fonte http://www.rebelion.org/internacional/040206milosevic.htm
traduzione dallo spagnolo a cura del Ccdp
La demonizzazione di Slobodan Milosevic
Di Michel Parenti
Tradotto dall’inglese da Beatriz Morales Bastos per Rebelión
Il ceto dirigente statunitense professa dedizione alla democrazia. Ciò
nonostante, durante gli ultimi 50 anni, governi eletti democraticamente -
colpevoli di aver introdotto programmi economici “redistributivi” o di
rivendicare percorsi indipendenti che mal si conciliavano col sistema del
libero mercato globale patrocinato dagli Stati Uniti - si sono visti nel mirino
dell’apparato di sicurezza nazionale statunitense. In questo modo, governi
democratici in Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Cipro, Repubblica Dominicana,
Grecia, Guatemala, Haiti, Siria, Uruguay ed in molte altre nazioni, sono stati
rovesciati dalle rispettive forze armate, finanziate ed assistite dagli Stati
Uniti. I dirigenti militari subentrati hanno quindi cancellato le riforme
egualitarie e spalancato le porte dei loro paesi agli investitori ed alle
imprese straniere.
L’apparato di sicurezza nazionale statunitense ha anche partecipato
segretamente ad azioni destabilizzanti, guerre di potere mercenarie ed attacchi
militari diretti contro governi rivoluzionari o nazionalisti in Afghanistan (a
metà degli anni ’80), Angola, Cambogia, Cuba, Timor Est, Egitto, Etiopia, Isole
Figi, Grenada, Haiti, Indonesia (sotto Sukarno), Iran, Giamaica, Libano, Libia,
Mozambico, Nicaragua, Panama, Perù, Portogallo, Siria, Yemen del Sud, Venezuela
(sotto Hugo Chavez), Sahara Occidentale ed Iraq (sotto Saddam Hussein,
autocratico ed appoggiato dalla CIA, fintanto che non emerse la sua politica
economica di nazionalizzazione e non
cercò di ottenere prezzi migliori dalla vendita del petrolio).
Il metodo propagandistico utilizzato per screditare molti di questi governi non
è particolarmente originale, anzi, a questo punto, risulta facilmente
prevedibile. Si denunciano i dirigenti come magniloquenti, ostili e
psicologicamente tarati. Vengono catalogati come demagoghi assetati di potere,
uomini forti e volubili e della peggior razza di dittatori, assimilati allo
stesso Hitler. I paesi in questione vengono tacciati come Stati “canaglia” o
“terroristi”, colpevoli di essere “anti-statunitensi” o “anti-occidentali”. Una
minoranza selezionata è anche condannata come appartenente all’“asse del male”.
Quando i dirigenti statunitensi prendono di mira un paese o demonizzano il suo
dirigente, vengono appoggiati da pubblicisti ideologicamente sintonizzati,
esperti, accademici, ex-funzionari di governo. Insieme creano, nell’opinione
pubblica, un clima tale da consentire a Washington di compiere quanto
necessario per arrecare gravi danni all’infrastruttura ed alla popolazione
della nazione designata, il tutto in nome dei diritti umani, della lotta contro
il terrorismo e per la sicurezza nazionale.
A tal proposito non esiste esempio migliore che l’infaticabile demonizzazione del
presidente democraticamente eletto Slobodan Milosevic e la guerra contro la
Yugoslavia appoggiata dagli USA. Louis Sell - funzionario degli Affari Esteri
statunitense - ha scritto un libro (“Slobodan Milosevic and the Destruction of
Yugoslavia”, Duke University Press, 2002), che rappresenta un’opera somma su
Milosevic, piena delle abituali immagini prefabbricate e delle presunzioni
politiche dello stato di sicurezza nazionale statunitense. Il Milosevic di Sell
è una caricatura, una persona astuta, avida di potere, un pazzo furioso che
attacca compagni fidati ed approfitta delle divisioni interne al partito.
