La politica dell’URSS tra il 1975 e il 1985
di Marcello Graziosi
““Carneade! Chi era costui?” ruminava tra se don Abbondio seduto sul suo
seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libricciolo aperto
davanti, quando Perpetua entrò a portargli l’imbasciata. “Carneade! Questo nome mi pare d’averlo letto o
sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un
nome di quelli; ma chi diavolo era costui? ””.
Non stupisca i presenti questo inusuale incipit manzoniano, che ha il pregio di
descrivere nel migliore dei modi il clima di attesa che si respirava nella
grande sala di San Giorgio, al Cremlino, nella serata del 15 novembre 1982,
quando i massimi dirigenti delle maggiori potenze mondiali erano sul punto di
incontrare il Segretario Generale del PCUS, Yuri Andropov, tre soli giorni dopo
la nomina e cinque dopo la morte di Breznev. Se si parte dal presupposto che la
CIA non aveva alcuna informazione certa relativa, ad esempio, alla moglie, non
è difficile comprendere il grado di smarrimento dell’amministrazione Reagan,
che aveva scommesso su una lunga fase di assestamento in URSS per il dopo
Breznev.
Vale la pena anche per noi gettare un occhio su alcuni passaggi fondamentali
della biografia politica di Andropov, originario del Caucaso del Nord e salito
ai massimi vertici del partito e dello stato sovietico non più giovanissimo,
all’età di 68 anni:
a) Dopo un ventennio di esperienza in diverse organizzazioni del Komsomol, nel
luglio 1951 egli è stato trasferito a Mosca presso il Comitato Centrale, per
poi essere inviato in Ungheria presso l’ambasciata dell’URSS. Nel corso del
difficile anno 1956, Andropov ha tentato fino all’ultimo di evitare la
precipitazione degli eventi, riuscendo a costruire un consenso sulla linea sovietica
all’interno del gruppo dirigente ungherese, tanto da convincere Nagy a
temporeggiare, ma anche lavorando per la prospettiva futura e proiettando ai
vertici del partito ungherese Kadar, imprigionato all’epoca di Stalin, con una
lungimiranza che sarebbe emersa a partire dagli anni immediatamente successivi;
b) ritornato a Mosca con l’incarico di guidare il Dipartimento del CC
incaricato dei rapporti con i partiti comunisti al potere, ha vissuto in prima
persona l’emergere delle divisioni e poi l’aperta ostilità tra Cina ed URSS,
che tanto peso ha avuto e continua ad avere nelle relazioni interne al
movimento comunista internazionale. Anche in questa fase Andropov, pur senza
entrare in rotta di collisione con la maggioranza del Politburo, a partire da Suslov,
pare aver tenuto una linea di maggiore prudenza, nel tentativo di salvare
almeno l’unità d’azione strategica contro l’imperialismo. Nel frattempo, a
partire dal novembre 1962, Andropov entrava a far parte del Segretariato del
CC;
c) dal maggio 1967 al 1982 è stato designato alla guida del Kgb. La sua azione
si è caratterizzata per la grande visione d’insieme, a partire dalla
costruzione di profonde sinergie con la politica estera sovietica, per il
grande equilibrio nel mantenere una struttura, divenuta influente, forte e
moderna, sotto lo stretto controllo del partito, per la lotta alla corruzione.
In questi anni Andropov, muovendosi con abilità e discrezione, ha tentato, pur
se inutilmente, di modificare gli orientamenti del Politburo su due crisi esplosive
come la Cecoslovacchia e, soprattutto, l’Afghanistan, onde evitare in entrambi
i casi la precipitazione degli eventi ed il successivo (ed a quel punto
difficilmente evitabile) intervento diretto sovietico.
Personalità complessa quella di Andropov, certamente non dogmatica, scrupolosa
nell’analisi delle carenze del sistema, ma attenta a promuovere le modifiche
individuate come utili non solamente con la gradualità necessaria, attraverso
sperimentazioni e puntuali verifiche, ma senza mai debordare al di fuori del
controllo del partito e della prospettiva di edificazione di un sistema
economico e sociale socialista. Un compagno che ha sempre preferito il lavoro
minuzioso ma di prospettiva alle azioni eclatanti ed alle dichiarazioni
altisonanti (1). Questi tratti caratteristici li ritroviamo
puntualmente in un lungo ed interessante articolo teorico redatto dal
Segretario Generale del PCUS per la rivista Kommunist, fonte preziosa per
comprendere l’impostazione analitica andropoviana (2)
“Io non possiedo ricette precostituite e non si possono affrontare le singole
situazioni solamente attraverso frasi fatte”, ha esordito Andropov alla prima
riunione del CC successivo alla sua nomina. Per poi sottolineare nell’articolo
sul Kommunist: “Il marxismo non è un dogma, bensì una viva guida per l’azione,
per il lavoro autonomo atto a risolvere i complessi problemi che ogni nuova
svolta storica ci impone… Solo un siffatto atteggiamento verso il nostro
inestimabile retaggio ideale, atteggiamento di cui Lenin diede un esempio, solo
questo continuo autorinnovarsi della teoria rivoluzionaria sotto l’azione della
prassi rivoluzionaria rendono il marxismo una scelta autentica e l’arte della
creatività rivoluzionaria”.
