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- popoli resistenti - armenia - 18-03-08 - n. 219
L'Armenia dopo i moti di piazza
Andrej Areshev
05.03.2008
Dopo aver proclamato lo stato di emergenza, in Armenia la situazione si è in qualche modo stabilizzata. Sono iniziati gli arresti dei sobillatori dei disordini del 1 marzo, portatori di tragiche conseguenze[1]. Il parlamento armeno ha tolto l'immunità parlamentare a quattro deputati: Akop Akopian, Mjasnik Malkhasjan, Sasun Mikaelian e Khachatur Sukiasjan. Allo stesso tempo il parlamento ha concesso alla Procura generale dell'Armenia di iscrivere i suddetti nel registro degli indagati e di arrestarli come misura restrittiva. In Procura generale della Repubblica corrono voci che anche l'ex-candidato alla presidenza Levon Ter-Petrosian figura come persona coinvolta nei fatti emersi dai disordini di massa a Erevan. Secondo l'Articolo 56.1 della Costituzione della Repubblica di Armenia, “Il Presidente della Repubblica può essere chiamato in giudizio dopo il compimento del suo mandato per avvenimenti non legati al suo status”[2].
Alla televisione nazionale armena sono state messe in onda scene dei fatti del primo marzo, in cui è chiaramente visibile che furono i cosiddetti «pacifici» dimostranti a iniziare gli scontri con la polizia e che gli accordi di spostare la dimostrazione a Matenadaran[3] furono violati da Nikol Pashinian, braccio destro di Ter-Petrosian. In totale, secondo dati della Procura generale, ci furono 48 feriti fra i civili e 117 fra le forze dell'ordine, dato anch'esso indicativo.
A giudizio di tutti, il potere è deciso a non ripetere gli errori appena commessi. I rappresentanti delle forze dell'ordine lo hanno affermato in modo inequivocabile: nel discorso alla televisione del capo della polizia, colonnello Gegam Petrosian, c'è un forte appello a «non tentare di nuovo di uscire in strada e ripetere i fatti del primo marzo», così come l'ammonimento che «ogni membro delle forze dell'ordine, dal primo all'ultimo, combatterà in modo duro e risoluto qualsiasi atto illegale».
Questa dichiarazione risponde indirettamente a Ter-Petrosian e ai suoi alleati. Nell'esortazione dell'ex-presidente ai suoi sostenitori (discorso pronunciato dopo che fu reso noto il bollettino con i primi morti) fu chiaramente indicata la scadenza di questa tregua, ovvero soltanto fino alla fine dello stato di emergenza. Si può presupporre che dopo 20 giorni tutto riprenderà come prima, in una forma o nell'altra, dal momento che l'ex-presidente armeno si è rivelato maestro nell'organizzare sorprese di questo tipo[4]. Secondo il direttore del Centro di studi strategici “Ararat” Armen Ajvazjan, la situazione politica in Armenia resta molto tesa: “Ciò non significa che il giorno dopo lo scadere dello stato di emergenza inizieranno nuovamente i disordini e i pogrom. Tuttavia i fatti di sabato scorso potrebbero ripetersi in forme diverse e minacciare l'esistenza stessa dell'ordinamento statale armeno.”[5]. Molto di quanto accaduto depone a favore di questa tesi: finora non c'è stato alcun segno di pentimento o di ripensamento su quanto accaduto da parte dei «Testimoni di Levon»[6]. Al contrario si rafforza il presentimento che sin dall'inizio questi signori avessero preventivato scenari ben più «seri» degli otto morti e degli oltre cento feriti. Ter- Petrosian ha già scritto sul “The Washington Post” esortando l'Occidente a interferire negli affari interni dell'Armenia e a esigere a gran voce la ripetizione di elezioni “giuste”[7]. E da qui in avanti tutto sarà possibile…
I provocatori ora sono passati alla collaudata tattica di diffondere le più svariate voci, con l'obbiettivo di dividere ancor più la società civile e portare le varie parti a scontrarsi fra loro. Ad esempio, è stata lanciata in grande stile una campagna di disinformazione[8] su una moltitudine di cadaveri nel centro e alle porte della città, su come «teste di cuoio del Karabagh» abbiano picchiato il primo marzo donne incinte e bambini[9], su come i saccheggi a Erevan fossero opera di reclusi fatti uscire apposta dalle prigioni e sull'incredibile quantità di pacifici dimostranti (con cifre fino a trecentomila persone), ecc. La manipolazione della comunicazione informale come tecnica sovversiva è particolarmente efficace in periodi di turbolenza e disordine e quindi applicata su cittadini, la cui coscienza diviene oggetto di provocazioni appositamente pianificate e poste in essere una dopo l'altra.
