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Chi massacra chi in Siria?

Sharmine Narwani | afrique-asie.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

22/05/2014

Fin dai primi giorni della contestazione, l'opposizione descritta in Occidente come "democratica e pacifica" che avrebbe aspettato sei mesi prima di "essere costretta" a militarizzarsi per "difendersi" e per "difendere i manifestanti pacifici e disarmati" era, in effetti, armata fino ai denti e non aveva esitato a perpetrare degli orribili massacri contro gli agenti statali e i lealisti, come dimostra questa inchiesta.

L'attacco ebbe luogo poco dopo i primi segnali di agitazioni nella città di Daraa, nella Siria meridionale, nel marzo 2011, quando diversi vecchi camion militari di fabbricazione russa e pieni di soldati delle forze di sicurezza siriane stavano transitando lungo una ripida strada verso la valle tra Daraa al-Mahata e Daraa al-Balad. Con sorpresa dei passeggeri, la strada era cosparsa di olio, versato dagli uomini armati che aspettavano i soldati per coglierli in una imboscata.

Nonostante la frenata, i camion si tamponarono a vicenda e la sparatoria cominciò prima che i veicoli fossero riusciti a fermarsi. Secondo le diverse fonti dell'opposizione, quel giorno furono uccisi più di sessanta soldati delle forze di sicurezza siriane, in un massacro che è stato nascosto sia dal governo siriano, che dai residenti di Daraa.

Un abitante di Daraa spiega: "In quel momento, il governo non voleva mostrare che le sue forze erano deboli e l'opposizione invece non voleva mostrare di essere armata". I dettagli sono confusi. Nizar Nayouf, un dissidente siriano di lunga data e blogger che scriveva sui massacri, dice che questo fatto è avvenuto nell'ultima settimana del marzo 2011. Una fonte allora presente a Daraa, colloca l'attacco prima della seconda settimana di aprile.

Rami Abdul Rahman, un militante anti-governativo che dirige l'Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), la fonte più citata dai media occidentali sulle vittime in Siria, mi ha detto: "Era il primo aprile e circa 18 o 19 soldati, o mukhabarat (agenti del servizio informazioni) sono stati uccisi".

Il vice-ministro degli Esteri siriano, Faisal Mekdad, è uno dei rari membri del governo ad avere assistito da vicino all'incidente. Mekdad ha studiato a Daraa, è nativo di una cittadina a 35 km ad est chiamata Ghasson e ha compiuto parecchie visite ufficiali a Daraa durante i primi giorni della crisi. La sua versione è la stessa, sia nei dettagli sul luogo che nelle modalità dell'imboscata. Tuttavia, Mekdad ritiene siano circa 24 soldati ad essere stati uccisi quel giorno.

Perché allora il governo siriano ha nascosto questa notizia che avrebbe rafforzato la tesi secondo cui i "gruppi armati" prendevano di mira le autorità sin dall'inizio e che la sollevazione non era affatto "pacifica"?

Secondo Mekdad, "nascondendo l'incidente il governo e le forze di sicurezza hanno voluto evitare ogni antagonismo per non eccitare ulteriormente gli animi e cercare di calmare la situazione. La loro intenzione era di non attizzare il fuoco che avrebbe condotto ad una escalation, che all'epoca non era la politica ufficiale".

Ciò di cui siamo certi è che il 25 aprile 2011, 19 soldati siriani sono stati uccisi a Daraa da assalitori anonimi. I nomi, le età, le date e i luoghi di nascita e di morte e lo status familiare di questi 19 soldati figurano su un elenco di vittime militari fornito dal ministero della Difesa siriano.

Questo elenco è confermato da un altro documento consegnatomi in via confidenziale da una fonte non-governativa impegnata negli sforzi di pace. Indica le perdite militari nel 2011 e nella lista si ritrovano questi 19 nomi. Questi soldati sono quelli del "massacro di Daraa"? La data del 25 aprile è successiva a quella indicata da numerose fonti, e questi 19 morti non sono stati esattamente "nascosti". Ma la scoperta su uno degli elenchi della morte dei soldati nell'aprile 2011, uccisi dai "sconosciuti" in differenti luoghi della Siria è ancora più stupefacente dei nomi dei 19 soldati di Daraa.

Bisogna ricordare che i soldati siriani, per la maggior parte, non sono entrati nel conflitto tanto presto. All'epoca erano altre le forze di sicurezza, come la polizia e le unità di informazione, sulla linea del fronte, ed esse non sono incluse in questo registro dei decessi.

