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Da Belgrado a Baghdad. La guerra che continua


di Babsi Jones  06/12/2002

L'intervista. Embargo, uranio, lazzaretti, miseria, malattie, il ruolo della Cia e i malcostumi della stampa. Ecco i principali temi affrontati durante l'incontro con Fulvio Grimaldi a margine della presentazione a Milano del suo nuovo video-reportage "Chi vivrà… Iraq!"
Parrebbe essere sempre la stessa moderna guerra massmediatica, quasi certamente germinata nei primi anni '90 fra le righe di un ormai popolare libro bianco della Cia, che candidamente confessava: "Saranno necessarie azioni belliche volte a garantire agli Stati Uniti l'egemonia mondiale". Questa guerra del nuovo millennio debutta nel Golfo all'inizio degli anni '90, transita attraverso l'implosione jugoslava con tutte le sue biasimevoli 'forze di pace', raggiunge Belgrado con i bombardamenti Nato del '99, approda in Afghanistan con toni ieratici ed ora preme nuovamente intorno all'Iraq, come un cerchio mortale in procinto di chiudersi.
Le prove generali messe in scena nel Golfo nel 1991 trovarono di fatto un battesimo in Serbia nel 1999: la si definì 'guerra umanitaria'. Quell'ossimoro, dopo l'11 settembre, si è rinominato in 'perdurante libertà': una missione non-stop di gendarmeria mondiale. Parrebbe esserci un copione, le parentele sono notevoli. Ne parlo a Milano (in una serata organizzata da Bovisa Verde, Verdi e PRC alla Biblioteca di via Baldinucci) con Fulvio Grimaldi: giornalista da quarant'anni 'contro', che presenta il suo nuovo reportage-video "Chi vivrà… Iraq!". Coraggioso esperto di questioni di politica internazionale, dall'Irlanda del Nord al Kurdistan, dal Libano alla Palestina, Grimaldi ha documentato con particolareggiati reportages ('Serbi da morire', 'Il popolo invisibile') i bombardamenti sulla Serbia del 1999, e da tempo segue le vicende irachene.

I temi dell'intervista:

1) Luoghi barbarici, o così pare…
2) Embargo, ovvero: recisione
3) L'invenzione del 'maligno'
4) I frutti marci della Cia
5)Truffe massmediatiche
6) I lazzaretti dei popoli di troppo
7) Codice u238: popoli di troppo

1. Luoghi barbarici, o così pare…

Fulvio, in queste due guerre che analizziamo stasera le somiglianze abbondano. Cominciamo con una distorsione percettiva: Belgrado e Baghdad che l'Occidente intende, grazie alla propaganda dei mass media, solo come luoghi barbarici. In realtà, tu che conosci bene entrambe le capitali, puoi tracciarne un ritratto ben diverso…
F.G. - Decisamente. Sono due luoghi, Baghdad e Belgrado, di antica e di altissima civiltà. Quel genere di civiltà che ci mette in imbarazzo e ci rende nostalgici, perché vi ritroviamo valori e modi di vivere che abbiamo perduto. Valori che si sono completamente smarriti nel tipo di vita moderna, che in Occidente è stata imposta dal dominio di certe culture: quella anglosassone in particolare. Antichissime civiltà che sopravvivono e sono sentite come presenti in due popolazioni, quella serba e quella irachena, con una grande coscienza di sé, niente affatto smarrite né disorientate come invece lo siamo noi. E sono popolazioni anche molto meno impaurite di quanto lo siamo noi, per quanto avrebbe validi motivi di esserlo di fronte alle minacce attuate dall'esterno. Sono popoli consapevoli della propria ricchezza passata che non hanno rinnegato. Gli iracheni sono la madre di tutte le civiltà: seimila anni fa, con i Sumeri, laggiù nacquero la ruota, la scrittura, le note musicali, il primo codice di diritto, le prime città. E anche le prime divisioni di classe, simboleggiate dalla famosa torre di Babele; si parla di 'dispersione dei linguaggi' e la torre di Babele è invece il simbolo d'una dispersione di gruppi sociali; la prima divisione di classi che da un lato vede i mercanti, i primi banchieri, i principi e i politici, e dall'altro lato i più poveri, i contadini, gli artigiani. Belgrado è la splendida capitale di una nazione meno antica rispetto all'Iraq, ma ha nel suo modus vivendi una calma consapevole che sfugge alla frenesia idiota del tempo occidentale. Nei Balcani i serbi hanno dato vita alla più alta espressione della civiltà bizantina prima dell'impero ottomano; sono sempre stati il fulcro in tutto quello che è accaduto in un'area di passaggio e transizione come i Balcani. Esattamente come gli iracheni, i serbi sono stati la componente più consapevole di sé e del proprio ruolo storico. Rispetto ad altri popoli alquanto disponibili al dominio straniero (non per far loro un torto ma per citare un dato storico, ad esempio, i bosniaci e gli albanesi, che sostennero gli ottomani; i croati poi sostennero gli austroungarici e la Germania nazista) i serbi hanno sempre avuto la volontà di resistere agli imperi e si sono sempre battuti contro i dominatori e gli invasori. Gli iracheni ed i serbi sono popoli con una forte e tranquilla coscienza di sé; ricchi di orgoglio consapevole, ma non arrogante o prevaricatore come può esserlo quello anglosassone. E' un orgoglio che nasce dalla coscienza di avere una collocazione storico-geografica ben precisa. In occasione dei miei ripetuti viaggi in Iraq, come m'era accaduto durante e dopo i bombardamenti in Jugoslavia, quello che mi colpisce è l'incredibile disponibilità e cordialità della gente: vedere come non siano affatto sospettosi nei confronti dei forestieri. Né i serbi né gli iracheni hanno subito il martellamento della diffidenza e della paura verso 'l'altro', che è poi la tecnica preferita di dominio occidentale.