Questo Milosevic è, al tempo stesso, un “socialista ortodosso” ed un
“opportunista nazionalista serbo”, un demagogico “secondo Tito” assetato di potere,
che vuole un potere dittatoriale su tutta la Yugoslavia e contemporaneamente
porta ansiosamente avanti politiche che “distruggono lo Stato che Tito creò”.
L’autore non dimostra attraverso riferimenti a politiche e specifici programmi
che Milosevic è responsabile dello smembramento della Yugoslavia, semplicemente
ce lo ripete, più e più volte. Si potrebbe pensare che forse abbiano a che fare
con questo i secessionisti sloveni, croati, bosniaci mussulmani, macedoni ed
albanesi del Kosovo, e gli interventisti degli Stati Uniti e della NATO.
Secondo la mia opinione, il vero peccato commesso da Milosevic fu resistere
allo smembramento della Yugoslavia ed opporsi all’imposizione dell’egemonia
USA. Cercò inoltre di evitare alla Yugoslavia il peggio delle spietate
privatizzazioni e restrizioni che già avevano afflitto altri vecchi paesi
comunisti. La Yugoslavia fu l’unica nazione d’Europa che non richiese di
entrare nell’Unione Europea o nella NATO o nell’OCSE (Organizzazione per la
Sicurezza e la Cooperazione Europea).
Secondo alcuni intellettuali di sinistra la vecchia Yugoslavia non poteva
definirsi stato socialista, poiché aveva permesso un’eccessiva penetrazione da
parte di imprese private e FMI. Ma i politici statunitensi sono ben noti per
non avere la stessa visione del mondo degli intellettuali puristi della
sinistra. Per loro la Yugoslavia era sufficientemente socialista con il suo
sviluppato sistema di servizi sociali ed un’economia pubblica per oltre il 75%.
Sell chiarisce bene che in Yugoslavia la proprietà pubblica e la difesa di tale
sistema economico da parte di Milosevic, furono considerazioni centrali nella
guerra di Washington contro la Yugoslavia. Milosevic, lamenta Sell, era
“compromesso con il socialismo ortodosso”. “Descriveva con continua enfasi la
proprietà pubblica dei mezzi di produzione e la produzione statale delle merci
come le migliori garanzie di prosperità”. Dovette andarsene.
Per esporre le sua argomentazioni contro Milosevic, Sell ricorre spesso
all’abituale argomento “ad hominem”. Così leggiamo che nella sua infanzia
Milosevic era “un tantino bigotto” e, pertanto, “un solitario per natura”, un
tipo di bambino strano, giacché “non gl’interessavano gli sport né altre
attività fisiche” e “disdegnò le monellerie infantili a favore dei libri”.
L’autore cita un anonimo compagno di classe, il quale riferisce che la madre di
Slobodan “lo vestiva in modo grazioso e lo crebbe mite”. Ancor peggio, Slobodan
non si univa mai a loro quando gli altri bambini rubavano negli orti - senza
dubbio un segno indiscutibile di patologia infantile.
Più avanti Sell descrive Milosevic come “taciturno”, “incline ad un vita
appartata” e dedito ad un “caparbio fatalismo”. Ma i dati stessi di Sell -
quando fa una pausa nella sua caratterizzazione negativa e passa ai dettagli -
contraddicono lo stereotipo di disadattato “solitario taciturno”. Riconosce che
il giovane Milosevic lavorò bene coi colleghi quando iniziò l’attività
politica. Niente affatto incapace di stabilire relazioni strette, Slobodan
conobbe una ragazza, sua futura moglie, ed insieme godettero di un vincolo
duraturo per la vita. All’inizio della sua carriera, quando era a capo della
Banca di Belgrado, si dice che Milosevic era “comunicativo, si preoccupava per
il personale della banca ed era molto popolare tra i dipendenti”. Altri amici
lo descrivono come una persona che andava d’accordo con la gente, “disteso ed
alla mano”, sposo fedele con sua moglie e padre orgoglioso e devoto con i
figli. Sell ammette che Milosevic era a volte “sicuro di se stesso”,
“estroverso” e “carismatico”. Ma lo stereotipo negativo è talmente fermamente
radicato a causa delle asserzioni ripetitive (e di anni di propaganda da parte
dei media occidentali e dei circuiti ufficiali) che Sell può limitarsi a passar
sopra alle prove che lo contraddicono - anche quando è lui stesso ad offrirle.
