www.resistenze.org - popoli resistenti - cile - 11-11-09 - n. 294

dall'autore - pubblicato in NuestrAmerica, Novembre 2009
 
Shock economy in salsa latina
 
di Andrea Necciai
  
Il Cile di Pinochet e le “cavie di laboratorio” dei Chicago Boys.
 
Negli ultimi decenni l’America Latina è stata il principale laboratorio di sperimentazione delle cosiddette “terapie di shock”, un insieme di misure economiche “di emergenza” (molto gradite a corporations e multinazionali) che comprendevano privatizzazioni su larga scala e drastici tagli alla spesa sociale. Applicati secondo i paradigmi del “libero mercato”, tutti questi provvedimenti hanno contribuito nel tempo a indebolire e depauperare interi Stati e popolazioni.
 
In uno dei suoi saggi più letti, il defunto economista Milton Friedman, considerato uno dei padri fondatori della dottrina neoliberista, sembrava aver trovato la panacea per il capitalismo moderno quando affermava che “soltanto una crisi, autentica o supposta, può produrre un cambiamento reale. Quando si produce una crisi, le azioni che si adottano devono dipendere dalle idee dominanti”. E Friedman seppe come sfruttare una crisi “su grande scala” quando, a metà degli anni 70, entrò in contatto con il dittatore cileno Augusto Pinochet.
 
In quel tragico capitolo della sua storia il Cile, già prostrato dal colpo di stato militare ai danni del governo legittimo del socialista Allende, stava soffrendo un periodo di grave crisi economica dovuto all'iperinflazione. Friedman colse la palla al balzo e raccomandò a Pinochet di imporre una repentina trasformazione dell'economia a base di tagli alle tasse, libero commercio, privatizzazione dei servizi pubblici, drastica riduzione della spesa sociale e deregulation. Il risultato fu la più grande trasformazione capitalista mai realizzata nella storia del Continente (meglio conosciuta come “Rivoluzione della Scuola di Chicago”). Ma le conseguenze furono soprattutto licenziamenti di massa, disoccupazione crescente e aumento delle povertà.
 
Nel frattempo analoghi processi venivano sperimentati negli stessi anni anche in Brasile, Uruguay ed Argentina, sempre contando sull’aiuto dei “cervelli” dell'Università di Chicago e sotto l’ala protettrice delle dittature militari. Vale la pena ricordare che queste importanti riforme economiche, messe in atto per il bene dei paesi “cavia”, venivano propinate alle popolazioni interessate con l’ausilio di terapie invasive in molte sale di tortura sudamericane, e grazie al meticoloso lavoro di soldati e poliziotti addestrati negli Stati Uniti.
 
Negli anni 80 e 90, epoca in cui le dittature lasciarono lentamente spazio a fragili democrazie, l'America Latina non riuscì lo stesso a sfuggire alla “dottrina dello shock”. Anzi, nuove crisi prepararono il terreno ad un'altra sfilza di “terapie d’urto” di stampo liberista: il problema dell'indebitamento agli inizi degli anni 80, seguito da un'ondata di iperinflazione e dal crollo dei prezzi delle materie prime, dalle cui esportazioni - del resto - dipendono ancora oggi molte economie della regione.
 
In Cile, malgrado dal 1990 sia in corso un singolare processo di transizione alla democrazia, “i dirigenti della Concertacion para la Democracia, la coalizione formata da democristiani, radicali e socialisti post Allende, avevano negoziato con la dittatura il ritorno ad una normalità democratica vigilata da Pinochet. Conosciamo alcuni dei diktat della dittatura: il modello economico imposto con successo a forza di sangue e terrore non doveva essere toccato; la costituzione fatta dal dittatore per garantire l’egemonia delle forze armate sulla società civile non doveva essere riformata; la sinistra sarebbe rimasta ai margini della partecipazione politica e si sarebbe continuato a stigmatizzare qualsiasi forma di dissidenza dal modello economico liberista, perché la nuova democrazia cilena era questo, un prodotto della nuova situazione di mercato. Tutta la vita sociale, culturale e politica doveva essere funzionale al modello economico.”*
 
In virtù di questi trascorsi, è logico ritenere che la rivolta contro il neoliberismo stia concentrando le sue avanguardie proprio in America Latina, dove intere popolazioni, istituzioni e movimenti politici continuano ad opporsi ad un modello economico che mostra sempre più le corde ma che ha ancora la forza di imporsi come sistema dominante.
 
Come “cavie” del primo laboratorio di shock i popoli latinoamericani hanno impiegato parecchio tempo a comprendere i meccanismi di funzionamento delle politiche neoliberali (e i loro disastrosi effetti); ma ora sembrano aver sviluppato i giusti anticorpi per proteggersi da nuovi, minacciosi venti di crisi. Alla ricerca di sistemi sociali più giusti ed egualitari, molti governi cercano oggi di gettarsi alle spalle - forse definitivamente - i fantasmi di un sistema economico devastante che per decenni ha avuto il solo merito di moltiplicare sofferenze e povertà dal Rio Bravo alla Terra del Fuoco.
 
Andrea Necciai
 
Note
* “Il potere dei sogni” di Luis Sepulveda - TEADUE, marzo 2008.