Nonostante le limitazioni date dallo stato di emergenza, i provocatori impiegano tutti i mezzi in loro possesso. Parliamo in particolare dei tentativi di controllare i materiali audiovisivi trasmessi da Erevan, con l'obbiettivo di garantirne la «necessaria» messa in onda, delle attività del servizio in lingua armena di Radio Svoboda[10], della diffusione della disinformazione con tutti i mezzi possibili, fra cui SMS di massa e scritti provocatori su svariati blog e, infine, della piena neutralizzazione di quelle fonti informative le cui notizie contrastavano gli interessi dei sostenitori di Ter-Petrosian. La copertura mediatica all'esterno è assicurata dalle agenzie di stampa occidentali e dai «difensori dei diritti umani», che informano regolarmente di atti di violenza gratuita e crudele contro i «pacifici manifestanti».
Alla cricca di Ter-Petrosian non è tuttavia riuscito di realizzare pienamente quanto escogitato e porre sotto controllo Internet: i materiali disponibili in rete testimoniano chiaramente il carattere assunto dai passati eventi, qualificabile pienamente come tentativo di insurrezione armata. Il carattere «pacifico» delle manifestazioni passate in piazza della Libertà non implica che i capi dell'opposizione radicale fossero pronti ad agire entro la legalità, come invece vorrebbero far credere i propagandisti del Movimento Nazionale Armeno[11] in cerca di compassione. Al contrario, essi puntano al collasso il più presto possibile della «piramide del potere», come ha tra l'altro espresso in più occasioni lo stesso ex-presidente. In un'intervista al giornalista V. Dubnov, inviato a Erevan per rappresentare “correttamente” gli eventi, Ter-Petrosian ha detto: “Non sono d'accordo con chi sostiene che la nostra strategia, diretta a colpire la verticale del potere, non abbia funzionato... non è abbastanza convincente quanto accaduto dopo il primo marzo, compresa l'adesione alla nostra causa di deputati al parlamento e di esponenti del ministero della difesa e degli esteri? Questi sono avvenimenti di indubbia rilevanza e mostrano quanto oggi stia accadendo in Armenia: la macchina statale si sta sgretolando”[12]. Quando però divenne chiaro che tutto questo era frutto dell'immaginazione di un «famoso studioso»[13], gli eventi avevano già preso un «tragico» corso con il sacrificio di vite umane.
Il rappresentante speciale della presidenza dell'OSCE Heikki Talvitie adesso si meraviglia di come, durante nove lunghi giorni, i dimostranti abbiano fatto le loro manifestazioni senza alcuna autorizzazione e senza che le autorità li disturbassero. Tuttavia lo stesso Talvitie ritiene che, “gli oppositori in Armenia possedessero armi e quindi fosse impossibile evitare i disordini”. Come «molte armi» siano potute finire in mano ai «pacifici dimostranti», come ciascuno di loro si sia unito agli altri, di questo il rispettabile politico europeo non parla, mentre ha già emesso il suo verdetto senz'appello, secondo cui entrambe le parti sono parimenti colpevoli nella tragedia del primo marzo.