Sell fa riferimento ad un anonimo “psichiatra statunitense che ha studiato
Milosevic da vicino”. Leggasi “da lontano”, dal momento che nessuno psichiatra
statunitense ha mai trattato, e nemmeno intervistato, Milosevic. Tale
innominato psichiatra si suppone abbia diagnosticato al dirigente Yugoslavo una
personalità “malignamente narcisistica”. Sell ci dice che questo narcisismo
maligno riempie Milosevic di autodelusione, lasciandogli una “personalità
tediosa” che è una “farsa”. “Le persone con il tipo di personalità di Milosevic
spesso non possono o non vogliono riconoscere la realtà dei fatti che divergono
dalla loro personale percezione del modo in cui il mondo è o dovrebbe essere”.
Come fa a sapere tutte queste cose il Dott. Sigmund Sell? Sembra trovare la
prova nel fatto che Milosevic osò tracciare un percorso divergente da quello
emanato da Washington. Senza dubbio solamente una patologia personale può
spiegare cotanta ostinazione “anti-occidentale”. Inoltre ci viene detto che
Milosevic aveva il suo “punto debole” nel fatto di non essersi mai sentito a
suo agio con la nozione di proprietà privata. Se non è una prova questa di
narcisismo maligno, che cos’è dunque? Sell non prende mai in considerazione la
possibilità che lui stesso e gli interventisti globali che la pensano al par
suo, non possano o non vogliano “riconoscere la realtà dei fatti che divergono
dalla loro personale percezione del modo in cui il mondo è o dovrebbe essere”.
Milosevic, ci viene detto ripetutamente, cadde sotto la crescente influenza di
sua moglie, Mirjana Markovic, “l’autentico potere dietro il trono”; in
un’occasione la definisce anche “Lady Macbeth”. La ritrae come una vera
maniaca, posseduta da un’ira incontrollabile, i suoi occhi “vibravano come un
animale spaventato”; “soffre di schizofrenia profonda” con un’“inconsistente
discernimento della realtà” ed è un’”ipocondriaca” incurabile. Inoltre, non
simula “gran che” ed ha una personalità “fantasiosa” e “traumatizzata”. Come
suo marito, col quale condivide “una relazione molto anomala”, ha un “rapporto
autistico col mondo”. Peggio ancora, ha un’”ideologia marxista dura”.
Ci resta da chiederci in qual modo il Milosevic disadattato ed autistico fu
capace di lavorare come un popolare professore universitario, organizzare e
dirigere un nuovo partito politico e svolgere un ruolo attivo nella resistenza
popolare contro l’interventismo occidentale.
In questo libro, ogni volta che si citano le parole di Milosevic o di qualsiasi
altro della sua cerchia, questi “grugniscono”, “parlano in fretta e furia”,
“parlano tra i denti” o “si vantano”.
Al contrario i politici che si sono meritati l’approvazione di Sell
“osservano”, “espongono”, fanno notare” e “concludono”. Quando uno dei
superiori di Milosevic esprime la sua inquietudine circa i “rumorosi serbi del
Kosovo” (come li chiama Sell) che manifestavano contro i maltrattamenti patiti
per mano degli albanesi kosovari secessionisti, Milosevic “dice a denti
stretti”: “Perché avete tanta paura della strada e del popolo?” Qualcuno di noi
potrebbe pensare che questa sia un’ottima domanda da fare a denti stretti ad un
dirigente di governo, ma Sell la considera una prova della demagogia di
Milosevic.
