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Somalia: la nuova palude degli Stati Uniti?
Mohamed Hassan
03-02-2007
Poche settimane dopo l’intervento militare dell’esercito etiope e americano in Somalia, le corti islamiche non sembrano essere sconfitte. L’ambasciatore statunitense per il Kenya e la Somalia sta negoziando con la resistenza il rilascio di 11 prigionieri americani. Gli Stati Uniti stanno scivolando dentro un’altra palude?
Nei giorni scorsi Mogadiscio è stata teatro delle dimostrazioni che contestano l’arrivo delle forze di peacekeeping dell’Unione Africana (AU) in Somalia.
I dimostranti hanno intonato slogan antigovernativi e bruciato copertoni, il giorno dopo l’annuncio dell’imminente dispiegamento in Afghanistan di tre battaglioni, provenienti da Uganda e Nigeria, aviotrasportati il prima possibile.
Alzavano cartelli con scritto “Non vogliamo soldati stranieri” e “Abbasso Etiopia” riferendosi all’intervento militare etiope che ha rovesciato il Consilio delle Corti Islamiche, le quali hanno supportato fortemente “la rivolta dei cittadini” di venerdì, contro la presenza di truppe etiopi, specialmente a Mogadiscio.
In un’intervista a Radio Shabelle di Mogadiscio, Sheik Sharif Sheik Ahmed , leader dell’esecutivo del Consiglio delle Corti Islamiche, ha dichiarato che ogni nazione del mondo, il cui paese è occupato, ha il diritto di difendersi con ogni mezzo, e la nazione somala ha il diritto di combattere per la sua libertà. Così noi vediamo la loro lotta, legata al tentativo di cacciare gli occupanti etiopi fuori dal loro paese.
Sabato, Sheik Sharif Sheik Ahmed ha parlato al telefono con l’Associated Press da un luogo non precisato in Kenia, ed ha dichiarato che i capi del movimento sono vivi ed in costante contatto tra di loro.
“Siamo pronti per parlare con il governo - ha annunciato - Stiamo cercando pace, riconciliazione e di risolvere i problemi dei somali attraverso il dialogo. I peacekeepers non sono in grado di portare pace in Somalia. Il loro dispiegamento aggraverà la già precaria situazione del paese. Soltanto i somali possono portare la pace in Somalia, se viene concessa loro una possibilità per farlo.”
Sheik Ahmed ha confessato di aver pianificato di lasciare il Kenia nel prossimo futuro, puntando verso lo Yemen una volta ricevuto formale invito dal governo.
Personale militare americano catturato nella Somalia meridionale.
Un soldato etiope, arrivato in Eritrea con altri otto, tutti fuggiti durante l’invasione della Somalia, ha parlato del diretto coinvolgimento degli Stati Uniti con truppe meccanizzate presenti per fornire informazioni e consigli all'esercito di Adis Abeba.
Ha rivelato che queste truppe sono state per 9 mesi in Somalia fin dall’aprile 2006, aggiungendo inoltre che le forze etiopi si sono imbattute in un presidio di ufficiali USA, in una zona di confine chiamata Gojiland. Inoltre ha sottolineato che soldati statunitensi hanno partecipato direttamente all’invasione con mezzi corazzati e bombardamenti.
Intanto, il governo USA ha cominciato a negoziare, con il leader delle Corti Sheik Sharif Sheik Ahmed, il rilascio degli 11 militari americani catturati dagli islamisti nel sud della Somalia.
Il giornale Al-Khaleej di Dubai ha scritto che l’ambasciatore americano per Kenia e Somalia, Mr Ranneberger, ha chiesto la liberazione dei soldati americani catturati durante gli aspri combattimenti tra islamisti e soldati USA al seguito dell’esercito etiope.
