggerezza, per quello che esso
rappresenta per i popoli, i lavoratori e i subalterni dell’umanità: 50 anni di
sostanziale PACE… ridotta ormai ad un sbiadito ricordo, in questi odierni tempi
di GUERRE INFINITE ).
Un incontro che fa seguito al mio libro sull’Afghanistan, che con mia grande
soddisfazione è stato apprezzato dalla stessa.
Le tappe della sua storia e della sua militanza emergono all’interno
dell’intervista, che si è poi trasformata in molte ore di dialoghi, racconti,
lucide analisi e dolorosi ricordi, ma sempre indirizzati verso il futuro. Nelle
sue parole, nelle sue riflessioni, non vi è mai rabbia o rimpianti ( pur avendo
pagato personalmente prezzi molto alti, sia come carcere che come violenze
subite); ma con una serenità che affiora continuamente e un grande amore per il
suo paese ed il suo sventurato popolo, oltre a un grande sentimento di
speranza, fortificato da una profonda coscienza e determinazione alla lotta,
con grandi rischi per la sua vita, a cui lei non accenna mai, ma che, nella
situazione afgana è quotidianamente appesa ad un filo.
D.: Fino alla caduta del governo
della Repubblica Democratica Afgana, Aprile 1992, ad opera dei Mujaheddin,
quale era stata la sua storia?
S.P. : La mia attività comincia
nel 1965, quando insieme ad altre 4 donne fondammo l’Associazione Democratica
delle Donne Afgane, il primo embrione di quello che diverrà poi un vero e
proprio Movimento di emancipazione delle donne che si sviluppò negli anni seguenti in tutto il paese e alla
fine degli anni’70 divenne una delle Associazioni di primo piano nel paese e che
permise la candidatura di molte donne al parlamento e alcune divennero le prime deputate della millenaria storia
dell’Afghanistan. Fino alla Rivoluzione Democratica dell’ Aprile 1978, come
Associazione, come militanti rivoluzionarie del PDPA e come donne in generale
che si battevano, subimmo repressioni, violenze, persecuzioni, carcere e
assassinii. Per molti anni sono stata Presidente dell’Associazione delle donne.
All’avvento dei Mujaeddin nell’aprile 1992, ero Presidente della Mezzaluna
Rossa Afgana ( n.d.r.: la Croce Rossa locale).
D.: Dal 1992 alla caduta dei
Talebani avvenuta lo scorso anno, quale è stata la sua condizione e cosa ha
fatto ?
S.P.: Con gli avvenimenti e le
violenze di quell’Aprile 1992, la mia situazione precipitò immediatamente, fui licenziata e la mia famiglia
perseguitata e attaccata, la casa fu saccheggiata, incendiata e distrutta, alcuni familiari non riuscirono a sfuggire
alle violenze del nuovo regime e pagarono un caro prezzo, io fui condannata a
morte e ricercata. Nonostante le pressioni della Mezzaluna Rossa che mi
garantiva l’uscita dal paese e un rifugio all’estero, la mia decisione fu
quella di entrare in clandestinità e restare nel mio paese e condividere le
sorti del mio popolo. La città di Kabul fu divisa in 7 zone che rappresentavano
le varie fazioni che presero il potere, a settembre gli scontri intestini tra
le varie fazioni portarono al bombardamento della città, che causò migliaia di
vittime civili, soprattutto donne, bambini e anziani. Nel frattempo le donne
venivano sistematicamente estromesse da tutte le attività lavorative,
dall’insegnamento, dalla sanità e da tutte le attività sociali. Oltre a subire
continue violenze, vessazioni e rapimenti, soprattutto non esistevano più le
condizioni minime per la sopravvivenza dei nuclei familiari, l’Afghanistan
entrò in un tunnel di disgregazione e devastazione sociali, senza precedenti.
Io decisi di indossare il burqa e restare in Kabul, iniziando così un attività
di solidarietà e resistenza con le donne ma non solo, nella clandestinità,
contando su una rete di contatti di fiducia e solidali, nonostante una
repressione feroce e spesso selvaggia. Tutto questo è durato fino allo scorso
anno.
D.: Quando è nata la sua
Associazione AAWU e quali sono i suoi programmi e obbiettivi ?