Trasformazione economica e prospettiva
socialista
L’attenzione al rilancio dell’economia sovietica costituisce il cuore
dell’azione politica di Andropov, come elemento ineludibile nel momento in cui
era fondamentale quella parità strategica con gli Usa tanto difficilmente
raggiunta, a maggior ragione in una fase di logoramento delle relazioni
internazionali. Non che l’economia sovietica fosse in crisi, e questo è bene
precisarlo subito. E’ vero però che dopo una fase di crescita accelerata,
favorita senza dubbio dai bassi livelli di partenza, nell’ultima fase della
gestione brezneviana i tassi di sviluppo avevano subito un brusco
rallentamento, dovuto tanto a fattori oggettivi (crisi economica complessiva),
quanto ad elementi soggettivi o, per meglio dire, a quelli che erano emersi
come limiti strutturali dell’economia sovietica. Il nodo irrisolto, al di là
della fraseologia ufficiale relativa al “socialismo maturo” o “realizzato”,
continuava ad essere quello del passaggio da un sistema di sviluppo incentrato di
fatto sul modello staliniano, caratterizzato da una rigida pianificazione
centralizzata e teleologica, da rapporti agrari collettivi e da uno sviluppo
ipertrofico dell’industria pesante, e finalizzato ad una crescita estensiva e
quantitativa della produzione, ad un modello più equilibrato, a partire tanto
dal rapporto tra industria pesante e dei beni di consumo quanto dal rapporto
quantità-qualità.
Nonostante diversi tentativi di riforma, alcuni traumatici e velleitari
(Kruscëv), altri più graduali (Kossygin 1964-65, con l’introduzione di sistemi
matematici di direzione e controllo dell’economia, uso degli incentivi
economici legati ad efficienza e qualità dei prodotti e calcolo più razionale
dei profitti aziendali), non si sono registrati significativi mutamenti, se non
la predisposizione di Breznev a favorire la crescita dei consumi interni
insieme al raggiungimento della parità strategica con gli Stati Uniti, con una
conseguente rivoluzione delle aspettative del cittadino e, più
complessivamente, di una società sovietica fattasi enormemente più complessa.
Tutto questo richiedeva un salto di qualità dell’intero sistema economico
sovietico, a partire dal superamento delle evidenti strozzature interne al
sistema produttivo e dal miglioramento della qualità dei prodotti, da
perseguire attraverso l’applicazione delle tecnologie più avanzate (rivoluzione
informatica e microelettronica, automazione, robotizzazione), superando un
ormai cronico calo della produttività del lavoro ed un evidente deterioramento
nell’efficienza degli investimenti.
Il nodo teorico continuava ad essere quello del ruolo dell’economia di mercato
e delle sue strutture nel contesto della transizione verso il socialismo con un
dibattito che, pur senza raggiungere i livelli alti degli anni ’20, ha
mantenuto i caratteri di apertura, pluralità e prospettiva (3)
Per dirla con Andropov, “Non si può non vedere che il nostro lavoro diretto al
perfezionamento ed alla riorganizzazione del meccanismo economico, delle forme
e dei metodi di gestione, è rimasto indietro rispetto allo sviluppo
tecnico-materiale, sociale e spirituale raggiunto dalla società sovietica”(4). Di conseguenza, occorre “attuare l’automazione della
produzione, assicurare l’ampio ricorso a computer e robot, l’introduzione di
una tecnologia flessibile che permetta di riconvertire rapidamente ed
efficacemente la produzione per la fabbricazione di nuovi prodotti”(5)
Come fare? A partire dal marzo 1983 è stato introdotto il “contratto
collettivo” prima in agricoltura e poi, attraverso un’attenta e verificata
sperimentazione, in cinque settori dell’industria, sulla base dei principi
contenuti nella Costituzione del 1977. Questo elemento, unito a sistemi di
valutazione basati sulla capacità per ciascuna azienda di tener fede a
contratti liberamente stipulati con altre imprese, era volto a stimolare
l’autonomia e la responsabilità delle singole aziende, all’intero delle quali i
gruppi dei lavoratori organizzati potevano proporre, consigliare o suggerire
cambiamenti, con il dovere da parte dei dirigenti di fornire risposte adeguate
alle istanze provenienti dal basso. In questo modo, una pianificazione locale
si sarebbe affiancata a quella centrale, con un obiettivo futuro: una sorta di
autogestione.