Sheik Sharif ha posto delle condizioni prima del rilascio dei soldati. “Le forze etiopi presenti in Somalia devono ritirarsi immediatamente e gli americani devono sospendere le incursioni militari nel sud del paese. In più, gli Stati Uniti devono dichiarare al mondo che 11 suoi marines sono stati catturati in Somalia”
3. La situazione politica e di peacekeeping resta incerta
Finora cinque nazioni - Uganda, Nigeria, Malawi, Burundi e il Ghana - hanno impegnato circa 4.000 soldati. Un ufficiale dell'Unione Africana, parlando all'Associated Press sotto anonimato, perché non autorizzato a parlare ai media, ha detto che le spese per la missione stanno superando i 34 milioni di dollari al mese previsti. La UE spende 20 milioni di dollari per una forza di peacekeeping e 40 milioni di dollari gli Stati Uniti: cifra non sufficiente neanche per due mesi.
Le truppe avranno un mandato limitato: proteggere il governo di transizione. Martedì il Presidente somalo Abdullahi Yusuf aveva aderito ad una conferenza di riconciliazione nazionale. Ciò che è accaduto il mercoledì seguente mette in discussione la costruzione dell'unità nazionale: lo Sceicco Adan Mohamed è stato eletto presidente del parlamento. Il suo predecessore, lo Sceicco Sharif Hassan Aden, era stato destituito il 17 gennaio a causa dei suoi stretti legami col movimento islamico. Ciononostante l'Unione europea e gli Stati Uniti hanno chiesto al governo di reinsediare Aden, dicendo che potrebbe giocare un ruolo importante nel promuovere la riconciliazione e la pace.
4. Eritrea: l'ostacolo principale della "Pax Americana" nel Corno d'Africa
Questa settimana, Jendayi Frazer, consulente della segreteria di Stato degli Stati Uniti per gli affari africani ha descritto l'Eritrea, con la quale gli Stati Uniti hanno difficili relazioni, come "fonte d'instabilità della regione".
Presidente Isaias esprime la sua visione in un'intervista significativa alla tv Al Jazeera.
Ne trascriviamo due battute:
Lei ha sostenuto che i recenti attacchi aerei statunitensi in Somalia potranno avere conseguenze pericolose. Cosa ne pensa ora?
Io penso che stiano gettando benzina sul fuoco. Innanzitutto intendo rimarcare l'elevato numero di vittime sia tra i soldati etiopi in quella parte della Somalia, mentre gli attacchi aerei statunitensi agevolavano la ritirata delle truppe etiopiche nel Kismayo. (...)
Penso che occorra chiarezza riguardo la situazione in Somalia. Il regime in Etiopia vorrebbe vedere la Somalia disintegrata. Il regime non vuole la ricostituzione della Somalia, la sua stabilità contribuirebbe alla stabilità del Corno d'Africa. Gli Stati Uniti sono coinvolti in diverse regioni: in Iraq, in Afghanistan con diversi pretesti: qualche volta è il terrorismo, altre volte sono le armi di distruzione di massa. L'obiettivo reale è il controllo e il dominio di quest'area per le risorse energetiche e la collocazione strategica. Ecco qual è la situazione: un'amministrazione con brame di dominio che vuole raggiungere i suoi fini alzando continuamente la posta in gioco.
Lei ha dato totale appoggio alle Corti Islamiche, che sono state sconfitte. Si sente anche lei battuto in qualche modo dal corso degli eventi?
In primo luogo c'è confusione su questa vicenda. Noi abbiamo sempre appoggiato il popolo somalo. Dopo 15 anni di caos desideravamo pace e stabilità per la Somalia. Stando ai rapporti delle Nazioni Unite, Mogadishu era pacificata, dopo 15 anni di lotta e distruzione dei Signori della Guerra. L'arrivo delle Corti Islamiche era per il popolo somalo l'inizio della speranza, purtroppo non concretizzata. Il popolo somalo vorrebbe pace e stabilità per la Somalia. Nessuno è sconfitto. Le Corti Islamiche non sono state sconfitte; i somali non sono mai stati sconfitti. Coloro che per i propri interessi sono intervenuti in Somalia, si sono cacciati in un gravi problemi. Questa è una palude e il tempo dirà chi sarà lo sconfitto e questo lo testimoniamo gli eventi delle ultime settimane".
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare