Tale politica da un lato ha permesso a Putin il sostegno della maggior parte della popolazione, ma dall’altro ha suscitato reazioni decisamente negative da parte dell’Occidente e del grande capitale russo. Così, sotto l’influenza di queste forze Putin è stato costretto a lasciare la strada del capitalismo di Stato e a sostenere la candidatura di Dmitrij Medvedev, esponente dell’ala liberale del potere. Che Medvedev voglia mettere la parola fine alla politica di nazionalizzazione e di creazione di corporazioni statali, è quanto si può già leggere nelle sue prime dichiarazioni programmatiche[7].
L’esito delle campagne elettorali sia per le elezioni politiche per la Duma che per le presidenziali, ha visto una diversificazione delle posizioni degli elettori secondo un criterio di classe: infatti a Mosca, specialmente nelle circoscrizioni più ricche, il partito «Russia Unita» capeggiato da Putin ha raccolto voti in una percentuale significativamente minore rispetto alla media nazionale; eppure, in quelle stesse circoscrizioni, Medvedev ha raccolto ancora più voti di della già alta percentuale nazionale. Nel quartiere Khamovniki e nell’Arbat Medvedev ha avuto il 76% dei consensi, contro il 70% della media nazionale, mentre soltanto due mesi prima alle elezioni parlamentari il partito «Russia Unita» prese il 46% nel quartiere Khamovniki e il 55% nell’Arbat, contro un 64% a livello nazionale. E’ evidente quindi come in questi quartieri di lusso di Mosca Medvedev goda di un 20-30% di consensi in più rispetto al partito «Russia Unita» e sulla base di ciò concludere che l’alta borghesia russa abbia votato contro Putin e per Medvedev.
Vale la pena a questo punto definire alcuni tratti della borghesia russa. Essa non ha alcun disegno imperialista proprio, ma dipende in tutto e per tutto dal campo imperialista[8] e neppure pensa di trarre profitto dalla crisi economica mondiale o dal potenziale bellico ereditato dall’URSS per mantenere vaste aree di pianeta sotto il proprio controllo. E’ per questo che alle ultime elezioni ha penalizzato la «mobilitazione» di Putin e premiato il «disgelo» di Medvedev[9].
Allo stesso tempo la borghesia russa può riuscire nel suo intento di essere riconosciuta dall’Occidente come alleato principale ed esponente del campo imperialista nello spazio post-sovietico. Per questo essa è assolutamente disposta a battersi per provare all’Occidente che in prospettiva potrà appoggiarsi a loro e non a regimi come quello di Juschenko[10]. In questo senso, è possibile anche che il rallentamento dell’ingresso nella Nato di Ucraina e Georgia sia stato un segnale in risposta all’elezione di Medvedev alla presidenza russa.
Ciò comporta a sua volta che allo stato attuale è impossibile una nuova guerra mondiale sotto forma di schermaglie fra blocchi imperialisti contrapposti. Le future guerre, sulla falsariga delle aggressioni alla Jugoslavia e all’Iraq, esprimeranno in effetti la repressione del centro imperialista delle ribellioni della periferia. A oggi appare sempre più chiaramente come il mondo sia sotto il «tallone di ferro»[11] dell’imperialismo euro-americano. Tale «tallone di ferro», dittatura assoluta prima non visibile prima di queste guerre, rappresenta la punta più alta non solo dello sviluppo capitalista, ma dello sviluppo umano sotto forma di società divisa in classi di sfruttatori e sfruttati.
La sua forza però è limitata. L’umanità si trova ormai di fronte a un vicolo cieco. Mancano idee e restano indecifrabili i tempi e i modi di un ulteriore sviluppo. La crisi economica ha assunto un carattere costante. Le forze produttive date non possono crescere ulteriormente in un sistema di rapporti produttivi capitalistici. Tutto è giunto al capolinea, compresa la possibilità di sfruttamento delle risorse naturali. Giorno dopo giorno l’umanità è letteralmente costretta a pagare un prezzo sempre più alto per il mantenimento del sistema capitalista. Il «tallone di ferro», stando a guardia degli interessi del capitale, non riesce a risolvere le contraddizioni fra centro e periferia, così come non riesce a fermare la crescente tensione all’interno dei Paesi dello stesso campo capitalista.
