www.resistenze.org - popoli resistenti - sudafrica - 24-07-13 - n. 463

Dall'apartheid al neoliberismo in Sudafrica

L'eredità problematica di Mandela

John Pilger | www.counterpunch.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

11/07/2013

Quando ero giornalista in Sudafrica nel 1960, Johannes Vorster, ammiratore del nazismo, occupava la residenza ufficiale del primo ministro a Città del Capo. Trent'anni più tardi, fermo al cancello della residenza mentre aspettavo di entrare, pareva che le guardie non fossero cambiate. Afrikander bianchi controllavano il mio documento d'identità con il senso di tranquillità degli uomini che hanno un lavoro sicuro. Uno aveva con sé una copia di Long Walk to Freedom [La lunga strada verso la libertà], l'autobiografia di Nelson Mandela. "E' molto ispirato" mi disse.

Mandela si era appena svegliato dal suo riposo pomeridiano e sembrava assonnato, le scarpe erano slacciate. Con indosso una camicia di color oro brillante, entrò lentamente nella stanza. "Bentornato", disse il primo presidente del Sudafrica democratico, raggiante. "Devi capire che essere stato espulso dal mio paese è un grande onore". L'enorme garbo e fascino di questo uomo trasmetteva un senso di benessere. Sorrise della sua elevazione a santità. "Non è il lavoro per il quale ho presentato domanda", disse con ironia appena percepibile.

Comunque, era ben abituato a interviste deferenti e mi rimproverò più volte: "Hai completamente dimenticato quello che ho detto" e "Ti ho già spiegato la questione". Non ammettendo alcuna critica riguardo l'African National Congress (ANC), appariva chiaro il motivo per cui milioni di sudafricani piangeranno la sua scomparsa, ma non la sua "eredità".

Gli avevo chiesto perché le promesse che lui e l'ANC avevano fatto quando fu rilasciato dal carcere nel 1990, non erano state mantenute. Il governo di liberazione, aveva promesso Mandela, avrebbe preso controllo dell'economia dell'apartheid, comprese le banche. Rispose che: "Un cambiamento o una modifica della nostra posizione sulla questione è inconcepibile". Una volta al potere, venne abbandonata la politica ufficiale del partito per combattere la povertà in cui viveva la maggioranza dei sudafricani, il Programma per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Reconstruction and Development Programme - RDP), e uno dei suoi ministri si era vantato che le politiche dell'ANC erano thatcheriane.

"Puoi etichettarla come credi" rispose "... ma, per questo paese, la privatizzazione è la politica fondamentale."
"Questo è l'opposto di quello che hai dichiarato nel 1994".
"Bisogna considerare che ogni processo prevede dei cambiamenti".

Pochi sudafricani erano consapevoli che questo "processo" era iniziato in gran segreto più di due anni prima del rilascio di Mandela quando l'ANC in esilio aveva, in effetti, fatto un accordo con membri di spicco dell'elite afrikander in riunioni tenute in una dimora signorile, Mells Park House, vicino a Bath in Inghilterra. I promotori principali erano le multinazionali che avevano sostenuto l'apartheid.

Nella stessa epoca, Mandela stava conducendo trattative segrete per conto suo. Nel 1982, era stato portato da Robben Island al carcere di Pollsmoor, dove gli era consentito di ricevere visite. L'obiettivo del regime dell'apartheid era quello di dividere l'ANC tra i "moderati" con cui si poteva "fare affari" (Mandela, Thabo Mbeki e Oliver Tambo) e quelli in prima linea nei territori, appartenenti alla United Democratic Front (UDF). Il 5 luglio 1989, Mandela fu portato via dalla prigione in segreto per incontrare PW Botha, il presidente eletto dalla minoranza bianca del Paese, conosciuto come il Groot Krokodil (Grande Coccodrillo). Mandela aveva notato con grande piacere che era Botha stesso a servire il tè.