2. Embargo, ovvero: recisione

Il primo vero e proprio parallelo che incontriamo parlando di Serbia ed Iraq è alla voce 'embargo'. Alla ex-Jugoslavia fu imposto nel 1991, e solo recentemente revocato; in Iraq l'embargo dura da dodici lunghi anni. Quali sono state e quali ancora sono in entrambi i paesi le conseguenze delle sanzioni?

F.G. -
Catastrofiche. Per parlare della Serbia, resto persuaso che nell'ottobre 2000, quando venne eletto Kostunica e si consegnò Milosevic all'Aja, se i serbi non avessero dovuto temere un ulteriore e catastrofico prolungamento dell'embargo con tutte le conseguenze immaginabili (mancanza di carburante ed elettricità, ad esempio, che rendevano la vita quotidiana insopportabile e mettevano costantemente a rischio le strutture sanitarie) non avrebbero fatto la scelta politica che hanno fatto e di cui, sono convintissimo, sono già pentiti. Tutti i disordini che si susseguono in Jugoslavia - i sabotaggi, gli scioperi, le facoltà universitarie occupate dagli studenti - sono il segno che i serbi hanno compreso quanto quella del 5 ottobre sia stata una svolta spaventosamente negativa. Per quanto riguarda l'Iraq, le conseguenze dell'embargo sono indescrivibili. Se non ci fosse un sistema statale di distribuzione di cibo gratuito con tessere annonarie (che i rappresentanti dell'Onu stessi, Hans Von Sponeck e Denis Halliday, hanno definito uno dei più efficienti e dei meno corrotti al mondo), un sostegno che alimenta con razioni minime di sopravvivenza l'85% della popolazione irachena, noi oggi saremmo di fronte a una vera e propria strage: sarebbero ipotizzabili milioni e milioni di morti. Embargo, poi, vale la pena ricordarlo, significa isolamento culturale, di cui entrambi i popoli hanno sofferto enormemente. Embargo significa non avere contatti con quello che accade altrove. Le scienze, le lettere, la ricerca. Per un decennio è accaduto molto nel campo della medicina, dell'astronomia, della fisica, della tecnologia telematica: eventi dai quali sia i serbi che gli iracheni sono stati letteralmente tagliati fuori. Esclusi, rinchiusi in un mondo a parte. Sono ansiosissimi di sapere, gli iracheni: portar loro riviste specializzate e filmati è un grande dono, perché significa dar loro un'opportunità di contatto col mondo dal quale sono stati letteralmente recisi. Lo stesso accadeva in Serbia negli anni dell'embargo. Ecco, l'embargo è una recisione. Embargo è come vivere chiusi in un camion blindato, dal quale non è possibile vedere nulla al di fuori e dentro il quale a nessuno è permesso guardare.

3. L'invenzione del 'maligno'

Mentre l'embargo compie la sua lenta ma inesorabile opera di devastazione del tessuto sociale ed economico in quelli che tu chiami 'i popoli di troppo', da parte dell'impero si verifica la creazione a tavolino del 'cattivo per antonomasia'. In Serbia fu Slobodan Milosevic, in Iraq è Saddam Hussein. Che genere di icone sono?

F.G. -
Stereotipi. La creazione del 'cattivo per antonomasia' non vede differenze. Il modulo è sempre quello, collaudato da tempo: si cominciò ad applicarlo nei confronti di Ho Chi Min, Fidel Castro, Makarios a Cipro, Jomo Kenyat. Tutti i leaders anticolonialisti sono stati sistematicamente satanizzati. Di fronte ad un torto gigantesco commesso - come quello del dominio coloniale, dello sfruttamento criminale - si deve in qualche maniera trovare un contraltare, una giustificazione da servire in pasto all'opinione pubblica. E la giustificazione è la criminalizzazione dei popoli, in primis dei loro leaders. Di recente una psicologa statunitense, lo ricordi anche tu, ha sostenuto una tesi di totale assurdità antiscientifica secondo la quale i serbi sarebbero congenitamente feroci. Il modello che si applica nella creazione del cattivo ad hoc - da Milosevic a Saddam - è ridicolmente simile. Si comincia col definirlo 'dittatore brutale e sanguinario'. Si sostiene che abbia depredato il popolo accumulando ricchezze e tesori. Gli si fabbrica intorno un'immagine familiare diabolica: figli scapestrati dediti a donne di malaffare e macchine sportive; mogli-arpie che sarebbero le vere responsabili nell'ombra delle ipotetiche malefatte del tiranno privatamente succube. Questo cliché della 'donna-sanguisuga' del dittatore ad hoc è servito in tavola alla società occidentale perché è una società maschilista, che lo riconosce istintivamente come un'ulteriore segnale di viltà. Stereotipi ripetuti banalmente per costruire un 'maligno assoluto'. Tu hai fatto un'osservazione acuta: è la ripetizione d'un copione, e trovo strano che l'opinione pubblica non si renda conto della serialità e della replica programmata che caratterizza tutte queste guerre 'moderne'. Saddam e Milosevic sono stati di certo oppositori della sopraffazione neocoloniale. Questo li accomuna. La differenza fra i due può emergere in questi termini: Milosevic, che persino le sinistre europee chiamavano acriticamente despota e dittatore, venne democraticamente eletto e sostenuto dal popolo serbo. Tu sai, e chi è stato in Serbia negli anni di Milosevic lo sa, che definirlo 'despota' significa sostenere una grande menzogna. Bastava vedere quanti organi di stampa indipendenti esistessero, quanti partiti candidati; bastava vedere come si tenessero regolari elezioni amministrative e politiche (le maggiori città della Jugoslavia erano governate dall'opposizione, del resto: Nis, Novi Sad, Kragujevac); le manifestazioni di protesta erano normalmente consentite e a dire il vero non si videro mai, in Serbia, le repressioni che poi si sarebbero viste a Genova. Tanta è la capacità della parola mediatica, da annullare la constatazione: sarebbe bastato andare in Serbia ed osservare la vita quotidiana per comprendere che Milosevic non aveva nulla a che spartire con un dittatore. La realtà è che le opposizioni in Serbia erano state letteralmente comprate dagli americani. Gli Usa cominciarono a stanziare, a partire dalla metà degli anni '90, centinaia di milioni di dollari destinati alle opposizioni anti-Milosevic. Crearono addirittura un movimento giovanile di pseudo-sinistra, Otpor. Questo movimento ebbe persino il riconoscimento come 'forza no-global' dai nostri disobbedienti locali, e a dire il vero fu un errore storico spaventoso: Otpor era una creazione della Cia. L'ha dichiarato la Bbc in un lungo reportage, e i leaders stessi di Otpor l'hanno ammesso. Sconcerta il fatto che vennero considerati 'colleghi di prospettiva' da un settore del nostro movimento di protesta. Per quanto riguarda Saddam, invece, non è evidentemente un governante democratico secondo la nostra definizione di democrazia. E' un autocrate, in Iraq vige un sistema monopartitico. In questi paesi che emergono dal sottosviluppo e dal colonialismo c'è una sola differenza che vale la pena approfondire: la differenza fra governi autocratici che fanno l'interesse esclusivo delle aristocrazie governanti (ad esempio, Arabia Saudita, Emirati, Kuwait), e governi autocratici che invece fanno gli interessi dei loro popoli. Il caso dell'Iraq appartiene alla seconda categoria: le risorse in Iraq sono state utilizzate per garantire al popolo sanità ed istruzione gratuita, ed i mezzi di sostentamento indispensabili. A questi popoli, che emergono da secoli di totalitarismi ed imperi, non si può domandare che in trent'anni anni maturino forme di democrazia come le conosciamo noi. Noi alle spalle abbiamo la Rivoluzione Francese, l'Illuminismo, la Comune di Parigi, la Rivoluzione Russa….Quello di popoli come l'Iraq è un altro percorso, che andrebbe riconosciuto nel suo contesto e rispettato. E' una tendenza tipicamente eurocentrica, e non soltanto delle destre, questa cecità che porta all'assenza di contestualizzazione.