Ogni volta che Milosevic faceva qualcosa a favore del comune cittadino, come
quando tassò gli interessi dei conti in valuta straniera, una politica
impopolare tra l’elite serba, ma apprezzata dagli strati più poveri della
popolazione, viene tacciato di manipolare il favore popolare. Così dobbiamo
accettare la parola di Sell, secondo cui Milosevic non volle mai il potere per
evitare la fame, viceversa era semplicemente affamato di potere. Sell opera con
un paradigma non falso-credibile. Se il leader in questione è irresponsabile
nei confronti del popolo, ciò costituisce una prova della sua propensione
dittatoriale; se è responsabile verso il popolo, ciò dimostra il suo demagogico
opportunismo. Fedele alla visione ufficiale statunitense del mondo, Sell
etichetta “Milosevic ed i suoi subalterni” come “partigiani della linea dura”,
“conservatori” ed “ideologi”, “anti-occidentali” rinchiusi nel “dogma
socialista”. Al contrario i secessionisti croati, bosniaci ed albanesi
kosovari, che lavorarono tenacemente per smembrare la Yugoslavia e consegnare le
rispettive repubbliche alle tenere benedizioni del neocapitalismo, sono
definiti “riformatori dell’economia”, “dirigenti neoliberali” e
“filo-occidentali” (leggi: capitalisti a favore delle imprese transnazionali).
Sell considera la “democrazia stile occidentale” e la “moderna economia di
mercato” come necessariamente correlati.
Non ha nulla da dire sulle tremende difficoltà dei paesi dell’Europa dell’Est
che hanno abbandonato le loro deficitarie ma sopportabili economie pianificate
per le spietate estorsioni del laisser-faire capitalistico.
La sensibilità di Sell di fronte alla demagogia non si estende a Franjo
Tudjman, il croata cripto-fascista ed antisemita che parla bene di Hitler e che
ha imposto il suo severo governo autocratico alla Croazia da poco indipendente.
Tudjman sminuì l’olocausto considerandolo un’esagerazione ed acclamò
apertamente all’organizzazione nazi-croata degli Ustascia della seconda guerra
mondiale. Arrivò perfino ad includere nel suo governo alcuni veterani dirigenti
ustascia. Sell non dice parola alcuna di tutto ciò e considera Tudjman
semplicemente come buon veterano nazionalista croato. Allo stesso modo non ha
parole critiche per il dirigente bosniaco mussulmano Alija Izetbegovic.
Commenta laconicamente che nel 1946 Izetbegovic “fu condannato a tre anni di
carcere per appartenenza ad un gruppo chiamato i Giovani Mussulmani”. Si resta
con l’impressione che il governo comunista di Yugoslavia avesse oppresso un
devoto mussulmano. Ciò che Sell non menziona è che durante la seconda guerra
mondiale il giovane mussulmano reclutò attivamente unità mussulmane per le SS
naziste; queste unità perpetrarono orribili atrocità contro il movimento di
resistenza e la popolazione ebrea della Yugoslavia. Izetbegovic se la cavò con
una sentenza di soli tre anni.
In questo libro si dice pochissimo della pulizia etnica perpetrata contro i
serbi da parte dei dirigenti appoggiati dagli USA, come Tudjman ed Izetbegovic,
durante e dopo le guerre contro la Yugoslavia sostenute dagli USA. Al
contrario, non si fa menzione della diversità e tolleranza etnica esistenti
nella Yugoslavia del presidente Milosevic. Tutto ciò che restava della
Yugoslavia nel 1999 erano la Serbia ed il Montenegro. Ai lettori non si dice
mai che questa nazione era l’unica residua società multietnica che rimaneva
delle ex-repubbliche yugoslave, l’unico luogo in cui serbi, albanesi, croati,
gorani, ebrei, egiziani, ungheresi, zingari, e molti altri gruppi etnici
potevano convivere con misure certe di sicurezza e tolleranza.