S.P.: AAWU è stata fondata nel Settembre
1992, a Kabul in clandestinità. Il primo obbiettivo in quella situazione
descritta sopra, fu quello di costruire una rete di solidarietà e sostegno
morale; poi cominciammo a costruire corsi di insegnamento e istruzione per
donne e bambini. Col tempo iniziammo corsi di artigianato, tessitura, cucito,
ricamo in modo da poter garantire forme di sostegno economico minimo, in quanto
le donne erano state espulse dai posti di lavoro. L’organizzazione
dell’Associazione era fondata su una rete di strutture mobili e in continuo
spostamento, per sfuggire alla repressione e salvaguardare quelle di noi
ricercate. Con l’arrivo dei Talebani i nostri corsi si intensificarono, grazie
anche a una capacità e strutture più collaudate ed esperte, nella
clandestinità. Pochi giorni dopo la caduta dei Talebani , organizzammo una
manifestazione con oltre mille donne a Kabul, la prima manifestazione di donne
dopo il 1992 e come potete vedere da queste foto, tenni un affollato comizio a
viso scoperto. Fu un evento che stupì e colpì gli osservatori stranieri, in
particolare i responsabili delle Nazioni Unite.
D.: Quali sono oggi le attività e
quali incarichi ufficiali ha ricoperto in questo anno ?
S.P.: Nonostante cosa viene detto
all’estero, in realtà la situazione e la condizione delle donne in Afghanistan,
non è molto cambiata; quindi come AAWU abbiamo deciso di dare priorità alle
fasce femminili più deboli ed emarginate della società: donne vedove o sole con
figli da accudire, senza reddito o perseguitate. Il programma di sostegno
prevede sempre gli stessi corsi ma ora più ampliati e numerosi, e soprattutto
il tentativo di estendere la commercializzazione di ciò che viene prodotto, in
modo da avere maggiori entrate per le lavoratrici. Purtroppo i soli
finanziamenti che abbiamo avuto sono stati da parte delle Nazioni Unite con cui
abbiamo costruito una scuola, piccola ma funzionale e da un collettivo di donne
tedesche che ci sostiene, nella misura delle loro possibilità. Un corso che
ritengo importante è quello che facciamo sui diritti, in quanto abbiamo una
generazione di ragazze che sono cresciute in una situazione di guerra e di
persecuzione, senza nemmeno conoscere un altro modo di vivere. Inoltre
diffondiamo una rivista “ Il grido della donna afgana”, purtroppo con mezzi di
fortuna e saltuari, ma è molto importante che riusciamo a farla girare.
Prendendo atto dell’esistenza di AAWU e
del mio ruolo di Presidente e fondatrice, delle sue attività in clandestinità,
della manifestazione di piazza e del fatto che non ero scappata dal paese in
tutti quegli anni (… oltre a motivi di “immagine nuova”per l’opinione pubblica
internazionale) , le Nazioni Unite e gli osservatori di pace internazionali
hanno quasi imposto la mia figura come unica donna all’interno della
Commissione di pacificazione sotto supervisione dell’ONU, composta da 21 membri
considerati influenti, con il compito di organizzare la Loya Jirga (
l’assemblea plenaria di tutto l’Afghanistan, composta dalle figure più
rappresentative dal punto di vista sociale, economico, religioso, etnico e
militare). Nonostante una forte ostilità da quasi tutte le componenti, sono
stata eletta dalle donne consultate, a rappresentarle per garantire la presenza
delle 160 donne ( su 1600 componenti) che avrebbero fatto parte dell’Assemblea.
Nonostante minacce, ostacoli e ricatti, sono riuscita a ottenere anche una
piccola vittoria: portando a 200 la componente di donne delegate, cercando di
garantire quando ero presente, soprattutto nei campi profughi in Iran dove
siamo stati, l’elezione sulla base della scelta dal basso e non imposta dai
capifamiglia o capiclan. Anche questo, mal sopportato e mal accettato un po’ da
tutti, ma comunque è stato ottenuto.
Terminato questo incarico, sono tornata ad occuparmi di AAWU, riprendendo le
attività quotidiane a Kabul, nel quartiere dove sono sempre stata e nelle zone
dove abbiamo intrapreso attività e corsi. Nei mesi scorsi abbiamo fondato una ONG parallela a AAWU, con la
presenza nel direttivo di figure straniere , anche perché il clima politico nel
paese non è certo lineare e pacificato, e i rischi di atti intimidatori o
peggio verso le nostre attività, o le persone che dirigono queste, sono
all’ordine del giorno.
D.: Quale è il suo giudizio
riguardo ai bombardamenti e il ruolo oggi delle forze di intervento
internazionali in Afghanistan. E qual è la situazione nel paese ?