Non è un caso che nel corso dei lavori del CC del giugno 1983 si siano poste le
basi per un aggiornamento complessivo del Programma del PCUS, il quarto dopo la
Rivoluzione, dal momento che alcune tesi “non hanno retto del tutto alla prova
dl tempo, poiché contenevano elementi di distacco dalla realtà, di fuga in
avanti, e si addentravano ingiustificatamente nei particolari”. Con un
obiettivo: “Un’analisi realistica – sono parole di Andropov – della situazione
esistente e chiari punti di riferimento per il futuro, che saldino l’esperienza
della vita con gli obiettivi finali del nostro Partito Comunista”(6)
Contemporaneamente, non si è fermata la campagna contro la corruzione, costata
il posto a diversi ministri ed esponenti di primo piano del governo sovietico,
elemento questo tutto sommato inusuale negli anni precedenti.
I risultati per l’anno 1983 sono noti, con un miglioramento complessivo e non
scontato dell’intera economia sovietica, a partire da uno settori di maggiore
sofferenza, nonostante i grandi investimenti degli anni precedenti, quello
agricolo e zootecnico.
Dalla distensione alla ripresa della guerra
fredda
Sul piano delle relazioni internazionali, il periodo brezneviano ha segnato il
superamento dell’unipolarismo statunitense, determinatosi dopo Hiroshima e
Nagasaki, attraverso la “distensione” e la possibile “convivenza pacifica”,
vero e proprio faro della politica estera di Breznev e Gromyko, in grado di
sostituirsi gradualmente alla guerra fredda. In questo contesto, l’Unione
Sovietica, dopo l’esperienza negativa della crisi dei missili a Cuba del 1962,
ha raggiunto la parità con gli Usa, non solamente sul piano della forza
nucleare, ma anche nella “capacità di proiezione militare complessiva nelle
varie aree del mondo”(7)
Il quadro della distensione ha retto fino a quando, negli Stati Uniti, ha
riprenso vigore il dibattito sul “cui prodest?”, partendo dal declino della
supremazia statunitense nel mondo (dall’affermazione dei movimenti di
liberazione nazionale in Africa e paesi arabi, alla formazione di governi
progressisti in America Latina, dalle crescenti difficoltà incontrate in
Vietnam, alla crisi petrolifera). Da questo punto di vista, all’irrigidimento dell’ultima
parte dell’amministrazione Kennedy seguiva l’aperta ostilità di Reagan nei
confronti dell’URSS, con la crisi sugli euromissili, gli interventi diretti in
America Centrale, l’Iran, il sostegno a Solidarnosc in Polonia, il sostegno
agli integralisti islamici in Afghanistan.
Un ritorno alla Guerra Fredda razionalmente perseguito dall’amministrazione
Usa, da una nuova corsa agli armamenti alla dottrina delle “aree di interesse
vitale” per la riconquista dell’egemonia, dall’elaborazione di una politica
economica volta a sfruttare la spirale del debito contro i paesi socialisti
(Ungheria e Polonia in primis) ma anche per assoggettare e ricattare il terzo
mondo (con i movimenti di liberazione equiparati a santuari del terrorismo),
alla crociata ideologica contro l’ ”Impero del Male”. Una strategia che ci
conduce inesorabilmente all’oggi, dopo la vittoria delle forze
controrivoluzionarie in URSS ed un decennio di guerre e conflitti imperialisti
imposti dagli Stati Uniti per il mantenimento della propria egemonia economica
e militare contro l’umanità intera ed il diritto internazionale, nonostante la
crisi attuale del sistema capitalistico nella sua dimensione globalizzata. Con
un obiettivo finale: colpire la Cina (a proposito di transizioni dal
capitalismo al socialismo…).