Quanto accaduto a Erevan esprime il pertinace e forte desiderio dei rappresentati occidentali di mediare a tutti i costi fra autorità e opposizione radicale. Non è escluso che Ter-Petrosian e soci cercassero proprio l'intervento del «mediatore» occidentale, e per farlo hanno trasformato una città da un milione di abitanti in un campo di battaglia per saccheggi e scontri fratricidi. Lo stesso Talvitie, il quale sinceramente ritiene quanto mai necessaria la presenza di rappresentanti dell'OSCE, alla luce della situazione sempre più complessa a Erevan, non è il solo emissario dell'Occidente mandato in fretta e furia nella capitale armena. Fanno avanti e indietro dalla capitale armena anche il rappresentante speciale dell'UE per il Caucaso meridionale Peter Semnebi, nonché il rappresentante della Commissione Europea in Armenia Raul Lutzenberger e presto verrà anche dagli Stati Uniti l'onnipresente Matthew Bryza[14]. «Preoccupazione» per la situazione in Armenia è stata espressa uno dopo l'altro da Xavier Solana[15] e Terry Davis[16]; Washingtono chiama tutte le forze politiche al dialogo. E' chiaro che proprio a garantire questo sarà chiamato Bryza, vice sottosegretario di Stato USA per gli affari Europei ed Eurasiatici, al quale sarà questa volta assegnato il ruolo di «emissario per la facilitazione del dialogo fra autorità e opposizione». Secondo quanto espresso dal Dipartimento di Stato USA, ciò non va interpretato come «mediazione ufficiale» di Washington tra le parti.
Tali richiami e propositi sarebbero anche positivi, ma resta forte la sensazione che siano la maschera che nasconde le pressioni a Robert Kocharian e a Serzh Sarkisian per liberare gli agitatori arrestati e i partecipanti ai disordini, al fine di dare loro la possibilità di portare a compimento quanto iniziato. Un richiamo in tal senso è già stato pronunciato a Bruxelles dalla presidenza slovena a nome dell'UE[17].
L'esperienza di molti Paesi del mondo dimostra che le «rivoluzioni colorate» vanno a buon fine allorché le autorità (in buona misura a causa della perdita di consenso all'interno del Paese) cercano sostegno all'estero e, in conseguenza di ciò, divengono ostaggio delle forze straniere. Tentativi di ingerenza in questo senso li possiamo vedere oggi in Armenia. Per esempio, nelle dichiarazioni della britannica Terry Davis, Segretario Generale dell'UE, si evidenzia come le indagini rivolte a trovare i colpevoli dei fatti criminosi non debbano essere impiegate per perseguire oppositori politici. Allo stesso tempo si prospetta un pacchetto di richieste standard, con l'esclusione forse di compiere un'«inchiesta internazionale», come per esempio nel 2005 per i moti di piazza ad Andijan in Uzbekistan[18]. Utilizzando questi criteri, qualsiasi agitatore può divenire «oppositore politico», quindi «prigioniero politico» o «obbiettore di coscienza», ricevendo così in dono un'arma potente per premere, ricattare e governare i processi politici interni «all'occorrenza» in ogni Paese…
In tali condizioni la posizione della Russia come maggior alleato politico-militare nonché economico dell'Armenia, può apparire non così evidente[19], tuttavia è tale da assumere un ruolo significativo nel sostenere il processo di stabilizzazione nel Paese. La stabilità in Armenia e intorno a essa risponde agli interessi nazionali russi, a causa della collocazione geopolitica della regione e dei progetti economici e di comunicazione attualmente in essere.
E' necessario sottolineare come la preoccupazione espressa per quanto accaduto in Armenia da parte dell'Occidente coincida temporalmente con il complicarsi della situazione sul fronte del Nagorno-Karabakh. Il 4 marzo c'è stato uno scontro armato nella regione di Mardakert e, secondo informazioni del ministro degli Esteri armeno Vartan Oskanjan, gli azeri hanno impiegato reparti speciali e truppe corazzate. Dopo la risposta dell'esercito armeno, lo status quo è stato ripristinato.