L’implacabile demonizzazione di Milosevic si estende al popolo serbo in
generale. Nel libro di Sell i serbi sono nazionalisti esasperati. I serbi del
Kosovo, che manifestano contro i maltrattamenti ricevuti dai nazionalisti
albanesi, sono descritti come persone che hanno un “crescente desiderio di
sangue”. I lavoratori serbi, che manifestano per difendere i loro diritti e le
conquiste faticosamente acquisite, sono sminuiti da Sell come “gli strumenti più bassi della banda”. I serbi che per
secoli hanno vissuto nella Krajina ed in altre zone della Croazia sono
denigrati e etichettati come occupanti coloniali. All’opposto, i secessionisti
nazionalisti sloveni, croati e bosniaci mussulmani e gli irredentisti albanesi
kosovari sono semplicemente alla ricerca di “indipendenza”,
“autodeterminazione”, “sovranità e differenziazione culturale”. In questo
libro, i pistoleri albanesi dell’UCK non sono trafficanti di prima linea,
terroristi ed esecutori di pulizie etniche, ma combattenti e patrioti.
Le presunte azioni militari dei serbi, descritte nei termini più vaghi, sono
ripetutamente definite “brutali”, mentre gli assalti e le atrocità commesse
contro i serbi da parte di altri gruppi nazionalisti sono generalmente
accettate come rappresaglie ed atti difensivi, o sono sminuite da Sell che le
considera “false”, “molto esagerate”, ed “oltremodo sbandierate”. Milosevic,
afferma Sell, disseminò “propaganda maliziosa” contro i croati, ma non ne
riporta alcuna in concreto. Sell offre uno o due esempi di come i villaggi
serbi furono saccheggiati ed i loro abitanti violentati ed assassinati da parte
dei secessionisti albanesi. In funzione di ciò riconosce, malvolentieri, che
“qualcuna delle accuse dei serbi… ha un fondo di verità”. Ma non fa nulla di
più al riguardo.
La storia, comoda e ben ordita, circa il massacro serbo degli albanesi
disarmati nel villaggio di Racak, strombazzata in modo grossolano dal
diplomatico statunitense e disinformatore di lunga data, William Walker, è
accettata incondizionatamente da Sell, che ignora tutte le prove contrarie. Una
squadra televisiva dell’Associated Press aveva filmato la battaglia che ebbe
luogo a Racak il giorno prima che la polizia
serba ammazzasse vari membri dell’UCK. Un giornalista francese che era stato
a Racak più tardi in quello stesso giorno, trovò prove di una battaglia, ma non
prove di un massacro di civili disarmati; tanto meno le trovarono gli stessi
osservatori della missione di verifica del Kosovo di Walker. Tutte le relazioni
dei periti rivelarono che, in pratica, le 44 persone uccise avevano usato armi
da fuoco e tutte erano morte in combattimento. Sell semplicemente ignora queste
prove.
La storia molto mediatizzata del modo in cui i serbi, presumibilmente,
avrebbero ammazzato 7000 mussulmani a Srebrenica, è accettata senza alcuna
critica anche quando le indagini più esaustive non hanno dissotterrato più di
2000 corpi di nazionalità indeterminata. S’ignorano i precedenti massacri
portati invece a termine dai mussulmani, che rasero al suolo una cinquantina di
villaggi serbi intorno a Srebrenica, secondo le informazioni di due
corrispondenti della BBC e di altri giornalisti. Allo stesso modo passa sotto silenzio la totale incapacità del
gruppo di periti occidentali di localizzare
i 250.000 o 100.000 o 50.000 corpi di albanesi (il numero continua a
cambiare) che si dicono assassinati dai serbi in Kosovo.
L’interpretazione di Sell di ciò che accadde a Rambouillet lascia molto a
desiderare. Secondo le condizioni di Rambouillet, il Kosovo sarebbe diventato
una colonia della NATO. Milosevic avrebbe potuto anche accettarlo, seppure a
malincuore, disperato per non poter evitare un attacco totale della NATO al
resto della Yugoslavia. Ma, per essere sicura che la guerra fosse inevitabile,
la delegazione statunitense aggiunse una sorprendente condizione, chiedendo che
le forze ed il personale della NATO avessero libero accesso a tutta la
Yugoslavia, uso senza restrizioni dei suoi aeroporti, treni, porti, servizi di
comunicazione e radiotelevisione, senza costi ed immuni da qualsiasi giurisdizione
delle autorità yugoslave.
