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Settant'anni
fa cadeva, sotto i colpi dei militari di Somoza, Augusto Cesar Sandino, padre
dell'indipendenza nicaraguense. Alle sue gesta si ispirò poi il Fronte
sandinista
Il generale degli uomini liberi
Nella tarda serata del 21
febbraio 1934 un'auto ministeriale con autista e cinque passeggeri correva
nell'umida notte di Managua dal palazzo presidenziale alla casa del ministro
Sofonias Salvatierra. Oltre al ministro erano a bordo Augusto Cesar Sandino, il
"generale degli uomini liberi", suo padre Gregorio e due suoi
ufficiali Estrada e Umanzor, di ritorno da una cena offerta dal presidente
Sacasa, nel corso della quale si era discusso degli esperimenti di agricoltura
collettiva a favore dei contadini poveri e del ruolo della Guardia nazionale,
formalmente forza armata nicaraguense in realtà fedele solo al suo comandante,
Anastasio Somoza, di cui tutti conoscevano i legami con il governo Usa. Quella
sera Sandino era tranquillo, certo di aver dato al suo paese, dopo oltre sette
anni di guerriglia del suo "ejercito defensor de la soberania nacional de
Nicaragua", indipendenza e pace: gli americani se ne erano andati e il
nuovo presidente, per quanto debole, offriva garanzie alle quali il generale
aveva creduto fino a far disarmare i suoi.
Perciò fermò la reazione dei suoi compagni quando un plotone di soldati bloccò
la macchina; chiese solo, inutilmente di essere messo in comunicazione con
Sacasa e con Somoza. Disarmati e gettati brutalmente su un camion Cesar
Sandino, Estrada e Umanzor furono trasportati nella località periferica detta
la Calavera e fucilati.
Meno di due anni dopo Somoza era presidente di un paese terrorizzato e dolente:
la guardia nazionale aveva massacrato non solo i sandinisti ma interi villaggi
contadini, primo fra tutti Wiwili, principale esperimento di agricoltura
collettiva dove nessuno dei trecento abitanti scampò all'eccidio. Il presidente
Sacasa chiese la punizione degli assassini e ottenne qualche bugia, si rivolse
a Washington denunciando le simpatie naziste, peraltro non nascoste, di Somoza
e delle sue camicie azzurre, senza risultato. Non gli resterà che salvarsi la
vita con una fuga in Salvador.
Il "generale degli uomini liberi" (la definizione è di Henry
Barbousse) era nato il 18 maggio 1895 nel villaggio di Niquinohomo nella
montuosa regione Las Segovias dall'incontro fra un piccolo proprietario
terriero, Gregorio Sandino, e una ragazza india, Margarita Calderon. Una
relazione non coronata da matrimonio ma Gregorio riconobbe il figlio e lo portò
nella sua casa considerandolo al pari dei fratelli legittimi, uno dei quali,
Socrates, sarà legato a Cesar da una profonda amicizia e combatterà al suo
fianco.
Cesar Sandino ragazzo e adolescente, assisté alla caduta del presidente Zelaya,
liberale blandamente progressista ma geloso dell'indipendenza del suo paese, al
primo sbarco dei marines Usa a sostegno del colpo di stato del partito
conservatore, alla ribellione del generale indio Zeledon, schiacciata nel
sangue. Giovane e già esperto meccanico nel 1920 fu coinvolto in una rissa e
costretto ad espatriare in Honduras, in Guatemala, e infine in Messico a
Tampico, città operaia con una vivace presenza sindacale, dove ebbe la
possibilità di dare uno sbocco politico alle sue confuse idee di giustizia
sociale e indipendenza nazionale, scoprendo il legame fra i discorsi di Simon
Bolivar, letti nella biblioteca paterna e le miserabili condizioni di vita di
sua madre. Individuò anche il nemico da battere, l'imperialismo Usa.
Con questo bagaglio, più qualche risparmio ed una pistola, nel 1926 tornerà nel
Nicaragua ancora una volta invaso dai marines accorsi a sostenere i
conservatori minacciati da una rivolta liberale.
Cesar Sandino fu accolto con diffidenza da patrioti sinceri che volevano
l'indipendenza nazionale ma mantenendo ben ferme le distinzioni di classe:
«Terra ai contadini» è una parola d'ordine "bolscevica" e i
bolscevichi non hanno buona fama nella borghesia latino americana.
Rispondono invece con slancio, contadini operai e ragazze di vita di Puerto
Cabezas, con l'aiuto dei quali vengono recuperati fucili e munizioni gettati in
mare per ordine degli statunitensi. Di queste armi e di trecento uomini è fatto
il nucleo iniziale dell'esercito sandinista che ha nel suo programma politico,
oltre alla fine di ogni intromissione militare, politica e economica degli Usa
in Nicaragua, la riforma agraria, il controllo del lavoro di donne e minori,
l'istruzione e la sanità pubbliche e gratuite.
Aderiscono i vecchi militanti delusi dai vecchi capi nazionalisti, uomini e
donne dei villaggi indios depredati, operai, studenti e anche rivoluzionari
provenienti da tutta l'area latino-americana, tra i quali il salvadoregno
Farabundo Martì, più tardi fondatore del partito comunista del suo paese e
fucilato dal dittatore Martinez. «Avremo in Nicaragua il nostro trionfo
definitivo» scrive Sandino «con cui si accenderà la miccia dell'esplosione
proletaria contro gli imperialisti della terra».
Contro l'esercito rivoluzionario si scatena la guardia nazionale voluta ed
armata dagli Usa ma la guerra di guerriglia ha l'appoggio degli uomini, delle
donne, dei ragazzini dei villaggi di montagna mentre la notizia delle sue
vittorie si diffonde nel mondo e il "generale degli uomini liberi" entra
nella storia del movimento operaio e proletario.
Non sarà una sconfitta militare a determinare la caduta di Sandino ma il
tradimento di una borghesia per la quale l'indipendenza nazionale vale
infinitamente meno dei propri privilegi e il nemico principale non è l'invasore
ma il proprio popolo. Il pur progressista governo messicano negherà il suo
appoggio e le calunnie su un presunto tradimento di Sandino troveranno credito
perfino nei partiti comunisti della regione e nella Terza internazionale che lo
accuserà di essere «un piccolo borghese nazionalista che si è venduto facendo
fallire la rivoluzione».
Come in Italia, come in Germania in tempi e modi diversi, un governo
sinceramente democratico del quale facevano parte molti uomini onesti, aprì le
porte alla dittatura rimanendone travolto. La famiglia Somoza restò al potere
fino al 19 luglio 1979, quando il Fronte di liberazione nazionale che portava
il nome di Sandino guidò la rivoluzione vittoriosa per finire a sua volta
sconfitto, dopo pochi anni di una faticosa e esaltante costruzione di una
realtà più giusta. Sconfitto dalla stessa borghesia che aveva ucciso la
speranza dei cileni e come il Cile il Nicaragua tornò nel "cortile di
casa" degli Stati Uniti.
Bianca Braccitorsi