4. I frutti marci della Cia

Sotto il 'cattivo per antonomasia', in entrambi i paesi fermentano realtà allarmanti: alla guerra in Serbia ci si arriva 'benedicendo' l'Uck (esercito di liberazione del Kosovo, ndr), mentre in Iraq ci stiamo approdando per via d'una 'caccia all'uomo' che risponde al nome di Bin Laden. Esaminato nell'ottica del copione bellico che torna in scena, il binomio Uck-Al Qaida è implausibile?

F.G. -
Niente affatto, è plausibile, quasi ovvio. Ci sono i fatti. Al Qaida era presente prima in Bosnia, poi in Kosovo. Bin Laden pare avesse un passaporto bosniaco concessogli da Izetbegovic stesso (l'allora presidente della Bosnia musulmana, ndr), e i suoi scherani addestrati nei campi afghani - che fossero algerini o sauditi poco importa - operavano accanto alle milizie musulmane, celebri come 'tagliatori di teste'. E gli istruttori dell'Uck dei primi anni partivano dai campi di Al Qaida, di differenti nazionalità ma tutti provenienti dall'Afghanistan. A dire il vero questi 'signori' non li troviamo solo in Bosnia e in Kosovo: sono presenti ovunque l'impero americano debba operare in maniera destabilizzante: in Algeria, in Cecenia, ad esempio. Al Qaida funzionava e funziona al servizio della Cia. Ovunque la Cia abbia interesse a destabilizzare Paesi che stanno sulle rotte del petrolio, eccoli arrivare. Questo è il ruolo di Al Qaida: mai rinnegato, del resto.

5. Truffe massmediatiche

Tutti gli atti del copione, dalla creazione del 'cattivo' su misura all'occultamento dei legami fra la Cia ed i combattenti di turno, fino alla produzione di truffe massmediatiche come quelle di Racak in Kosovo, e persino gli stessi negoziati-farsa (in Serbia, Rambouillet; oggi, le ispezioni Onu in Iraq) farebbero pensare ad un vero e proprio allestimento propagandistico…

F.G. -
Esattamente. Conosci bene le agenzie di 'pubbliche affairs' che operavano già in Jugoslavia… Come la Ruder&Finn, ad esempio, che è sul libro-paga del Pentagono e riceve 17 milioni di dollari annui. Il direttore di Ruder&Finn ha rivendicato, in un'intervista molto conosciuta, la giustezza di tutta questa serie di invenzioni e di falsità create a tavolino perché, sosteneva, sono efficaci per sconfiggere un 'nemico della democrazia' e fare avanzare gli interessi della civiltà occidentale. Srebrenica, ad esempio, fu uno degli affari curati da Ruder&Finn in Bosnia. L'agenzia 'pubblicitaria' fece il suo colpo più grosso, probabilmente, quando attribuì agli iracheni, al momento dell'invasione del Kuwait nel '90, il crimine d'aver staccato le prese delle incubatrici nei reparti neonatali degli ospedali del Kuwait. E' stata poi provata essere un'invenzione architettata da Ruder&Finn, e l'infermiera piangente che aveva in video denunciato la tragedia di questi neonati morti per colpa di un gesto criminale iracheno è risultata essere la figlia dell'ambasciatore del Kuwait a Washington. Lo scenario era un ospedale americano allestito affinché avesse l'apparenza un ospedale in Kuwait...

6. I lazzaretti dei popoli di troppo

Ecco, gli ospedali ci offrono un ulteriore punto di sviluppo del copione bellico. A Belgrado fu ripetutamente violata la convenzione di Ginevra sganciando bombe sul reparto di neonatologia; e le notizie che giungono dagli ospedali iracheni, come quello di Al Mansur, sono terrificanti…

F.G. -
Quello che ho registrato e testimoniato è stato anche accertato da tutti gli esperti dell'Onu che si sono occupati della situazione sanitaria irachena e che si sono regolarmente dimessi in segno di protesta contro l'embargo (Hans Von Sponeck, Denis Halliday). Tutti lavoravano in progetti Onu di sostegno alla popolazione irachena e se ne sono andati dicendo che era in atto un vero e proprio genocidio. La mortalità infantile in Iraq a causa dell'uranio e dell'embargo è quadruplicata; la leucemia infantile è decuplicata; la leucemia, che nelle società industrializzate occidentali ha un indice di letalità dal 20 al 40% dei casi, in Iraq sono al 100%. In pratica, i bambini leucemici che entrano negli ospedali di Bassora e di Baghdad non ne escono più. Lo stesso vale per quelli che entrano con la dissenteria, e la dissenteria è l'altra tragica malattia che colpisce la popolazione infantile. La condizione sanitaria in Iraq è, come l'hai definita tu, terrificante.