S.P.:Dopo l’ 11 Settembre, si sono
accorti di Bin Laden e del terrorismo, e con la scusa di “liberare”
l’Afghanistan, gli americani hanno cominciato a bombardare ogni zona del paese:
città, villaggi sperduti, colpendo strutture civili e uccidendo migliaia di
innocenti in maggioranza donne e bambini. Tutto questo in realtà per portare un
governo a loro amico, formato fuori dell’Afghanistan e che faccia i loro
interessi strategici; con i suoi componenti stabiliti a tavolino con accordi
stipulati sulla base di interessi di fazioni, non certo del popolo afgano. Va
comunque detto che molte persone avevano preso i bombardamenti e l’intervento
esterno, con la speranza che portassero alla fine di vessazioni, violenze,
disperazione e riaprissero uno spiraglio di speranza e di pace, ed un futuro
vivibile e di cambiamenti.
La situazione nel paese non è assolutamente pacificata o normalizzata; in
realtà solo a Kabul esiste un livello di vivibilità sotto controllo, e anche
qui solo in parte e costantemente a rischio; nel resto del paese tutto è come
sempre negli ultimi dieci anni, il territorio è spartito in zone di influenza
di varie fazioni e lì, vige la legge del signorotto locale, i cui nomi conoscete
tutti, e l’attuale governo non ha nessun potere, tantomeno la legge e il
diritto.
Sbaglia chi crede che la guerra sia finita, in realtà la guerra e la violenza
possono durare ancora a lungo, anche per l’incontrollabilità della gran parte
del paese e dei diversi interessi che ciascuno ha, tra i componenti di questo
governo, rappresentante solamente di questi e assolutamente estraneo alle
condizioni ed aspettative della grande maggioranza del popolo afgano. Dal punto
di vista degli aiuti internazionali, va sottolineato che in realtà sono molto
più apparenti che concreti e soprattutto non sono indirizzati tanto alla
ricostruzione di infrastrutture quanto a forme di finanziamenti indirizzati,
che spesso si “diluiscono” in mille rivoli e non incidono nella realtà concreta
della popolazione.
D.: Quali sono, secondo lei, le direttrici prioritarie su cui si
devono muovere le figure più vicine agli interessi del popolo afgano e
indipendenti da influenze “esterne”, in questa fase ?
S.P.: Io credo che ci siano alcune
condizioni basilari assolutamente prioritarie e necessarie, per indirizzarci
verso una prospettiva di pace e futuro :
- Cessazione delle interferenze di forze esterne e straniere
- Costruzione di un governo realmente rappresentante degli interessi popolari,
al di là di fazioni o imposizioni e ripristino di un processo democratico che
garantisca la legalizzazione dei partiti
- Costruzione di un esercito nazionale centralizzato con il compito primario di
ripristinare il controllo del territorio e garantire la sicurezza nazionale
verso l’esterno e all’interno per i cittadini
- Disarmo di tutti gli armati e ritiro delle armi
- La necessità di ricollocare al loro posto ogni tipo di specialisti, tecnici,
esperti di ogni campo, su una base di meritocrazia e di effettiva competenza, e
non per appartenenza a fazioni o
schieramenti: questo per poter ricostruire dalle fondamenta un sistema sociale
oggi totalmente inesistente: dalle fabbriche agli uffici, dallo stato alla
scuola, dalla sanità alla funzione pubblica, dall’assistenza sociale alla
campagna.
- Esiste in Afghanistan un problema legato al mondo contadino nella sua
maggioranza: ed è quello dei campi coltivati ad oppio e del suo commercio, uno
dei motivi di spartizione del territorio tra le varie fazioni. Questa è una
situazione drammatica e molto influente su destini futuri del mio paese, perché
attorno a questo problema si sviluppano interessi e strategie anche delle forze
esterne al paese, che usando questa carta, determinano alleanze e schieramenti
delle varie milizie armate, che prosperano su questa contraddizione, che
attanaglia la vita delle famiglie contadine, negandogli la possibilità di un
futuro dignitoso. Io penso che questo problema dovrebbe avere un carattere
addirittura strategico nella ricerca di una soluzione, che deve tener conto
degli interessi del mondo contadino e che fintanto non lo si affronta, impedirà qualsiasi tipo di processo e di
sviluppo all’Afghanistan.
- Io credo anche che qualsiasi tipo di processo evolutivo e di cambiamento, non
potrà avvenire senza la partecipazione e un ruolo influente da parte delle
donne afgane, che in questi decenni hanno sopportato e sostenuto il fardello
più grande, per cercare di delimitare e rallentare il disfacimento e la
devastazione sociale, prodotti da una quantità di guerra e violenza, che forse
non sono nemmeno narrabili per chi non l’ha vissute. E sempre con una
estraneità di colpe verso di esse quasi completa. Esse sono una parte sana per
il futuro di questo paese, si tratta di fargli prendere coscienza e
responsabilità. Solo allora, insieme a chi crede nel progresso e alla pace si
potrà ricostruire un paese che oggi non esiste quasi. Perché io credo che la
questione della donna non sia un problema femminile, ma un problema sociale e
in questo ambito vada affrontato e risolto.