Da quanto si può capire, l'Azerbaigian cerca di sfruttare l'instabilità interna all'Armenia per rafforzare le proprie posizioni sia militari sia in politica estera. Il 26 febbraio Baku ha presentato il progetto di risoluzione all'Assemblea generale dell'ONU «La situazione dei territori occupati dell'Azerbaigian», in cui ha chiesto di confermare i suoi confini territoriali e il diritto sul Nagorno-Karabakh[20]. Nel clamore degli scontri di piazza a Erevan, è passata del tutto inosservata la dichiarazione della presidentessa dell'unità di crisi internazionale per il Caucaso Sabina Freizer, secondo cui Armenia e Azerbaigian avrebbero quasi trovato l'accordo sulla creazione di un corridoio per collegare il Karabakh all'Armenia, divergendo unicamente sulla larghezza di tale corridoio e sul meccanismo elettorale da adottare in quella regione[21] La signora Freiser si è mostrata ancora una volta ottimista sulla situazione, ma l'aumento della tensione al confine fra Karabakh e Azerbaigian, tanto più in occasione della vista a Baku di Matthew Bryza, funge da ulteriore «avvertimento» alla controparte armena, che si vorrebbe più «accondiscendente» alle richieste dell'Occidente.
Nelle difficili condizioni in cui oggi versa l'Armenia, è più che mai importante superare al più presto le conseguenze della crisi politica interna, inclusa la giusta punizione di tutti i colpevoli dei disordini, nonché prendere le necessarie misure per risanare il Paese e la società da quel sistema di corruzione i cui fondamenti furono posti durante la presidenza di Ter-Petrosian dal suo clan. Se le autorità non saranno in grado di farlo, saranno tempi cupi per lo Stato armeno.
traduzione dal russo di Paolo Selmi per www.resistenze.org
L'articolo rimanda poi a un breve filmato (http://uzogh.livejournal.com/165306.html ), girato il giorno della rivolta in piazza Miasnikian a Erevan, dove si vedono chiaramente barricate erette con autobus messi di traverso dai manifestanti e gli incendi e gli episodi di saccheggio occorsi nella notte. Filmato amatoriale certamente e con alcuni passaggi di troppo nel montaggio, ma da cui già si evince che i “pacifici manifestanti” descritti dall'americano Human Right Watch (http://hrw.org/english/docs/2008/03/02/armeni18189.htm “Armenia: Police Beat Peaceful Protesters in Yerevan”) tanto pacifici poi non fossero. Per un'altra cronaca dei fatti cfr. di Andrei ARESHEV “An orange revolution scenario in Armenia: final countdown” in (http://en.fondsk.ru/article.php?id=1254)
[2] Levon Ter-Petrosian fu il primo presidente dell'Armenia post-sovietica dal 1991 al 1998. Il testo riportava alla traduzione russa della costituzione armena in http://www.regnum.ru/news/539214.html. Per la cronaca la costituzione armena è stata oggetto di un referendum il 27/11/2005 in virtù del quale i poteri presidenziali sono stati fortemente limitati a beneficio dei poteri parlamentari (riforma richiesta dal Consiglio d'Europa). Il testo integrale della nuova costituzione armena è disponibile anche in inglese sul sito del Presidente dell'Armenia (http://www.president.am/library/eng/?task=41) e nella fattispecie l'articolo 56.1 è riportato in: http://www.president.am/library/eng/?task=41&id=4&page=2
[4] L'ultima mossa di Levon Ter-Petrosian è stata la richiesta di una commissione d'inchiesta internazionale con poteri extra-giurisdizionali su territorio armeno, come appare in questo articolo di Armen Ayvazyan, “Ter-Petrosyan’s Objective: International Inquiry into the March 1 Events in Armenia” in http://en.fondsk.ru/article.php?id=1266 (N.d.T.).