Questa la situazione ereditata da Andropov, con la necessità urgente di reagire
di fronte all’offensiva totale scatenata dall’imperialismo Usa, senza tuttavia
intaccare i pilastri della politica estera brezneviana e, soprattutto, partendo
dal presupposto che “è più facile costruire una nuova società attraverso un
rilassamento delle tensioni ed una riduzione della corsa agli armamenti”(8). Quali, in questo difficile contesto, gli orientamenti di
fondo della politica estera sovietica?
a) lavorare sì ad un compromesso con gli Stati Uniti a partire proprio dalla
crisi sugli euromissili, ma tentando di influenzare il dibattito e le opinioni
pubbliche dei paesi dell’Europa Occidentale nel tentativo, purtroppo fallito,
di smascherare l’intransigenza dell’amministrazione Reagan, ritenuta
irrimediabilmente reazionaria, e favorire l’elezione di governi meno ostili
all’URSS di quanto non fossero quelli guidati da Thatcher, Mitterand e Kohl.
Una volta fallito il tentativo, Andropov ha rifiutato qualsiasi vertice ai
massimi livelli con gli Usa che non garantisse il ritorno alla distensione,
ribattendo colpo su colpo alle campagne di Washington;
b) riconciliazione con la Cina pur senza alcuna concessione unilaterale, ma
nella consapevolezza della necessità di evitare l’isolamento e partendo dal
presupposto che non esiste un unico percorso per costruire il socialismo e che,
di conseguenza, se si intende consolidare la coesione dei comunisti, occorre
partire dall’analisi scientifica oggettiva delle eventuali divergenze;
c) tentativo da una parte di rilanciare una soluzione politica in Afghanistan,
resa impossibile dall’atteggiamento pregiudizialmente ostile degli Usa, e,
dall’altra, di recuperare parte dell’influenza perduta in Medio Oriente,
giungendo ad un accordo di pace che vedesse l’URSS come co-garante insieme agli
Usa;
d) stringere i ranghi in Europa Orientale ma senza interventi diretti da parte
sovietica, tentando di introdurre quelle riforme in grado di riavvicinare i
partiti al potere con le rispettive società civili, mantenendo il più possibile
inalterato il ruolo guida dei comunisti.
Nel suo intervento scritto inviato al CC del dicembre 1983, Andropov ha
sottolineato che “Con le decisioni elaborate collettivamente dal Plenum di
novembre abbiamo scosso i lavoratori, li abbiamo orientati verso un buon lavoro
ed abbiamo generato così grandi aspettative. Molto è stato fatto, ma molto è
ancora da fare”. Una sorta di epigrafe, che avrebbe potuto e dovuto consegnare
ai successori la testimonianza viva della possibilità di riformare anche in
profondità il sistema sovietico, avendo come punto di riferimento la
costruzione di una società socialista prima e comunista poi, senza fughe in
avanti ma con la necessaria elasticità, con fiducia nella prospettiva
strategica dei comunisti e dell’URSS e senza cedere all’offensiva del
capitalismo e delle forze controrivoluzionarie. Si sarebbe potuto osare, ma non
si è osato, e la storia ha preso una piega differente, con le conseguenze che
sono sotto gli occhi di tutto il mondo. Dobbiamo avere la forza di chiederci il
perché, con umiltà certo ma anche con la necessaria fiducia nella nostra
prospettiva.
NOTE:
1) Per una biografia di Andropov, J.Steele ed E. Abraham,
Andropov in power. From
Komsomol to Kremlin, Martin Robertson, Oxford 1983. Inoltre, S. Bertolissi,
“L’ascesa di Jurij Andropov”, in “Rinascita”, n. 44, 19 novembre 1982.
2) J. Andropov, “L’insegnamento di Karl Marx e alcuni problemi
dell’edificazione socialista nell’Unione Sovietica”, in “Nuova unità”, 12
maggio 1983.
3) Un dibattito troppo spesso trascurato o sottovalutato, che ha attraversato
l’intera esperienza sovietica, sebbene non con la stessa intensità, sul quale
occorre investigare a fondo, senza schematismi e preconcetti.
4) Andropov, “L’insegnamento di Karl Marx…”, cit., p.8.
5) J. Andropov, “Relazione al plenum del Comitato Centrale (15 giugno 1983)”,
in “URSS Oggi”, Anno XII, n.11 (giugno 1983), p.9.
6) J. Andropov, “Relazione…”, cit., p. 7.
7) R. Ledda, “Distensione sì, ma anche parità con gli USA”, in “Rinascita”, n.
44, 19 novembre 1982.
8) Andropov sulla Pravda del 23 aprile 1976. In Steele/Abraham, cit., p. 146.