La NATO avrebbe anche avuto la possibilità di modificare a proprio uso tutte le
infrastrutture della Yugoslavia, incluse strade, ponti, gallerie, edifici e
strutture pubbliche. In effetti non solo il Kosovo, ma tutta la Yugoslavia, si
sarebbe vista sottomessa allo straordinario equivalente di un’occupazione
coloniale assoluta.
Sell non menziona questi dettagli. In cambio ci assicura che le esigenze della
NATO di accesso senza restrizioni alla Yugoslavia non erano nulla più che una
forma di protocollo introdotta “in gran parte per ragioni legali”. Un’idea
simile di accordo, ma meno radicale - afferma - faceva parte del pacchetto di
Dayton. In più, l’accordo di Dayton
riduce la Bosnia ad una colonia occidentale. Ma, se non c’era nulla di male
nell’ultimatum di Rambouillet, allora perché Milosevic lo rifiutò? Sell
attribuisce la resistenza di Milosevic alla sua perversa “mentalità da bunker”
ed alla sua necessità di sfidare il mondo.
Non vi è una sola parola in questo libro che descriva i 78 giorni di
bombardamenti massicci, per 24 ore al giorno, della NATO sulla Yugoslavia;
nessun accenno al fatto che tali bombardamenti causarono la perdita di migliaia
di vite, ferirono e mutilarono altrettante migliaia, contaminarono gran parte
delle terre e dell’acqua con uranio impoverito e distrussero la maggior parte
del settore industriale pubblico e delle infrastrutture del paese, mentre
lasciarono perfettamente intatte tutte le strutture delle imprese private
occidentali.
Le fonti di Sell si basano sulla condivisione della versione ufficiale
statunitense della battaglia dei Balcani. Non sfiorano né citano osservatori
che offrono una prospettiva critica più indipendente, come Sean Gervassi, Diana
Johnstone, Gregory Elich, Nicholas Stavrous, Michel Collon, Raju Thomas e
Michel Chossudovsky. Importanti fonti occidentali, che segnalo nel mio libro
sulla Yugoslavia, offrono prove, testimonianze e documentazione che discordano
dalle conclusioni di Sell, incluse fonti degli Interni dell’Unione Europea,
della Commissione della Comunità Europea per i Diritti delle Donne, dell’OSCE e
della sua Missione di Verifica in Kosovo, della Commissione delle Nazioni Unite
sui Crimini di Guerra e di altre Commissioni delle Nazioni Unite, varie
relazioni dei Dipartimenti di Stato,
relazioni dei ministeri tedeschi degli Affari Esteri e della Difesa, e della
Croce Rossa Internazionale. Sell non si avvale di queste fonti.
Ignora anche testimonianze e dichiarazioni di congressisti statunitensi che
visitarono i Balcani, un ex-funzionario del Dipartimento di Stato sotto
l’amministrazione Bush, un ex-sottufficiale del comando statunitense europeo,
diversi generali delle Nazioni Unite e della NATO e negoziatori internazionali,
piloti spagnoli, squadre di periti di differenti paesi ed osservatori delle
Nazioni Unite, i quali hanno fornito rivelazioni in contraddizione col quadro
dipinto da Sell e da altri difensori della versione ufficiale USA.
Riassumendo, il libro di Sell è pieno zeppo d’incongruenze su informazioni riservate,
accuse senza fondamento, supposizioni senza indagine e stereotipi zavorrati
ideologicamente.
Si tratta di un buon lavoro, fintanto che la disinformazione continua ad essere
la tendenza dominante.
Note.
Ustascia: Organizzazione che nel 1941 i paesi dell’Asse - Germania, Italia e
Giappone - incaricarono della cosiddetta operazione “Indipendenza croata” e che
nel 1945 fu espulsa dai partigiani yugoslavi e dall’Esercito Rosso (N.d.t.)
Gli ultimi libri di Michel Parenti sono “To Kill a Nation: the Attack on
Yugoslavia” (Verso), e “Terrorism Trap: September 11 and Beyond” (City Lights).
Il suo ultimo lavoro, “The Assesination of Julius Caesar: A People History of
Ancient Rome”, è stato candidato al Premio Pulitzer.