I primi soldati siriani uccisi nel conflitto, Sa'er Yahya Merhej e Habeel Anis Dayoub, figurano il 23 marzo a Daraa. Due giorni più tardi, Ala'a Nafez Salman fu ucciso a Latakié. Il 9 aprile, Ayham Mohammad Ghazali è stato ucciso a Douma, a sud di Damasco. Il primo soldato ucciso nella provincia di Homs - a Teldo - fu Eissa Shaaban Fayyad, il 10 aprile.

Il 10 aprile fu anche il giorno in cui apprendemmo del primo massacro di soldati siriani a Banyas (provincia di Tartous), dove nove soldati caddero in una imboscata. La BBC, Al Jazeera e il Guardian, in un primo tempo affermarono tutti che i soldati erano "disertori" uccisi dall'esercito siriano per essersi rifiutati di sparare sui civili. Questa notizia, sebbene smentita più tardi, ha lasciato delle tracce durante tutto il 2011: alcuni soldati erano uccisi dai loro stessi comandanti, si poteva leggere o ascoltare sui media che poi accampavano come scusa il fatto di ignorare che le forze di sicurezza erano bersagliate dai gruppi armati.

È probabile che questa storia sia stata utilizzata piuttosto dai militanti dell'opposizione per incoraggiare divisioni e defezioni tra le forze armate. Se i comandanti militari avessero veramente ucciso i loro stessi uomini, potete stare certi che l'esercito siriano non sarebbe rimasto integro ed unito per tre anni.

Dopo il massacro di Banyas, le uccisioni di soldati si sono moltiplicate in aprile, in differenti parti del paese, Moadamiyah, Idlib, Harasta, al-Masmiyah, vicino a Suweida, Talkalakh e nelle periferie di Damasco. Il 23 aprile, sette soldati furono massacrati a Nawa, una città vicino a Daraa. L'attacco avveniva giusto dopo che il governo siriano aveva provato a calmare le tensioni abolendo i tribunali di sicurezza, mettendo fine allo stato di emergenza, accordando un'amnistia generale e riconoscendo il diritto di manifestare pacificamente.

Due giorni più tardi, il 25 aprile, il lunedì di Pasqua, i soldati siriani entravano a Daraa. Qui ebbe luogo il secondo massacro di soldati del week-end, con 10 uccisi. Neanche questa notizia fece la sua comparsa sui media.

In compenso, tutto quanto abbiamo sentito riguardava il massacro di massa dei civili da parte delle forze di sicurezza. "Il dittatore uccide il proprio popolo". Ma dopo tre anni di crisi in Siria, si può dire che le cose avrebbero potuto prendere una piega diversa se avessimo avuto una maggiore informazione? O se i media avessero semplicemente dato lo stesso spazio alle differenti testimonianze cui avevamo accesso?

I fatti contro la finzione

Un rapporto di Human Rights Watch (HRW) si appoggia interamente su 50 militanti, testimoni e "soldati disertori" anonimi per dire ciò che all'epoca accadeva a Daraa. I testimoni di HRW parlano di "forze di sicurezza che utilizzano la forza letale contro i manifestanti durante le manifestazioni" ed i "cortei funebri". In certi casi, dice HRW, "le forze di sicurezza hanno utilizzato gas lacrimogeni, ma quando i manifestanti hanno rifiutato di disperdersi, hanno sparato pallottole vere con le armi automatiche sulla folla… Dalla fine di marzo, testimoni riferiscono sistematicamente della presenza di cecchini sugli edifici del governo vicino ai manifestanti che sparavano e uccidevano molti tra loro".

Secondo il rapporto, "le autorità siriane hanno ripetuto che la violenza a Daraa è opera di bande terroristiche armate, spinte e finanziate da stranieri". Oggi sappiamo che questo risponde largamente al vero rispetto alla maggior parte dei militanti islamici in Siria. Lo era altrettanto a Daraa, ad inizio 2011?

Conosciamo diversi fatti. Per esempio, abbiamo le prove visive di uomini armati che entrano in Siria attraversando la frontiera libanese tra aprile e maggio 2011, secondo i video e le testimonianze dell'ex reporter di Al-Jazeera, Ali Hashem, le cui immagini sono state censurate dalla sua catena. Ci sono elementi che invece scopriamo solamente adesso. Per esempio, secondo il rapporto di HRW, le forze di sicurezza siriane a Daraa "hanno profanato le moschee con graffiti" del tipo "Bachar è il nostro dio" e "Non c'è altro dio che Bachar", in riferimento al presidente siriano.