Purtroppo ritengo che tutto quanto indicato sopra, non sia al momento
all’orizzonte; si tratta di lavorare in questa direzione riunendo tutti coloro
che in qualche modo, anche differentemente credono comunque nella pace e negli
interessi del popolo prima di tutto, e per fortuna ce ne sono.
D.: Cosa possiamo fare concretamente per la vostra battaglia ?
S.P.: Noi in questo momento
abbiamo bisogno praticamente di tutto, ma soprattutto il fatto di sapere di non
essere soli, di avere amici anche lontani vicini alla nostra causa, dà forza e
fiducia, in particolar modo alle nostre giovani che hanno bisogno di uscire da
una condizione anche umana, non solo sociale, di isolamento e solitudine
spaventose. Sono sicura che ci saranno modi per costruire qualcosa di possibile
insieme, con persone come voi. La nostra Associazione in questo momento non ha
contatti fuori dal paese se non con il collettivo di donne tedesche, che finora
ci ha aiutato e sostenuto, per cui il nostro incontro di questi giorni, è per
me un inaspettato e importante evento che, per la nostra Associazione
rappresenta un passo avanti significativo. Una cosa per noi molto importante
sarebbe quella di far circolare la nostra attività, il nostro punto di vista,
le nostre proposte e posizioni; i nostri appelli e qualche piccola vittoria
acquisita nell’interesse delle donne afgane e del nostro popolo in generale. Se
ritenete di poterlo fare vi ringrazio fino da ora: sareste il nostro referente
e punto di riferimento su cui poter contare, che comunque ci farebbe sentire
parte di un mondo che ha ancora nella giustizia sociale, nella lotta per la
pace e nella solidarietà, valori per cui vale la pena vivere e lottare. Vi
ringrazio per l’attenzione datami.
Prima di tutto sono io, a doverla ringraziare sia per la
disponibilità che per la profonda umanità che ci ha donato con le sue parole
vissute, oltrechè per l’apprezzamento del mio modesto libro sull’Afghanistan.
Questo anche a nome di coloro in questo paese, che insieme a me condividono la
sua storia, le sue lotte, la sua esemplare vita di donna protagonista della
storia del suo popolo e del suo paese, ma anche rappresentante di quella grande
parte di una umanità sottomessa e violata, da un sistema di sopraffazione e
oppressione, qual’è quello vigente in
questa epoca, e che il suo popolo conosce a fondo, attraverso gli spaventosi
prezzi pagati negli ultimi 15 anni.
Detto questo, in qualità di rappresentante dell’Associazione di Solidarietà
Internazionalista di Torino, una piccola ma attiva struttura che in questi anni
ha cercato di fare la sua modesta parte, a fianco di quei popoli e quelle forze
resistenti e renitenti che hanno coraggiosamente lottato per difendere la
propria indipendenza, la propria sovranità e la propria dignità nazionali,
attaccate e aggredite con ogni mezzo dall’imperialismo e dalle forze del
liberismo selvaggio. Prendo l’impegno di costruire un gemellaggio tra l’ASI di
Torino e l’AAWU , che recepisce e fa nostre la vostra richiesta e le vostre
scelte, pertanto le formalizzo la nostra disponibilità, nella misura dei nostri
mezzi e possibilità, di sostenere la vostra richiesta. Cercando di coinvolgere
anche chiunque altro, sia associazioni che singoli in Italia, ritenga e senta
propria la sua battaglia.
Pertanto il nostro impegno consisterà come
primi atti :
- Un lavoro di informazione in
Italia: tramite riviste, giornali, radio e Internet che saranno disponibili e
con cui già collaboriamo, per una
minima pubblicizzazione dei vostri materiali, documenti, appelli e richieste.
- La fornitura di un computer,
come da vostra indicazione di necessità prioritaria, con relativi strumenti
accessori.
- In seguito ci atterremo, di
volta in volta, a vostre indicazioni di bisogni primari, su cui apriremo
campagne di solidarietà
Questo sancisce il primo passo, modesto ma concreto per affermare
una Solidarietà Internazionalista materiale e consapevole, come prassi di
lavoro.
( Prima parte )
Torino, Novembre 2002 - A cura di
Enrico Vigna