7. Codice u238: popoli di troppo

Come abbiamo visto, l'apparato bellico rincorre un protocollo preciso per mettersi in movimento. Per primo viene l'embargo. Poi, le pasquinate diplomatiche, Rambouillet ed ispezioni, falliscono come annunciato. Infine si bombarda. Ed è a questo punto che la trama funesta che accomuna la Serbia all'Iraq si perfeziona e si condensa un codice: u238, uranio impoverito…

F.G. -
Io credo che questa sia una delle essenziali motivazioni di tutte le guerre dell'imperialismo: danneggiare i paesi in modo definitivo. Uno dei miei reportages in video, che tu ricordavi prima, s'intitolava 'Popoli di troppo', ed è un titolo tragicamente azzeccato. Si tratta davvero di popoli in eccesso, che non servono. Perché sono nel posto sbagliato al momento sbagliato; gli iracheni, ad esempio, stanno seduti sui più grandi giacimenti di petrolio del mondo; i serbi stanno nel punto nevralgico della geografia balcanica, quel percorsi che tutte le materie prime debbono percorrere; sono popoli di troppo e non solo vengono sconfitti -a quello scopo ecco le bombe-, ma è la devastazione dell'ecosistema che è di lunghissima durata e che è concepita per liquidarli. Il debutto di queste armi nucleari striscianti è proprio nella guerra del Golfo; la guerra in Vietnam era stata una guerra chimica, di defoglianti, come ricordiamo. La vera prima guerra nucleare, da Hiroshima in poi, è quella irachena. Era chiaro che l'opinione pubblica non avrebbe facilmente accettato un'altra bomba come quella sganciata ad Hiroshima: hanno pensato bene di trasformarla in una guerra strisciante ma non meno radioattiva. Lo scopo è chiaro: togliere di mezzo le popolazioni compromettendo le base stessa della vita. In Iraq, dopo 10 anni di contaminazione da uranio, il cervello dei neonati è in media di due centimetri più piccolo di quelli che nascevano prima della guerra, e la statura dell'iracheno medio è calata di altrettanti due centimetri. Si tratta proprio di minare i popoli nella salute, attraverso la contaminazione delle principali risorse, e l'embargo altro non fa che aggravare la situazione, vista la mancanza assoluta di terapie: in pratica, il sistema affinché un popolo vada lentamente ed inesorabilmente estinguendosi. In Iraq non c'è nulla che non sia contaminato. Un recente documento de-secretato del Pentagono rivela gli obiettivi dei bombardamenti sull'Iraq del '91. Erano tutti obiettivi in correlazione con le risorse primarie per la vita: centrali elettriche, centrali idriche. Lo stesso accadde in Serbia, come ricordi, dove la situazione ambientale a causa ai bombardamenti Nato è allarmante. In Iraq, grazie alla distruzione di infrastrutture di base come le centrali idriche, e l'impossibilità di ripararle a causa dell'embargo, si muore come mosche: per l'acqua contaminata, ad esempio. I sistemi di depurazione vengono proibiti dall'embargo come sappiamo perché potrebbe trattarsi di eventuali 'dual use'. Per questo annientamento dei 'popoli di troppo' si creano le premesse attraverso la prima fase -i bombardamenti- che è la più rumorosa e che sollecita maggiore partecipazione emotiva dell'opinione pubblica; ma la guerra di lunghissima durata e senza attori in prima linea comincia in seguito, e vede estinguersi un popolo, fisicamente ed intellettualmente. Sai, Wilson, che era presidente degli Stati Uniti nel 1918 disse: "l'embargo è un sistema eccellente per liberarsi di popoli in eccesso, perché è un metodo silenzioso, efficiente e letale". Come nelle grandi guerre del medioevo, del resto: accerchiare una città e ridurla allo stremo per fame, sete e peste. E ancora di questo si tratta oggi, da Belgrado a Baghdad il copione è invariato.