La transizione al socialismo, sistema basato sulla proprietà sociale dei mezzi di produzione, rappresenta l’unica alternativa al vicolo cieco in cui il capitalismo si è infilato. Su ciò si fonda l’ottimismo storico dei comunisti, che non muore nemmeno quando la stessa causa del comunismo appare perduta in partenza.
Il grande marxista sovietico Mikhail Lifshic[12] scrisse nel suo saggio «Il vento della Storia»:
“Il più grande patrimonio di questa potenza (il socialismo, N.d.A.) è anzi tutto questa superiorità morale, il vento della storia che soffia verso il comunismo. Questa è la cosa più preziosa, giacché questa forza non la si può né creare né tanto meno comprare. Essa vive di un’esistenza propria, indipendentemente dagli uomini ma, a sua volta, esige da essi la massima responsabilità“.
C’è un vento della Storia che condanna la reazione al suo inevitabile destino e non importa se dalla sua parte ci siano governi, parlamenti, leggi, tribunali, polizia, esercito e intere industrie dedite al lavaggio del cervello. Tutto questo perderà vigore e per questo, come spesso accade, il sistema della reazione inizierà a crollare proprio nel momento del suo massimo potere.
Non occorre disperarsi se oggi attorno a noi non vediamo quelle forze sociali su cui si potrà fondare il socialismo. Lo stesso Lenin scrisse nel gennaio del ’17 che “Noi, ormai vecchi, può essere che non vivremo fino alle battaglie decisive della futura rivoluzione”[13]. In effetti c’erano appena nella società di allora forze a disposizione in grado di fare la transizione al socialismo. Tuttavia ciò accadde. Circa l’origine di tali forze, esse sorsero dalla necessità oggettiva data da un movimento popolare dalla grande forza propulsiva, a cui un pugno di bolscevichi seppe dare coscienza. Ogni cosa a suo tempo: oggi è non è possibile vedere alcuna forza politica seria in grado di condurre la Russia sulla strada del socialismo, almeno fino a quando non sarà messa in moto tramite un processo il più obbiettivo possibile una logica della rivoluzione, che trasformerà una massa indistinta di dimostranti in un popolo cosciente. Fra i bolscevichi tale capacità sorse soltanto dopo le giornate di giugno e la fallita ribellione di Kornilov, allorché aumentò la delusione fra i soviet socialisti rivoluzionari e menscevichi[14].
Torniamo però ancora alle parole di Lifishic:
“Questa relazione fra «forza propulsiva degli eventi storici» e sviluppo della coscienza popolare presuppone una capacità di attesa nei periodi di sviluppo rallentato e sotterraneo della crisi sociale, esigendo quindi pazienza e anche stoicismo. La fiducia nella necessità di una svolta non è – nella sua vera accezione – la conclusione ultima che emerge dalla concezione materialista della dialettica fra necessità e libertà […] il marxismo, a differenza di altre teorie che distinguono il bene morale da fattori a esso esterni, si basa sul convincimento che le forze materiali possano acquistare un carattere umano così come i rapporti sociali fra persone possano perdere la loro forma materiale e grossolana. In ciò consiste “l’ideale reale” di Marx ed Engels, derivato dall’analisi scientifica della missione storica della classe operaia”[15].
In Russia è accaduto questo, che Putin a suo tempo si è sostituito ai comunisti e, così facendo, ha infuso nel popolo la speranza in un capitalismo nazionale giusto ed efficiente. Putin si è comportato da esponente degli interessi nazionali e di gran parte della popolazione, contro l’élite oligarchica. Il suo successore, Dmitrij Medvedev, appare chiaro che non alimenterà più simili nobili storture. Ciò significa che molto presto tutto si riposizionerà su un più classico schema, dove potere e popolo si troveranno dalle parti opposte della barricata.
Nella situazione di una crisi economica che colpirà le masse e di una crisi al vertice che sotto la reggenza liberale di Medvedev si potrà soltanto approfondire (e a soffrirne sarà la parte dell’élite di Putin collegata alle aziende statali), in Russia potrà svilupparsi in un tempo molto breve una situazione rivoluzionaria, laddove né gli strati inferiori potranno vivere né quelli superiori governare come prima. E questa sarà un’altra storia.
traduzione dal russo di Paolo Selmi per www.resistenze.org
[2] Rodovyj sertifikat (родовый сертификат), dal 1 gennaio 2006 è riconosciuto a partire dalla 30° settimana a tutte le gestanti (russe e non) che abbiano frequentato per 12 settimane i corsi e i controlli presso i consultori e gli ambulatori pubblici; esso dà diritto per la madre a
- un buono di 3000 rubli (2000 nel 2006) durante la gravidanza da spendere nei centri prenatale,
- un buono di 6000 rubli (5000 nel 2006) dopo il parto da spendere nelle case maternità (Родильный дом) e nei centri perinatali (Перинатальный Центр),
- un buono di 1000 rubli (dal 2007) da spendere nel primo anno di vita del bambino per le visite pediatriche.