Con le elezioni democratiche del 1994, la segregazione razziale non esisteva più, mentre l'apartheid economica assumeva un nuovo volto. Negli anni Ottanta, il regime di Botha aveva dato a imprenditori neri generosi prestiti, permettendo loro di costituire società fuori dei bantustan [aree in cui i neri avevano l'obbligo di risiedere]. Una nuova borghesia nera era emersa rapidamente, insieme a un clientelismo dilagante. Molti capi dell'ANC andavano a vivere in case sontuose site in aree lussuose con campi di golf. Man mano che le disparità tra i bianchi e i neri diminuivano, aumentavano quelle tra neri e neri.

Il noto ritornello che la nuova ricchezza dei ceti più alti col tempo avrebbe stimolato l'economia portando vantaggi alle masse svantaggiate e "creando posti di lavoro", si perse in losche fusioni societarie e "ristrutturazioni" che infatti tagliarono posti di lavoro. Per le aziende straniere, una faccia nera nei consigli di amministrazione era la garanzia che nulla era cambiato. Nel 2001, George Soros ha dichiarato al Forum economico di Davos: "Il Sudafrica è nelle mani del capitale internazionale".

Nelle città, la gente vedeva come poco fosse cambiato: potevano essere sfrattati dalle loro case come lo erano nell'era dell'apartheid; alcuni esprimevano nostalgia per "l'ordine" del vecchio regime. I tentativi post-apartheid di eliminare la segregazione razziale nella vita quotidiana in Sudafrica, comprese le scuole, furono minati dagli estremismi e dalla corruzione del "neoliberismo" a cui l'ANC si dedicava. Da qui conseguirono direttamente dei crimini di Stato: come il massacro di 34 minatori a Marikana nel 2012, che ha evocato l'infame massacro di Sharpeville più di mezzo secolo prima. In entrambi i casi si era trattato di proteste contro l'ingiustizia.

Anche Mandela promosse rapporti clientelari con i bianchi ricchi del mondo d'affari, compresi quelli che avevano approfittato dell'apartheid. Vedeva questo come parte della "riconciliazione". Forse Mandela e l'amato ANC erano stati in lotta e in esilio troppo a lungo ed erano quindi disposti ad accettare e colludere con le forze che erano state nemiche del popolo. C'erano persone che desideravano veramente un cambiamento radicale, tra cui alcuni del Partito comunista sudafricano. Ma era la potente influenza del cristianesimo missionario a lasciare probabilmente il segno più indelebile. Progressisti bianchi in patria e all'estero si sentivano in sintonia con questo approccio, spesso trascurando o approvando la riluttanza di Mandela a precisare una visione coerente per il paese, come avevano fatto Amilcar Cabral e Pandit Nehru.

Ironia della sorte, è parso che Mandela stesse cambiando solo quando smise l'incarico politico, avvisando il mondo post 11 settembre del pericolo George W. Bush e Tony Blair. Il suo umorismo fu talvolta impertinente: la sua descrizione di Blair come "ministro degli Esteri di Bush" veniva rilasciato nello stesso momento in cui Thabo Mbeki, il suo successore, stava per atterrare a Londra per incontrare Blair. Mi chiedo come abbia percepito il recente "pellegrinaggio" alla sua cella a Robben Island di Barack Obama, il carceriere inesorabile di Guantanamo.

Mandela sembrava ineffabile. Quando la mia intervista terminò, mi diede una pacca sul braccio come per dire che ero stato perdonato per averlo contraddetto. Abbiamo raggiunto la sua Mercedes color argento, che ingoiò la sua piccola testa grigia tra uno stuolo di uomini bianchi con enormi braccia e fili nelle orecchie. Uno di loro diede un ordine in afrikander e lo vidi sparire.
 
Il film di John Pilger Apartheid Did Not Die [L'Apartheid non è morta] può essere visto su www.johnpilger.com

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