Recentemente, uno jihadista tunisino di nome Abu Qusay (*) ha dichiarato alla televisione tunisina che la sua "missione" in Siria era di distruggere e profanare le moschee che portano nomi sunniti, (Moschea Abu Bakr, Moschea Othman, eccetera) in dei finti attacchi settari per incoraggiare le diserzioni fra i soldati siriani, in maggioranza sunniti. Scrivere slogan filo-governativi e blasfemi sui muri delle moschee come "Solo Dio, la Siria e Bachar", ha spiegato, era una "tattica per fare venire i soldati dalla nostra parte " e "indebolire così l'esercito".

Se il governo siriano fosse stato rovesciato velocemente - come in Tunisia e in Egitto - forse non avremmo conosciuto questi atti di doppiezza. Ma dopo tre anni di conflitto, è tempo di distinguere i fatti della finzione.

Per un membro della grande famiglia Hariri a Daraa, presente nel marzo e aprile 2011, la gente è confusa e numerosi "fedeli hanno cambiato idea due o tre volte dal marzo 2011 ad oggi. All'inizio erano tutti col governo, poi aspramente contro, ma adesso, penso che pressappoco il 50% o più è ritornato dalla parte del regime".

La provincia era largamente a favore del regime prima che le cose cominciassero. Secondo il giornale degli Emirati Arabi Uniti, The National, "Daraa ha avuto per molto tempo la reputazione di essere fermamente pro-Assad, molte personalità del regime arrivano da li". Ma Hariri spiega che "ci sono due punti di vista" a Daraa. "Secondo la prima, il regime ha ucciso più persone per fermarli ed avvertirli di mettere fine alle manifestazioni e agli assembramenti. Secondo la seconda, senza funerali, le persone non avevano alcuna ragione per radunarsi".

"All'inizio, il 99,9% delle persone diceva che tutti i colpi d'arma da fuoco arrivavano dalle forze siriane. Poco a poco però, quest'idea ha iniziato a cambiare, riconoscendo che certe cose erano nascoste, senza però sapere quali" dice Hariri i cui genitori sono restati a Daraa.

Il rapporto di HRW ammette che "i manifestanti hanno ucciso dei membri delle forze di sicurezza", ma aggiunge che "hanno utilizzato la violenza solamente contro le forze di sicurezza e distrutto beni del governo in risposta alle carneficine delle forze di sicurezza, … o per garantire la liberazione dei manifestanti feriti catturati dalle forze di sicurezza che pensavano rischiassero una brutta fine".

Sappiamo che ciò non è vero. L'omicidio dei nove soldati in un autobus a Banyas, il 10 aprile, era un'imboscata premeditata. Tale, per esempio, è stato l'assassinio del generale Abdo Khodr al-Tallawi, ucciso assieme ai due figli e un nipote a Homs, il 17 aprile. In questo stesso giorno, nella periferia filo-governativa al-Zahra di Homs, il comandante dell'esercito siriano in permesso, Iyad Kamel Harfoush, è stato ucciso mentre usciva di casa. Due giorni più tardi, il colonnello Mohammad Abdo Khadou, originario di Hama, anche lui in permesso, veniva ucciso nella sua automobile. E tutto ciò è accaduto solo nel primo mese di agitazioni.

Nel 2012, il ricercatore di HRW sulla Siria, Oleg Solvag, mi riferì che era in possesso di prove indiscutibili sulla violenza "contro i soldati e i civili fatti prigionieri" e che talvolta circolavano armi tra la folla e certi manifestanti avevano aperto il fuoco contro le forze governative".

Questo perché i manifestanti erano veramente in collera per la violenza diretta contro di loro da parte delle forze di sicurezza, o si trattava di "bande armate" come affermato dal governo? Oppure ancora, era l'azione di provocatori che tiravano su entrambe le parti?

Provocatori nelle rivoluzioni

Il sacerdote olandese Frans van der Lugtl, residente in Siria, è stato assassinato il 7 aprile 2014 da un uomo armato a Homs, giusto alcune settimane prima dell'entrata dell'esercito nei quartieri vecchi della città. Il suo attivo impegno per la riconciliazione e la pace non gli hanno impedito di criticare le due parti in conflitto. Ma durante il primo anno della crisi, fece osservazioni interessanti riguardo la violenza, quella del gennaio 2012.

"Fin dall'inizio, i movimenti di protesta non erano puramente pacifici. Fin dall'inizio, ho visto dei manifestanti armati nelle manifestazioni sparare per primi sulla polizia. Molto spesso, la violenza delle forze di sicurezza è stata una reazione alla violenza brutale dei ribelli armati".

Nel settembre 2011, scrive: "Fin dall'inizio c'è stato il problema dei gruppi armati che sono parte dell'opposizione. L'opposizione di strada è molto più potente di qualsiasi altra opposizione. E questa opposizione è armata e usa spesso la brutalità e la violenza, al solo scopo di condannare il governo".

Il 5 giugno non era più possibile per i gruppi dell'opposizione fingere il contrario. In un attacco coordinato a Jisr Shughur, a Idlib, i gruppi armati uccisero 149 membri delle forze di sicurezza, secondo l'Osservatorio siriano dei diritti dell'uomo. Ma a marzo ed aprile, la violenza e le vittime erano ancora una novità per il paese. La domanda dunque è perché il governo siriano - contro ogni logica - uccide i civili vulnerabili nelle "zone calde", mentre allo stesso tempo prende delle misure per fare abbassare la tensione?

Chi beneficia dell'assassinio di "donne e bambini" in un tale contesto? Certamente non il governo. La discussione sul ruolo dei provocatori in un conflitto è ripresa dopo l'intercettazione della conversazione telefonica fra il ministro degli Esteri estone, Urmas Paet, e Catherine Ashton dell'Unione Europea, rivelando i dubbi sull'assassinio dei membri delle forze di sicurezza ucraine e dei civili durante le manifestazioni pro-europee di Maidan.

Paet dice che "tutto ciò dimostra che le persone uccise dai cecchini su entrambi i lati, la polizia e le persone in strada, sono opera dello stesso cecchino che ha sparato su entrambi i lati ... ed è davvero fastidioso che oggi la nuova coalizione (filo-occidentale) si rifiuti di indagare su ciò che è realmente accaduto".

Una recente inchiesta di una catena televisiva tedesca sui tiri dei cecchini conferma in grande parte queste affermazioni e ha aperto la porta alla contestazione delle versioni degli avvenimenti in Ucraina che praticamente non è esistita nel conflitto siriano, almeno nei media e nei fori internazionali.

Il ruolo dei provocatori contro i governi sotto tiro sembra improvvisamente essere emerso nel discorso dominante al posto delle critiche sulle "teorie della cospirazione". Che sia il piano americano "trapelato" di creare un "twitter cubano" allo scopo di dare origine a disordini nell'isola o l'apparizione di "volantini di istruzioni" nelle manifestazioni dall'Egitto alla Siria, passando per la Libia e l'Ucraina, la convergenza di un troppo elevato numero di movimenti di protesta "identici" che sono sfociati in violenza ha spinto oggi le persone a farsi delle domande e a scavare più a fondo.

Dall'inizio del 2011 abbiamo cominciato a sentire parlare di cecchini "sconosciuti" che sparano alla folla e alle forze di sicurezza in Tunisia, Egitto, Libia, Siria e Ucraina. Cosa può esserci di più efficace per far rivoltare le popolazioni contro l'autorità che degli assassini non provocati di innocenti disarmati? Allo stesso modo, quale migliore garanzia di reazione da parte delle forze di sicurezza di qualsiasi paese che lo spettacolo dell'assassinio a colpi d'arma da fuoco di uno o parecchi dei suoi membri?

Ad inizio 2012, l'ONU ha affermato che c'erano più di 5.000 vittime in Siria - senza specificare se fossero vittime civili, dei ribelli armati o dei membri delle forze di sicurezza. Secondo gli elenchi del governo presentati e pubblicati dalla Commissione internazionale indipendente d'inchiesta in Siria dell'ONU, per il primo anno di conflitto, il numero delle forze di polizia uccise era 478 e 2.091 quello dei militari e delle forze di sicurezza.

Queste cifre suggeriscono una stupefacente uguaglianza di morti tra le due parti in conflitto, fin dall'inizio. Suggeriscono anche che almeno una parte della "opposizione" siriana era armata e organizzata fin dai primi giorni e mirava strategicamente alle forze di sicurezza, molto probabilmente allo scopo di provocare una risposta capace di assicurare una escalation continua. Oggi, anche se le fonti militari siriane smentiscono con forza queste cifre, l'Osservatorio siriano per i diritti umani afferma che ci sono più di 60.000 vittime tra le forze di sicurezza nazionali e le milizie filo-governative. Questi sono uomini arrivati da tutti gli angoli del paese, di tutte le religioni e confessioni e di tutte le comunità. Le loro morti non hanno lasciato nessuna famiglia intatta e in gran parte spiegano le reazioni del governo siriano e le sue risposte durante la crisi.

(*) http://www.afrique-asie.fr/component/content/article/75-a-la-une/7342-temoignage-d-un-terroriste-tunisien-revenu-de-syrie-video-en-arabe-et-traduction-en-francais.html


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