L’idea alla base di questi buoni è che i soldi ricevuti non possano essere spesi altro che per le cure alla mamma e al bambino. Il centro medico inoltre che riceve il buono deve destinarne dal 35 al 55% ai suoi dipendenti. (Fonte: sito ufficiale del Progetto prioritario nazionale “Salute” (http://www.rost.ru/projects/health/p04/p34/a35.shtml)
[3] Materinskij (semejnyj) kapital (материнский (семейный) капитал), trattasi di un contributo una tantum di 250.000 rubli, che dal 1 gennaio 2007 è erogato alle gestanti che aspettano il secondo figlio (o il terzo, qualora non avessero fatto in tempo a usufruirne per il secondo). Questo per incoraggiare ulteriormente la natalità del popolo russo, attualmente vera e propria emergenza nazionale: su 41 milioni di famiglie infatti, quasi la metà non ha figli, solo il 15% ne ha due e solo il 3% tre e oltre. Altro dato importante è che tale contributo è disponibile solo dopo che il figlio abbia compiuto il terzo anno di età, questo per evitare che i genitori dilapidino subito il patrimonio, con conseguenze negative sia sull’effettiva efficacia del progetto, sia sull’inflazione generale. (Fonte: sito ufficiale del Progetto prioritario nazionale “Salute” http://www.rost.ru/projects/health/p07/p71/a71.shtml)
[5] Abbr. FGUP (ФГУП, abbr. di Federal’noe Gosudarstvennoe Unitarnoe Predprijatie, федеральное государственное унитарное предприятие), insieme all’Azienda Statale Unitaria (GUP, ГУП, abbr. di Gosudarstvennoe Unitarnoe Predprijatie, государственное унитарное предприятие) e all’Azienda Municipale Unitaria (MUP, МУП, abbr. di Municipal’noe Unitarnoe Predprijatie, муниципальное унитарное предприятие) sono le diverse tipologie di “Azienda Unitaria” Come recita la legge federale che le norma (Federal’nyj Zakon 14.11.2002 N 161-FZ “Sulle aziende statali e municipali unitarie”), “Per Azienda Unitaria si intende un’organizzazione commerciale che non dispone del diritto di proprietà sul patrimonio affidatole dal proprietario” (in ultima analisi la Federazione Russa o le municipalità). Un abstract in inglese e la versione integrale della legge già citata sul sito della FAO (http://faolex.fao.org/cgi-bin/faolex.exe?rec_id=035191&database=FAOLEX&search_type=link&table=result&lang=eng&format_name=@ERALL )
[6] Il gruppo RusSpecStal’ (РусСпецСталь), controllato dalla RosOboronEksport ha in effetti comprato sia la Krasnyj Oktjabr’ (http://www.vmzko.ru/) nel febbraio 2007, sia – e questa è notizia recente (http://www.metallpress.ru/news/news158.html ) - la Compagnia Metallurgica di Sputin nel febbraio di quest’anno (http://www.smk.ru/index.htm). Queste aziende metallurgiche sono particolarmente ambite a RosOboronEksport (ricordiamo, l’unica azienda titolata a trattare il commercio di armamenti da e per la Russia) in quanto produttrici di lavori metallici di altissima qualità e grandissima rilevanza per la costruzione di armamenti (cfr. un articolo molto dettagliato apparso sempre sul Kommersant all’inizio del 2007 sulla strategia di acquisizioni strategiche tramite RusSpecStal’ http://www.kommersant.com/p741231/Rosoboronexport_Special_Services/ “Rosoboronexport Stands Special Services in Good Stead” ).
[7] L’Autore indirettamente fa riferimento al discorso pronunciato da Medvedev a Krasnojarsk il 15/02/08, in cui molti analisti già vedono i primi segni di discontinuità con la politica del predecessore (cfr. traduzione integrale in inglese http://www.medvedev2008.ru/english_2008_02_15.htm ).
[8] Una dovuta precisazione: l’Autore usa “centro imperialista” (империалистический центр) riferito alla dialettica centro-periferia. Laddove è nominato singolarmente è stato tradotto con termini equivalenti, onde evitare possibili equivoci dati dai diversi utilizzi in italiano di tale terminologia: con questa definizione infatti Jakushev non indica una buia stanza dei bottoni luogo di oscure decisioni sui destini del mondo (alla maniera delle teorie “complottiste” che ancor oggi riaffiorano da destra a manca), ma – in piena sintonia con l’analisi leninista dell’imperialismo – un blocco di potere formato da Paesi o gruppi di Paesi dominati politicamente ed economicamente da una borghesia fortemente espansionista e quindi imperialista. Nella fattispecie concentra la propria analisi sull’Europa Occidentale e sugli Stati Uniti. La Russia è confinata in questo scenario a un ruolo di potenza regionale, che per i propri disegni egemonici deve prima avere il consenso almeno di una delle due potenze sopra citate: “La Russia vorrebbe entrare anch’essa nel club imperialista ed essere se non eguale, restare almeno su un piano paritetico con gli altri soci e accontentarsi di porzioni minori della torta. La Russia si ritaglierebbe anche un ruolo di sciacallo sui resti lasciati dai grandi predatori. Ma – disdetta! - sembra che la Russia non riesca a fare neppure questo. L’Occidente non ha bisogno di lei, e anzi il suo imperialismo vede in essa solamente un oggetto di espansione e una preda.” (Д.Якушев: Кто заказывает теракты?, 04.11.2002 , http://supol.narod.ru/archive/2002/SU4048A.HTM). Per uno studio approfondito della nozione sempre attuale di imperialismo, cfr. in particolare i lavori del Prof. Gianfranco Pala (un’ampia selezione in http://dep.eco.uniroma1.it/~pala/testi.htm), fra cui ad esempio “Stati di disgregazione. Strategia di dominio sovrastatuale dell'imperialismo transnazionale” (in rete rintracciata nel sito http://www.criticamente.com/economia/economia_politica/Pala_Gianfranco_-_Stati_di_disgregazione.htm) e il saggio “Le aree dell'imperialismo: potere d'investimento e controllo valutario” (http://dep.eco.uniroma1.it/~pala/207_aree_imperialismo.rtf)
[9] Si noti come l’Autore impiegando questa terminologia accosti volutamente la si”tuazione attuale alla transizione avvenuta mezzo secolo fa dalla “mobilizacija” (мобилизация) di Josif Stalin e alla politica appunto di “ottepel’” (оттепель) attuata da Nikita Kruschev.
[10] Viktor Juschenko, attuale presidente dell’Ucraina e protagonista della cosiddetta “rivoluzione arancione”.
[11] “Il tallone di ferro” è un romanzo di Jack London (scaricabile su http://www.readme.it/libri/3/3030040.shtml), molto popolare in URSS per il suo contenuto antagonista. In seguito, in pieno “regime degli oligarchi”, ha ispirato un film di Aleksandr Bashirov (1998) intitolato appunto “Il tallone di ferro dell'oligarchia” (Железная Пята Олигархии).
[12] Mikhail Aleksandrovich Lifshic, Михаил Александрович Лифшиц (1905-1983); su questo filosofo marxista sovietico poca è la letteratura disponibile in rete in lingue occidentali. Un’accurata raccolta dei suoi scritti principali è disponibile su http://mesotes.narod.ru/lifshiz.htm, mentre il testo integrale de “Il vento della Storia” (Veter istorii, Ветер истории), saggio datato 1960, è reperibile su http://www.marksizm.info/content/view/3393/1/. Esso ha come sottotitolo “A 140 anni dalla nascita di F. Engels”, e infatti nel brano citato commenta le difficoltà da lui affrontate per diffondere la teoria di Marx fra gli operai e i dirigenti della II Internazionale, difficoltà superate proprio per quanto sopra scritto.
[15] Questo schema teorico ha un alto valore apologetico in quanto spiega da un punto di vista materialistico l’apparente assenza di condizioni favorevoli alla transizione al socialismo anche nei periodi più difficili: questo sottrae ciò che l’Autore definisce come “l’ottimismo storico dei comunisti” all’accusa di idealismo positivista, utopismo o fideismo: arma classica con cui, da quindici anni a questa parte, ogni tentativo di parlare di transizione al socialismo, viene spesso troncato sul nascere.
traduzione dal russo di Paolo Selmi per www.resistenze.org