[6] L'analogia con la nota setta totalitaria «Testimoni di Geova», il cui quartier generale si trova negli USA a che è molto attiva nei Paesi dell'ex-URSS, non è casuale. Secondo alcune testimonianze la maggioranza assoluta di sette come i «Testimoni di Geova» o «Livets Ord» (“Parola di Vita”, setta nata in Svezia e diffusasi in tutta l'ex-URSS, N.d.T.), ha votato per Levon Ter-Petrosian, e nella repubblica armena sono centomila i seguaci di culti distruttivi, attivi maggiormente nelle regioni periferiche. Le azioni di alcuni dimostranti, mentre si avventavano contro l'esercito con spranghe di ferro e mattoni, ricordavano proprio atteggiamenti da «zombi» (N.d.A.)
[8] L'articolo rimanda a un blog armeno: l'indirizzo web non è più valido ma, girando fra gli scritti pubblicati in quei giorni sullo stesso blog si risale alla seguente pagina dove compaiono un discreto numero di richiami alla disinformazione su vasta scala operata dalle opposizioni (http://pigh.livejournal.com/78203.html). Tra l'altro sempre l'autore di questo blog recupera in http://pigh.livejournal.com/79611.html un vecchio articolo del Washington Post datato 1996 che critica aspramente il nostro campione di democrazia Ter-Petrosian, allora presidente in carica, per aver falsato l'allora campagna elettorale contro l'allora candidato Vazgen Manoukian. Corsi e ricorsi della storia... (N.d.T.)
[11] Lo MNA (o HHS dall'armento Hayots Hamazgain Sharzhum, o AOD dal russo Armjanskoe Obsсhenacional'noe Dvizhenie), è il partito fondato da Levon Ter-Petrosian, al governo con lui dal 1991 al 1998, dopodiché caduto in disgrazia e oggi senza rappresentanza parlamentare (N.d.T.).
[12] La lunga intervista apparve il 26/02 sul giornale Gazeta in un articolo dal titolo alquanto ottimista («Я уверен, что скоро Путин поздравит меня», trad. “Credo che Putin presto si congratulerà con me”) e il testo integrale è riportato nel sito http://gzt.ru/world/2008/02/25/220007.html . (N.d.A.)
[14] Per una breve biografia del vice sottosegretario di Stato USA per gli affari Europei ed Eurasiatici, da Solidarnosc alle rivoluzioni arancioni, cfr. il sito del dipartimento di Stato statunitense (N.d.T.) http://www.state.gov/p/eur/rls/or/48913.htm
[15] Ex-segretario NATO e attuale Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune per l'UE (N.d.T.)
[16] Segretario Generale del Consiglio d'Europa (N.d.T.)
[18] Fra il 12 e il 13 maggio 2005 uomini armati presero d'assalto prima una caserma e poi una prigione dando inizio a moti di piazza che provocarono 176 morti secondo le fonti ufficiali. (N.d.A.)
[19] Queste parole nell'articolo originale aprono un collegamento all'editoriale dell'agenzia Prime Tass (http://www.prime-tass.ru/news/show.asp?id=2378&ct=articles) laddove si fa esplicito riferimento a un progressivo disimpegno russo nelle faccende interne dei Paesi una volta “fratelli” e ora sotto l'offensiva delle cosiddette “rivoluzioni colorate” (N.d.T.)
[20] Con l'aggressione armena e la sconfitta in guerra, l'Azerbaigian perse insieme al Dağlıq Qarabağ (il nome azero del Nagorno-Karabakh) circa il 20% del proprio territorio nazionale ed ebbe un milione di profughi (su una popolazione totale di circa otto milioni). Anche questa è una storia di cui si parla poco. Analogamente alle guerre balcaniche, uno dei primi effetti della guerra fu infatti la “pulizia etnica” di intere regioni e lo spostamento forzato di centinaia di migliaia di persone, che soltanto pochi anni prima lavoravano gomito a gomito e convivevano pacificamente all'interno dell'URSS. (N.d.A.)